Scarica il file in PDF – tesi seminara APPROFONDIMENTI SUL TERRORISMO
LA STORIA DELL’ARTE E DELLA TUTELA DEI BENI ARCHEOLOGICI E IL TERRORISMO JIHADISTA
Paolo Seminara
(tesi Master in “Geopolitica della sicurezza”, Università degli Studi Niccolò Cusano UNICUSANO – a.a. 2016-2017 – relatore Prof. Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte)
Introduzione
CAPITOLO I – LA DISTRUZIONE E LA DEPREDAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE: DA IERI AD OGGI
1.1 Il saccheggio nella storia
1.2 IS: lo Stato del terrore
1.3 La pulizia culturale
1.4 Palmira: la sposa del deserto
1.5 Il mercato nero delle opere d’arte
1.6 Come avvengono i saccheggi?
1.7 Andrew Keller: l’aspetto finanziario dell’IS
CAPITOLO II – LA PROTEZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE NEL DIRITTO INTERNAZIONALE
2.1 Lo sviluppo della protezione culturale: prima della Seconda Guerra Mondiale
2.2 1954: la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato
2.3 1972: la Convenzione per il patrimonio mondiale
2.4 2001: la distruzione dei Buddha di Bamiyan e di Timbuktu
2.5 Siria e Mosul e l’evoluzione del proprio patrimonio culturale
2.6 La risposta Internazionale agli attacchi dello Stato Islamico
CAPITOLO III – CASCHI BLU DELLA CULTURA
3.1 Il ruolo svolto dall’UNESCO per promuovere e garantire la tutela del patrimonio naturale e culturale dell’umanità
3.2 L’azione politica italiana in favore della protezione del patrimonio culturale
3.3 L’intesa con l’UNESCO per la creazione di una Task Force italiana
3.4 L’Accordo con l’UNESCO per la creazione del Centro di formazione Internazionale
3.5 Dal primo intervento svolto dai Caschi Blu della Cultura al loro ruolo di difesa del Patrimonio Culturale distrutto o saccheggiato dai gruppi terroristi
Conclusioni
Bibliografia
INTRODUZIONE
La presente tesi, è il risultato di un lavoro di ricerca che ha l’obiettivo sia di analizzare il fenomeno, sviluppatosi notevolmente negli ultimi anni, della distruzione, dispersione, depredazione ed esportazione illecita di opere d’arte e siti archeologici di valore inestimabile nei territori occupati dall’islam dello Stato Islamico (IS), sia di analizzare le iniziative adottate nell’ambito della comunità internazionale volte alla tutela ed alla protezione del Patrimonio Culturale Mondiale.
Il primo capitolo della tesi esamina il fenomeno storico del furto di opere e beni culturali, che ha visto protagonisti figure di spicco quali Napoleone Bonaparte e più recentemente, durante il secondo conflitto mondiale, Adolf Hitler, per poi passare ad esaminare le azioni devastanti di gruppi estremisti di matrice islamica che, in virtù di una logica dettata da fanatismo religioso, mette in atto la distruzione fisica non soltanto delle popolazioni dei territori occupati, ma anche dei siti archeologici più rappresentativi dell’età del politeismo preislamico, periodo aborrito dagli jihadisti.
Soffermandosi in particolare sulle azioni commesse da IS , dopo un’elencazione ed analisi delle azioni distruttive commesse a danno di diversi siti culturali presenti in Siria ed in Iraq, come il museo archeologico di Mosul o il sito archeologico di Palmira, vengono esaminate anche le motivazioni che muovono la cosiddetta “pulizia culturale” proclamata dai militanti dell’IS che inneggiano ad una lotta all’idolatria da attuarsi su scala mondiale.
Pertanto, diversi studi e ricerche, come ad esempio quelli svolti dal giornalista del National Geographic Ingo Gilmore e da Andrew Keller, del Dipartimento di Stato degli affari economici e commerciali degli Stati Uniti d’America, hanno messo in luce l’esistenza di un vero e proprio mercato nero delle opere d’arte trafugate da parte dell’IS, il quale rappresenta un’importante entrata finanziaria per lo Stato Islamico.
Il commercio delle opere trafugate da parte dell’IS è divenuto, infatti, la terza attività di autofinanziamento del Califfato, dopo la vendita del gas e del petrolio.
Il secondo capitolo della tesi esamina lo sviluppo del diritto internazionale per la tutela del patrimonio storico-culturale mondiale partendo dal 1899, anno in cui venne firmata la Convenzione dell’Aja su leggi e costumi della guerra terrestre, che contiene le prime disposizioni in materia, fino ad arrivare allo scenario attuale che vede una risposta internazionale alle devastazioni dei siti archeologici da parte dello Stato Islamico.
Nel dettaglio sono state esaminate, la Convenzione per la Protezione dei Beni culturali in caso di Conflitto Armato, approvata nel 1956 dall’United Nation Educational, Scientific and Cultural Organization (UNESCO), in risposta alle devastazioni della Prima e della Seconda Guerra Mondiale e la Convenzione del 1972, approvata dall’UNESCO, per la Protezione del Patrimonio Mondiale, Culturale e Naturale dell’Umanità. Sebbene entrambe le Convenzioni rappresentino le colonne portanti del diritto internazionale per la salvaguardia del Patrimonio
Culturale Mondiale, attualmente, si sono dimostrate inefficaci a fronteggiare gli attacchi che l’IS sta sferrando nel corso degli ultimi anni a danno del patrimonio artistico in Iraq e Siria.
L’ultima parte del secondo capitolo evidenzia come nonostante le diverse iniziative proposte dall’UNESCO, dall’ONU e dagli Stati Uniti d’America, come ad esempio la riunione d’emergenza, convocata dall’UNESCO il 30 settembre 2014, sia diventata improcrastinabile un’azione congiunta e condivisa a livello internazionale per il rafforzamento della protezione di quei siti e beni culturali divenuti obiettivi dei gruppi armati del radicalismo religioso.
Il terzo capitolo della tesi è dedicato all’esposizione e valutazione dell’Accordo stipulato tra il Governo Italiano e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione la Scienza e la Cultura per la creazione di una Task Force Italiana.
La preoccupazione per la distruzione e la perdita del patrimonio culturale sono alla base delle trattative tenutesi per ben due anni e concluse con la stipula dell’Accordo tra l’UNESCO ed il Governo Italiano per la creazione di una Task Force in grado di intervenire nelle aree di crisi per la Tutela del Patrimonio Culturale Mondiale.
La Task Force è la prima unità di pronto intervento in grado di intervenire in qualsiasi momento, su richiesta di uno Stato membro che si trovi ad affrontare una crisi o una catastrofe naturale, per valutare i danni provocati al patrimonio culturale e naturale colpito.
Nello stesso capitolo viene anche esaminato l’Accordo con l’UNESCO per l’istituzione a Torino di un nuovo centro di formazione (ITRECH) concluso, contestualmente, al Memorandum per la creazione della Task Force italiana.
La parte conclusiva del terzo capitolo è dedicata al primo intervento dei “Caschi Blu della Cultura“, i quali, addestrati per intervenire presso la città di Palmira all’indomani della distruzione del sito archeologico, sono stati chiamati per un primo pronto intervento presso la città di Amatrice dopo la scossa sismica avvenuta il 24 agosto del 2016 con lo scopo di monitorare lo stato del Patrimonio Culturale nelle zone colpite dal terremoto.
CAPITOLO I
LA DISTRUZIONE E LA DEPREDAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE: DA IERI AD OGGI.
- IL SACCHEGGIO NELLA STORIA
La dispersione del patrimonio culturale per la mercificazione dei beni, tramite saccheggi organizzati o occasionali di siti archeologici, è un’odiosa sventura senza tempo.
Questa attività illecita è documentata fin dagli inizi della civiltà urbana, almeno per quanto concerne la valle del Nilo, in modo sporadico per le più antiche tombe reali del mondo faraonico e per le più vistose ed affascinanti sepolture reali del Nuovo Regno[1].
Un fenomeno che si è ripetuto infinite volte nel corso della storia antica, medioevale e moderna sotto ogni tipo di forma, senza mai arrestarsi completamente nel Ventesimo ma soprattutto nel Ventunesimo secolo. Un saccheggio che ha visto come protagonisti lo stesso Napoleone e Hitler.
Napoleone ha trovato nel saccheggio il modo per poter compensare i suoi eserciti. Hitler, da parte sua, saccheggiava le opere d’arte ma soprattutto distruggeva migliaia di libri e opere poiché ritenute contrarie alla sua etica e “against his aesthetic or Aryan-genetic preferences”[2].
I bombardamenti della seconda guerra mondiale hanno provocato una devastazione senza fine del Patrimonio Culturale di tutti i Paesi europei coinvolti nel conflitto. Sono stati gravemente danneggiati o distrutti singoli monumenti come la Basilica di San Lorenzo a Roma, l’abbazia di Montecassino, opere artistiche, interi centri storici come quello di Coventry e di Dresda.
Per ignobili motivi sono stati demoliti luoghi simbolo, per cause che non possono essere accettate nemmeno sotto la logica della guerra. Le ragioni della distruzione e saccheggio durante la seconda guerra mondiale sono varie come ad esempio, terrorizzare un’intera popolazione attraverso la minaccia e la devastazione totale incurante di ogni tipo di perdita culturale, umiliare l’orgoglio e la memoria di un popolo tramite la cancellazione di un simbolo della sua eredità culturale o annientare interamente una città e i suoi abitanti per costringerli ad una resa incondizionata.
La seconda guerra mondiale è stata una spaventosa realizzazione di sofferenza, di distruzione, una guerra di dimensioni inconcepibili che è costata la vita di decine di milioni di esseri umani. Una guerra che ha portato con sé un grande disastro del Patrimonio Culturale, che gli uomini di tutto il mondo pensavano non si sarebbe mai potuto ripetere. Un’attività che purtroppo non è mai cessata.
Nel corso degli ultimi anni il culmine dei saccheggi, indisturbati e sistematici, dei siti archeologici è stato raggiunto nei paesi del Vicino Oriente sconvolti da crisi interne e da nascosti o dichiarati interventi esterni che hanno sempre comportato una grave diminuzione con susseguente annullamento del controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine.
Un fenomeno riscontrabile, ad esempio, durante la guerra civile libanese, combattuta nel territorio tra il 1975 e il 1980, che ha visto quasi tutte le regioni del Paese colpite da bande di scavatori clandestini che riuscivano ad operare senza alcun rischio, distruggendo e massacrando necropoli di eccezionale importanza storica, come quella del Tiro, e in alcuni casi annientando quasi integralmente siti antichissimi di grande rilievo storico.
Molto più gravi sono state le distruzioni di siti archeologici antichissimi presenti nelle regioni dell’Iraq meridionale. Depredazioni avvenute soprattutto durante l’intervento militare anglo-americano del 2003 per rovesciare il regime di Saddam Hussein e negli anni più recenti in diverse aree della Siria sconvolta dalla gravissima crisi ancora irrisolta.
Un’altra importante demolizione è quella avvenuta in Babilonia, la vasta regione compresa tra Baghdad e Bassora, dove gli scavi clandestini sistematici, certamente commissionati da organizzazioni internazionali collegate al mercato illecito di reperti archeologici, hanno ridotto a sterminati campi città di grandissimo interesse storico[3].
I danni, i rischi e i saccheggi che il patrimonio culturale, soprattutto in Iraq e in Siria, sta subendo per il controllo del territorio sono essenzialmente originati da tre cause maggiori.
La prima è riscontrabile negli scavi clandestini, che in passato erano su scala ridotta e occasionale, ma che ora sono diventate pratiche molto diffuse, sistematiche e organizzate con mezzi tecnologicamente avanzati per mano di bande armate, collegate, spesso, a organizzazioni internazionali del mercato dell’antiquariato.
La seconda causa è l’uso di siti archeologici per ospitare accampamenti di comandi regionali militari, di milizie, depositi di armamenti ed esplosivi, con la conseguenza che tali siti archeologici diventino probabili bersagli di bombardamenti o attacchi devastanti, come si è visto anche durante la seconda guerra mondiale.
L’ultima causa è il feroce, spietato odio verso “l’altro” e verso la sua cultura ed è proprio in nome di questo odio che monumenti, opere, siti archeologici diventano elementi sistematici di abbattimento, che intende essere un totale disfacimento da parte di quei gruppi fondamentalisti fanatici i quali sono caratterizzati da un’identità culturale e religiosa estremista, senza alcun tipo di tolleranza e rispetto verso “l’altro”[4].
Il problema degli scavi clandestini e del conseguente commercio illegale è ormai un problema di dimensioni globali, che non è stato risolto e non può essere risolto da una singola, pur autorevolissima iniziativa, anche se promossa da un’importante organizzazione mondiale.
In Siria, in particolar modo, è presente un disperato eroico impegno per la protezione dei siti archeologici, che finora è stato soddisfacente solo per la protezione dei materiali dei musei del Paese, ma è del tutto impotente di fronte al moltiplicarsi di scavi clandestini.
Il saccheggio, la distruzione, e il conseguente mercato mondiale delle antichità, sono diventate le attività più frequenti di bande organizzate, con la complicità di potenti organizzazioni, che permettono la vendita sicura di tali beni e dei proventi soddisfacenti per finanziare l’acquisto di armamenti e il reclutamento di milizie.
Tra le diverse bande organizzate, una in particolare ha preso nel corso degli anni sempre più piede, seminando terrore e violenza con ferocia sanguinaria tra le popolazioni.
Questo gruppo armato ha assunto nel giugno del 2014 il nome di Stato Islamico[5].
- IS: LO STATO DEL TERRORE
” Ci sono due tipi di terrore, buono e cattivo. Quello che pratichiamo noi è un
terrore buono. Non cesseremo mai di uccidere loro e chiunque li appoggi” .
Osama Bin Laden
Questa “nuova organizzazione”, si è resa responsabile di gravissime distruzioni nei confronti dei beni culturali, ma non è stato il primo gruppo islamico a compierle.
Nel 2001, i Talebani afghani distrussero con la dinamite i monumentali Buddha di Bamiyan, due enormi statue alte 55 e 33 metri scolpite nella pietra a 230 chilometri da Kabul. Uno dei crimini più odiosi contro uno dei Patrimoni dell’Umanità dichiarati dall’Unesco di cui si sono macchiati i Talebani sotto la guida del Mullah Omar, che considerava ”simboli pagani” quelle rappresentazioni d’inestimabile valore. Rispondendo alla denuncia globale per la distruzione dei Buddha, i Talebani risposero che l’azione era stata decisa per protestare contro l’attenzione che la comunità internazionale dimostrava per le statue mentre il popolo afghano soffriva la fame, riducendoli ad un cumulo di polvere e macerie e distruggendo due opere rispettivamente di 1.500 e 1.800 anni d’età.
Distruzioni importanti di beni culturali sono state compiute negli anni scorsi anche dall’ala africana di Al Qaeda, AQMI, in particolar modo a monumenti di carattere storico e religioso a Timbuctu, conosciuta come la “Città dei 33 Santi”.
Timbuctu è stata per diversi secoli – soprattutto tra il XIII° e il XVI° secolo – uno dei più importanti centri culturali dell’Islam, in cui studiavano decine di migliaia di studenti islamici.
Nel 2012 gruppi islamisti che controllavano l’antica città nella parte nord occidentale del Mali distrussero alcuni siti di Timbuctu, città del Mali, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Vennero danneggiati importanti mausolei dei santi musulmani e l’ingresso di una moschea, applicando in questo modo la loro interpretazione estremista della sharia che considera vietato il ricordo e la venerazione dei santi.
Tornando allo Stato Islamico, va detto che negli ultimi anni ha cambiato molto spesso nome: originariamente questo gruppo armato faceva parte di Al Tawhid al Jihad, per poi cambiare nome e diventare ISI (lo Stato islamico in Iraq) e affiliarsi successivamente ad Al Qaeda, prendendo il nome di al Qaeda in Iraq.
Nel 2013, infine, mirando all’annessione della branca siriana del gruppo jihadista affiliato ad al Qaeda, l’organizzazione prese il nome di ISIS o ISIL (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante al-Sham). Conseguentemente alla proclamazione, da parte di Abu Bakr al-Baghdadi, della nascita del Califfato nel giugno 2014, l’IS è diventato lo Stato Islamico (IS).
Per la prima volta, dopo la seconda guerra mondiale, una forza armata di grandi potenzialità ha cercato di ridisegnare i confini geografici del Medio Oriente che furono delineati nel corso della storia dai francesi e inglesi.
Lo Stato Islamico ha combattuto una guerra di conquista e di fatto cancellato i confini fissati dall’Accordo Sykes-Picot[6] firmato il 16 maggio 1916. Quel che discerne l’IS e il suo successo da ogni altro tipo di organizzazione è la sua modernità e il suo pragmatismo. “L’incubatrice dello Stato Islamico sono state la globalizzazione e la tecnologia moderna”[7]. Nessuna organizzazione armata mediorientale aveva mai promosso nel passato un potere politico di queste dimensioni, specialmente con i finanziamenti del Golfo.
L’IS è una macchina del terrore, una minaccia che viene avvertita specialmente dalle Nazioni confinanti con la Siria e l’Iraq e nel luglio 2014 ha fatto la sua comparsa nei villaggi giordani, occupando perfino la città di Arsal.
Un potere politico basato soprattutto sulla paura, che vieta di fumare, di utilizzare la macchina fotografica, che obbliga le donne ad andare in giro completamente coperte non potendo indossare pantaloni, che vieta alla donna di poter viaggiare se non in presenza di un famigliare maschio. Un potere che al tempo stesso è impegnato in una pulizia religiosa attuata mediante una forma di proselitismo molto aggressiva. In nome di questa pulizia religiosa l’IS giustifica le azioni terroristiche promuovendo il nome di Allah, con l’intento di riportare l’Islam alla sua gloria passata.
L’importanza della religione islamica è visibile nella stessa bandiera nera che viene sventolata dai membri di questo Stato, una bandiera che è legata all’Islam fin dalla sua nascita. Secondo la tradizione, infatti, Maometto sedeva sotto uno stendardo nero ricavato dal velo della moglie Aisha per diffondere la parola ai suoi seguaci.
«testimonio che non c’è altro dio all’infuori di Dio e testimonio che Maometto è il suo profeta»8.
La scritta in arabo riportata sulla parte alta della bandiera è la shahada, la professione di fede islamica. «Ašhadu an lā ilāha illā Allāh wa ašhadu anna Muḥammad rasūl Allāh», ovvero «Testimonio che non c’è divinità se non Dio (Allāh) e testimonio che Maometto è il Suo Messaggero »[8].
Ed è sempre in nome di Allah, in nome di questa Pulizia religiosa, che l’Is compie periodicamente atti atroci di violenza come attacchi terroristici, attacchi suicidi nei confronti di obiettivi civili, decapitazioni, depredazioni di beni culturali[9].
- LA PULIZIA CULTURALE
Una delle tante attività promosse dallo Stato Islamico è proprio l’abolizione di quel Patrimonio Culturale che racconta la nostra storia, le nostre conquiste, le nostre culture, ciò che costituisce la ricchezza di una popolazione.
“Cultural heritage is an important component of the cultural identity of communities, groups and individuals, and of social cohesion, so that its intentional destruction may have adverse consequences on human dignity and human rights”[10].
Come i nazisti prima di loro, oggi i gruppi terroristici fondamentalisti islamici distruggono l’arte che oltraggia i loro valori, con la scusa di proteggere le persone dall’influenza corrosiva dell’arte.
Nella logica di un fanatismo religioso così estremo, non può meravigliare il fatto che il furore distruttivo dell’IS si sia accanito contro monumenti, opere, siti archeologici, presenti in Siria e in Iraq, i quali appartengono all’età più odiosa e detestabile del politeismo preislamico[11].
Come abbiamo visto, in passato anche i talebani se la presero con le opere d’arte distruggendole, come ad esempio le statue di Buddha abbattute nel 2001 mentre al Qaeda distrusse operazioni contro la moschea di Timbuctu avvenuta nel luglio del 2012.
La differenza, però, tra l’IS e le organizzazioni jihadiste passate sta nel fatto che la lotta all’idolatria svolta per mano dei talebani e di Al Qaeda era una dei tanti moventi dietro alla devastazione delle opere d’arte mentre per lo Stato Islamico sembra quasi essere il movente principale.
In particolar modo, una delle differenze principali sta nel rapporto che esse hanno con il passato. Gli altri jihadisti si limitavano a ispirarsi ai primi anni dell’Islam, l’IS da parte sua, invece, vuole letteralmente portare indietro il mondo arabo al VII secolo.
Gruppi come, ad esempio, quello di Al-Qaeda guardavano ai tempi del profeta e dei suoi immediati successori come un modello irraggiungibile da imitare, senza mai voler ricreare quel mondo. Lo Stato islamico, al contrario, si propone proprio di ricostruire, nel Ventunesimo secolo, la società degli immediati successori di Maometto.
Quando ha dichiarato la nascita del “Califfato”, il gruppo jihadista intendeva esattamente questo, ossia, la creazione di un equivalente contemporaneo del regno dei cosiddetti “Califfi ben guidati”, i quattro successori di Maometto che guidarono la comunità musulmana tra il 632 e 661[12].
Il loro estremismo ha portato ad una vera e propria “Pulizia Culturale”, ovvero, una strategia internazionale che mira a distruggere la coesione sociale ed eliminare la diversità culturale attraverso attacchi liberi contro quelle persone che vengono identificate in base al loro background culturale, etnico o religioso e tramite degli attacchi diretti a distruggere i loro luoghi di culto e di memoria.
Questa pulizia culturale, che può essere riscontrata specialmente in Siria e in Iraq, viene attuata tramite attacchi contro beni culturali, quindi contro quelle espressioni fisiche, costruite della cultura, quali monumenti ed edifici ma anche nei confronti delle minoranze e delle espressioni immateriali della cultura, come usi, costumi e credenze.
Una vera e propria “protesta globale”[13] guidata dai militanti dello Stato Islamico che demoliscono monumenti antichi tramite esplosivi, mazze, picconi, armi automatiche, martelli pneumatici e bulldozer.
Atti che vengono ripresi dagli stessi membri dell’IS, i quali documentano, tramite foto e video, il loro lavoro, la loro “opera d’arte”[14]. Massimo esempio fu il video girato quando i militanti dello Stato Islamico hanno attaccato e distrutto con gli esplosivi gran parte delle antiche mura della città assira di Ninive, in Iraq e le due statue leonine alle porte di Raqqa, in Siria, capitale dello Stato islamico.
Antiche mura della città di Ninive[15]
Nel febbraio del 2015 gli attacchi sono continuati con le riprese sulla distruzione delle opere esposte nel museo archeologico di Mosul, situato in Iraq, in gran parte provenienti dalle rovine della città assira di Hatra.
Per poi proseguire il 5 marzo 2015 con la dichiarazione di abbattimento, tramite bulldozer, dell’antica città assira di Nimrud, la cui costruzione risaliva al XIII secolo a.C. in Iraq, non lontano dal sito archeologico di Mosul.
La loro pulizia culturale, nel marzo del 2015, è stata inarrestabile. Un furore che si è scagliato contro qualsiasi traccia della civiltà preislamica, di religioni concorrenti, come quella sciita ma anche contro i mausolei islamici considerati una forma di idolatria in contrasto con l’interpretazione massimalista della Sunna.
Le aggressioni al Patrimonio Culturale sono proseguite con l’assalto della antica città assira di Hatra, la quale venne distrutta con pesanti martellate e a colpi di kalashnikov.
La furia dell’IS, documentata da una ripresa fatta da un militante, si abbatte sulle statue e le maschere presenti sulle mura della città[16].
Statua della città di Hatra distrutta a picconate[17]
- PALMIRA: LA SPOSA DEL DESERTO
La collera dello Stato Islamico ha raggiunto la sua vetta più alta il 20 maggio del 2015 con la conquista, nell’area siriana, di Palmira, uno dei complessi archeologici di più straordinario significato e suggestione a scala mondiale.
Palmira è famosa, fin dall’antichità, per i suoi templi religiosi e per le altre strutture grandiose ed è uno dei più importanti centri culturali del mondo antico e il suo sito archeologico è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO.
La città è conosciuta tra gli studiosi di storia antica soprattutto per essere stata la capitale del Regno di Palmira sotto il governo della regina Zenobia.
Il regno di Palmira fu uno dei territori periferici dell’Impero romano dotato di maggiore autonomia dove la regina Zenobia fu l’unico vero personaggio femminile rilevante in una posizione di potere nella storia dell’Impero romano.
Palmira fu un importante nodo commerciale già ai tempi degli Assiri ma la sua importanza crebbe specialmente sotto la dinastia dei Seleucide (323 a.C) e sotto il governo dell’Impero Romano, che ne fecero una loro provincia, prima di diventare il Regno indipendente governato da Zenobia.
La città è stata per lungo tempo un vitale centro carovaniero per i viaggiatori che attraversavano il deserto siriaco per collegare l’Occidente, dove si trovavano le principali città dell’Impero Romano, con l’Oriente tanto da essere soprannominata la “Sposa del Deserto”.
Matthiee P., Distruzione, saccheggi e rinascite, cit., pp. 241-247[18].
Una Sposa del Deserto che è stata tenuta in ostaggio per dieci mesi dallo Stato Islamico. L’IS impossessatasi della città nel maggio del 2015, nell’agosto iniziò la sua “pulizia culturale” nel sito archeologico, facendo esplodere e radendo al suolo uno dei gioielli dell’architettura di Palmira, il Tempio di Baalshamin, il quale fu costruito tra il I e il II secolo d.C.
Tempio di BaalShamin prima e dopo la sua distruzione[19]
Le devastazioni proseguirono in giugno, con l’abbattimento del Leone di Al-lat, importantissima statua, la quale raffigurava sotto forma leonina la dea Allat, una dea del pantheon arabo preislamico.
Ricostruzione del Leone di Al-lat.[20]
La sua furia non si arrestò ma continuò con la distruzione del Tempio di Bel, costruito durante il regno di Tiberio per proseguire con l’abbattimento di alte torri funerarie della necropoli, dopo essere state saccheggiate delle decorazioni presenti.
Nell’ottobre dello stesso anno l’IS ha proseguito con la distruzione di un altro importante edificio antico della città di Palmira, l’arco di Trionfo. Edifico chiamato anche Arco di Settimo Severo dal nome dell’imperatore romano sotto il cui regno fu costruito.
Palmira – Arco di Trionfo prima della distruzione[21].
Una Sposa del Deserto che era ammirata da milioni di visitatori di ogni paese, una bellezza fuori dal tempo in uno spazio ammaliante, celebre per i tramonti rosseggianti che facevano irradiare le tipiche pietre rosate dei suoi monumenti e una città diventata, oramai, martire del Patrimonio Culturale Mondiale.
La brutalità dell’IS fu inarrestabile, raggiungendo culmini inimmaginabili. Nell’agosto i militanti dello Stato Islamico resero pubblica l’esecuzione, presso Palmira della decapitazione di un alto funzionario del Ministero della Cultura, il quale fu il responsabile per quarant’anni delle antichità di Palmira.
Tramite questa azione è possibile osservare l’inciviltà dello Stato Islamico il quale non si ferma solo al Patrimonio Culturale.
Tuttavia, l’atteggiamento dell’IS verso il patrimonio culturale è di una singolare e paradossale duplicità. I militanti dello Stato Islamico hanno provocato una “protesta globale”[22] attaccando i monumenti storici, difendendo la distruzione dei manufatti culturali con la scusa che esse rappresentavano culture pre-islamiche.
Dietro le quinte, però, lo Stato Islamico ha saccheggiato e rivenduto, tranquillamente, i piccoli oggetti antichi originari dall’ Iraq, Siria e altri territori, guadagnando milioni di dollari[23].
- IL MERCATO NERO DELLE OPERE D’ARTE
Il mercato nero delle opere d’arte e dei reperti archeologici è sempre esistito nella storia. Come i nazisti prima, oggi lo Stato Islamico distrugge ogni tipo di forma artistica che oltraggia i suoi valori ma, successivamente, le opere, derivanti dagli scavi illeciti, vengono vendute sul mercato antiquario internazionale per finanziare le attività dello stesso IS, compreso naturalmente l’acquisto di armamenti.
Qualsiasi cosa genuina, preziosa e abbastanza piccola da poter essere trasportata è venduta dai militanti dello Stato Islamico. Il commercio delle opere trafugate da parte dell’IS è divenuto sempre più organizzato grazie alla conquista di più territori. Il “Califfato” dispone di diverse attività di autofinanziamento, come quella del gas e del petrolio, incorporando negli ultimi anni le sue entrate finanziare con l’attività degli scavi clandestini.
La vendita dei reperti archeologici, secondo i funzionari iracheni, è stata la seconda più importante attività del gruppo terroristico, dopo la vendita di petrolio, che permette ai militanti di guadagnare decine di milioni di dollari.
Un commercio che rappresenta una delle principali fonti di autofinanziamento per molti gruppi armati. Un’attività che non risulta essere una novità in questi territori. Lo stesso Al-Qaeda e i talebani erano, infatti, protagonisti ben noti del commercio illegale dell’arte[24].
Lo Stato Islamico saccheggia sistematicamente la Siria e l’Iraq per tranne profitto, tale attività, a causa anche degli attacchi aerei statunitensi che hanno danneggiato le infrastrutture, ha quasi sostituito il commercio del petrolio e del gas.
L’IS ha saccheggiato siti antichissimi, dando alle fiamme diverse librerie e ha demolito vecchie città irachene e siriane.
Questa pulizia culturale si è diffusa come un virus che va oltre l’Iraq e la Siria per infettare Libia, Yemen, Mali, e l’Egitto, minacciando anche il Libano e la Giordania. Quello che i saccheggiatori non distruggono vendono per finanziare le loro operazioni e diffondere ulteriormente l’estremismo islamico. Attualmente il Califfato possiede il controllo di oltre un terzo dei siti archeologici iracheni e siriani[25].
- COME AVVENGONO I SACCHEGGI?
Per i militanti dell’IS è usuale riprendersi durante i loro atti barbarici, documentando in questo modo la distruzione di siti archeologici, di musei, decapitazioni e altre scorrerie, come parte di quello che viene definita “guerra su falsi idoli”.
In aree di crisi sono presenti, comunemente, cercatori esperti o dilettanti di opere d’arti. I saccheggiatori sono alla disperata ricerca di un reddito e desiderosi di vendere quello che possono, di solito attraverso Beirut o, sempre più spesso, tramite i confini turchi e la Giordania. Per evitare il rilevamento e per mantenere un basso rischio, i beni culturali sono nascosti in Turchia, Siria e Iraq.
Nelle aree controllate dall’IS erano presenti ricche zone di siti archeologici e l’autoproclamato “califfato” ha implementato, nel suo territorio, un sistema basato sulla tassazione del bottino di guerra. Un sistema in passato basato sulla supervisione ma che ha poi previsto un totale controllo da parte dell’IS.
Secondo le prove finora raccolte, l’IS impone una tassa del 20 percento del valore dei beni presenti nei siti archeologici che vengono rubati. Gli scavatori clandestini per poter operare, nei territori controllati dallo Stato Islamico, necessitano di una autorizzazione da parte di questi e solo successivamente possono iniziare i “lavori”[26].
Essenzialmente vengono qualificati due tipi di distruzioni che portano a due tipi di vendite nel commercio illegale delle opere d’arti.
Delle volte lo Stato Islamico distrugge falsi reperti archeologici rivendendo, successivamente, il reperto originale nel mercato nero, così le loro attività illegali sono finanziate da frammenti di opere che risultano essere una manovra di riciclaggio particolarmente insidiosa[27].
Questo tipo di condotta è molto utile per i contrabbandieri e gli intermediari che operano in questo campo considerato che un oggetto frammentato risulta essere più facilmente nascondibile.
In generale, i frammenti non attirano l’attenzione dei controlli di polizia, poiché viene attribuito loro poco valore. Attraverso questa prassi, paradossalmente, l’organizzazione criminale guadagna maggiori profitti in termini economici, creando un contatto forte con gli acquirenti.
Nonostante la distruzione sia un’azione svolta dal terrorismo per principi ideologici, questa pratica diventa una politica di vendita studiata e intenzionale da parte dei mediatori e dei trafficanti. Per gli stessi acquirenti questa pratica risulta essere più sicura poiché l’acquisto di grandi opere procurerebbe un maggior sospetto.
“The purchasers of fragments appear to be ‘meritorious’ for having contributed to save a cultural object condemned to disappear”[28].
Il mercato nero delle opere d’arte segue delle vie ben definite e delle rotte commerciali ben note. Grazie a degli studi effettuati e grazie a delle interviste recentemente pubblicate, affiora che le opere trafugate dallo Stato Islamico passano attraverso la Turchia per poi passare tramite la Bulgaria per approdare in Occidente.
Grazie ad un documentario-inchiesta di Ingo Gilmore[29], da parte della National Geographic, viene avvalorata la presenza di un gruppo di attivisti siriani sotto copertura, chiamati ‘Monuments Men‘ moderni, i quali sono riusciti a filmare i militanti dello Stato Islamico violare la terra come se fosse una caccia al tesoro. I monuments men hanno il compito di registrare non solo il reperto in sé ma anche dargli una collocazione geografica, poiché risalire alla provenienza del monumento rimosso risulta essere un’operazione complessa.
Attraverso le scoperte fatte dalla National Geografiphic Society[30] risulta possibile, sulla base di diverse testimonianze, che i beni trafugati dalle diverse distruzione per mano dell’IS siano trasportati in Occidente essenzialmente tramite il passaggio per la Turchia e la Bulgaria poiché grazie alla sua posizione geografica di quest’ultima è ormai da tempo l’accesso ai ricchi mercati europei. Essa è ben nota come punto di transito di bande criminali che trafficano armi, droghe e reperti archeologici.
I manufatti di contrabbando viaggiano molto spesso tramite conducenti di fiducia e delle volte anche tramite profughi disperati che, scappando dalla guerra, raggiungendo l’Europa.
I tradizionali punti di ingresso nell’Unione Europea, per questo tipo di contrabbando, sono la Bulgaria, Cipro, la Grecia e l’Italia. Quando un bene culturale arriva in Europa, il rivenditore deve cercherà di creare uno status giuridico di importazione.
A questo proposito, i beni culturali provenienti da zone di crisi sono molto spesso soggetti a manipolazioni reali o fittizi volti sia a rimuovere o oscurare la loro vera provenienza e la loro esportazione illecita.
Attraverso lo svolgimento di diverse indagini, si è riscontrata la presenza di diversi beni culturali provenienti dall’abbattimento del sito archeologico di Palmira, in Turchia.
Non si hanno, tuttavia, grandi ritrovamenti di reperti trafugati venduti dall’IS. Un possibile reperto sottratto e venduto da questi fantasmi terroristici è un rilievo funerario trovato dal comando operativo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale italiano in Lombardia.
Rilievo funerario di Palmira rappresentante tre personaggi (probabilmente il padre al centro e i due figli ai lati) che solenni nei loro sguardi assorti, poggiano le mani sul panneggio dell’abito[31]
Tale rilievo appartiene alla Torre di Elahbel era una torre di quattro piani, a base approssimativamente quadrata, costituita da grandi blocchi di arenaria. Il piano terra era leggermente più grande, andando a restringersi salendo verso i piani superiori. Era presente un’unica porta sul lato meridionale del piano terra. A sovrastare l’ingresso si trovavano un’iscrizione e una nicchia sormontata da un arco a tutto sesto, simile a un piccolo balcone, con finestra. All’interno gli ambienti erano decorati con pilastri corinzi e soffitti a cassettoni.
La torre era suddivisa in loculi che andavano ad accogliere i sarcofagi dei defunti di Palmira ogni cella era sigillata con un’immagine intagliata e dipinta, raffigurante il defunto. Fu parzialmente ricostruita dopo la visita dell’archeologa Gertrude Bell nel 1900, rendendo accessibili la camera superiore e il tetto della torre tramite una scala.
Questo rilievo funerario, in particolare, rientra nella tipologia delle lastre figurate utilizzate come elemento di chiusura dei loculi presenti nelle grandi tombe a camera presenti nelle tombe più ricche della cosiddetta “Valle delle Tombe” di Palmira”.
Valle delle tombe di Palmira[32]
- ANDREW KELLER: L’ASPETTO FINANZIARIO DELL’IS
Nel settembre del 2015 il Vice Assistente Segretario per la Counter Threat Finance and Sanctions (TFS), del dipartimento di Stato degli Affari Economici e Commerciali (EB), Andrew Keller, ha tenuto una conferenza a New York per documentare il traffico di antiquariato da parte dell’IS.
Andrew Keller, in qualità di co-leader per gli sforzi del Governo degli Stati Uniti d’America per contrastare le finanze dell’IS, ha il compito di studiare e raccogliere il maggior numero di dati riguardo tutti i tipi di flussi di reddito che entrano nelle tasche dello Stato Islamico. In particolar modo la sua attenzione si è rivolta verso il flusso ricavato dallo sfruttamento dei beni culturali[33] .
Si presume, secondo alcuni studi riportati dal Governo americano, che lo Stato Islamico, rispetto ad ogni altro tipo di organizzazione terroristica, si differenzia essenzialmente per due fattori: in primo luogo ha un accumulo di ricchezza senza precedenti e, in secondo luogo, è considerata l’unica organizzazione che non si basa su donatori per raccogliere fondi. Tramite alcune statistiche riportate dal Governo americano si può riscontrare come l’IS abbia guadagnato circa un miliardo di dollari solo nel 2014.
La maggior parte delle risorse derivano, infatti, dal loro controllo sul territorio, dalla vendita di petrolio, dalle estorsioni e dal saccheggio delle risorse naturali sotto il suo controllo. L’antichità è un’altra risorsa molto importante che ha acquisito sempre più piede negli ultimi anni.
Lo Stato islamico, pertanto, si è esteso su una superficie che comprende ben 5000 siti archeologici. Il Governo degli Stati Uniti ha riscontrato che l’IS abbia probabilmente guadagnato diversi milioni di dollari dalla vendita di antichità nel 2014 ma la quantità precisa non è nota, poiché probabilmente non si è in grado di dare un valore specifico a questa attività. Certa è invece l’idea che l’IS sia coinvolto, con grande profitto, nel traffico di antichità.
Il 16 maggio del 2015, le forze speciali degli Stati Uniti hanno fatto irruzione nel ‘compound‘ siriano di Abd al-Rasul Sayyaf, il capo del petrolio e del gas dello Stato Islamico, il quale è anche il responsabile della divisione e gestione dei reperti archeologici.
I documenti che sono stati sequestrati in questo raid, dimostrano come l’IS sia ben organizzato per il traffico di antichità saccheggiate, attività che assorbe notevoli risorse amministrative e logistiche. Soprattutto tali documenti certificano i reali benefici che lo Stato Islamico trae da questa attività.
Schema che identifica la leadership ISIL Divisione Antichità nei governatorati occidentali[34]
Questo schema rappresenta un documento scritto dal capo ufficio amministrativo (Diwan) che è stato ritrovato durante il raid, il quale esplica la divisione interna del Reparto di Antichità che vede un’unità dedicate alla ricerca di siti noti, una dedicata all’esplorazione di nuovi siti, una per la commercializzazione di antichità, una per gli scavi ed infine una per l’amministrazione.
Da un altro documento ritrovato emerge come Abd al-Rasul Sayyaf sia stato anche responsabile per il controllo e la divisone del petrolio e del gas siriano e che sia stato nominato anche capo della Divisione Antichità in Al Sham Wilayahs.
Dal ritrovamento, attraverso un raid, di un vasto assortimento di manufatti reali, è stato riscontrato che il militante Abd al-Rasul Sayyaf fosse a capo del reparto antichità.
La refurtiva comprendeva un assortimento di reperti archeologici e frammenti di oggetti storici, articoli moderni e contemporanei e repliche di antichità.
Ritrovamenti presso il reparto di Abu Sayyaf[35].
Ogni azione intrapresa da parte dell’IS è ben divisa e articolata. Nel settore “vendita di antichità” l’IS ha un totale controllo del traffico, imponendo una tassazione di vendita, effettuata da altri, pari al venti percento.
I membri dello Stato Islamico hanno il potere di autorizzare alcuni individui per scavare e supervisionare lo scavo di manufatti nei diversi territori controllati da IS nello stesso tempo possono detenere chiunque sia alla ricerca di manufatti senza la preventiva approvazione del Diwan delle risorse naturali.
I documenti scoperti dal raid presso il reparto di Abd al-Rasul Sayyaf confermano che l’IS sta raccogliendo un 20 per cento, chiamato “Khums fiscale” sui proventi di saccheggio, che il gruppo ha applicato su tutto il territorio che controlla.
Durante il raid fu ritrovato, inoltre, un libro contenete undici ricevute per la vendita di antichità tra il 6 dicembre 2014 e il 26 marzo 2015[36]. Le entrate sono firmate dai diversi funzionari che lavorano nella Divisione Antichità.
Le ricevute di Khums fiscale ritrovate ammontano a più di $ 265.000 e suggeriscono un totale delle transazioni di vendita del valore di oltre 1,25 milioni di dollari[37].
Oltre alla concessione di licenze, saccheggi e la raccolta della tassa sulle vendite Khums, l’IS è anche impegnata a prevenire la presenza di persone non autorizzate al saccheggio.
Il memorandum amministrativo numero 5, del comitato di sorveglianza generale dell’IS mostra come la struttura della Divisione Antichità sia ben organizzata e preveda delle regole ben precise. Tale memorandum vieta, infatti, ai membri dell’IS lo scavo di siti archeologici a meno che essi non abbiano ricevuto un permesso timbrato dalla stessa Divisone Antichità.
Essa vieta i membri dell’IS, i quali non fanno parte di tale Divisione, di dare il permesso di saccheggio. Questo memorandum delinea delle regole ben precise da rispettare e si conclude avvertendo minacciosamente che chiunque disattenda l’ordinanza, sin dalla sua data di emissione, è considerato disobbediente a questo ordine ed è soggetto a sanzione in conformità alla legge della Sharia[38].
“Lo Stato Islamico ha portato avanti un progetto di pulizia culturale e il patrimonio artistico è ormai uno dei loro obiettivi primari. Il loro scopo è usare l’orrore per paralizzarci. Sanno che colpendo luoghi storici, che sono davvero Patrimonio dell’Umanità, tutti soffriamo. Dobbiamo reagire, trattare questi attacchi alla cultura alla stregua di ogni altra questione di sicurezza internazionale, alla stregua di un’emergenza. Perché è chiaro ormai che nella perversa strategia dei jihadisti si tratta della stessa cosa.
Il Patrimonio Culturale è legato all’identità dei popoli. Non è solo questione di vecchie pietre, ma dei valori a esse connesse. Valori che parlano di tolleranza, di dialogo, di convivenza e mutuo rispetto. All’inizio del conflitto in Siria, alla nascita dell’IS, le preoccupazioni verso il Patrimonio Culturale non erano al centro delle agende. Si pensava solo a come salvare le persone. Ora si è capito che non si tratta di scegliere tra persone e pietre. Si tratta di un’unica battaglia”[39].
CAPITOLO II
LA PROTEZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE
NEL DIRITTO INTERNAZIONALE
- LO SVILUPPO DELLA PROTEZIONE CULTURALE: PRIMA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
La pratica del “bottino di guerra” è sempre esistita durante ogni tipo di conflitto tra le diverse nazioni. Tradizionalmente, infatti, il saccheggio era visto dalle nazioni come un tributo della battaglia vinta. Un’attività che, tuttavia, è sempre stata denunciata fin dalla sua nascita.
Sia i filosofi greci che romani denunciarono la distruzione di quei beni che venivano usurpati solo per vendetta nei confronti dei nemici. Anche gli stessi membri della chiesa cattolica condannarono quel tradizionale depredamento, richiedendo una protezione delle chiese poiché ritenute dei luoghi sacri.
Tuttavia, soltanto molti secoli dopo, il Diritto Internazionale ha iniziato a proteggere i diversi siti archeologici e i diversi beni culturali presenti nel mondo dai danni provocati dalla guerra[40].
Si conclusero i primi accordi Internazionali, ovvero le Convenzioni dell’Aja sulle leggi e i costumi di guerra del 1899 e 1907 e nel patto di Washington del 15 aprile 1935.
Questi accordi, complementari l’uno all’altro, si riferiscono inter alia alla protezione dei siti archeologici e culturali, un principio che doveva essere considerati come imprescindibile e ispiratore per la pianificazione militare.
Le Convenzioni adottate all’Aja, in occasione delle Conferenze diplomatiche del 1899 e del 1907 sono state i primi strumenti giuridici internazionali a codificare le norme che i belligeranti devono osservare durante le ostilità.
Fra le quindici Convenzioni che attualmente costituiscono il “diritto dell’Aja” si ricordano: la II Convenzione internazionale dell’Aja 1899 sulle leggi e gli usi della guerra terrestre e la Convenzione sulla protezione dei naufraghi durante la guerra marittima e le Convenzioni V e XIII del 1907 che definiscono i diritti e doveri delle Potenze e delle persone neutrali rispettivamente nella guerra terrestre e in quella marittima.[41]
L’importanza della Convenzione dell’Aja stipulata nel 1899, è quella che i danni arrecati ai beni culturali, a qualsiasi popolo essi appartengano, costituiscono danno al Patrimonio Culturale dell’Umanità intera, poiché ogni popolo contribuisce alla cultura mondiale, considerando che la conservazione del Patrimonio Culturale ha grande importanza per tutti i popoli del mondo e che interessa assicurarne la protezione internazionale tutelando tutte le proprietà, d’arte e scientifiche, come proprietà private e proibisce ogni tipo di saccheggio dei diversi beni culturali[42].
Seguendo le orme della Convenzione del 1899, la Convenzione del 1907, specifica nell’articolo 47 che il saccheggio è formalmente proibito e nell’articolo 56 i beni dei comuni, quelli degli istituti consacrati ai culti, alla carità e all’istruzione, alle arti e alle scienze, anche se appartenenti allo Stato, saranno trattati come la proprietà privata. Ogni sequestro, distruzione o danneggiamento intenzionale di tali istituti, di monumenti storici, di opere d’arte e di scienza, è proibito e dev’essere punito[43].
Immagine rappresentante la Convenzione dell’Aja del 1907[44]
Il vero obbiettivo della convenzione del 1907 è soprattutto visibile all’interno dell’articolo 27 della stessa:
“In sieges and bombardments all necessary steps must be taken to spare, as far as possible, buildings dedicated to religion, art, science, or charitable purposes, historic monuments, hospitals, and places where the sick and wounded are collected, provided they are not being used at the time for military purposes.
It is the duty of the besieged to indicate the presence of such buildings or places by distinctive and visible signs, which shall be notified to enemy beforehand“[45].
La Convenzione stipulata nel 1899, difendeva ogni tipo di proprietà privata e dava per la prima volta, nel diritto internazionale, la definizione dei diversi crimini di guerra mentre la Convenzione del 1907 individua le diverse tipologie di proprietà privata da tutelare quali: edifici consacrati al culto, alle arti, alle scienze, alla beneficienza, i monumenti storici e gli ospedali, ma soprattutto aggiunse le disposizioni in cui gli assediati dovevano designare l’identificazione del bene in questione all’assediante[46].
Tali convenzioni possono esser considerate come il primo vero passo nella protezione del Patrimonio Culturale il primo passo contro le distruzioni e i saccheggi delle diverse opere d’arte che raccontano la nostra storia, la nostra identità in tutto il mondo.
I primi progressi realizzati nell’ambito del Diritto Internazionale vennero meno durante la Prima Guerra Mondiale, ma soprattutto durante la Seconda. Il primo conflitto mondiale, avvenuto tra il 1914 e il 1918, vide, oltre all’impressionante perdita di vite umane, la distruzione della Cattedrale di Reims in Francia e altri numerosi siti culturali.
Una battaglia che non aveva rispettato le disposizioni previste dalla convenzione del 1907 e la quale aveva lasciato solo tristezza, povertà e disperazione. Gli anni dal 1939 al 1945 videro nuovamente il mondo in guerra, un periodo nel quale l’arte e i beni culturali divennero obiettivo di conquista principale per le forze Naziste.
La Germania nazista, infatti, creò le così dette “brigate di trofeo”, le quali avevano il compito di individuare e requisire specifiche opere d’arte che dovevano essere portate in patria. Tale organizzazione nazista aveva, inoltre, il compito di distruggere tutte quelle opere che il regime aveva bollato con il termine ‘Entartete Kunst[47]‘, ovvero ‘degenerate’, ossia tutta l’arte che veniva giudicata da Hitler sgradevole.
L’intento del regime nazista, tramite la distruzione dei siti storici, era anche quello di abbattere la morale del Paese di destinazione come ad esempio la demolizione di tutti i ponti di Firenze o la distruzione delle importanti infrastrutture che collegavano più Paesi.
La razzia dei beni culturali commessa da Hitler e i suoi uomini fu spietata e senza sosta. Una depredazione che vide il Papa Pio XII supplicare sia l’Alleanza che l’Asse di proteggere tutti i siti religiosi e storici presenti a Roma e nelle aree circostanti[48].
Un’importante risposta alle diverse azioni naziste fu quella realizzata dagli Stati Uniti il quale creò il programma ‘Monuments, Fine Arts, and Archives Division (MFAA)’, letteralmente ‘Monumenti, Belle Arti, Archivi’, una task force militare organizzata per proteggere i beni culturali e le opere d’arte nelle zone di guerra.
Tale organizzazione, composta da uomini noti come ‘Monuments Men’, ovvero un gruppo di 345 civili e professionisti dell’arte, provenienti da 13 nazioni diverse (professori universitari, curatori, storici dell’arte, direttori di musei), riuscì a salvare, tra il 1943 e il 1951, circa 5 milioni di beni culturali tra dipinti, sculture e opere d’arte varie.
- 1954: LA CONVENZIONE PER LA PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI IN CASO DI CONFLITTO ARMATO
La Seconda Guerra Mondiale portò con sé la morte di milioni di cittadini, lo sgretolamento dei diritti dell’uomo conquistati con la Rivoluzione Francese, la distruzione di molti siti storici, l’usurpazione di tantissime opere d’arte e la disintegrazione delle singole identità.
Si identifica nella IV Convenzione dell’Aja del 1907, un regolamento sulle leggi e gli usi della guerra per terra, e nella XIII Convenzione dell’Aja 1907, i diritti e i doveri delle Potenze neutrali in caso di guerra marittima come necessità militare, all’interno del diritto internazionale dei conflitti armati.
Il diritto bellico contiene infatti una serie di norme che possono essere trasgredite in caso di necessità militare. La necessità militare è dunque considerabile quale fonte di legittimazione della condotta generalmente illecita al fine di assicurare la realizzazione di interessi militari imprescindibili e prevalenti su qualsiasi altra esigenza.
Mentre il mondo, unitosi, cercava di guarire dalla devastazione e dalla paura provocata dalla Seconda Guerra Mondiale, un passo in avanti e significativo venne fatto dalla nuova organizzazione “United Nation Educational, Scientific, and Cultural Organization”, l’UNESCO, nell’ambito venne elaborata, in risposta alla devastazione della guerra, una Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, firmata a l’Aja nel 1954.
Un accordo creato per sviluppare ed integrare i numerosi accordi internazionali già in vigore in materia di protezione dei beni culturali, tra cui le precedenti Convenzioni dell’Aja e il Patto Roerich[49], quest’ultimo finalizzato solo per la difesa della cultura in tempo di guerra.
La Convenzione definisce per la prima volta il termine di ‘cultural property‘ come quei beni mobili ed immobili che sono di grande importanza per il Patrimonio Culturale di ogni popolo, inteso come ogni Nazione.
Il termine bene culturale fu esplicitamente usato per descrivere collettivamente tutte le costruzioni, i monumenti e gli oggetti facenti parte di questo accordo internazionale.
L’articolo 2 della convenzione ci definisce, inoltre, cosa sia la protezione dei beni culturali:
“Ai fini della presente Convenzione, la protezione dei beni culturali comporta la
salvaguardia ed il rispetto di tali beni”[50].
Gli stati contraenti, da parte loro, s’impegnarono a rispettare e adottare tutte le misure possibili per proteggere i beni culturali e garantirono il loro impegno per:
“la salvaguardia dei beni culturali situati sul loro proprio territorio contro gli effetti prevedibili di un conflitto armato, prendendo tutte le misure che considerano appropriate“(art. 3)[51].
L’impegno da parte di tutti gli stati contraenti verso il rispetto dei beni culturali è soprattutto riscontrabile nell’articolo 4 di tale accordo:
“1. Le Alte Parti Contraenti s’impegnano a rispettare i beni culturali, situati sia sul loro proprio territorio, che su quello delle Alte Parti Contraenti, astenendosi dall’utilizzazione di tali beni, dei loro dispositivi di protezione e delle loro immediate vicinanze, per scopi che potrebbero esporli a distruzione o a deterioramento in casi di conflitto armato, ed astenendosi da ogni atto di ostilità a loro riguardo.
- Non può derogarsi agli obblighi definiti nel primo paragrafo del presente articolo, se non nei casi in cui una necessità militare esige, in modo imperativo, una simile deroga.
- Le Alte Parti Contraenti si impegnano, inoltre, a proibire, a prevenire e, occorrendo, a far cessare qualsiasi atto di furto, di saccheggio o di sottrazione di beni culturali sotto qualsiasi forma, nonché qualsiasi atto di vandalismo nei riguardi di detti beni. Essi si impegnano ad astenersi dal requisire i beni culturali mobili situati nel territorio di un’altra Alta Parte Contraente.
- Essi s’impegnano ad astenersi da ogni misura di rappresaglia diretta contro beni culturali.
- Un’Alta Parte Contraente non può liberarsi nei riguardi di un’altra Alta Parte Contraente, dagli obblighi contratti ai sensi del presente articolo, fondandosi sul motivo che quest’ultima non ha applicato le misure di salvaguardia, prescritte all’articolo 3″[52].
La Convenzione dell’Aja del 1954 richiede, inoltre, alle parti contraenti, tramite l’articolo 7 della stessa, di introdurre i concetti fondamentali della Convenzione nella loro normativa nazionale militare al fine di garantire rispetto verso la cultura e i beni culturali di tutti i popoli.
Questo requisito fu ispirato dal lavoro dei Monuments Men durante la Seconda Guerra Mondiale, i quali aiutarono ad identificare i diversi siti archeologici che necessitavano una protezione dalla guerra e inoltre riportarono nei diversi paesi i beni culturali, salvati dalla battaglia, dopo la fine del conflitto.
L’UNESCO, riconoscendo il grande lavoro e il grande sforzo svolto da questi soldati culturali decise di dar valore a queste azioni, creando a tal proposito l’articolo 7 della Convenzione.
Oltre alla Convenzione dell’Aja le parti aderirono simultaneamente ad un separato Protocollo.
Il Primo Protocollo impose l’obbligo per le Nazioni parti di impedire l’esportazione di beni culturali mobili dalle aree di conflitto o di occupazione e di richiedere la restituzione di un bene che sia stato illecitamente sottratto. Esso prevede, inoltre, la previsione secondo la quale, un bene culturale che sia stato trasportato in un’altra Regione o Stato per esser custodito durante un conflitto o una eventuale occupazione del territorio, dovrà necessariamente tornare nella Nazione dove è stato rimosso[53].
L’accordo firmato all’Aja nel 1954 vide la sua prima applicazione all’inizio del 1990, durante i conflitti scoppiati in Iraq, Kuwait e Jugoslavia. Questo Protocollo è da considerarsi come un Trattato Internazionale distinto rispetto alla Convenzione a cui fa riferimento, di fatto attualmente, hanno ratificato tale Protocollo cento Paesi, tra cui la Cina, ma non è stato ancora ratificato dagli Stati Uniti d’America e dal Regno Unito.
Lo studio svolto dal Prof. Patrick Boylan su commissione dell’UNESCO e dei Paesi Bassi, evidenziando la debolezza della Convenzione del 1954 tra le Nazioni ratificanti, raccomandò azioni concrete da parte di queste per una maggiore partecipazione[54]. Un passo pratico che fu realmente raggiunto con la stipulazione di un Secondo Protocollo nel 1999.
Per correggere alcuni difetti della Convenzione del 1954 e per implementarla in alcuni punti ritenuti significativi, la Conferenza dell’Aja è giunta ad adottare il 26 marzo 1999 un Secondo Protocollo aggiuntivo, entrato in vigore il 9 marzo del 2004, aperto solo agli Stati ratificanti della Convenzione del 1954[55].
Nel Secondo Protocollo l’oggetto della protezione rimane invariato, tanto che l’articolo 1 rimanda direttamente alla definizione di bene culturale dettata dall’articolo 1 della Convenzione.
La prima importante modifica riguarda il contenuto. Anche il Secondo Protocollo prevede due diversi tipi di protezione, vale a dire una protezione generale e una protezione rafforzata. Anche in questo caso valgono i criteri di salvaguardia rispetto già stabiliti dalla Convenzione, ma viene finalmente data una definizione di salvaguardia. Questa definizione è fornita dall’articolo 5 che detta infatti tutta una serie di azioni da attuare in tempo di pace per prevenire i danni ai beni culturali in caso di conflitto armato, tra cui “la preparazione di inventari, la pianificazione di misure di emergenza per la protezione contro incendi o collasso strutturale, la preparazione per la rimozione di beni culturali mobili o le disposizioni per l’adeguata protezione in situ di tali beni, e la designazione delle autorità competenti responsabili della salvaguardia dei beni culturali”[56].
La protezione rafforzata dovrebbe andare a rimediare il sistema lacunoso della protezione speciale previsto dalla Convenzione del 1954 senza però sostituirsi ad essa. Essa inoltre non ha più il carattere esclusivo della protezione speciale, ma viene accordata potenzialmente a qualsiasi bene culturale.
Viene anche istituita una Lista dei beni culturali sotto protezione rafforzata, la quale prevede delle procedure più agili e meno burocratiche rispetto a quelle previste per l’iscrizione nel Registro per i beni culturali sotto protezione speciale[57].
Una delle più importanti innovazioni introdotte dal Secondo Protocollo alla Convenzione dell’Aja del 1954 è la creazione di una struttura istituzionale apposita, vale a dire il Comitato per la Protezione dei Beni Culturali in caso di Conflitto Armato.
I beni culturali in caso di conflitto armato, nonché l’istituzione di un Fondo per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato[58].
E’ importante notare come il Protocollo preveda la collaborazione tra le Parti contraenti, il Comitato e le organizzazioni internazionali, siano esse governative o non governative, a patto che abbiano degli obiettivi comuni a quelli previsti dalla Convezione e da entrambi i Protocolli aggiuntivi.
- 1972: LA CONVENZIONE PER IL PATRIMONIO MONDIALE
Il 16 novembre del 1972 la Conferenza generale dell’UNESCO approvò la Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Mondiale, Culturale e Naturale dell’Umanità. Questo Accordo nasce come la conseguenza di diverse considerazioni poste dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. La società della seconda metà del 1900, è un mondo in pieno sviluppo economico e sociale un mondo in cui troppo spesso gli interessi di egemonia politico-economica di alcuni Stati prevalgono a danno della Tutela del Patrimonio Culturale, già minacciato dal degrado o da cause naturali.
Una convenzione che tiene conto delle diverse leggi nazionali in materia di protezione del patrimonio mondiale, le quali rimangono spesso incomplete per l’ampiezza dei mezzi necessari a tale fine e l’insufficienza delle risorse economiche, scientifiche e tecniche del paese di appartenenza del bene. Tiene in considerazione anche le Convenzioni, le Raccomandazioni e le Risoluzioni internazionali già esistenti in favore dei beni culturali e naturali che dimostrano l’importanza, per tutti i popoli del mondo, della tutela di questi beni unici e insostituibili indipendentemente dal popolo cui appartengono[59].
“It usually said that the World Heritage Convention is a peacetime treaty”[60].
Nell’accordo, nato nel secondo dopoguerra, convergono due movimenti distinti il primo incentrato sulla tutela dei siti archeologici, l’altro sulla salvaguardia della natura proprio per sottolineare le interazioni tra gli esseri umani e la natura e la fondamentale importanza di mantenere un equilibrio tra i due. L’iniziativa di inserire nella Convenzione anche il patrimonio ambientale venne da parte degli Stati Uniti d’America, che durante una conferenza presso la Casa Bianca nel 1965, incitò la creazione di una “Associazione per il patrimonio mondiale”.
L’associazione avrebbe dovuto stimolare in tal modo la cooperazione internazionale nella conservazione delle aree di eccezionale valore scenico, naturale e siti archeologici. Tale accordo si compone di 38 articoli e di particolare rilevanza risultano essere l’articolo 4 e l’articolo 6.
L’articolo 4 indica tutti i beni culturali appartenenti al patrimonio culturale di ciascun stato contraente quali : “
- a) i beni culturali creati dal genio individuale o collettivo di cittadini dello Stato considerato e beni culturali importanti per lo Stato considerato, creato sul territorio di tale stato da cittadini stranieri o da apolidi residenti su tale territorio;
- b) Beni culturali trovati sul territorio nazionale;
c)Beni culturali acquisiti da missioni archeologiche, etnologiche o di scienze naturali, con il consenso delle autorità competenti del paese di origine di tali beni;
- d) Beni culturali formanti oggetto di scambi liberamente consentiti;
- e) Beni culturali ricevuti a titolo gratuito o acquistati legalmente con l’assenso delle autorità competenti del Paese di origine di tali beni”[61].
L’articolo 4, tuttavia, non fornisce una definizione di ‘protezione’ o ‘conservazione’, il quale però viene dato dall’articolo 6, che stabilisce in modo più appropriato l’obbligo di protezione e conservazione dei beni culturali anche durante un conflitto armato non internazionale.
“Gli stati parti della presente Convenzione s’impegnano:
- a) A istituire un certificato appropriato mediante il qual lo Stato esportatore specifica che l’esportazione del o dei beni culturali in questione è autorizzata. Tale certificato deve accompagnare il o i beni culturali regolarmente esportati;
- b) A proibire l’esportazione al proprio territorio dei beni culturali non accompagnati dal certificato di esportazione sopra menzionato;
- c) A portare in modo appropriato a conoscenza del pubblico questa proibizione, e in particolare a conoscenza di quelle persone che potrebbero esportare o importare beni culturali”[62].
Il vantaggio principale connesso alla ratifica della Convenzione per il Patrimonio Mondiale è dato, essenzialmente, dall’appartenenza ad una comunità internazionale che apprezza e tutela i beni di importazione universale, eccezionali e rappresentativi delle diversità culturali e delle ricchezze naturali.
Gli Stati membri dell’Accordo uniscono gli sforzi per tutelare il Patrimonio Culturale, Naturale e Mondiale, esprimendo in questo modo l’impegno comune di salvaguardare l’eredità delle generazioni future[63].
La Convenzione sul Patrimonio Culturale ha lo scopo di identificare e di mantenere nella World Heritage List tutti quei beni culturali che rappresentano delle particolarità di eccezionale importanza da un punto di vista culturale o naturale. Per tale motivo, il Comitato della Convenzione, chiamato Comitato per il patrimonio dell’umanità, ha sviluppato dei criteri ben precisi per l’inserimento di un sito culturale nella Lista.
I dieci criteri, elencati nell’articolo 77, dell”Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention”[64], prevedono sei criteri per i beni culturali e quattro per il patrimonio naturale. Nel 2005 l’articolo è stato modificato per includere “in toto” in una sola serie, i dieci criteri, che sono:
Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention, Parigi,
1972, revisionata nel 2005:
“(i) represent a masterpiece of human creative genius;
(ii) exhibit an important interchange of human values, over a span of time or within a cultural area of the world, on developments in architecture or technology, monumental arts, town-planning or landscape design;
(iii) bear a unique or at least exceptional testimony to a cultural tradition or to a civilization which is living or which has disappeared;
(iv) be an outstanding example of a type of building, architectural or technological ensemble or landscape which illustrates (a) significant stage(s) in human history;
(v) be an outstanding example of a traditional human settlement, land-use, or seause which is representative of a culture (or cultures), or human interaction with the environment especially when it has become vulnerable under the impact of irreversible change;
(vi) be directly or tangibly associated with events or living traditions, with ideas, or with beliefs, with artistic and literary works of outstanding universal significance. (The Committee considers that this criterion should preferably be used in conjunction with other criteria);
(vii) contain superlative natural phenomena or areas of exceptional natural beauty and aesthetic importance;
(viii) be outstanding examples representing major stages of earth’s history, including the record of life, significant on-going geological processes in the development of landforms, or significant geomorphic or physiographic features;
(ix) be outstanding examples representing significant on-going ecological and biological processes in the evolution and development of terrestrial, fresh water, coastal and marine ecosystems and communities of plants and animals;
(x) contain the most important and significant natural habitats for in-situ conservation of biological diversity, including those containing threatened species of Outstanding Universal Value from the point of view of science or conservation”[65].
Il prestigio dato dall’essere Stato parte della Convenzione ed avere siti nella lista del Patrimonio Mondiale è spesso catalizzante e può accrescere la sensibilizzazione nei confronti della tutela del patrimonio. In particolare, per i paesi in via di sviluppo, tra i vari vantaggi derivanti dalla ratifica, un particolare beneficio è l’accesso al Fondo per il Patrimonio Mondiale.
Possono, inoltre, essere concessi aiuti di emergenza nell’eventualità di azioni urgenti necessarie per fronteggiare danni causati da disastri naturali o dovuti all’azione dell’uomo.
Il concetto di Patrimonio Mondiale contemporaneo è ben compreso dai diversi Stati, tanto che i siti iscritti nella “Lista” possono ricevere molti aiuti finanziari da numerose fonti diverse. Inoltre, i piani di gestione, richiesti all’atto dell’iscrizione nella lista del patrimonio mondiale, rappresentano uno strumento utile per la definizione di misure adeguate per la conservazione del sito, per ottimizzare l’impiego delle risorse finanziare e umane disponibili e per le procedure di monitoraggio[66].
Grazie all’iscrizione di un sito storico o archeologico nella Lista del Patrimonio Mondiale si ottiene una maggiore sensibilizzazione del pubblico nei confronti del sito e dei suoi valori eccezionali, rafforzando anche altre attività tra cui quelle turistiche.
La Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Mondiale, Culturale e Naturale dell’Umanità evidenzia per la prima volta, in modo piuttosto innovativo per i tempi in cui fu elaborata, la dichiarazione che un sito importante è Patrimonio Mondiale, ossia di tutta l’umanità indipendentemente da dove si trovi.
Ratificando la Convenzione, infatti, le Parti si impegnano a riconoscere che, una volta iscritti nella lista della Convenzione, la protezione dei loro siti diventa un dovere di tutta la comunità internazionale.
“Sia pure in pieno rispetto della sovranità degli stati nei cui territori il patrimonio
culturale e naturale sia situato, e senza pregiudicare i diritti di proprietà forniti
dalla legislazione nazionale, gli Stati Parti di questa Convenzione riconoscono che
tale patrimonio costituisce un patrimonio mondiale per la cui protezione tutta la
comunità internazionale ha il dovere di cooperare”[67].
- 2001: LA DISTRUZIONE DEI BUDDHA DI BAMIYAN E DI TIMBUKTU
Bamiyan è una provincia dell’Afghanistan, capoluogo della medesima provincia, ed era il principale centro culturale di Hazara. Aveva un itinerario mercantile che univa i mercati della Cina con quelli dell’Asia centrale e meridionale, del Medio Oriente e dell’Europa. Fu la sede di numerosi monasteri Buddhisti e un florido centro religioso, filosofico e artistico dal II secolo in poi.
Bamiyan, è famosa per il sito archeologico nei suoi pressi, di due enormi statue di Buddha scolpite nella roccia situate a valle di Bamiyan, in Afghanistan, a circa 230 chilometri dalla capitale Kabul e ad un’altezza di circa 2500 metri.
Nel 2001 la follia dei Talebani colpisce anche l’arte. Quattrocento religiosi afgani dichiarano che le statue di Buddha presenti nella valle di Bamiyan sono contrarie ai principi dell’Islam, che vieta infatti la rappresentazione degli Dei, tuttavia in pochi giorni venivano distrutte.
Queste statue, scolpite nelle pareti della scogliera della valle di Bamiyan e costruite tra il terzo e il quinto secolo dopo Cristo, furono distrutte come sostiene anche la Corte Suprema Talebana, perché considerate una manifestazione di idolatria.
Oltre alla distruzione dei Buddha i Talebani rovinarono cento oggetti conservati all’interno del Museo Nazionale di Kabul.
Molte Nazioni, Paesi membri dell’Unione Europea e gli Stati Uniti, inclusero l’India, nel denunciare la distruzione delle statue, sostenendo che le credenze islamiche non potevano giustificare la distruzione di una parte della storia umana.
Sono state riconosciute le violazioni dei diritti umani per la distruzione delle statue buddhiste, statue che rappresentavano un sito del Patrimonio Culturale dell’Umanità, ai Talebani, responsabili delle azioni distruttive ai quali non sono state perseguite alcune norme di legge per questi atti oltraggiosi.
Nel 2003, la Valle di Bamiyan venne inserita, insieme all’intera zona archeologica circostante e al paesaggio culturale, nella lista dei patrimoni mondiali dell’umanità dell’UNESCO, la quale si è impegnata, insieme ad altre nazioni, per la ricostruzione delle due statue distrutte dai talebani nel 2001[68].
Immagine rappresentate uno dei Buddha della valle di Bamiyan[69].
Diversi anni dopo l’episodio della Valle di Bamiyan, la situazione diventò sempre più drammatica, infatti, altri islamisti radicali continuarono a distruggere luoghi storici in tutto il Medio Oriente e l’Africa. Nel marzo del 2012 il santuario di Abdel Salam al-Asmar fu distrutto a Zliten, in Libia, successivamente al rovesciamento del Governo di Muammar Gheddafi.
Anche Timbuktu, un’antica città del Mali dichiarata Patrimonio dell’UNESCO, fu vittima di diversi attacchi terroristici. Fu fondata tra il quinto e il dodicesimo secolo dalle tribù di Tuareg ed è Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco per la bellezza e la portata storica dei suoi siti archeologici, dopo la conquista jihadista del Mali settentrionale nel 2012, gli estremisti islamici hanno usato ruspe e bulldozer per distruggere nove mausolei e la porta secolare della moschea Sidi Yahya, costruita durante l’era d’oro dell’Islam.
Edifici di grande valore storico e religioso dato che Timbuktu è considerata sacra ed è soprannominata “la città di 33 santi” dal numero di importanti personalità dell’Islam qui sepolte. Tra le opere andate irrimediabilmente perdute ci sono anche una serie di manoscritti antichissimi e preziosi libri di storia date alle fiamme[70].
In risposta a tutti questi atti barbarici, l’UNESCO, su indicazione del suo Direttore Generale, ha etichettato tali atti come crimini di guerra. L’International Criminal Court (ICC), sta attualmente investigando sui diversi crimini contro l’umanità effettuati in Mali, incluse le distruzioni dei musei e delle moschee a Timbuktu.
Il Secondo Protocollo del 1999, prevede la protezione dei siti culturali, sia durante i conflitti interni che nei conflitti internazionali, ma è completamente disconosciuto da parte di quei gruppi terroristici che rifiutano il Diritto Internazionale.
Il rispetto dei Trattati Internazionali per la salvaguardia dei siti culturali contro l’uso degli stessi per scopi militari, assicurato da tutti gli Stati, non è pensabile possa essere ugualmente garantito dai piccoli gruppi jihadisti che rappresentano le schegge impazzite di uno Stato ormai completamente fuori controllo.
- SIRIA E MOSUL E L’EVOLUZIONE DEL PROPRIO
PATRIMONIO CULTURALE
L’attuale Patrimonio Culturale della Siria è l’eredità delle diverse civiltà delle popolazioni, ovvero Siri, Fenici e Romani, che si sono succedute l’une alle altre e delle quali nel corso dei secoli detta Nazione ha visto l’ascesa e la caduta.
Resasi indipendente dalla Francia nel 1946, la storia della Siria da allora è stata segnata da numerosi colpi di Stato che ne hanno minato la sua stabilità politica. Prima dell’attuale guerra civile, il partito Ba’th è stato a capo del paese per diversi decenni, inizialmente sotto Hafez Al-Assad, e dal 2000, sotto il figlio Bashar Al- Assad.
Nonostante la maggioranza dell’attuale Governo sia Alawita e la maggioranza della popolazione, invece, Sunnita, le differenze religiose non hanno innescato il conflitto siriano.
L’inizio della primavera araba, invece, che ebbe inizio nei primi anni del 2011 in Tunisia per poi espandersi in Egitto, ispirò la giovane popolazione siriana per richiedere un cambiamento politico con la sostituzione del regime di Bashar Al-Assad[71].
Con l’inizio dei conflitti all’interno della Nazione Siriana, diventò sempre più chiaro che i beni culturali presenti in Siria erano in forte rischio. La Siria, a differenza degli altri stati islamici, presenta un Patrimonio Culturale sparso in tutto il suo territorio. Più volte si è detto che la Siria può essere considerata come un “museo a cielo aperto”[72], motivo per il quale è direttamente esposta ad ogni tipo di pericolo derivante dai conflitti armati.
La stessa Direzione Generale dell’Antichità e dei Musei della Siria (DGAM) ha riconosciuto la difficoltà di garantire:
“The protection of the immovable heritage in 37 the country, especially for those archaeological and world heritage sites that are located in conflict areas and cannot be accessed”[73].
La Siria possiede diversi siti archeologici, sei dei quali sono stati dichiarati Patrimonio Mondiale dell’UNESCO nel 2013, quali l’Antica Città di Damasco, l’Antica Città di Bosra, il sito di Palmira, l’Antica Città di Aleppo, Crac des Chevaliers e Qal’at Salah El-Din.
Con l’eccezione della città di Damasco, gli altri cinque siti archeologici sono stati tutti danneggiati. Uno dei primi siti del Patrimonio Mondiale ad esser preda della guerra fu l’antica città di Aleppo, la quale, secondo quanto riportato dalle autorità, fu completamente raso al suolo, la grande moschea di Omayyadi fu interamente distrutta e le mura esterne danneggiate[74].
Il Centro del Patrimonio Mondiale, il Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti (ICOMOS) e il Centro Internazionale per la Conservazione e la Restaurazione dei Monumenti (ICCROM) sono arrivati alla conclusione che, in alcuni luoghi, l’entità del danno è tale che il valore universale eccezionale di questi siti, ovvero la caratteristica necessaria per questi beni culturali per poter mantenere lo status speciale del patrimonio mondiale, potrebbe essere stata compromessa in modo permanente.
Il conflitto siriano ha causato danni consistenti ai beni culturali e tali danni sono stati essenzialmente una conseguenza diretta del “calore della guerra”. Nei mesi successivi, però, la situazione è degenerata in un conflitto settario.
“Sunni extremist groups joined the rebels hoping to oppose the secular regime espoused by Bashar Al-Assad until managed to hijack the conflict in a considerable part of the territory. Hence the proclamation of an Islamic State spanning Syria and Iraq by IS, an al-Qaeda splinter group”[75].
La Siria, tuttavia, possiede delle leggi riguardanti la protezione di antichità. L’ultima legge riguardante la protezione dei beni culturali dallo Stato siriano, approvata il 26 ottobre del 1963 e revisionata nel 1999, è composta da sei capitoli, ciascuno riguardante le disposizioni generali, le antichità immobili, le antichità mobili, gli scavi, sanzioni e disposizioni varie.
Spostandoci all’altro Paese, Iraq, che ha visto parte del proprio territorio per un lungo periodo sotto il controllo di IS, in realtà attualmente è evidente uno stato di degrado e di mancanza di protezione dei principali siti archeologici e monumenti storici di Mosul e della piana di Ninive che, a oltre sette mesi dalla liberazione, non sono ancora stati messi in sicurezza.
In particolare, è opportuno sottolineare l’attuale stato di devastazione del Tell Nebi Yunus, in cui vi sono le macerie della moschea di Giona (XIV sec. – età moderna) fatta esplodere dai jihadisti dell’IS nell’estate 2014 sull’acropoli dell’antica capitale assira di Ninive, e le rovine del palazzo assiro di Sennacherib ed Esarhaddon (VIII-VII sec. a.C.) – situato sotto i resti della moschea distrutta – saccheggiato dagli islamisti prima della liberazione di Mosul.
Alcuni cunicoli scavati dall’IS all’interno della reggia assira e sulle spettacolari sculture dei tori alati androcefali e i pregevoli rilievi di divinità femminili che per pura fortuna gli jihadisti non sono riusciti a trafugare.
Inoltre, nella città vecchia di Mosul, mentre marmi scolpiti, intonaci e stucchi arabescati vengono costantemente depredati dalle macerie del centro storico, speculatori senza scrupoli stanno distruggendo con mezzi meccanici quel poco che resta del tessuto urbano medievale e ottomano (già pesantemente bombardato dalle forze americane nella guerra di liberazione) al fine di edificare centri commerciali, grattacieli e strutture alberghiere.
Tornando alla Siria, la legge non contempla, tuttavia, la deroga o la sospensione delle sue obbligazioni in circostanze eccezionali in questo modo le leggi sulle antichità vengono applicate anche durante i momenti di conflitto leggi guidate dall’idea che i beni culturali rappresentino un interesse pubblico e tale idea è caratterizzata da uno spirito di ritenzione rigorosa e da un insieme di sanzioni altamente punitive.
I beni antichi sono, come enunciato dall’articolo 1:
“movable and immovable properties which were built, manufactured, produced, written or drawn by humankind, and date back to at least two hundred Christian years or two hundred and six Hejira years. The Antiquities Higher Commission, by a ministerial Decree,
is entitled to include all movable and immovable properties belonging to a later date and consider them as antiquities once these monuments are proven to be of a historical, artistic or national characteristic”[76].
Questo articolo prevede solo poche eccezioni riguardanti la possibilità di esporre le antichità, che appartengono allo Stato, nei musei.
L’esportazione delle antichità sembra, infatti, esser del tutto vietata e secondo quanto enunciato dall’articolo 69 ed è prevista una licenza di esportazione, che può essere concessa solo per quanto riguarda le antichità che devono essere scambiate con i musei e altre istituzioni scientifiche per quanto riguarda quei beni che sono affidati ad una organizzazione o ad una missione, successivamente la conclusione degli scavi[77].
Considerando l’ultima modifica riportata alla ‘Syrian Antiquities Law’ nel 1999, si può notare come gli scavi illeciti costituiscono ancora un grave problema per lo Stato siriano, il quale si concentra maggiormente nelle cosiddette ‘Dead Cities’.
Il direttore dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, Rami Abdul Rahman, ha sottolineato l’importanza dell’educazione ai valori del Patrimonio storico della Siria, come elemento essenziale per l’eliminazione progressiva delle attività illecite sul territorio poiché è chiaro ed
evidente che una singola legge, per quanto rigorosa, non possa avere piena attuazione senza la cooperazione dei singoli cittadini[78].
La Siria, ciò nonostante, ha aderito per tutelare il proprio Patrimonio Culturale alle diverse Convenzioni internazionali, quali: l’Accordo del 1907 per la proibizione e la prevenzione degli importi illeciti e l’esportazione di beni culturali, alla Convenzione del 1954 per il rispetto dei beni culturali e alla Convenzione del 1972 per la protezione del Patrimonio Mondiale, Culturale e Naturale dell’Umanità.
Lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (IS) è solo la più recente organizzazione che ha intrapreso l’attività di abbattimento dei beni culturali per ragioni politiche e religiose. Dalla prima Guerra del Golfo ad oggi le diverse Nazioni coinvolte in Iraq e in Siria hanno mutato il loro atteggiamento nei confronti dei siti archeologici, assumendosi il dovere di proteggere il Patrimonio Culturale Mondiale a rischio.
- LA RISPOSTA INTERNAZIONALE AGLI ATTACCHI
DELLO STATO ISLAMICO
Dall’inizio del 2014, lo Stato Islamico ha iniziato, e continua tutt’oggi, a distruggere diversi siti storici presenti in Iraq e in Siria.
Uno tra gli eventi di depredazione più pubblicizzati avvenne alla fine del 2014, quando i combattenti dell’IS distrussero la tomba di Johann a Mosul, nell’Iraq del Nord.
Le tombe di Mosul furono onorate per secoli e la loro distruzione, pubblicizzata tramite le riprese dell’esplosione, rappresentò una dichiarazione al mondo, da parte dei combattenti dello Stato Islamico, di non voler aderire e rispondere positivamente ai diversi richiami Internazionali per l’interruzione di tali profanazioni.
La Grande Moschea degli Omayyadi venne usata come base per le operazioni di guerra dalle truppe del Governo e furono prese come bersaglio principale da parte dei ribelli che attaccarono senza sosta la moschea con razzi e armi da fuoco. Inoltre, antiche rovine romane, che una volta erano viste come reliquie quasi incontaminate del grande impero, furono utilizzate dal governo per ottenere dei vantaggi militari sui ribelli andando a produrre ingenti danni alle antiche mura[79].
Come avvenne nella Valle di Bamiyan, queste distruzioni sono il risultato di un conflitto interno al Paese. Entrambe le parti, i ribelli dello Stato Islamico da una parte e il Governo siriano dall’altro, sono i responsabili di queste devastazioni.
Tuttavia, né l’Iraq né la Siria, le quali aderirono al secondo Protocollo Internazionale[80], applicarono la protezione dei beni culturali durante il conflitto interno e la Siria, inoltre, utilizzò un sito archeologico per scopi militari, in violazione della Convenzione dell’Aja del 1954, il cui scopo era quello di indirizzare gli Stati e gli eserciti internazionali sul non utilizzo dei siti storici mondiali in caso di conflitti.
Il Comitato dello Scudo Blu[81] degli Stati Uniti ha rilasciato nel giugno del 2014 una dichiarazione, nella quale richiedeva la protezione dei siti culturali presenti in tutta l’Iraq e della Siria. La dichiarazione degli USA invitava tutte le nazioni coinvolte a rispettare le Convenzioni Internazionali e il diritto internazionale consuetudinario per proteggere tutti i siti culturali e di fermare il potenziale saccheggio e la vendita di tali beni.
Nel febbraio del 2015, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità la Risoluzione 2199[82], un testo avente come tema il contrasto al finanziamento del terrorismo internazionale, esportazioni illegali di greggio, saccheggi e traffico clandestino di antichità e donazioni esterne, proposto dalla Federazione Russa.
Il testo ha conosciuto ripetuti interventi nel corso delle negoziazioni preliminari ed ha assunto un’articolazione e una consistenza significative.
La risoluzione ha come riferimento principale le attività terroristiche dello Stato Islamico e di Al-Nusrah (in Siria è stato il gruppo affiliato ad Al Qaeda), ma finisce per essere un compendio dei pericoli e delle misure che attengono al finanziamento dei gruppi terroristici di matrice radicale o islamica. Nonostante le Risoluzioni precedenti, a partire dalla 1267 del 1999, avessero affrontato la tematica del terrorismo, il testo approvato nel 2015 si concentra sugli aspetti finanziari nelle diverse forme dell’autofinanziamento, del supporto esterno, del reimpiego di capitali e ribadisce l’obbligo per tutti gli Stati di non favorire e di combattere fermamente queste attività[83].
Maggiore attenzione viene dedicata alle attività di commercio di petrolio, di traffico di opere d’arte e dei beni i quali sono espressione delle tradizioni culturali dell’Iraq e della Siria, ai sequestri a scopo di riscatto economico-politico, all’abuso di strumenti bancari e finanziari ed infine al traffico di armamenti[84].
Di particolare importanza è il par. 27 della Risoluzione il quale:
“Calls upon all States to consider appropriate measures to prevent the transfer of all arms and related materiel of all types, in particular man-portable surface-to-air missiles, if there is a reasonable suspicion that such arms and related materiel would be obtained by ISIL, the ANF or other individuals, groups, undertakings and entities associated with Al-Qaida”[85].
Il 30 settembre del 2014, successivamente all’occupazione da parte dei militanti dell’IS del museo di Mosul, l’UNESCO ha convocato una riunione d’emergenza a Parigi per discutere il numero dei siti a rischio e dei siti già distrutti e per invitare le nazioni coinvolte nella regione ad una azione collettiva.
Il Direttore Generale dell’UNESCO, Irina Burkova, ha condiviso le coordinate di tutti i più importanti siti del patrimonio culturale con gli Stati Uniti, non appena gli Stati Uniti hanno annunciato la loro intenzione di avviare attacchi aerei in Iraq per contrastare i combattenti dello Stato Islamico[86].
In una successiva riunione d’emergenza, l’UNESCO ha voluto affrontare la questione riguardante la pulizia etnica e culturale, che risulta essere, inseguito alle dichiarazioni e agli atti di razzia per mano dell’IS, un’emergenza a livello mondiale, soprattutto in quelle zone dove un numero elevato di civili è costretto a fuggire.
Nel settembre del 2014, il Segretario di Stato americano John Kerry, rivolgendosi al pubblico del Metropolitan Museum di New York, ha descritto le distruzioni perpetrate dai militati dell’IS come le peggiori barbarie culturali mai commesse nella storia. Il Segretario di Stato, oltre a promettere la protezione delle aree culturali situate in zone di conflitto, ha parlato di nuove partenership con numerose organizzazioni, tra cui la Scuola Americana di Ricerca Orientale e l’Associazione Americana per l’Avanzamento della Scienza, per documentare i luoghi storici e la loro eventuale possibilità di essere distrutti e per sviluppare dei piani di protezione.
Solo pochi giorni prima, lo stesso Segretario di Stato John Kerry, rivolgendosi alle Nazioni Unite, dichiarò che tagliare i fondi allo Stato Islamico era un’azione necessaria per contrastare l’attività globale dell’IS. Ciò è possibile solo tramite la protezione di quei beni culturali che sono ad alto rischio in Iraq e in Siria, alcuni dei quali sono stati già venduti sul mercato nero dell’antiquariato ed hanno contribuito al finanziato del gruppo ribelle.
E’ evidente, tuttavia, che l’IS non intende smettere di attaccare i diversi beni culturali situati in Siria e in Iraq. Alcune nazioni, tra cui gli Stati Uniti, stanno dirigendo attacchi aerei contro le forze dell’IS, offrendo un sostegno alle truppe irachene. L’USA si trova, infatti, in una
posizione unica per dimostrare che ha imparato le conseguenze dei saccheggi avvenuti nel museo iracheno e si è impegnata a proteggere il Patrimonio Culturale del Medio Oriente[87]. Ma per fare ciò, i concetti di necessità e strategia militare devono essere pensati nella prospettiva di preservare i siti storici per il futuro.
Al fine di proteggere i siti culturali dalla distruzione durante il conflitto con lo Sato Islamico:
“the Second Protocol’s waiver of protection for sites being used for military purposes must be removed, and an analysis balancing military necessity and protection must be instituted in all decisions to target cultural sites”[88].
Per vincere una Guerra contro un nemico proiettato verso la distruzione ed il commercio illegale del Patrimonio Culturale, è necessario un rafforzamento della protezione di quei beni culturali che non possono e non devono essere vittime del conflitto. Per sviluppare delle linee guida militari, i comandanti devono determinare la miglior strategia per ‘annientare’ il nemico senza demolire i siti culturali ed è utile prendere in considerazione le circostanze del passato, in cui i comandanti hanno scelto di conservare il patrimonio culturale.
Ad esempio, Matthiee P. considera in modo positivo il comportamento delle truppe naziste quando, durante il Secondo Conflitto Mondiale, scelsero di occupare la periferia di Roma per evitare di danneggiare il Patrimonio Monumentale del centro della città[89].
Pertanto il concetto di Tutela del Patrimonio Culturale dev’essere considerato un obiettivo potenziale da integrare in tutti i livelli e la fasi della pianificazione militare. The Reserve Officer Training Corps (ROTC) e le accademie di servizio, hanno cominciato a sviluppare piani di formazione per allievi che si preparano ad assumere la leadership di un comando militare. Questa formazione aiuta a infondere ai futuri generali l’importanza di proteggere i siti culturali.
E’ prevista, inoltre, una formazione culturale specifica per le truppe, la quale aiuta i soldati ad individuare le differenti aree che dovrebbero essere rispettate[90]. Il Gruppo di Azione dei Beni Culturali del COCOM (Comitato di Coordinamento per il Controllo delle Esportazioni Multilaterali), consiglia, ai comandanti militari esperti nel campo di risorse culturali, di aggiornare periodicamente i riferimenti regionali e le metodiche di formazione, per aiutare i comandanti militari a far giungere ad un livello di preparazione superiore i futuri schieramenti.
Questa formazione servirebbe a far comprendere al meglio l’importanza del rispetto dei siti culturali durante un conflitto armato e rispondere alla domanda se ci siano siti culturali che debbano essere protetti e i livelli di protezione differenti per i beni cultuali.
Il Secondo Protocollo, del 1999, propone un elenco di beni che dovrebbero ricevere una protezione speciale in caso di conflitto, articolo 11 comma 9:
“Dall’inizio delle ostilità, una parte al conflitto può chiedere, a causa di una situazione di emergenza, la protezione rafforzata di beni culturali posti sotto la sua giurisdizione o il suo controllo, sottoponendo la sua domanda al Comitato. Il Comitato trasmette questa domanda immediatamente a tutte le parti in conflitto. In questo caso, il Comitato esamina d’urgenza le osservazioni delle Parti interessate. La decisione di concedere la protezione rafforzata a titolo provvisorio è presa il più rapidamente possibile e, fatte salve le disposizioni dell’articolo 26, dalla maggioranza dei quattro quinti dei membri del Comitato. Il Comitato può concedere la protezione rafforzata a titolo provvisorio aspettando l’esito della procedura normale di concessione della protezione, a condizione che siano soddisfatti i criteri di cui l’articolo 10 commi a) e c)”[91].
Ad oggi, l’UNESCO, essendo un’organizzazione indipendente, dovrebbe essere la responsabile dello sviluppo di tali elenchi. In particolar modo, l’UNESCO, ha già un metodo, ben stabilito, per valutare ed etichettare i diversi siti culturali, che rappresentano il World Heritage Sites e possiede un programma di monitoraggio ben preciso per determinare i danni inflitti nelle aree di guerra[92].
Queste liste risultano essere molto importanti nella pianificazione di un intervento militare nella salvaguardia dei beni culturali, infatti, in Iraq e Siria, l’UNESCO ha fornito agli Stati Uniti e ad altre nazioni la lista dei beni da proteggere durante le operazioni.
La presenza dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria in uno dei siti del patrimonio mondiale, non deve e non può rappresentare una rinuncia alla difesa di tali beni, com’è avvenuto in passato.
Bensì, quando un sito viene utilizzato per scopi militari, la strategia dovrà essere il più possibile consona alla protezione del sito stesso, svolgendo azioni con lo scopo di mantenere a livello minimo la percentuale di danni e tenendo in debito conto che gli eventuali danni debbano essere proporzionati ai vantaggi acquisiti[93].
L’IS risulta ad oggi risulta essere una forza sconfitta sul terreno, restano poche sacche di resistenza. Per come abbiamo conosciuto, questo criminale movimento dell’estremismo islamico perde ciò che più lo caratterizzava rispetto ad Al Qaeda e agli altri gruppi jihadisti nella nostra era la dimensione territoriale. La sua capitale, Raqqa, è trasformata in un cumulo di macerie, i suoi militanti siriani arresi con le famiglie. Quelli più pericolosi, i volontari stranieri, morti a centinaia nell’ultima battaglia senza speranza.
Il Diritto Internazionale pattizio ha sviluppato nel corso degli anni diverse Convenzioni e Protocolli per proteggere il Patrimonio Culturale Mondiale durante i conflitti armati internazionali e domestici senza, però, fornire alcun tipo di protezione dai militanti dell’IS, i quali continuano senza sosta a distruggere e vendere i beni culturali.
Al fine di combattere questa forza religiosa radicale islamica, sarebbe opportuno la disposizione, da parte delle diverse nazioni, di militari sul posto alla tutela non passiva di moschee, biblioteche e altri siti culturali presenti in Iraq in Siria.
Allo stesso modo dei cittadini locali, i quali si sono uniti per combattere e proteggere i loro luoghi sacri, una forte difesa di questi beni, a volte risulta essere la soluzione migliore.
Inoltre, la distruzione dei beni culturali e il divieto di vendita di manufatti in tutto il mondo dovrebbe essere la preoccupazione principale, specialmente in questo momento, in modo tale da diminuire l’attrattiva di saccheggio e di vendita di talebani.
Nel corso di qualsiasi conflitto, tutte le Nazioni coinvolte devono impegnarsi a fermare i crimini di guerra contro la storia umana e la storia culturale e devono essere pronti a perseguire i combattenti per i loro crimini. Solo se questi principi vengono realmente perseguiti, le forze dello Stato Islamico possono essere sconfitte e l’eredità del Medio Oriente può essere protetta per le generazioni future.
CAPITOLO III
I CASCHI BLU DELLA CULTURA
- IL RUOLO SVOLTO DALL’UNESCO PER PROMUOVERE E GARANTIRE LA TUTELA DEL PATRIMONIO NATURALE E CULTURALE DELL’UMANITA’
Durante i lavori della Conferenza di San Francisco delle Nazioni Unite, nel 1945, nacque l’esigenza di provvedere alla creazione dei cosiddetti Istituti Specializzati delle Nazioni. Infatti, considerate l’ampiezza e la generalità degli scopi statutari dell’ONU, sembrò opportuno istituire degli organismi internazionali per lo svolgimento di attività in campi specificatamente individuati che operassero in stretta collaborazione con gli organi delle Nazioni Unite, pur mantenendo intatta la propria indipendenza[94].
Fra gli Istituti Specializzati, l’ONU creò L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (in inglese United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization da cui l’acronimo UNESCO), istituito nel novembre del 1945 ed entrata in funzione il 4 novembre del 1946[95].
Ad esso è demandato il compito di promuovere la cooperazione tra gli Stati in campo culturale, educativo e scientifico.
Organismo creato, oltre che per stimolare il rispetto della giustizia, delle norme giuridiche, dei diritti dell’uomo e delle liberà fondamentali senza distinzione di razza, credo, sesso e lingua, anche per favorire la libera circolazione delle idee e delle innovazioni, consentendo, in tal modo, il raggiungimento di uno sviluppo armonico ed equilibrato delle diverse civiltà[96].
Nel caso dell’UNESCO, la qualifica di Istituto Specializzato delle Nazioni Unite gli fu riconosciuto attraverso l’Accordo di Collegamento, firmato il 6 dicembre del 1946.
Fra i diritti e gli obblighi scaturiti da tale accordo figurano in particolar modo:
“il diritto a far partecipare, senza diritto di voto, i propri rappresentanti, alle sedute dei rispettivi organi assembleari e dei loro comitati (articolo 3), la facoltà degli organi dell’ONU di indirizzare raccomandazioni all’UNESCO al fine di coordinare e controllarne la politica e le attività, cui va connesso inoltre sia l’obbligo per l’Organizzazione di sottoporre all’attenzione delle Nazioni Unite un rapporto relativo alle azioni da esse intraprese per dare seguito alle raccomandazioni indirizzategli dagli organi di quest’ultima (articolo 5), sia il diritto e l’obbligo, come enunciato dall’articolo 6, di scambiarsi informazioni e documenti”[97].
L’Organizzazione, in qualità di Istituto Specializzato, può svolgere anche attività operative nel campo dell’assistenza tecnica e degli aiuti internazionali e gode, all’interno degli Stati membri, della capacità giuridica necessaria per il perseguimento dei suoi fini e di tutti i privilegi ed immunità necessarie al conseguimento dei propri obiettivi.
La struttura dell’UNESCO, come molte altre Organizzazioni, si articola essenzialmente in tre organi: la Conferenza Generale, il Consiglio Esecutivo e il Segretariato.
La Conferenza Generale, che riunisce ogni due anni tutti gli Stati membri, è considerato l’organo supremo dell’UNESCO ed ha il compito di determinare i programmi e i budget dell’Organizzazione.
Il Consiglio Esecutivo, nel quale sono rappresentati i 58 Stati membri eletti dalla Conferenza generale, si riunisce anch’esso due volte l’anno, ha il compito di verificare l’esecuzione delle decisioni della Conferenza generale e di preparare il lavoro di quest’ultima.
Il Segretariato, invece, posto sotto l’autorità del Direttore Generale, viene eletto ogni 4 anni dalla Conferenza generale ed è incaricato di mettere in pratica gli impegni assunti dagli Stati membri. In particolar modo, il Segretariato è suddiviso a sua volta in cinque settori:
- Il settore dell’istruzione;
- Delle scienze naturali;
- Delle scienze sociali e umane;
- Della cultura;
- Della comunicazione e informazione[98].
Di particolare importanza risulta essere, secondo quanto enunciato anche dall’articolo 1 dello Statuto, il contributo dell’UNESCO a stimolare la cooperazione fra le Nazioni nei campi di sua competenza al fine di tutelare, accrescere e diffondere la conoscenza del Patrimonio Culturale dell’Umanità.
L’Organizzazione, infatti, ha il compito di promuovere ed essere il garante per la conservazione e la protezione del Patrimonio Mondiale costituito da beni quali libri, monumenti, opere d’arte o della scienza[99], ovvero, tutti quei beni che rientrano nel settore della cultura.
In tale campo, l’UNESCO ha svolto un’attività volta a garantire e a promuovere la Tutela dei Beni Culturali sin dagli inizi degli anni Cinquanta, quando l’attenzione si polarizzò sulla necessità di fornire agli Stati membri le indicazioni riguardo il corretto approccio da seguire per assicurare il rispetto e la tutela di quei beni ritenuti dalla Comunità Internazionale testimonianza della cultura e dei popoli[100].
I primi sforzi in materia furono volti alla creazione di un sistema di Tutela del Patrimonio Culturale nel corso dei conflitti. Una scelta dettata dall’esigenza di evitare che i beni culturali potessero nuovamente subire danni ingenti, causati dalle distruzioni e dalle razzie perpetrate ripetutamente durante i conflitti armati.
L’incremento dei pericoli a cui i beni culturali erano e sono esposti e la necessità di fornire adeguate risorse finanziarie e tecniche, fece sì che l’UNESCO, oggi come allora, sentisse il dovere di aiutare direttamente gli Stati nel perseguimento di questi obiettivi[101].
Fu in questo modo, che l’Organizzazione, oltre ad avvalersi degli strumenti espressamente previsti dallo Statuto, tra cui le raccomandazioni e i progetti di convenzione, iniziò, già a partire degli anni Sessanta, ad orientarsi verso l’adozione di misure volte a fornire un’assistenza diretta agli Stati membri in difficoltà nell’assicurare e nel garantire la Tutela del proprio Patrimonio Culturale.
Per giustificare questa forma d’intervento ci si richiamò, da un lato, al concetto dei cosiddetti poteri impliciti, ovvero tutti i mezzi a disposizione per il raggiungimento degli scopi previsti dal Trattato istitutivo dell’Organizzazione anche qualora non espressamente previsti nel Trattato stesso e, dall’altro, all’attività di cooperazione e di assistenza tecnica svolta dagli stessi Istituti Specializzati dell’ONU[102].
L’UNESCO iniziò in questo modo a svolgere tale attività inserendola, inoltre, nel più ampio programma di assistenza ai Paesi in via di sviluppo ideato dalle Nazioni Unite.
- L’AZIONE POLITICA ITALIANA IN FAVORE DELLA
PROTEZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE
L’Italia è un Paese che ha visto le prime iniziative legislative finalizzate alla protezione del Patrimonio Artistico e Culturale nel periodo pre-unitario, ma è possibile risalire ad una disciplina normativa organica solo successivamente alla costituzione dello Stato unitario. La prima normativa organica dello Stato unitario, finalizzata alla protezione del patrimonio artistico e culturale nazionale, è rappresenta dalla Legge n. 1089/1939, nota come Legge Bottai. Tale provvedimento legislativo ha disciplinato la Tutela del Patrimonio (artistico e culturale) Nazionale per oltre mezzo secolo, per poi essere abrogata e sostituita dal Testo Unico del 1999[103].
Nella legge del 1939 non si parla ancora di ‘bene culturale’, bensì ci si rivolge alle:
“Cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico” [104],
rimanendo in questo modo ancorati prettamente ad una idea materiale del bene. I beni culturali, perciò, caratterizzati dalla loro materialità, vengono distinti dalle altre fattispecie di rilevanza artistico-culturale.
Il concetto moderno di “bene culturale” comincia a prendere forma soltanto durante la IV legislatura italiana[105], tra il 1964 e il 1966, quando i lavori d’indagine della Commissione Franceschini (Commissione interparlamentare d’indagine per la tutela e la valorizzazione delle cose di interesso storico, archeologico, artistico e del paesaggio) fu istituita per svolgere un’indagine accurata sulla condizione del patrimonio artistico e culturale italiano.
Grazie al lavoro svolto dalla Commissione Franceschini venne innovato il concetto di bene culturale espresso dalla legge Bottai, andando a definire un bene culturale come “testimonianza materiale avente valore di civiltà”[106].
L’azione italiana, oltre a raggiungere grandi traguardi legislativi a livello nazionale, fu molto importante, anche, per l’evoluzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per Educazione, la Scienza e la Cultura quale garante per la protezione del Patrimonio Culturale Mondiale.
Nella Conferenza Generale dell’autunno del 1991, il Rappresentante Permanente dell’Italia, alla guida della delegazione italiana ai lavori, rompendo le consuetudini, chiese ed ottenne l’attenzione della Conferenza, in seduta plenaria, sul bombardamento di Dubrovnik problema, che a parte appelli e dichiarazioni del Direttore Generale, non vide nessuna formale e sostanziale iniziativa da parte dell’UNESCO sotto la cui tutela ricade la città vecchia di Dubrovnik, inscritta nella Lista del Patrimonio Mondiale fin dal 26 ottobre del 1979.
Grazie all’intervento del Rappresentante italiano venne deciso che il ruolo dell’UNESCO ed il rafforzamento della sua azione per la Tutela del Patrimonio Culturale Mondiale fosse inserito, estemporaneamente e per l’urgenza dei sopravvenuti eventi, all’ordine del giorno.
Su proposta italiana, sottoscritta da quarantotto Stati Membri, tra cui la stessa Jugoslavia, la Conferenza Generale adottò il 5 novembre del 1991 la Risoluzione 26C/3.9,con la quale, riconosciuta la debolezza dell’allora sistema internazionale di protezione del Patrimonio Culturale Mondiale di fronte alle emergenze belliche, sociali, economiche ed ambientali e delle carenze di tecnologie e conoscenze adeguate, fu ravvisata la necessità di un’iniziativa per rafforzare poteri e mezzi di intervento della stessa UNESCO, eventualmente anche attraverso la revisione delle disposizioni internazionali vigenti[107].
Nel 1993, grazie alle decisioni adottate alla 141° e alla 142° Sessione del Consiglio Esecutivo dell’UNESCO, venne confermato un approccio globale al tema della protezione del Patrimonio, del tutto in linea con la posizione sulla materia che era stata introdotta, precedentemente, dall’Italia nel 1991[108].
Dalla Sessione del Consiglio Esecutivo del 1993, l’azione dell’UNESCO si indirizzò verso tre direzioni funzionalmente convergenti che prevedevano:
- Integrare il sistema normativo laddove risultasse carente;
- Rafforzare gli strumenti applicativi della convenzione del 1972;
- Dare impulso al coordinamento fra tutti gli strumenti convenzionali vigenti[109].
Gli interventi legislativi promossi nel nostro ordinamento e le azioni svolte all’interno dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, mostrano come l’Italia sia stata e sia tutt’oggi uno Stato effettivamente operativo per la salvaguardia dei beni culturali, a ragion del fatto che possiede il maggior numero di siti inclusi nella Lista del Patrimonio dell’Umanità.
L’ultima azione a cui l’Italia aderì per la salvaguardia dei patrimonio mondiale risale a febbraio del 2016, con l’adesione all’Accordo per la formazione della “task force ‘Unite4Heritage”.
- L’INTESA CON L’UNESCO PER LA CREZIONE DI
UNA TASK FORCE ITALIANA
Immagine fornita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali[110]
Poche cose sono preziose per un Paese come il suo patrimonio culturale, l’eredità della storia, i valori, l’identità, la bellezza, ma un Paese ha un’eredità fragile, esposta ai pericoli imprevedibili del tempo della storia, della natura, della criminalità e del terrorismo.
Ci impegniamo per prevenire, per restaurare affinché anche gli altri sappiano chi siamo, in che cosa crediamo. Non tutti i Paesi però c’è la fanno da soli, perché sopraffatti da un disastro naturale o perché vivono una situazione d’emergenza.
Per questo motivo l’UNESCO ha mandato un appello al quale l’Italia ha subito risposto presentando, insieme ad altri Paesi, una risoluzione, approvata all’unanimità dagli stessi Stati membri, per creare zone di protezione intorno ai siti del Patrimonio dell’Umanità, in caso di crisi o calamità naturali.
Il 16 febbraio 2016 lo Stato italiano ha firmato un’intesa con l’UNESCO, il Memorandum of Undestanding dopo ben due anni di trattative, alla presenza dei ministri Gentiloni, Franceschini, Pinotti, Giannini e del Direttore Generale Irina Bokova.
Un accordo che rappresenta un importante traguardo di un percorso iniziato nel 2015 in Germania, con l’adozione della Bonn Declaretion on World Heritage, che condannava tutti gli atti barbarici commessi dallo Stato Islamico e dell’uso indiscriminato di armi e di esplosivi nelle zone di guerra.
L’accordo, firmato a Roma nell’aula X delle terme di Diocleziano, prevede la costruzione di una task force italiana nel contesto della coalizione globale dell’UNESCO del progetto Unite4Heritage[111], un’intesa che sancisce la nascita, sotto l’egida dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, di una formazione internazionale tutta italiana pronta a intervenire nelle aree di crisi per la Tutela del Patrimonio Culturale Mondiale.
L’Unite4Heritage è un’unità di pronto intervento del tutto nuova, addestrata per agire nelle situazioni di pericolo, che sarà coordinata dal Ministero dei Beni e Attività Culturali e del Turismo (MIBACT), dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), dal Ministero della Difesa e dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR).
Essa prevede la formazione e la partecipazione di un contingente formato da sessanta unità, composto da un primo nucleo di Carabinieri del Comando ‘Tutela per il Patrimonio Culturale“, articolato in quattro sezioni (Antiquariato, Archeologia, Falsificazione, Arte Contemporanea), da restauratori, storici dell’arte e studiosi dell’istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, dell’opificio delle Pietre Dure di Firenze, dell’istituto Centrale per la Conservazione e il Restauro del Patrimonio Archivistico e Librario e dell’istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione.
Una task force che prevedrà in futuro, anche, la partecipazione di docenti universitari[112].
Si tratta, in particolar modo, di una task force in grado di intervenire in qualsiasi momento su richiesta dello Stato italiano e di un qualunque Stato membro (in particolar modo sotto gli auspici dell’UNESCO) che si trovi ad affrontare una crisi o una catastrofe naturale come terremoti, tsunami, uragani, eruzioni o alluvioni.
In presenza di questi requisiti, l’unità di pronto intervento entrerà in azione per stimare gli eventuali danni che sono stati provocati al patrimonio culturale e naturale colpito.
Lo Stato italiano che interviene in soccorso sulla base della richiesta da parte di uno Stato membro dell’UNESCO in una situazione di crisi, non delegherà all’UNESCO l’intervento, ma agirà direttamente ponendo lo stesso intervento sotto l’egida dell’Organizzazione Internazionale[113].
L’unità di pronto intervento fornirà una supervisione tecnica, una formazione per assistere i restauratori locali nelle azioni di tutela, presterà assistenza al trasporto dei beni culturali mobili affinché tale trasporto avvenga in tutta sicurezza e agirà nei paesi in difficoltà con il dovere di contrastare il traffico di beni culturali. Si tratta di attività importanti, sia dal punto di vista della tutela del bene, come già richiesto dalla Risoluzione C/48 adottata nella 38esima Conferenza Generale dell’UNESCO (17 novembre 2015) sul:
“Reinforcement of UNESCO’s action for the protection of culture and the promotion of cultural pluralism in the event of armed conflict”[114],
sia dal punto di vista della lotta contro i gruppi terroristici e alle loro forme di finanziamento.
Al fine di garantire un buon coordinamento con l’UNESCO, il Governo italiano è chiamato ad “istituire un focal point per i rapporti con l’Emergency Preparedness and Response Unit (CLT/EPR) dell’Organizzazione”[115].
L’EPR è l’ufficio che si occupa dell’assistenza tecnica legata alla preparazione e alla risposta delle emergenze riguardanti i beni culturali e naturali e alla coordinazione delle attività per la valutazione dei bisogni successivamente una disastro naturale o un conflitto.
Nel Memorandum[116], tuttavia, non viene affrontato il problema riguardante la sicurezza della Task Force, in quanto l’unità di pronto intervento, formato principalmente da storici dell’arte, studiosi, professori universitari e restauratori, non sarebbe in grado di poter affrontare una situazione di pericolo, e proprio per tale ragione si presuppone il fatto che lo Stato richiedente aiuto adotti tutte le misure necessarie per garantire la protezione e l’incolumità del team.
Mancando dei riferimenti normativi in materia di sicurezza, si può, tuttavia, far riferimento all’articolo 3(b) della Convenzione per l’assistenza in caso di incidente nucleare o di emergenza radiologica, del 1986, che fornisce protezione a tutte le persone che prestano assistenza in caso di gravi incidenti, crisi umanitarie e situazioni di disastro naturale.
“The agreement is a major and innovative step in our effort to gain recognition for the importance of cultural heritage in cementing identity, building social cohesion and fostering resilience in times of crisis. We must, therefore, continue pressing for the inclusion of cultural heritage protection in humanitarian and peace efforts. The establishment of a Task Force bringing together cultural heritage experts and the Italian Carabinieri force specialized in the fight against the illicit trafficking in cultural property will enhance our capacity to respond to future emergencies”[117].
L’Italia è il primo Paese che ha applicato la risoluzione 197[118], proposta dalla stessa Italia, firmata da 53 Stati e sostenuta dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, durante la riunione tenutasi a Parigi il 17 ottobre del 2015, che prevede, appunto, la creazione di una task force, ovvero la formazione di veri e propri Caschi Blu della Cultura Nazionale per la Tutela del Patrimonio Mondiale, con il fine di combattere le radicalizzazioni culturali, le brutalità che mettono a repentaglio il Patrimonio Culturale Mondiale e per contrastare il mercato illecito di opere d’arte che è diventato un’importante fonte di finanziamento per i gruppi terroristici internazionali[119].
Come l’immagine indicata precedentemente, si tratta di una dichiarazione del 2002 scritta in persiano antico e in inglese che si trova all’ingresso del Museo Nazionale dell’Afghanistan a Kabul, una Nazione è viva quando è viva la sua cultura.
L’allora Direttore Generale dell’UNESCO Koichiro Matsura definì questa dicitura come un messaggio che simboleggia il profondo attaccamento dell’Afghanistan alla sua memoria e al suo Patrimonio Culturale, e dovrebbe essere una fonte di ispirazione per i Paesi del mondo.
Questa affermazione dimostra come il Patrimonio Culturale non sia solo un inestimabile valore di per sé, ma anche un fattore cruciale di sviluppo e riconciliazione[120].
Preservare la memoria di un paese lo rende vivo, i beni culturali di uno Stato raccontano le nostre radici, le nostre identità e distruggere la memoria significa distruggere ciò che siamo stati nel corso degli anni ed è proprio per mantenere vive le Nazioni con i loro patrimoni culturali e naturali, che l’Italia ha aderito a questo Accordo, per proteggere e salvare, anche in piccola parte, la memoria di tutti noi.
Foto scattata nell’aula X delle Terme di Diocleziano, Roma, durante la firma per il Memorandum of Understanding.
Foto scattata nell’aula X delle Terme di Diocleziano, Roma, durante la firma per il Memorandum of Understanding.
- L’ACCORDO CON L’UNESCO PER LA CREAZIONE DEL
CENTRO DI FORMAZIONE INTERNAZIONALE.
In contemporanea alla firma dell’Accordo per la creazione della Task Force italiana, il 16 febbraio del 2016, venne firmato un Protocollo d’Intesa tra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo(MIBACT) e la Città di Torino, rispettivamente dal Ministro Paolo Gentiloni, dal Ministro Dario Franceschini e dal Sindaco di Torino Piero Fassino, per l’istituzione di un Centro di formazione internazionale e un Agreement between the Italian Republic and UNESCO regarding the establishment of ITRECH[121].
La richiesta d’istituzione a Torino di un Centro UNESCO di categoria 2[122], era già stata presentata dal Governo Italiano nel novembre del 2010, per la creazione di un Centro operativo nel settore del patrimonio mondiale e dell’economia della cultura, con il compito di assistere l’Organizzazione parigina nell’attuazione della Convenzione del 1972, sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, attraverso attività di ricerca e di alta formazione.
Nella suddetta richiesta, era stato esplicitamente indicato che il Centro in questione sarebbe stato un ente completamente autonomo e sostenuto da enti universitari torinesi, internazionali e locali[123].
Già durante la 186ma Sessione nell’aprile del 2011, il Consiglio Esecutivo dell’UNESCO aveva approvato l’istituzione a Torino, del Centro UNESCO di categoria 2, operativo nel settore del patrimonio mondiale e dell’economia della cultura, e nella Conferenza Generale dell’UNESCO durante la sua 36ma Sessione dell’ottobre 2011 aveva ratificato l’istituzione del Centro UNESCO di categoria 2 in questione, denominato ITRECH, International Training & Research Center on the Economics of Culture and World Heritage[124].
Alla luce degli avvenimenti precedenti, è riscontrabile il fatto che il Centro UNESCO è attivo già da una decina di anni, e che tramite questo Protocollo ha deciso di espandere le proprie attività non solo all’interno dell’Italia ma anche a livello Europeo ed Internazionale.
La città di Torino, infatti, ha deciso di farsi carico di tutti gli obblighi dell’Agreement between the Italian Republic and UNESCO regarding the establishment of ITRECH[125] volto alla costituzione del Centro UNESCO.
Tale Centro si impegna più precisamente a reperire e mettere a disposizione una sede con le adeguate caratteristiche funzionali, fornita degli arredi e delle necessarie attrezzature d’ufficio e informatiche, assumendone tutti i costi di manutenzione e di funzionamento e di mettere a disposizione le risorse umane in campo amministrativo e tecnico adeguate per il funzionamento degli uffici e per il sostegno delle attività scientifiche e formative, assumendone i relativi costi.
Per quanto riguarda il profilo sia di tipo accademico che di ricerca, la Città di Torino si avvarrà, della collaborazione dell’Università e del Politecnico di Torino, o di consulenti esterni opportunamente selezionati.[126] Secondo tale Protocollo d’Intesa, la Città di Torino dovrà erogare, inoltre, a seconda delle sue disponibilità finanziare, uno o più contribuiti finalizzati alle attività scientifiche, formative e di ricerca del Centro.
Tutte le attività che vengono e che verranno svolte da parte del Centro, dovranno essere, naturalmente, svolte in osservanza del piano di lavoro e del budget annuale stanziato per finanziare il Centro dell’UNESCO[127]
Il Centro Internazionale di Formazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro è dotato di una piena autonomia finanziaria ed è pienamente responsabile, sotto ogni tipo di profilo, per la gestione amministrativa, contabile e finanziaria delle proprie attività.
Inoltre, la Convenzione stipulata, non prevede alcun tipo di responsabilità e di obbligo, da parte del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, relativamente al profilo organizzativo ed economico-finanziario e alla contribuzione alle diverse attività svolte dal Centro[128]
Di grande importanza risulta essere quanto detto dall’articolo 4 della Convenzione, in quanto esso prevede che il centro ITRECH può operare solo all’interno del dell’area di proprietà del Comune di Torino, la cui area è stata chiamata Campus ONU[129].
Gli ultimi due articoli del Protocollo vengono dedicati, uno, al ruolo della Città di Torino la quale si farà promotrice per la durata dell’Accordo di partenariati con soggetti pubblici e privati che vorranno approvare e finanziare i vari progetti e attività proposte dal Centro affinché accrescano il bilancio operativo del Centro ITRECH attraverso dei contributi e commesse per attività di ricerca e di formazione[130], e l’altro, conclusivo dell’Accordo che riguarda la possibilità da parte della Città di Torino, del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo di poter concordare emendamenti o modifiche al testo del medesimo Protocollo[131].
Di notevole importanza risulta essere l’articolo 9, che delinea quali siano i compiti svolti dall’UNESCO e dall’Italia riguardo l’istituzione del Centro.
Per quanto riguarda l’Italia, il Governo deve assumersi interamente la responsabilità di garantire le risorse necessarie, in denaro o in natura, per una corretta amministrazione e funzionamento del Centro in particolar modo mettere a disposizione del Centro appropriati spazi d’ufficio, attrezzature e impianti, assumere interamente tutti costi per il Centro compresi i servizi e le manutenzioni e contribuire ai costi di organizzazione delle attività svolte dal Centro.
L’Italia, inoltre, secondo le disposizioni fornite dall’Accordo, può contribuire a programmare diverse attività come la diffusione e la condivisione di informazioni, attività di capacity building, programmi di ricerca e pubblicazioni di supporti logistici[132].
Il contributo, invece, dell’UNESCO consiste nel fornire, assistenza tecnica per l’attività del programma del Centro. L’Organizzazione può fornire assistenza tramite l’invio dei suoi assistenti esperti nei diversi settori specializzati del Centro. Tale assistenza, però non deve avvenire se non all’interno delle disposizioni del programma e del bilancio dell’UNESCO, e sarà solo l’Organizzazione a decidere come fornire agli Stati membri l’uso del suo personale e dei relativi costi associati[133].
L’Organizzazione, inoltre, può in qualsiasi momento effettuare una valutazione delle attività svolte dal Centro per accertarsi, in primo luogo, se questo fornisce un contribuito significativo al suo programma strategico, tramite la valutazione del Programma di bilancio e se le attività che esso svolge sono conformi a quelle indicate dall’Accordo[134].
- DAL PRIMO INTERVENTO SVOLTO CASCHI BLU DELLA CULTURA AL LORO RUOLO DI DIFESA DEL PATRIMONIO CULTURALE
DISTRUTTO O SACCHEGGIO DAI GRUPPI TERRORISTI
Successivamente alla firma dell’Accordo per la creazione della Task Force pronta ad intervenire nelle aree di crisi per la Tutela del Patrimonio Culturale Mondiale in caso di terremoti, guerre e calamità di ogni tipo, i Caschi Blu della Cultura sono stati chiamati per la prima volta ad un pronto intervento il 25 agosto del 2016.
Il 24 agosto di quest’anno una scossa sismica di Magnitudo 6.0 ha colpito il centro Italia, con epicentro ad Accumoli, distruggendo maggiormente il paese di Amatrice, Arquata e lo stesso epicentro, provocando la morte di 299 persone e causando ingenti danni, sia alle abitazioni che al Patrimonio Culturale.
Per tale motivo il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in accordo con il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, ha inviato i primi Caschi Blu della Cultura con il compito di monitorare lo stato del patrimonio culturale nelle zone colpite dal terremoto.
Questa è stata definita come la missione di battesimo dei neo-caschi blu della cultura, voluta fortemente dal Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, che ha visto di volta in volta l’invio delle singole squadre addestrate, in relazione alle loro competenze e specialità, nelle zone terremotate.
La formazione del primo contingente dei Caschi Blu della Cultura era stata incentrata sulla salvaguardia dei tesori dell’arte nelle aree di guerra, in particolar modo la prima missione che avrebbe visto la task force U4H (Unite for Heritage) dell’UNESCO in azione, sarebbe dovuta avvenire in Siria, presso Palmira, per recuperare i templi abbattuti, le torri romane fatte esplodere e l’arco di trionfo polverizzato dallo Stato Islamico, ma invece il primo compito affidatogli è stato proprio nel centro Italia, una zona ricca di chiese e di storia artistica e antica che rappresenta una comunità, più volte ferita, ma sicuramente unita.
Per tale ragione è stato inviato il primo gruppo di esperti composto da 60 uomini, metà Carabinieri scelti dal Nucleo Tutela Patrimonio Culturale e metà personale del MIBACT (architetti, archeologi, restauratori, conservatori e storici dell’arte).
La Task Force, durante la sua missione di salvataggio, è riuscita a recuperare 900 opere d’arte nelle zone colpite dal sisma, che sono state trasportate nella scuola del corpo forestale dello Stato di Cittaducale, presso Rieti, con lo scopo di restaurarle e conservarle prima di essere riportate nei loro luoghi di appartenenza. Solo nella frazione di Retrosi, ad Amatrice, sono stati recuperati 125 oggetti preziosi e statue recenti, tra cui una pala d’altare di Luigi Cherubini, firmata e datata nel 1889, la quale raffigura la Madonna in presenza di San Clemente e Sant’Antonio da Padova.
Pala d’altare di Luigi Cherubini, recuperata dai caschi blu della cultura.[135]
Tra le diverse opere sono stati recuperati anche un quadro del 1700 raffigurante San Giuseppe da Leonessa, il quale nato a Leonessa morì ad Amatrice, un bambinello di un presepe risalente alla fine del 1800 e molti arredi liturgici, tra cui anche un patene del 1700 di grande valore, che fu rimosso dagli armadi della sagrestia pericolante.
Sono stati salvati, inoltre, diversi reliquari rari e un tabernacolo della fine del XIX secolo in argento dorato.
Bambinello di un presepe risalente alla fine del 1800[136].
Il corpo speciale dei Caschi Blu della Cultura, chiamato a collaborare per il recupero e il restauro dei beni culturali situati nei territori colpiti dal sisma il 24 agosto 2016 ha garantito che quei beni, spesso unico elemento identificativo di una comunità, di una popolazione che si è trovata privata di ogni cosa, anche delle sua identità e della sua storia, possano rappresentare il punto di partenza per la ricostruzione dell’identità storica e culturale di una popolazione.
L’Italia è il primo paese al mondo ad aver istituito una Task Force per la salvaguardia del patrimonio archeologico e artistico, ed è lo Stato che ha fatto da “apripista” ad altri Paesi, come la Germania, la Russia, l’Austria, Ungheria, Spagna e Francia, che hanno espresso la loro intenzione ad aderire all’Accordo per la creazione di una Task Force U4H.
Tuttavia, l’Italia con i Caschi Blu della Cultura, da quando il terrorismo internazionale ha scelto di colpire i luoghi della cultura, siti archeologici, musei, monumenti in giro per il mondo e di distruggerli perché sono per loro il simbolo di culture diverse, mentre sono strumento di conoscenza e di dialogo fra i popoli, è pronta ha supportare l’Unesco e le Nazioni Unite affinché ci sia un’azione della comunità internazionale e a intervenire per prevenire, per contrastare e per recuperare tutto ciò che è stato depredato.
Il Governo italiano ha evidenziato come l’UNESCO abbia votato all’unanimità questa proposta, invitando i singoli Stati a costituire delle task force Nazionali .
Le devastazioni del Patrimonio Culturale dell’Umanità avvenute nelle aree di crisi devono far maturare la consapevolezza di quanto sia necessario prevedere una componente culturale nelle missioni di pace e di sicurezza delle Nazioni Unite e della Unione Europea, la salvaguardia di beni archeologici e artistici che sempre di più sono oggetto di distruzione e saccheggio da parte dei terroristi deve essere al centro dell’agenda della comunità internazionale e la lotta al terrorismo passa anche per la salvaguardia del patrimonio culturale.
La Unite4heritage è un progetto importante e intelligente. L’Italia è il primo Paese ad averlo fatto.
Il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, che sono un’eccellenza riconosciuta in tutto il Mondo per la Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti, con la collaborazione di personale esperto e qualificato del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali del Turismo, sono pronti sui temi della Cultura e del Patrimonio in cui si ha il dovere di essere il Paese guida nel mondo”.
Ma cosa sono questi Caschi blu della Cultura? Quali compiti avrebbero? Come dovrebbero agire? Tecnicamente ad oggi si pone l’attenzione sulla formazione e trasmissione delle proprie competenze alle forze di polizia estere, l’Arma dei Carabinieri si occupa di Patrimonio Culturale da ormai quarant’anni e ha la più grande banca dati del mondo di opere trafugate e dell’intervento armato si parla solo se previsto da una risoluzione ONU.
Si svolgono, sia in Italia e all’estero, attività di indagine e di recupero di opere d’arte, non necessariamente appartenenti al nostro Patrimonio, e si restituiscono ai luoghi d’origine. In crescita le attività di supporto, di addestramento e di consulenza per le forze di polizia estere, questo può essere un primo fondamentale contributo per il nuovo corpo dei Caschi blu della Cultura.
L’addestramento è finalizzato a condividere quelle che sono le nostre metodologie. L’Italia è l’unico Paese al mondo ad avere un reparto speciale di un organismo di polizia dedicato al settore culturale, come già predetto si dispone della più grande banca dati al mondo di eventi con relative fotografie di beni culturali trafugati o interessati da fenomeni di reato. Tutte queste esperienze sono uniche a livello internazionale e l’Italia, rappresentata dai Caschi Blu della Cultura, è pronta a condividerle con gli altri Paesi del mondo per proteggerne l’identità.
L’idea italiana, è più quella di condividere informazioni motivandone crescita e confronto, e non necessariamente inviare in guerra le proprie truppe. Gli obiettivi sarebbero da un lato tagliare i finanziamenti che arrivano alle organizzazioni terroristiche grazie al mercato nero, recuperando le opere trafugate attraverso l’implementazione della banca dati e la sensibilizzazione (ad opera dell’UNESCO) delle case d’asta che non sempre ricevono pezzi in maniera legale, dall’altro valutare la situazione e preparare un maxi-piano di restauro e ripristino delle opere d’arte distrutte.
Nessuno vuole anteporre “le pietre alle vite perse”, ma la salute di quelle stesse pietre può contribuire, in uno scenario post-bellico, a far riprendere un popolo profondamente martoriato. Restituire il Patrimonio Culturale alle popolazioni colpite significa restituirne, almeno in parte, l’identità, oltre a favorirne, attraverso il turismo culturale, la ripresa economica. Tutte operazioni che possono andare di pari passo con la gestione della crisi umanitaria[137].
CONCLUSIONI
Alla luce di quanto emerso nei capitoli di questo elaborato risulta evidente quanto sia necessario porre rimedio, in modo efficace e nell’immediato, all’attuale realtà che appare essere davvero triste e problematica. Si pone in primo luogo la necessità di contrastare le forze dello Stato Islamico, che si stanno abbattendo senza sosta e senza pietà sul Patrimonio Culturale Mondiale, distruggendo tutto ciò che racconta la storia, le radici e la cultura dell’umanità in nome di una “pulizia culturale”.
Una “pulizia” dettata da un fanatismo religioso che spinge l’Is a commettere azioni atroci che non si limitano solo a stragi culturali, ma a veri e propri genocidi. Lo Stato Islamico sta distruggendo le bellezze artistiche della nostra cultura con la motivazione che esse rappresentano una cultura pre-islamica, ma dietro ciò si nasconde un vero e proprio mercato nero delle opere d’arte. Un traffico illecito che è sempre esistito durante il corso della storia, ma che ora risulta essere un’importante fonte di finanziamento per questo nuovo Stato del Terrore.
L’IS ha saccheggiato siti antichissimi, dato alle fiamme diverse biblioteche storiche e ha demolito antiche città irachene e siriane. Questa “pulizia culturale” si è diffusa come un virus che va oltre l’Iraq e la Siria per infettare Libia, Yemen, Mali, ed Egitto, minacciando anche il Libano e la Giordania.
Ogni opera d’arte razziata viene venduta per finanziare le loro operazioni e diffondere ulteriormente l’estremismo islamico. In termini di entrate finanziarie annuali, il traffico dei reperti archeologici risulta essere secondo solo al traffico di petrolio (mentre a livello mondiale secondo solo alla droga).
Una strategia possibile è quella di colpire il traffico illecito attraverso un’azione di prevenzione per ostacolare la compravendita illegale dei beni trafugati, da attuarsi in maniera rigorosa a livello sovranazionale mediante una stretta collaborazione tra le forze di polizia Nazionali e anche tramite la collaborazione della Task Force italiana. Gli Stati dovrebbero realizzare uno sforzo più rigoroso per evitare il verificarsi del danno, sviluppando un’azione che sia principalmente volta ad ostacolare la compravendita illegale.
In questo modo il piano di prevenzione andrebbe ad agire direttamente sia sul versante dell’offerta che sul versante della domanda.
Proteggere il Patrimonio Culturale Mondiale significa tutelarlo non solo da calamità naturali quali terremoti, uragani e tsunami, o da conflitti armati, ma, in questo nuovo scenario politico, vuol dire preservarlo dalla forza distruttiva dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria.
Affrontare l’IS, così come AQ e ogni altro gruppo terrorista jihadista, vuol dire non solo contrastare l’espansione di questa nuova organizzazione terroristica che minaccia l’intera umanità, ma vuol dire anche tutelare e salvaguardare il nostro Patrimonio Culturale. Una prima mossa potrebbe essere la protezione di quei luoghi potenzialmente minacciabili dallo Stato Islamico, come moschee e musei presenti nel Califfato. Al fine di combattere questa forza religiosa islamista sarebbe opportuno, dunque, la dislocazione da parte delle diverse Nazioni di forze militari negli scenari sensibili per garantire la tutela non meramente passiva dei beni culturali.
In questo particolare momento della nostra storia, la salvaguardia dei beni culturali e il divieto di vendita di manufatti in tutto il mondo dovrebbe essere una delle preoccupazione principali a livello mondiale alla stessa stregua della difesa dei pozzi di petrolio.
Nel corso di qualsiasi conflitto, tutte le Nazioni coinvolte dovrebbero impegnarsi nel fermare i crimini di guerra contro la storia umana e la storia culturale e dovrebbero essere pronti a perseguire i responsabili di tali crimini.
A conclusione di questo lavoro si può ricordare l’incipit della Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali (Parigi 20 ottobre 2005):
“La diversità culturale costituisce un Patrimonio comune dell’Umanità e che
dovrebbe essere celebrata e preservata per il bene di tutti”.
Dire di credere nella difesa dell’arte antica significa riconoscere la comunanza tra i popoli di diverse civiltà.
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United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization, da cui l’acronimo UNESCO: Sito ufficiale dell’UNESCO, su unesco.org
[1] Matthiee P., Distruzione, saccheggi e rinascite. Gli attacchi al patrimonio artistico dall’antichità all’Is, Mandadori Electa, Roma, 2015.
[2] Ferri P. G., Terrorism and cultural heritage. Terrorists’ departments for antiquities and their fun activities through cultural goods selling, 2015, documento fornito dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale.
[3] Matthiee P., Distruzione, saccheggi e rinascite, cit.
[4] Ibidem, pp. 236-237
[5] Stato Islamico, abbreviato IS, è il nome che si è dato un’organizzazione jihadista salafita
[6] www.movisol.org/sykes-Picot.pdf, 10 febbraio 2016.
[7] Napoleoni L., Is lo Stato del Terrore, cit., p. 14.
[8] http://www.lettera43.it/capire-notizie/is-il-significato-della-bandiera_43675176615.htm
[9] Napoleoni L., Is lo Stato del Terrore, cit.
[10] Ferri P. G., Terrorism and cultural heritage, cit.
[11] Matthiee P., Distruzione, saccheggi e rinascite, cit
[12] Matthiee P., Distruzione, saccheggi e rinascite, cit
[13] Napoleoni L., Is lo Stato del Terrore, cit., p. 27.
[14] Ferri P. G., Terrorism and cultural heritage, cit.
[15] Spiana bulldozer antiche mura.
[16] Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo.
[17]Iraq, liberata l’antica città di Hatra, patrimonio Unesco – http://www.askanews.it/video/2017/04/26/iraq-liberata-lantica-citt%C3%A0-di- hatra-patrimonio-unesco-20170426_video_17042831/
[18] Matthiee P., Distruzione, saccheggi e rinascite, cit., pp. 241-247
[19] www.repubblica.it
[20] www.wikipedia.org
[21] Palmira – Arco di trionfo. (Palmira, dal nome greco , Palmyra (Παλμύρα), dall’originale aramaico, Tadmor, che significa ‘palma’, II millennio a.c.) – webitmag.it
[22] Ibidem, nota 13.
[23] Matthiee P., Distruzione, saccheggi e rinascite, pp. 241-247
[24] Ferri P. G., Terrorism and cultural heritage, cit
[25] Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo.
[26] Ferri P. G., Terrorism and cultural heritage, cit
[27] Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo
[28] Ferri P. G., Terrorism and cultural heritage, cit., p. 4.
[29] La National Geographic Society (NGS) è una delle più grandi istituzioni scientifiche ed educative non profit al mondo, la cui sede si trova a Washington, negli Stati Uniti.
[30] L’obiettivo storico della National Geographic Society è da sempre quello di «incrementare e diffondere la conoscenza geografica e allo stesso tempo di promuovere la protezione della cultura dell’umanità, della storia e delle risorse naturali – Documentario: Il Mercato nero dell’Arte, National Geographic, 2016. »
[31] Foto scattata alla mostra del “l’Arma per l’Arte e la Legalità”, Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma Palazzo Barberini, ottobre 2016
[32] Keller A., Documenting ISIL’s Antiquities Trafficking: The Looting and Destruction of Iraqi and Syrian Cultural Heritage: What We Know and What Can Be Done, in “The Metropolitan Museum of Art”, 29 settembre, 2015
[33] Keller A., Documenting ISIL’s Antiquities Trafficking: The Looting and Destruction of Iraqi and Syrian Cultural Heritage: What We Know and What Can Be Done.
[34] Keller A., Documenting ISIL’s Antiquities Trafficking: The Looting and Destruction of Iraqi and Syrian Cultural Heritage: What We Know and What Can Be Done, in “The Metropolitan Museum of Art”, 29 September 2015
[35] http://www.state.gov/e/eb/rls/rm/2015/247739.htm#OrgChart
[36]Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo.
[37]Documenting ISIL’s Antiquities Trafficking, cit.
[38] Discorso tenuto nel 2015 dal Direttore Generale dell’Unesco Irina Bokova, tratto dal libro di Matthiee P., Distruzione, saccheggi e rinascite, cit., pp. 246-247
[39] Canino G., Il Ruolo Svolto dall’UNESCO nella Tutela del Patrimonio Culturale e Naturale Mondiale. In Ciciriello M. C. ( a cura di), La protezione del patrimonio culturale e naturale a venticinque anni dalla convenzione dell’UNESCO del 1972, Editoriale Scientifica, 1999.
[40] Carnahan B. M., Lincoln, Lieber, and the Laws of War: The Origins and Limits of Principle of Military Necessity, U.S War Department, General Orders, 1998
[41] https://www.esteri.it/mae/it/politica_estera/temi_globali/diritti_umani/il_diritto_internazionale_umanitario.html
[42] Convenzione per la protezione dei Beni Culturali in caso di conflitto armato
[43] IV Convenzione dell’Aja 1907 concernente le leggi e gli usi della guerra per terra
[44] https://it.wikipedia.org/wiki/Convenzioni dell%27Aia del 1899 e del 1907
[45] Articolo 27, the 1907 IV Hague Regulations, Regolamento concernente le leggi e gli usi della guerra per terra
[46] Sezione II: Delle ostilità Capitolo I: Dei mezzi di nuocere al nemico, degli assedi e dei bombardamenti
[47] Arte degenerata (in tedesco entartete Kunst)
[48] Hannah G. He., Protecting Ancient Heritage in Armed Conflict, cit.
[49]Lostal M., Syria’s World Cultural Heritage and Individual Criminal Responsibility, in “International Review of Law”, 2015. Il Patto Roerich venne firmato alla Casa Bianca di Washington il 15 aprile 1935 dai rappresentanti ufficiali degli Stati Uniti e di tutti e venti i paesi dell’America Latina, alla presenza del presidente F.D. Roosvelt.
[50]Article 2, the 1954 Hague Regulations
[51] Article 3, the 1954 Hague Regulations
[52] Article 4, the 1954 Hague Regulations
[53] Hannah G. He., Protecting Ancient Heritage in Armed Conflict, cit
[54] Lostal M., Syria’s World Cultural Heritage and Individual Criminal Responsibility, cit.
[55] Hannah G. He., Protecting Ancient Heritage in Armed Conflict, cit.
[56] Articolo 5, Secondo Protocollo relativo alla Convenzione dell’Aja del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, Aja, 26 marzo 1999
[57] Articolo 8, par. 6, the 1954 Hague Regulations, cit.
[58] Articolo 23- 29, Secondo Protocollo, cit.
[59] http://www.unesco.it/cni/index.php/convenzione
[60] Lostal M., Syria’s World Cultural Heritage and Individual Criminal Responsibility, cit., p.
[61] Articolo 4, Convenzione UNESCO 1970
[62] Articolo 6, Convenzione UNESCO 1970
[63] Hannah G. H., Protecting Ancient Heritage in Armed Conflict, cit
[64] Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention, Parigi, 1972, Revisionata nel 2005.
[65] Articolo 77, Operation Guidelines, cit.
[66] http://www.unesco.beniculturali.it
[67] Articolo 7, Convenzione UNESCO 1970.
[68] http://www.unesco.beniculturali.it
[69] Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo
[70] Hannah G. He., Protecting Ancient Heritage in Armed Conflict, cit.
[71] Matthiee P., Distruzione, Saccheggi e Rinascite, cit.
[72] http://www.unesco.beniculturali.it
[73]http://www.unesco.org/new/fileadmin/MULTIMEDIA/FIELD/Amman/pdf/20130322_reprt_syria_workshop_FINAL.pdf
[74] Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo.
[75] Lostal M., Syria’s World Cultural Heritage and Individual Criminal Responsibility, cit., p. 4.
[76] Articolo 1, Antiquities Law, 1999.
[77] Articolo 69, Antiquities Law, cit.
[78] Lostal M., Syria’s World Cultural Heritage and Individual Criminal Responsibility, cit.
[79]Matthiee P., Distruzione, Saccheggi e Rinascite, cit.
[80] http://www.unesco.org/culture/laws/pdf/switzerland_italiantransl_1954HCP2.pdf
[81] Un comitato che nasce nel 2006, Il nome Blue Shield, deriva dalla Convenzione dell’Aia del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, che specifica uno scudo blu come simbolo per la marcatura di beni culturali protetti. Il Comitato Internazionale dello Scudo Blu (ICBS) e dei suoi comitati nazionali affiliate lavorano insieme come l’equivalente culturale della Croce Rossa, fornendo una risposta di emergenza per i beni culturali a rischio di conflitti armati e disastri naturali.
[82] http://www.onuitalia.com/2015/02/12/is-consiglio-sicurezza-approva-stop-finanziamenti/
[83] Ferri P. G., Terrorism and cultural heritage, cit.
[84] http://www.questionegiustizia.it/doc/Risoluzione_onu_2199-2015.pdf
[85] Art 27, Risoluzione 2199, 2015.
[86] http://www.unesco.beniculturali.it
[87] Canino G., Il Ruolo Svolto dall’UNESCO nella Tutela del Patrimonio Culturale e Naturale Mondiale, cit.
[88] Hannah G. He., Protecting Ancient Heritage in Armed Conflict, cit., p. 186.
[89] Matthiee P., Distruzione, Saccheggi e Rinascite, cit
[90] Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo.
[91] Art 11, Secondo Protocollo, 1999. www.unesco.org/culture/laws/pdf/switzerland_italiantransl_1954HCP2.pdf
[92] Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo
[93] Hannah G. He., Protecting Ancient Heritage in Armed Conflict, cit.
[94] Canino G., Il Ruolo Svolto dall’UNESCO nella Tutela del Patrimonio Culturale e Naturale Mondiale. In Ciciriello M. C. ( a cura di), la protezione del patrimonio culturale e naturale a venticinque anni dalla convenzione dell’UNESCO del 197, Editoriale Scientifica, 1999
[95] http://www.unesco.it/cni/index.php/uno
[96] Articolo 1 paragrafo 1, Agreement between the United Nation and the United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization, Ginevra, 1964.
[97] Canino G., Il Ruolo Svolto dall’UNESCO nella Tutela del Patrimonio Culturale e Naturale Mondiale, cit., p. 8.
[98] http://www.beniculturali.it/mibac/export/SG-MiBAC/sito-SG-MiBAC/MenuPrincipale/Attivita/programmi/Internazionale/UNESCO/index.html
[99] Articolo 1, dello Statuto dell’UNESCO, cit
[100] Canino G., Il Ruolo Svolto dall’UNESCO nella Tutela del Patrimonio Culturale e Naturale, cit.
[101] Matthiee P., Distruzione, Saccheggi e Rinascite, cit
[102] Canino G., Il Ruolo Svolto dall’UNESCO nella Tutela del Patrimonio Culturale e Naturale, cit.
[103] D.lgs. n. 490 del 29 ottobre 1999, Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali, redatto a norma dell’articolo 1della legge delega 8 ottobre 1997, n. 352 e pubblicato nel S.O. 229L alla G.U. n. 302, del 27 dicembre 1999.
[104] Legge n. 1089, del 1 giugno 1939, Tutela delle cose di interesse artistico e storico
[105] Sabatini M., Il Rafforzamento della Convenzione: dalla Revisione del Testo Normativo alla Revisione degli Orientamenti Applicativi. L’Azione Italiana e i suoi Obiettivi Politici, In Ciciriello M. C. (a cura di), La protezione del patrimonio culturale e naturale a venticinque anni dalla convenzione dell’UNESCO del 1972. Editoriale Scientifica, 1999.
[106] D.lgs. n. 490 del 29 ottobre 1999, Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali, cit.
[107]Sabatini M., Il Rafforzamento della Convenzione: dalla Revisione del Testo Normativo alla Revisione degli Orientamenti Applicativi, ct.
[108] Canino G., Il Ruolo Svolto dall’UNESCO nella Tutela del Patrimonio Culturale e Naturale, cit.
[109] Sabatini M., Rafforzamento della Convenzione: dalla Revisione del Testo Normativo alla Revisione degli Orientamenti Applicativi, cit.
[110] A nation stay alive when its culture stays alive, pdf, Roma, 2016, fornito dal Comando dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo
[111] Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo
[112] Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo.
[113] Memorandum of Understanding, 16 febbraio 2016, Roma
[114] Nuocera G. G., Il Memorandum d’intesa tra il Governo italiano e l’UNESCO per l’istituzione di una Task Force per la protezione dei beni culturali, in “Ordine Internazionale e diritti Umani”, 2016, p.
[115] Nuocera G. G., Il Memorandum d’intesa, cit., p. 212.
[116] Memorandum – context of activities to be undertaken under the present Memorandum of Understanding and with the prior written authorization of UNESCO.
[117] Italy creates a UNESCO Emergency Task Force for Culture, discorso del Direttore Generale Irina Bokova, Parigi, 2016.
[118] UNESCO 197 EX/10, Reinforcement of UNESCO’s action for the protection of culture and the promotion of cultural pluralism in the event of armed conflict, Paris, 17 agosto 2015
[119] Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio
[120] Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo.
[121] http://www.unesco.org/new/en/bureau-of-strategic-planning/resources/category-2-institutes/
[122] Per Categoria 2 dell’UNESCO si intendono tutti quegli Istituti regionali e Centri internazionali che non sono legalmente parte dell’Organizzazione, ma essi sono associati con l’UNESCO attraverso accordi formali approvati dalla Conferenza Generale. Questi Istituti e Centri sono selezionati su proposta di uno Stato membro, che voglio fornire un contributo prezioso e unico per la realizzazione del programma strategico dell’UNESCO per i benefici degli stati membri. I settori che fanno parte della Categoria 2 sono: educazione, scienze naturali, comunicazione e informazione, scienze sociali e umane, cultura e la commissione oceanografica intergovernativa.
[123] Canino G., Il Ruolo Svolto dall’UNESCO nella Tutela del Patrimonio Culturale e Naturale, cit.
[124] Convenzione MAECI, MiBACT, Città di Torino, Roma, 16 febbraio 2016
[125] Articolo 3, Agreement between the Italian Republic and UNESCO regarding the establishment of an International Training and Research Centre on the Economics of Culture and World Heritage – ITRECH as a centre under the auspices of UNESCO (category 2), Roma, 16 febbraio 2016
[126] Convenzione MAECI, MiBACT, Città di Torino, Roma, 16 febbraio 2016
[127] Convenzione, articolo 1 paragrafo 2, cit.
[128] Convenzione, articolo 3, cit.
[129] https://www.itcilo.org/it/il-centro/il-campus-di-torino/il-campus-di-torino-new
[130] Convenzione, articolo 5, cit.
[131] Convenzione, articolo 7, cit.
[132] Articolo 9, Agreement between the Italian Republic and UNESCO, cit.
[133] Articolo 9, Agreement between the Italian Republic and UNESCO, cit.
[134] Articolo 12, Agreement between the Italian Republic and UNESCO, cit
[135] Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo.
[136] Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo.
[137] Dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Reparto Operativo.