«A dispetto della carneficina nelle strade, la violenza sessuale era invisibile, oltre le
televisioni e le loro telecamere, confinata a campi di detenzione e bordelli improvvisati,
dove donne agonizzanti erano diventate meri trofei di guerra» . Così scrive Payam
Akhavan, noto prosecutore Onu dell’Aia, nel suo ultimo libro ‘In search of a better world’,
descrivendo la brutalità degli stupri di massa in Bosnia, e delle difficoltà di restituire giustizia a
quelle migliaia di vittime spesso invisibili.
Lo stupro in zone di conflitto continua ad essere un’arma potentissima nella sua brutalità, ed
una ferita impossibile da marginare, invisibile agli occhi di chi non è stato nè vittima nè
testimone. A più di 20 anni dagli stupri di Massa durante la guerra bosniaca, le donne e i minori
continuano ad essere al centro di indicibili sofferenze nei molti scenari bellici aperti. Già nel
Marzo del 2000 poco dopo la fine del conflitto nella ex – Jugoslavia, il Tribunale penale
internazionale per l’ex Jugoslavia dell’Aja aveva riaffermato, dopo aver sentito molteplici
testimonianze da sopravvissute alla mattanza serba, come ‘indicibili orrori’ compresi stupri di
gruppo, torture e schiavismo sessuale erano stati perpetrati contro le donne e le ragazze
musulmane da truppe serbe nei primi giorni del conflitto in Bosnia. Ragazze giovanissime,
di 12 e 15 anni, erano state le vittime predilette di quegli orrori.
«Eravamo stuprate ogni giorno. Non solo in casa, ci portavamo anche di fronte a gruppi
di soldati per torturarci. Poi di nuovo in casa, di fronto ai miei bambini», racconta Jasmina in
un’intervista alla ‘CNN’ che all’epoca aveva solo 19 anni, «ero in così brutte condizione che a
volte non riuscivo a riconoscere i miei figli. Durò per un anno, ogni giorno, con me c’erano altre
dieci donne, ma non tutte sopravvissero». Secondo l’ OSCE, l’Organizzazione Europea per la
Sicurezza e la Cooperazione, tra il 1992 e 1994 sotto il comando di Radovan Karadzic, le
donne stuprate sarebbero state decine di migliaia.
Ma la Bosnia, purtroppo, non fu certo un caso isolato. Tutto il ventesimo secolo, in particolar
modo gli anni ‘90 furono testimoni dei più indicibili orrori. Come in RUanda, dove migliaia
furono le donne tutsi violentate dai soldati hutu. La Tribunale Internazionale dei Crimini in
Ruanda aveva concluso, nel suo verdetto contro i leader Hutu, che la violenza sessuale era un
passo nel processo di distruzione della comunità Tutsi… distruzione dello spirito, della voglia di
vivere, e della vita stessa». Inoltre, secondo Survivors Fund, una ONG britannica operante in
Ruanda, il numero dei bambini nati da stupri si aggirerebbe attorno ai 20.000.
E mentre per molti le memorie di Bosnia e Ruanda appaiono lontane, i sette anni del conflitto
civile in Siria ci ricordano che lo stupro continua ad essere uno strumento di terrore ed
umiliazione. Nella Siria di Bashar al – Assad, specialmente durante i primi mesi delle proteste,
e nei primi due anni di guerra, lo stupro costituiva arma indispensabile per restare al potere e
scoraggiare la rivoluzione. In un reportage condotto da Marie Forestier per la LSE, London.
«Volete la libertà, eccovi la vostra libertà». Queste le parole ripetute più volti dai soldati del
regime alle donne violentate. Dal 2011, a seguito delle molte conquiste territoriale delle forze
pro – opposizione, i casi di violenza sessuale si concentrarono proprio in quei quartieri controllati
da forze anti – assad. In molti casi, donne venivano rapite e poi violentate ai check point, solo
per un presunto supporto, mai verificato, ai ribelli.
Lo stupro in Siria ha servito in maniera cristallina gli obiettivi politici e militari del regime.
Oltre ad enfatizzare un discorso settario attraverso un focus specifico su donne sunnite, «il
regime ha indirizzato le azioni contro i gruppi che si erano alleati contro Governo», riporta lo
studio. «Lo stupro ha servito gli interessi del regime spostando la narrativa da dimostrazioni
pacifiche. Dopo la loro liberazione, le donne avevano paura di essere arrestate o di essere
rifiutate dalle famiglie per il troppo disonore, decidendo così di lasciare il Paese. La partenza
degli oppositori più moderati, e l’intensificarsi degli scontri che sono diventati sempre
più radicali, ha confermato il mantra del regime che ‘stava combattendo estremisti’».
Orrori di guerra a cui non hanno fatto eco misure delle agenzie internazionali. Come si legge nel
reportage, Zainab Bangura, Rappresentante Speciale e Segretaria Generale per la violenza
sessuale nei conflitti, non ha denunciato abusi né preso misure concrete, nonostante, si
legge, abbia visitato i centri di detenzione del regime in Aprile 2015. L’attenzione della
comunità internazionale è stata focalizzata sui crimini compiuti dall’ISIS, una linea adottata
seguendo gli interessi dei molti Paesi coinvolti nel conflitto. Da una parte gli alleati del regime
alawita non hanno voluto biasimare Assad, dall’altra i Paesi appartenenti alla coalizione USA
hanno fatto della guerra ISIS la loro priorità.
Nei vari scenari di guerra, dunque, gli stupri non rappresentano casi isolati frutto della brutalità
dei singoli individui, ma, al contrario, rientrano in una generale politica di repressione, che nei
vari scenari bellici ha mostrato caratteristiche comuni e ben organizzate. Dietro agli stupri in
zone di guerra si nasconde una vera e propria strategia militare dove a farne le spese
sono purtroppo le fasce più indifese della società: donne e bambini.
“Le donne sono il futuro. Per ogni Paese esse rappresentano il futuro e diventano perciò le
vittime predilette di questi scontri brutali“. Commenta Ferdinando Sanfelice di Monteforte,
Ammiraglio ed attualmente professore di Studi Strategici presso l’Università di Gorizia, polo di
Trieste.”Siamo in una fase di ritorno alla guerra totale. Lo stupro è un’arma per distruggere le
popolazioni sia fisicamente che moralmente“. Aggiunge poi, “è uno degli aspetti classici della
guerra all’ultimo sangue. Una strategia che mira al controllo dei territori. O sottomettendo la
popolazione oppure cacciandola. La piego, la umilio, la schiavizzo“. Un fenomeno certo non
solo mediorientale. “Certo, anche l’Africa, come dimostra il genocidio in Ruanda, è sempre
stata caratterizzata da lotte tra etnie, che noi europei abbiamo sfruttato nei secoli passati
prendendo le etnie sconfitte e schiavizzando“. E la comunità internazionale? “Il diritto
umanitario aveva cercato di bandire questo fenomeno. Ma la sua perpetuazione è il sintomo
che stiamo arrivando ad una guerra senza limiti e da cui è difficile trovare una via d’uscita“.