Scarica il file in PDF – crescita demografica e tecnologica nel Mediterraneo Orientale-Marco Marino-settembre 2021 – parte seconda
Crescita demografica e sviluppo tecnologico
nel Mediterraneo Orientale – Parte II:
Rivoluzione tecnologica in società impreparate
Marco Marino
- Gli impatti di internet sull’informazione
La diffusione di internet e delle relative tecnologie dell’informazione in Medio Oriente ha attirato l’attenzione in gran parte sul loro impatto verso la conoscenza. L’Internet Technology (IT) include strutture, processi e agenti che la modellano anche in Medio Oriente; e in particolare nelle sue fasi iniziali, questa produzione, piuttosto che il consumo, è ciò che plasma gli ambienti, l’uso, l’economia, la politica e il registro culturale di internet. Comprendere questo processo può fornire un senso migliore di come internet si diffonde e perché la sua diffusione sembra, almeno inizialmente, così lenta nella regione.
È importante analizzare l’impatto della tecnologia internet in Medio Oriente, perché è attraverso gli impatti sulla pratica e sulla consapevolezza che gli utenti sperimentano internet. Per gli utenti delle comunità accademiche e di ricerca, ha cambiato il modo in cui si lavora: il primo impatto di internet in Medio Oriente è stato sull’esperienza lavorativa e sulle abitudini di giornalisti e ricercatori, che sono tra i loro principali interlocutori locali.[1]
Il Medio Oriente è una regione con uno dei tassi di crescita di internet più bassi e più lenti al mondo. I bassi tassi di crescita (inferiori a Nord America ed Europa, Estremo Oriente e America Latina) potrebbero essere un fenomeno in fase iniziale. Un sondaggio ha rilevato che gli utenti sono più giovani, più spesso maschi, più tecnicamente istruiti e più spesso nel settore rispetto ai profili nordamericani contemporanei.[2] Un sondaggio ripetuto sugli utenti un anno e mezzo dopo ha rilevato che la proporzione di utenti con la sola istruzione superiore è passata dal 17 al 27%,[3] mentre la proporzione di utenti laureati e in età scolare è rimasta stabile all’interno di un aumento complessivo dei numeri assoluti.
Sono stati proposti tentativi sistematici e globali per misurare l’impatto, per differenziare tra livelli e domini individuali, organizzativi e della società, come politica, economia, occupazioni, associazioni di volontariato o famiglie, o per misurare gli impatti della tecnologia su piccole e medie imprese che sono di particolare interesse in studi di sviluppo.[4] L’uso di internet per la politica dissidente o l’attivismo religioso attira più attenzione di attività come lo sviluppo delle infrastrutture e i regimi di fornitura, la regolamentazione e il modo in cui vengono create, i finanziamenti e la fornitura di servizi.[5]
Gli attori della tecnologia possono essere visti come entità sovrapposte di attori specifici: esseri umani, macchine, sistemi e organizzazioni, e sviluppare un modello di diffusione più denso che includa innovazione e iniziative creative, nonché risposte più passive a livello dei consumatori.[6]
In Medio Oriente le prime connessioni internet sono state stabilite negli anni ’70 in alcuni centri di ricerca nazionali, laboratori e università: questi erano punti di contatto con le loro controparti internazionali, non destinati o accessibili a un pubblico più ampio nei loro Paesi d’origine.
I fornitori di servizi di informazione vanno da giornali e servizi di notizie, che rendono disponibile il loro contenuto attraverso “il nuovo mezzo”, a fonti secondarie che aggregano informazioni disparate. Questi hanno preso il comando nell’emergente internet mediorientale, in modo da concentrarlo principalmente sull’uso nel commercio.[7] Ad esempio, attraverso un dipartimento di tecnocrati, il governo egiziano ha adottato il ruolo di catalizzatore per mettere in linea le imprese egiziane, iniziando con il commercio di import-export e guardando al software come potenziale settore di sviluppo.
Attori strategicamente posizionati, che esprimono gli interessi di classi professionali in crescita, preferiscono lo sviluppo di internet come un’opportunità per mettersi al passo con un Occidente che ha superato e soppresso il Medio Oriente nel periodo industriale. Questa speranza post-industriale si è diffusa come un potente motivatore di sperimentazione, ma viene frenata dalle istituzioni finanziarie conservatrici e dalla lentezza (e dal livello relativamente basso) degli investimenti pubblici nelle infrastrutture (tranne che per la sicurezza nazionale).
Le telecomunicazioni in Medio Oriente sono costose e strategiche. Persino le compagnie telefoniche privatizzate hanno ancora monopoli limitati, apparentemente per dare loro il tempo di trovare partner e investitori stranieri o per prepararsi a competere a livello internazionale. L’obiettivo di crescere per soddisfare gli standard internazionali di servizio è in conflitto con l’obiettivo della privatizzazione, necessario per costruire rapidamente comunicazioni interne. Lo sviluppo delle infrastrutture non segue la strategia “build-it-and-they-come”, dominante nel Nord America. Al contrario, segue politiche di sviluppo sociale, che portano le società di telecomunicazioni, in quanto attore tecnologico, a privilegiare tipi specifici di internet.
Quello dell’Egitto è stato un esempio di sforzo governativo programmato per svolgere un ruolo di catalizzatore nel supportare le prime imprese online, aumentando la formazione di programmatori e operatori e diffondendo i computer nelle scuole e attraverso altre istituzioni pubbliche. Le telecomunicazioni hanno impegni istituzionali, nonché socio-economici e politico-economici come attori tecnologici. Il modello siriano centralizzato era stato costituito da joint venture con società private. Un’importante associazione professionale ha cercato di applicare ciò allo sviluppo di internet sulla base del fatto che la tecnologia fosse sufficientemente dissimile dalla telefonia convenzionale. Accettando quest’ultimo argomento, ma non la soluzione di un proprietario indipendente, o addirittura di un operatore, la compagnia telefonica ha definito i suoi fornitori preferiti come “partnership” tra fornitori e operatori, estendendo la nozione di trasferimento tecnologico o includendo la competenza di trasferimento alla compagnia telefonica per una rete dati nazionale parallela al sistema telefonico.[8]
Monitorare l’emergere di attori della tecnologia internet ha significato aiutare a identificare chi porta valori, e quali valori portano, allo sviluppo di internet e a quale fase. Ha aiutato a identificare coloro che contribuiscono, costruiscono, sviluppano, concepiscono, pianificano e supportano (o meno) la tecnologia internet nella regione. Internet è una tecnologia particolarmente sociale – con valori incorporati in essa che la modellano come attore tecnologico – e possiamo cogliere questa rete più sociologica guardando ai problemi di implementazione e sviluppo.
Se l’ambiente giuridico/normativo è un problema nella fascia alta della pianificazione delle infrastrutture, la finanza è particolarmente problematica fin dai principi della pianificazione. Il finanziamento del settore pubblico in tutta la regione è stato limitato, mentre il finanziamento del settore privato è stato visto come in conflitto con il controllo. Nell’equazione proprietà – controllo, si rende difficile far crescere le imprese assumendo più investitori per ottenere più capitale, anche se e quando fosse disponibile.[9]
In breve, internet è stato portato in Medio Oriente da diversi gruppi di attori tecnologici reclutati in momenti diversi. La sequenza e la velocità con cui si è verificato tale reclutamento di attori tecnologici aggiuntivi sono state determinanti primarie della diffusione di internet agli utenti finali. E l’aumento del numero e dei tipi di attori tecnologici nella rete ha portato inevitabilmente con sé altre pratiche, abitudini, visioni del mondo, formazioni professionali, organizzazioni, e schemi normativi.
Le pressioni per accogliere internet adottando standard internazionali o innovazione selettiva per costruire il tipo di infrastruttura internet, coinvolgono una miriade di attori tecnologici. Sviluppatori, regolatori, finanziatori-sponsor, per citarne solo alcuni, introducono tendenze e valori. Hanno portato diversi interessi e in diverse parti dello sviluppo di internet, che spesso si sono fuse con preoccupazioni più ampie. Tra queste, il libero flusso di informazioni, che attira l’attenzione straniera e la discussione locale, coinvolge diverse questioni.
Una strategia comune è stata quella di dimostrare gli usi funzionali di internet, ma per il Medio Oriente la rete di macchine, sistemi, sviluppatori, sponsor, regolatori e utenti che è l’Internet Technology è cresciuta lungo due dimensioni principali. Una è temporale, l’altra dimensione è strutturale. Le macchine incarnano (e mettono in atto) valori e interessi, niente di più della tecnologia intrinsecamente sociale di internet, che si è sviluppata come mezzo di comunicazione partecipativa. È una tecnologia “pull” rispetto alla tecnologia “push” dei mass media.
È importante comprendere questi processi che precedono gli impatti sugli utenti finali, perché li unisce a sviluppatori, sponsor, regolatori in modi più complessi rispetto al passato, modi che riconoscono macchine e sistemi come attori in virtù di valori e intenzioni incorporati in essi, e come sistemi con cui interagiscono attori umani e istituzionali. Le tecnologie sono reti di tali attori. Attori diversi hanno impatti differenti in diversi punti dei processi sociali, i cui componenti e registri sono in continua evoluzione.[10]
Più in generale, si può affermare che ogni grande innovazione tecnologica nel corso della storia ha causato una qualche forma di interruzione sociale. Sorprendente per i regimi repressivi del Medio Oriente è stata l’ondata dell’era digitale. Laddove i corrispondenti stranieri dissidenti potevano essere espulsi e i giornalisti locali incarcerati, era molto più difficile fermare la cascata di informazioni che si stava dirigendo verso di loro, diffusa da comuni cittadini e quasi impossibile da fermare.
Al Jazeera è solo un esempio dell’ondata di notizie e informazioni che si infrange sul panorama mediatico culturalmente diversificato della regione di 23 Paesi a cavallo tra i continenti africano, europeo e asiatico. Le innovazioni alimentate dalla tecnologia, come internet e la telefonia mobile, hanno messo alla prova i confini non solo dei regimi autocratici regionali, ma degli stessi mass media arabi.
L’uso crescente della tecnologia da parte di gruppi e individui per comunicare al di fuori dei canali ufficiali ha superato di gran lunga le politiche e le pratiche governative per controllarli e regolarli. La Primavera araba del 2011 ha messo in evidenza questo modello di teoria della rivoluzione tecnologica e ha posto nuove sfide nelle pratiche dei media.
È quindi importante analizzare la teoria dell’interruzione della tecnologia dei media, la quale postula che l’uso di innovazioni digitali da parte di reporter, fotografi, editori e giornalisti cittadini spesso superi le politiche delle agenzie di stampa nel determinare i confini etici dei media di tale utilizzo e le capacità di controllo dei governi autoritari. In altre parole, la tecnologia è spesso adottata dalle società di media e dai professionisti per raccogliere e diffondere le informazioni in modo più rapido ed economico, come l’avvento delle trasmissioni e delle pubblicazioni satellitari transnazionali e internazionali.
Il divario tra l’adozione di tecnologie di comunicazione innovative da parte delle organizzazioni dei media e degli individui, e le politiche interne ed esterne da parte dei governi per far fronte a tale adozione, si traduce in una rottura sociale. La storia è disseminata di esempi di sconvolgimenti sociali causati dalla tecnologia dei media, a volte indicati come panico mediatico o panico morale.[11]
L’era digitale ha attraversato il mondo molto velocemente, poiché i computer hanno migliorato velocità e archiviazione a un ritmo vertiginoso, e il World Wide Web e internet hanno permesso ai Paesi di passare dall’interconnessione meccanica a quella globale su internet, scalando diversi gradini della modernità. Insieme alla sua introduzione e adozione sono arrivate le preoccupazioni sul divario digitale (il divario tra coloro che hanno accesso a internet e quelli senza di esso), il dilemma digitale (consentire l’accesso aperto a siti e informazioni con inadeguatezza culturale, politica e religiosa) e, dalla primavera araba del 2011, il dilemma dei dittatori (la difesa dell’e-commerce e dell’e-government senza un modo efficace di controllare le informazioni comunicate).[12]
Uno dei fattori spesso citati per il successo della Primavera araba è stato la capacità dei manifestanti di mobilitarsi su Facebook, Twitter, e-mail e messaggi sms e video, e di documentare su YouTube le risposte eccessive dei governi a proteste pacifiche. Enormi risorse sono state dedicate dal personale di sicurezza dei governi per rintracciare i blogger, interrompere i messaggi con campagne di disinformazione, infiltrarsi nelle organizzazioni, monitorare o chiudere i provider di servizi internet e persino, come nel caso dell’Egitto, staccare completamente la spina da internet per un breve periodo di tempo. Nessuna delle misure ha avuto un successo significativo. Tuttavia, i prodotti dei media digitali sono facilmente manipolabili da truffatori o persino dal personale dei media, il che può danneggiare la credibilità verso il pubblico.
La teoria della tecnologia dirompente è stata avanzata da Clayton Christensen (1997) per spiegare come le tecnologie abbiano spostato il pensiero degli operatori di marketing su come raggiungere il pubblico per i loro prodotti e servizi, a volte risultando imperfette. Un esempio di ciò potrebbe essere la velocità con cui i media di riferiscono notizie direttamente da fonti sui social media, molti dei quali si rivelano imprecisi o addirittura bufale.[13]
Con l’eccezione di Israele, il Medio Oriente ospita alcuni dei sistemi di media meno liberi al mondo (Freedom House, 2011). Tra quelli che si affacciano sul mediterraneo orientale, solo il Libano può essere considerato parzialmente libero.
I mass media arabi si distinguono a causa di circostanze speciali non presenti nei media occidentali. Queste circostanze speciali, con implicazioni per la teoria dell’interruzione dei media, includono una base economica debole, politicizzazione e influenze culturali, che certamente includono la religione islamica.[14]
L’autocensura dei giornalisti è molto diffusa e la maggior parte conosce – o viene informata – dei confini di cui può scrivere. Se riescono a evitare gli assassini, i leader tendono a mantenere il potere e invecchiano nel lavoro senza designare successori, in parte per paura di colpi di Stato ma anche per una sorta di polizza assicurativa. Mubarak, ad esempio, non ha mai avuto un vice presidente nei suoi tre decenni di governo fino ai suoi ultimi giorni, forse imparando una lezione dal suo predecessore, Anwar Sadat. Mubarak era il vicepresidente dell’Egitto quando Sadat fu assassinato nel 1983. I giornali ufficiali e semi-ufficiali e la radio e la televisione gestite dal governo erano le uniche fonti di informazione fino all’era del satellite e alla recente comparsa di giornali e emittenti di proprietà privata. La maggior parte dell’opposizione ai regimi proviene dai blogger su internet. Dozzine di blogger dissidenti sono stati incarcerati, multati o esiliati e il Medio Oriente è in testa a tutte le regioni del mondo nell’incarcerare giornalisti-blogger.
Indipendentemente dalle lotte politiche interne che spesso non vengono denunciate, l’elemento galvanizzante comune è l’avversione del mondo arabo per Israele, un comodo punto di raccolta per distogliere l’attenzione dalle difficoltà locali. Anche in Egitto, dove il trattato di pace di Sadat nell’Accordo di Camp David con Israele nel 1978 potrebbe aver segnato il suo destino, i media incolpano abitualmente Israele per la maggior parte dei suoi problemi interni, inclusa la Primavera araba. In un sondaggio condotto nel 2009 sui giornalisti dalla Middle East Media Guide, quasi il 40% dei giornalisti della stampa e della radiodiffusione in lingua inglese intervistati ha citato le regole del governo in Medio Oriente come il loro maggiore ostacolo alla scrittura di notizie.[15] Poiché la stragrande maggioranza dei media in Medio Oriente è controllata direttamente o indirettamente dal governo da fedeli alleati dei regimi, è difficile distinguere il comportamento politico dal comportamento dei media. Anche canali come Al-Jazeera, che critica tutti i governi, si astiene dal pubblicare rapporti critici sul suo sponsor, il governo del Qatar. Nel settembre 2011, Al Jazeera ha nominato lo sceicco Ahmad bin Jasem bin Muhammad Al-Thani, un membro della famiglia reale del Qatar, nuovo amministratore delegato della stazione. Ha sostituito lo stimato Wadah Khanfa, che si è dimesso tra le accuse senza risposta di Wikileak di aver ordinato modifiche alla copertura delle notizie in onda e del sito Web per soddisfare il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti durante l’amministrazione Bush.[16]
Mentre alcuni mezzi di comunicazione rimangono molto chiari sui loro obiettivi, altri si sono schierati per servire meglio i programmi personali e professionali nel mondo arabo. In alcuni casi, il diritto del pubblico all’informazione è passato dalla censura alla manipolazione di fatti, documenti ed eventi della vita reale. In molti modi le rivolte politiche del 2011 in Paesi come Egitto, Libia, e Siria hanno messo alla prova i valori giornalistici. Mentre Egitto e Libia sono stati casi speciali a causa delle misure per impedire ai media di coprire gli eventi in rapido movimento per lo più si sono rivelate inutili, altri Paesi hanno imparato dagli errori dei loro predecessori nel ridurre la copertura dei media internazionali. Impediti dal regime in Siria di coprire le rivolte in modo completo e indipendente, i giornalisti hanno dovuto fare affidamento sui social media, rapporti di seconda mano e occasionali filmati di gruppo. Per tutto l’autunno del malcontento, la Siria, che per lo più aveva impedito ai giornalisti internazionali di entrare nel Paese, ha usato i suoi media statali per accusare Al Jazeera e altre organizzazioni giornalistiche di incitamento alla violenza e di aver riportato in modo impreciso il conflitto interno siriano. A sostegno di tale affermazione, il ministro degli Esteri siriano Walid El Moallem in una conferenza stampa internazionale a Damasco aveva mostrato un video che, secondo lui, mostrava “attacchi di gruppi terroristici”, inclusa una folla inferocita che picchiava un uomo a morte, provocando la risposta del governo siriano. Il montaggio video è stato drammatico, violento, sensazionale e totalmente sbagliato. I frammenti di video sono stati girati anni prima – nel 2008 e nel 2010 – in diversi luoghi del Libano e non avevano nulla a che fare con la Siria.[17] I giornali statali e i media radiotelevisivi hanno diligentemente riportato i commenti di El Moallem come fatti e non hanno mai corretto la storia quando è stato smascherato il goffo tentativo di propaganda.
La teoria della tecnologia dirompente può spiegare come le aziende siano incapaci di far fronte ai cambiamenti tecnologici causando tagli finanziari o addirittura fallimenti. In poche parole, la tecnologia avanza a un ritmo più veloce dei codici o dell’etica o degli standard e delle pratiche per tenere conto delle nuove tecnologie. Le basi della sua teoria possono essere estese alle pratiche dei mass media in Medio Oriente e alle risposte dei regimi ad esse.[18]
Le innovazioni dei media hanno sempre avuto un effetto inquietante sul pubblico e sulle organizzazioni dei media, principalmente perché spesso si oppongono alle pratiche giornalistiche accettate e alle norme sociali. Ogni innovazione dei mass media ha avanzato i confini dell’etica e creato dilemmi etici. I mass media, specialmente nelle culture mediorientali, spesso mancano di legami con altre istituzioni sociali tradizionali che incoraggiano o impongono la responsabilità sociale.[19] Ciò è particolarmente critico per la comprensione dei media mediorientali poiché quasi tutti seguono il concetto autoritario della stampa. La responsabilità sociale in Medio Oriente è stata, e spesso è ancora, ciò che i regimi consentono, la loro comprensione di ciò che è culturalmente e politicamente accettato dalle élite della società, e di quanta coercizione la maggior parte delle persone tollererà.
I mass media si sono moltiplicati in Medio Oriente negli ultimi due decenni e diversi nuovi giocatori sono entrati in gioco per sfidare i regimi: media tradizionali ma privatizzati e digitalizzati e sociali media. I media tradizionali, anche se privatizzati, richiedono spesso la licenza da parte dello Stato. I sindacati della stampa richiedono anche che i giornalisti siano autorizzati e rispettino una serie di leggi sulla stampa che variano in gradi di restrizioni. I nuovi media e i social media, tuttavia, sono una questione diversa e complicata. Possono operare al di fuori di un Paese specifico, lontano dai ministeri dell’informazione del regime, e non può essere applicata alcuna licenza o conformità alle leggi statali sulla stampa. I governi spesso, per mantenere il controllo delle informazioni, non hanno altra possibilità che chiudere i fornitori di servizi, vietare siti web specifici o incarcerare i blogger se sono ancora nel Paese. Per i regimi autoritari si arriva spesso a strategie attive opposte: intercettazione di conversazioni con telefoni cellulari, hackeraggio di computer, monitoraggio di siti internet sociali come Facebook, Twitter, YouTube e centinaia di altri, detenzione e incarcerazione di blogger e sviluppatori di siti. I regimi possono anche essere proattivi lanciando controffensive nella guerra dell’informazione, utilizzando programmi per creare e pubblicare reportage fotografici e video falsificati nei propri media.
I governi del Medio Oriente sono presi tra due modelli di utilizzo pubblico di internet. Il primo è il modello occidentale che consente agli utenti l’accesso illimitato alle informazioni pubbliche disponibili su internet, con rare eccezioni, che coinvolgono decisioni locali su ciò che è legalmente e moralmente consentito. Ad esempio, le scuole pubbliche occidentali potrebbero vietare l’accesso a determinati siti sui loro sistemi informatici mentre un internet Café dall’altra parte della strada consente l’accesso. Il secondo modello proviene dalla Cina, che vieta regolarmente ai browser di accedere ai siti web di discussioni politiche insieme ad altri siti di social media che lo Stato ritiene indesiderabili. Alcuni Paesi del Medio Oriente monitorano l’utilizzo di siti ritenuti inappropriati ma potrebbero consentirne l’accesso.
Nell’ultimo decennio i regimi mediorientali hanno aumentato la sorveglianza dei social media e dei siti di blogger nei loro Paesi, con il verificarsi di frequenti detenzioni e arresti in tutta la regione. Infatti, i governi in Medio Oriente dal 2007 hanno incarcerato 101 giornalisti e blogger, il 56% del numero totale di giornalisti-blogger incarcerati in tutto il mondo, secondo il Committee to Protect Journalists (2011) per una varietà di crimini come insulti al governo o calunnie all’Islam. Ancora più inquietante è il dato riportante gli assassini di 21 giornalisti in Medio Oriente nel 2011, la maggior parte dei quali si occupava di politica nella regione.[20]
In passato, i tentativi del governo di controllare internet hanno avuto un successo solo marginale, poiché i dissidenti individuano rapidamente diversi modi per aggirare i controlli diffondono le loro tecniche sui siti di social media. Un esempio è l’Egitto, quando ha interrotto l’accesso a internet nel gennaio 2011: i risultati sono stati più dannosi dal punto di vista economico e potrebbero aver contribuito alla rabbia popolare contro il regime di Mubarak.
Le agenzie di informazione sono sempre state facili bersagli di notizie false e persino immagini falsificate. I media mediorientali non sono stati immuni da simili errori. La pubblicazione di fotografie alterate è in realtà un processo giornalistico comune. Ogni giornale ritaglia le fotografie per adattarle ai formati, rimuovendo il possibile contesto per il lettore. Tuttavia, le immagini photoshoppate hanno aggiunto una nuova dimensione alla bufala perché i lettori sono abituati a pensare che i telegiornali o altri media che diffondono tali fotografie le hanno già verificate.
Il blogger Charles Johnson nell’agosto 2006 durante la guerra Israele-Hezbollah ha coniato la parola “fauxtography”, notando diverse discrepanze nelle fotografie pubblicate da Qana, in Libano. In particolare ha visto lo stesso bambino essere salvato da diversi cumuli di macerie dallo stesso soccorritore con l’elmetto verde. Salam Daher, etichettato “Green Helmet” dall’Associated Press, è un operatore della protezione civile libanese che è stato criticato per aver posato con corpi di bambini morti dopo un attacco aereo israeliano del 30 luglio 2006. Alcuni blogger e giornali hanno accusato Daher di essere un agente di propaganda di Hezbollah, cosa che ha negato.[21] Johnson ha anche notato un giovane che dirigeva gli scavi in un altro sito di bombe, per poi apparire nelle fotografie come uno dei morti che venivano estratti dalle macerie.[22] In un’altra sequenza riguardante un articolo di giornale in cui si afferma che gli aerei israeliani hanno preso di mira un’ambulanza chiaramente contrassegnata con una gigantesca croce rossa dipinta sul tetto. Ha scritto che niente all’interno dell’ambulanza somigliava a un attacco missilistico e ha rivelato, attraverso esaurienti rapporti e specifiche del produttore, che il buco del tetto, presumibilmente da un razzo, era stato creato quando le luci di segnalazione lampeggianti dell’ambulanza dismessa erano state rimosse, anni prima del 2006.[23]
- Implicazioni per scienza, democrazia e diritti umani
La regione del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA) è diventata un focolaio di rivolte, ribellione e risentimento guidato da molte persone che si sono sentite a lungo disilluse e private dei diritti civili dai loro regimi al potere. Ciò si incarna nello scoppio di proteste soprannominate “Primavera araba”, che ha sconvolto i sistemi di comando e controllo usati dagli autocrati locali per mantenere il potere.
Diversi decenni di privazione socio-economica hanno causato proteste antigovernative spontanee, scatenate da giovani dissenzienti frustrati dalla disoccupazione e dalla privazione dei diritti civili, contro i dittatori nella regione MENA. La disoccupazione giovanile nella regione corrisponde a diverse cause che includono, tra l’altro, la demografia; bassa crescita e poca diversificazione economica; un sistema educativo inefficiente; un processo di urbanizzazione e cattiva governance. Questi sono fattori che, a lungo andare, hanno plasmato una protesta coesa di enorme portata.
Con l’inizio della Primavera araba, è stato possibile percepire una crescente coscienza politica tra le masse, in particolare i giovani, che chiedono un nuovo contratto sociale volto al raggiungimento della dignità umana, dei diritti civili e della giustizia sociale attraverso la disobbedienza civile non violenta.
Il tema più ampio, che va dal disordine sociale e dalla privazione politica al fallimento dei sistemi educativi e alla crisi d’identità, è sempre più associato al riconoscimento dell’influenza delle tecnologie sociali emergenti. Tre aspetti della Primavera araba in particolare si intrecciano: l’impatto effettivo delle diverse tecnologie di comunicazione moderne; la disoccupazione giovanile e l’economia nazionale; e le libertà, i diritti umani e la giustizia sociale. Nel loro insieme, questi aspetti sono fondamentali per analizzare la leva della situazione socio-politica, ad esempio, in Libia e in Siria. I social media e altre tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono stati spesso considerati l’importante forza trainante dietro le rivolte arabe. Si è addirittura arrivati al punto di sostenere che la tecnologia moderna sia l’unico strumento in grado di portare un cambiamento sociale, o comunque che sia uno degli strumenti critici più efficaci per alterare lo status quo. Ma i social media e l’ICT da soli non portano cambiamento sociale né rendono possibile la rivolta; piuttosto, è lo sforzo collettivo concertato delle persone che materializza le rivoluzioni.
Sebbene i social media abbiano conferito potere ai giovani in MENA, sono una causa prossima piuttosto che sottostante per le rivolte, che richiedono ancora una partecipazione di base ben organizzata. Evidenti sono i vincoli dei social media in questo ambito: come le proteste, i nuovi media sono più in grado di abbattere un regime che di costruire un nuovo sistema. Inoltre, i governi stessi possono sfruttare la tecnologia altrettanto bene per reprimere i diritti e la libertà di espressione. Per questo viene considerata errata la convinzione che la tecnologia stessa possa guidare cambiamenti sociali. Ma i social media sono in grado di aumentare i diritti umani in modi senza precedenti perché hanno esposto i giovani a questi ideali, conferendo loro un maggiore senso di scelta.[24]
La scienza e la tecnologia aumentano le capacità degli Stati e delle società di ottenere e trasformare le risorse necessarie per il loro sviluppo e avanzamento. D’altro canto, la mancanza di conoscenze scientifiche e di accesso alla tecnologia non solo influisce sul livello di sviluppo di un Paese, ma mette anche a rischio la sua sicurezza nazionale. L’interdipendenza della sicurezza implica che la sicurezza di uno Stato sia strettamente legata alla sicurezza degli altri Stati e specialmente dei suoi vicini. La sicurezza o l’insicurezza di uno Stato può avere un impatto considerevole non solo sulla sicurezza dei suoi vicini immediati, ma anche sulla sicurezza dell’intera regione.
La tecnologia, in quanto fattore che influisce sulla sicurezza nazionale, è strettamente correlata alla crescita della popolazione. Maggiore è la crescita della popolazione e maggiore è la probabilità che le sue attività e interessi oltre i suoi confini si espandano. Inoltre, maggiore è la crescita demografica e meno rapido è lo sviluppo tecnologico di un Paese; e maggiore è la probabilità che affronti significativi problemi socio-economici e instabilità.[25]
In quanto motore della crescita, il potenziale della tecnologia è ancora largamente inutilizzato in Medio Oriente, dove gli Stati non solo mancano di manodopera qualificata e capitale adeguati, ma utilizzano anche questi fattori in modo meno efficiente. Pertanto, risulta rilevante capire l’impatto della scienza e della tecnologia sulla sicurezza nazionale e regionale in Medio Oriente.
L’opinione comune è che la tecnologia e lo sviluppo siano fortemente legati e che la tecnologia funga da indicatore chiave dello sviluppo nazionale. In realtà, tuttavia, il cambiamento tecnologico è spesso altamente problematico per quanto riguarda le sue implicazioni socio-economiche e ambientali in quanto può esacerbare la disuguaglianza, lo sviluppo irregolare, il degrado ecologico e/o l’esclusione sociale. Una comprensione critica delle dinamiche, delle implicazioni e delle distribuzioni geograficamente disomogenee della tecnologia e del cambiamento tecnologico è quindi una componente importante degli studi e della pratica di sviluppo. In generale, la tecnologia è profondamente radicata nei sistemi sociali, culturali, economici e politici. A causa della sua diffusione spaziale, la tecnologia ha aree geografiche di utilizzo, importanza e impatto non uniformi.[26]
Per quanto riguarda lo sviluppo, la tecnologia è vista come un motore essenziale e determinante del cambiamento socioeconomico, culturale, ambientale e politico. Dal punto di vista economico, la tecnologia può aumentare la produttività nazionale migliorando l’efficienza della produzione e della logistica, incoraggiando e potenziando al contempo l’innovazione e la creazione di conoscenza. In alternativa, la tecnologia può esacerbare le differenze socioeconomiche e creare uno sviluppo irregolare all’interno e tra Paesi e regioni. Culturalmente, la tecnologia ha un effetto profondo sulle norme e sulle identità che aiutano a costituire particolari gruppi sociali. Dal punto di vista ambientale, la tecnologia può contribuire in modo significativo a società più verdi e sostenibili o esacerbare il degrado ecologico attraverso impatti intensificati o estesi a livello locale e globale. Politicamente, la tecnologia può avere effetti democratizzanti (ad esempio le rivoluzioni di Facebook in Medio Oriente) o può facilitare forme rafforzate di repressione o sorveglianza da parte delle autorità statali.[27]
La scienza e la tecnologia sono fattori chiave dello sviluppo. Questo perché le rivoluzioni e le innovazioni tecnologiche e scientifiche sono alla base dei progressi economici e contribuiscono al miglioramento dei sistemi sanitari, dell’istruzione e delle infrastrutture. Pertanto, gli sviluppi della scienza e della tecnologia hanno effetti profondi sullo sviluppo economico e sociale.
Oltre a costituire una questione politica saliente, l’accesso e l’applicazione della tecnologia sono fondamentali per lo sviluppo di un Paese. Allo stesso modo, l’accesso a un’istruzione di alta qualità, in particolare all’istruzione superiore, è essenziale per la creazione di conoscenza scientifica. La scienza e la tecnologia sono fattori di differenziazione che separano i Paesi che sono in grado di affrontare efficacemente la povertà attraverso la crescita e lo sviluppo delle loro economie e quelli che non lo sono. Il livello di sviluppo economico dei Paesi dipende in larga misura dalla loro capacità di cogliere e applicare intuizioni dalla scienza e dalla tecnologia e utilizzarle in modo creativo. Per promuovere i progressi tecnologici, i Paesi in via di sviluppo devono investire nell’istruzione di qualità per i giovani, nella formazione continua delle competenze per lavoratori e dirigenti, nonché per garantire che la conoscenza sia condivisa il più possibile nella società. Inoltre, l’adozione di tecnologie appropriate porta direttamente a una maggiore produttività, che è la chiave della crescita.
Quindi, in presenza di molte esigenze e richieste sociali, economiche e di difesa, l’accesso a un’istruzione di qualità così come l’adozione e l’applicazione di tecnologie appropriate non costituiscono solo una questione politica ma anche una questione di priorità politiche. Inoltre, entrambe queste domande sono legate allo sviluppo politico di un Paese.
È stato dimostrato che esiste una stretta relazione tra settori di sviluppo e settori della sicurezza, nel senso che l’assenza o la presenza di sviluppo in un particolare settore influisce sulla sicurezza e viceversa. Ad esempio, lo sviluppo politico è legato alla sicurezza politica, mentre lo sviluppo economico è legato alla sicurezza economica. Di conseguenza, la mancanza di sviluppo politico ha il potenziale per aumentare l’insicurezza politica. Quindi la sicurezza nazionale diventa inestricabilmente connessa allo sviluppo nazionale, e ciò significa che né lo sviluppo può essere raggiunto senza sicurezza, né la sicurezza può essere raggiunta senza sviluppo.[28]
L’instabilità politica in un Paese può derivare dall’incapacità del governo nazionale di promuovere lo sviluppo economico e creare meccanismi di welfare sostenibili ed efficaci, o dalla sua incapacità di gestire il cambiamento sociale e politico in un periodo di rapida crescita economica. In questo, lo sviluppo politico sembra essere fondamentale: qualunque siano i benefici a lungo termine della modernizzazione, il suo impatto a breve termine tende a portare più instabilità e talvolta violenza.[29] Pertanto si evidenzia la necessità di stabilire istituzioni in grado di gestire le tensioni socio-politiche e prevenire la loro escalation nella violenza che può minacciare la sicurezza dello Stato e dei suoi cittadini.
Tuttavia, poiché gli Stati in via di sviluppo hanno attributi sociali, economici e politici ampiamente divergenti, questa diversità implica l’assenza di una formula politica unica che potrebbe applicarsi senza distinzione a qualsiasi stato in via di sviluppo.
Nel corso dei secoli, i progressi scientifici e tecnologici hanno ripetutamente consentito alle potenze straniere di interferire con il funzionamento delle economie mediorientali, nonché di minare la sicurezza dei Paesi meno avanzati della regione.
Ci sono tre ragioni principali per cui i Paesi del Medio Oriente sono in ritardo in termini di tecnologia e conoscenza scientifica: la loro perdita di sistemi commerciali e di trasporto, gli effetti della rivoluzione industriale sulle economie arabe, e gli effetti politici ed economici dei processi di colonizzazione e neo-colonizzazione.[30]
I Paesi arabi sono vicini al livello di attività del mondo in via di sviluppo, ma molto al di sotto dei livelli dei Paesi industriali. Pertanto, sebbene la produzione possa essere comparabile, l’applicazione dei risultati scientifici è più limitata rispetto ad altri grandi Paesi in via di sviluppo dove non esistono barriere politiche o economiche alla circolazione di idee e competenze.[31]
Poiché i mercati nazionali per i servizi tecnologici sofisticati di ogni stato arabo sono piccoli, qualsiasi sforzo serio per trasferire tecnologia deve implicare una sostanziale cooperazione economica, ma finora non sono stati compiuti sforzi significativi per implementare la cooperazione interaraba nella tecnologia.
In presenza di competenze e know-how stranieri, la costruzione di impianti petrolchimici, raffinerie e impianti di dissalazione dell’acqua rientra nelle capacità delle organizzazioni arabe. Le aziende arabe non mancano né delle competenze tecniche, né delle risorse naturali, finanziarie o umane per intraprendere tali progetti. Ciò che manca è una varietà di altri input, come servizi di supporto finanziario, legale e tecnico che i governi non mettono a disposizione delle loro organizzazioni nazionali.
La disoccupazione, l’alienazione, l’emarginazione e l’intensificarsi dei disordini civili e della violenza sono tutti indicatori diretti o indiretti dell’assenza di una politica scientifica integrata e dell’impatto di tale assenza sulla vita economica del mondo arabo.[32]
Nel settore militare, l’oggetto di riferimento della sicurezza è principalmente lo Stato. La rilevanza della scienza e della tecnologia per la sicurezza militare è evidenziata dalla necessità degli Stati di produrre sistemi d’arma necessari per la difesa nazionale. Non è un caso che, a causa degli attuali conflitti nella regione, l’obiettivo principale di molti Stati del Medio Oriente sia l’accesso alle tecnologie militari. Gli Stati che dispongono della tecnologia necessaria per produrre i propri sistemi d’arma si trovano in una posizione migliore di quelli che devono importare armi. Questo non è solo per ragioni economiche, ma anche perché possono dipendere meno politicamente dai Paesi fornitori di armi.
Quando si tratta di raggiungere l’autosufficienza militare in Medio Oriente, il trasferimento di tecnologia e l’espansione della produzione locale per l’esportazione internazionale sono obiettivi comuni dei Paesi di tutto il quadrante.[33] Infatti, nei loro contatti con i maggiori produttori occidentali di equipaggiamento militare, alcuni Stati del Medio Oriente dichiarano che se i fornitori occidentali di equipaggiamento militare vogliono lavorare con le aziende arabe locali, devono trasferire le conoscenze tecniche al loro settore della difesa locale in crescita. Tuttavia, spesso gli Stati regionali non hanno la capacità di assorbire la conoscenza in tecnologia militare, non solo a causa della carenza di cittadini nell’industria della difesa, ma anche a causa dell’accesso limitato a laureati in scienze, ingegneria e matematica.[34]
Nel settore politico, le minacce alla sicurezza possono derivare dall’insoddisfazione delle persone per le politiche governative o dai tentativi dei governi di esercitare uno stretto controllo sui propri cittadini nel loro sforzo di mantenere il potere. La sorveglianza e altre tecnologie relative al controllo nelle mani dei governi, come il controllo sui mass media e sulla stampa, mostrano l’importanza della tecnologia per la sicurezza politica. D’altra parte, le recenti rivolte arabe hanno dimostrato che le tecnologie di comunicazione, come Facebook e i telefoni cellulari, possono essere efficacemente utilizzate per organizzare e coordinare la resistenza popolare al governo.[35]
In particolare, sebbene i messaggi di testo siano stati ampiamente utilizzati durante la primavera araba, hanno avuto un effetto limitato e non hanno portato a un cambiamento politico diretto.[36] Come strumento, questo aiutava le persone a comunicare e coordinarsi, ma l’impatto era indiretto. Anche la TV satellitare ha avuto effetti più deboli e variabili. Ciò che ha fatto la grande differenza è stato l’uso dei telefoni cellulari, che hanno costantemente fornito un dispositivo di acquisizione di immagini e video. Chiunque possieda un telefono cellulare può documentare e trasmettere filmati istantaneamente. Senza cellulari con fotocamera, gli unici attori in grado di documentare le rivolte del 2011 sarebbero stati giornalisti professionisti la cui copertura è solitamente carente in situazioni dinamiche come la Primavera araba. La tecnologia dei telefoni cellulari ha anche aiutato a includere i cittadini che stavano guardando lo svolgersi degli eventi, mentre vedevano video e immagini catturati da cittadini normali, mobilitando individui che sentivano di poter prendere parte alle proteste e avere una voce politica. Anche i social media e internet hanno avuto un impatto significativo sull’esito delle rivolte arabe, in quanto hanno offerto ai manifestanti uno spazio per esprimere e sviluppare punti di vista politici non ostacolati dai regimi. Questo perché i siti di social networking come Facebook hanno caratteristiche strutturali che promuovono la partecipazione e la mobilitazione.[37]
D’altra parte, la primavera araba ha dimostrato che si è rivelato piuttosto pericoloso essere amici di critici del regime su Facebook. Ad esempio, l’Esercito elettronico siriano (SEA) è stato istituito per condurre una guerra online contro gli oppositori di Assad: SEA ha attaccato siti nazionali e obiettivi internazionali, come l’account Twitter di Associated Press. La tecnologia, tuttavia, ha una lunga storia di utilizzo nei movimenti rivoluzionari in Medio Oriente. Si possono tracciare paralleli con la Rivoluzione dei cedri del 2005 in Libano, dove si sono verificate proteste dopo l’uccisione del primo ministro libanese. I cittadini hanno chiesto un’indagine e il ritiro delle truppe siriane dal Paese.[38]
Un ultimo aspetto dell’impatto di internet sui conflitti in Medio Oriente riguarda l’utilizzo dei social media per il reclutamento jihadista. Il fenomeno è particolarmente rilevante nei casi di auto-radicalizzazione, in cui gli individui vengono attratti dal richiamo della propaganda estremista, prodotta da siti specifici. Trascinate nei circoli dell’ISIS, alcune reclute informatiche compiono atti violenti come lupi solitari, mentre altre si recano in Medio Oriente per combattere per il califfato.
D’altra parte, il perseguimento della ricerca e dello sviluppo militare ha impedito ad alcuni Stati del Medio Oriente di investire nella loro economia civile. Tuttavia, quando la tecnologia non può supportare lo sviluppo economico, le minacce economiche possono anche aumentare l’instabilità interna. Il legame tra stabilità economica e politica genera una serie di domande sullo sviluppo, che possono essere viste come questioni di sicurezza nazionale. Ad esempio, alcuni Stati del Medio Oriente che non sono produttori efficienti si trovano bloccati in un ciclo di povertà e sottosviluppo da cui non c’è via d’uscita evidente. Quindi, i governi di quegli Stati si trovano a dover scegliere tra investire in nuove tecnologie e creare conoscenza a scapito dell’abbassamento degli standard di vita già molto bassi.
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) costituiscono uno dei settori in più rapida crescita in Medio Oriente. Tuttavia, la maggior parte dei Paesi del Medio Oriente non ha mostrato segni di imminenti rivoluzioni informatiche. La proliferazione e l’impiego sempre più sofisticato delle ICT dipendono in modo critico da fattori economici, nonché dalla natura del governo e dal suo ruolo nello sviluppo. Ad eccezione di Israele e Turchia, ogni altro Paese della regione è carente dei fattori economici necessari o della partecipazione del governo.[39]
Infine, anche nel settore ambientale la scienza e la tecnologia diventano estremamente rilevanti per la necessità di avere un uso efficiente delle risorse naturali e per proteggere l’ambiente. L’aridità generale del Medio Oriente ha motivato alcuni dei Paesi più ricchi a cercare soluzioni tecnologiche al loro fabbisogno idrico. Grazie a investimenti sostenuti nella ricerca, sono diventati esperti nella desalinizzazione dell’acqua, nel riciclo dell’acqua e nell’energia solare. I Paesi poveri di petrolio della regione però non possono permettersi tali tecnologie avanzate e rimangono dipendenti da risorse idriche più tradizionali. Tuttavia, la necessità di garantire l’accesso all’acqua ha portato all’utilizzo di tecnologie legate alla costruzione per creare dighe. Sfortunatamente, mentre queste dighe regolano il flusso d’acqua verso i terreni coltivati, generano elettricità vitale e forniscono acqua potabile, introducono anche problemi ambientali che hanno gettato un’ombra sul loro successo complessivo. Poiché i principali fiumi della regione non straripano più, con la conseguenza di non produrre fertilizzanti naturali, gli agricoltori a valle sono costretti a utilizzare enormi quantità di fertilizzanti artificiali, che a loro volta inquinano i fiumi.
In conclusione, la dipendenza tecnologica dei Paesi arabi ha accresciuto la loro vulnerabilità alle interferenze esterne e ridotto la loro integrazione nazionale interna. I Paesi del Mediterraneo orientale, però, possiedono enormi risorse umane, strategiche e naturali, che, se gestite in modo efficiente e utilizzate in modo efficace, potrebbero indurre un rapido cambiamento economico. Ma queste risorse spesso non possono essere utilizzate in ambito socioeconomico a causa del sottosviluppo delle istituzioni nazionali e regionali. In altre parole, lo sviluppo socioeconomico è difficile da raggiungere in assenza di un livello adeguato di sviluppo politico. Pertanto, risulta fondamentale stabilizzare i sistemi politici, adottando un’economia politica orientata alla performance e introducendo una politica scientifica e tecnologica appropriata.
Le tre sfide principali da affrontare saranno quindi: pressione demografica, aumento globale delle fonti di petrolio e gas e diminuzione della produttività del lavoro.
La crescente pressione demografica ridurrà le risorse disponibili e sarà necessario intraprendere riforme economiche. Entro il 2050, un aumento previsto di circa 400 milioni di abitanti porterà la popolazione totale dell’area a circa 700 milioni. La metà di questi avrà meno di 18 anni. Questa giovane popolazione potrebbe essere una forza importante per un cambiamento positivo e creativo se fornita di un’istruzione e una formazione adeguate. L’assenza di politiche tecnologiche adeguate, tuttavia, potrebbe trasformare questa popolazione abbondante e giovane in una forza dirompente e destabilizzante. A questo, si può aggiungere il fatto che il numero crescente di fonti di gas e petrolio in tutto il mondo sta riducendo il reddito dei Paesi arabi e aumentando il costo delle importazioni. Inoltre, l’aumento della produttività del lavoro nei Paesi di nuova industrializzazione sta riducendo l’attrattiva dei Paesi del Mediterraneo orientale per gli investimenti diretti esteri. La maggior parte dei subappalti in queste aree ora è per attività a basso valore aggiunto e con bassa tecnologia. In altre parole, fattori interni ed esterni non sono favorevoli alla promozione dello sviluppo tecnologico in Medio Oriente.
Per promuovere i progressi tecnologici, i governi del Medio Oriente dovrebbero investire nell’istruzione di qualità per i giovani, nella formazione continua delle competenze per lavoratori e dirigenti e dovrebbero garantire che la conoscenza sia condivisa il più ampiamente possibile in tutta la società. Particolare attenzione dovrebbe essere riservata al miglioramento del clima degli investimenti, che è fondamentale per guidare l’allocazione delle risorse e per incoraggiare la ricerca e lo sviluppo.
I benefici derivanti dalla rivoluzione tecnologica in un mondo sempre più connesso e ad alta intensità di conoscenza saranno colti da quei Paesi che sono sensibili e reattivi all’ambiente, in rapida evoluzione e abbastanza agili da sfruttare le opportunità. Chi avrà successo farà progressi sostanziali nella riduzione della povertà e della disuguaglianza. Coloro che non lo faranno, dovranno affrontare un’enorme insicurezza interna e si trasformeranno in una minaccia per i loro vicini e per la regione in cui sono inseriti.
- Sfide future all’autoritarismo digitale
La crescita dell’economia digitale in Medio Oriente e Nord Africa potrebbe diventare una delle soluzioni chiave alla crisi della disoccupazione giovanile nella regione. I governi della regione non hanno ancora adottato misure per creare un ambiente in cui le startup tecnologiche possano prosperare. Inoltre, devono superare sfide come i difetti nei loro sistemi educativi, l’inefficienza burocratica e la mancanza di fondi per le nuove imprese. C’è poi da considerare che la digitalizzazione non solo crea nuove opportunità di occupazione e partecipazione politica, ma consente anche l’autoritarismo digitale nella regione. L’Europa, in questo ambito può aiutare a costruire l’infrastruttura digitale della regione, anche al fine di impedire alla Cina di diffondere il suo modello di governance di internet. Per questo, l’Unione Europea dovrebbe sostenere la spinta alla digitalizzazione in Medio Oriente e Nord Africa attraverso regolamentazione, sviluppo di capacità e finanziamenti.
I Paesi del mondo arabo non sono riusciti a creare abbastanza posti di lavoro per la loro crescente popolazione in età lavorativa. Di conseguenza, con circa 300 milioni di persone sotto i 24 anni, il Medio Oriente e il Nord Africa continuano a soffrire di una crisi di disoccupazione giovanile. I problemi socio-economici che ne derivano hanno contribuito ai violenti conflitti e alle lotte civili che continuano a scuotere la regione.
Molti Paesi arabi dipendono da tempo dagli idrocarburi, ma un maggiore accesso a internet potrebbe fornire le basi per un nuovo futuro economico. Mentre i governi di tutta la regione implementano strategie di diversificazione economica, il suo settore tecnologico ha il potenziale per trasformare l’economia.
Una trasformazione digitale di questo tipo potrebbe dare potere alle generazioni attuali e future, fornendo loro opportunità di lavoro e nuove forme di partecipazione civile.
Ci sono già stati successi nel settore tecnologico del mondo arabo, anche se su scala relativamente ridotta. L’app di Ride-hailing Careem e il mercato online Souq – che Uber e Amazon hanno recentemente acquistato rispettivamente per 3,1 miliardi e 580 milioni di dollari – hanno messo l’industria tecnologica del Medio Oriente sulla strada degli investitori globali.
L’introduzione del 5G in tutta la regione, ad esempio, promette di aprire una nuova frontiera digitale. Tuttavia la digitalizzazione, ovvero l’uso delle tecnologie digitali per trasformare le pratiche aziendali e le attività quotidiane, deve affrontare numerose sfide. Sebbene sia l’uso di smartphone sia i tassi di penetrazione di internet siano aumentati drasticamente negli ultimi dieci anni, raggiungendo oltre il 65% della popolazione della regione, secondo alcune stime, ciò non si è ancora tradotto in lavori digitali. E, nonostante tutto il clamore, il 5G potrebbe non rivelarsi il punto di svolta positivo che molti osservatori sperano.
La digitalizzazione infatti è un’arma a doppio taglio. Sebbene possano migliorare la trasparenza e la responsabilità, le nuove tecnologie possono anche fornire ai regimi autoritari nuovi mezzi per monitorare i cittadini e reprimere il dissenso. Inoltre, la digitalizzazione è intrecciata con la geopolitica. Come dimostrano la guerra commerciale USA-Cina e l’interferenza russa nelle elezioni statunitensi del 2016, la battaglia per la supremazia tecnologica è un affare profondamente politico, in particolare in relazione al 5G. Il mondo arabo sta emergendo come un campo di battaglia chiave sotto entrambi gli aspetti.
È necessario quindi analizzare i modi in cui i Paesi della regione hanno intensificato i loro sforzi di digitalizzazione negli ultimi anni. Un esempio da seguire potrebbero essere gli Emirati Arabi Uniti, il principale hub dell’economia digitale nel mondo arabo, che mira a diventare un centro globale di innovazione tecnologica. O la Giordania, uno dei primi promotori della regione nelle startup tecnologiche, che ha anche stanziato risorse significative per stimolare la crescita economica attraverso la digitalizzazione e ha creato il primo ministero dell’economia digitale del mondo arabo. Entrambi i Paesi sono alleati strategici dell’Europa e degli Stati Uniti. Bisognerebbe chiedersi quanto l’esempio di questi Paesi possa influire sugli altri attori del Mediterraneo orientale.
Gli Stati europei hanno un forte interesse a stabilizzare il Medio Oriente e il Nord Africa, in particolare a prevenire l’emergere di gruppi terroristici e conflitti vicino ai loro confini. Contribuire al successo economico della regione – attraverso misure come finanziamenti per la stabilizzazione, aiuti e iniziative per l’occupazione giovanile – è una componente chiave di questo sforzo. Dato che il sostegno all’economia digitale del mondo arabo è un elemento importante e poco esplorato del processo, l’UE dovrebbe riflettere maggiormente su come può sostenere la digitalizzazione in Medio Oriente e Nord Africa, nonché integrarla ulteriormente nelle sue politiche di sviluppo, utilizzando la sua posizione di leader mondiale nella regolamentazione per aiutare i Paesi del mondo arabo a costruire quadri politici che rafforzino l’economia digitale.
La Banca mondiale stima che il Medio Oriente e il Nord Africa debbano creare 300 milioni di posti di lavoro entro il 2050 se vogliono soddisfare le esigenze occupazionali dei suoi giovani. Consentendo al settore pubblico di diventare la principale fonte di occupazione, i governi di molti Paesi della regione hanno indebolito il settore privato.
Sotto pressione per trovare fonti alternative di occupazione per le loro popolazioni in crescita, questi governi si stanno ora concentrando sull’imprenditorialità e sull’innovazione per diversificare l’economia, promuovere la crescita e ridurre la disoccupazione, vedendo sempre più la digitalizzazione come un mezzo promettente per raggiungere questo obiettivo.
La tendenza al rialzo dei tassi di penetrazione di internet, comunque ancora molto variabili in base al Paese considerato, è guidata dal calo dei costi degli smartphone e dell’accesso a internet mobile. Tuttavia, finora, gli sforzi dei governi per promuovere una cultura dell’imprenditorialità hanno creato troppi pochi posti di lavoro. Gli economisti della Banca Mondiale Rabah Arezki e Hafez Ghanem sostengono che, sebbene internet e i dispositivi portatili siano onnipresenti in tutta la regione, sono attualmente utilizzati per accedere ai social media, piuttosto che per lanciare nuove imprese.
Allo stesso modo, molte delle strategie di digitalizzazione messe in atto dai governi arabi rischiano solo di ridurre la disoccupazione giovanile nel medio e lungo termine e, anche in questo caso, richiederanno miglioramenti nelle infrastrutture per le startup e la rimozione delle barriere all’ingresso nei mercati regionali.[40]
In realtà non vi è consenso sull’impatto di un maggiore accesso a internet sulla creazione di posti di lavoro. Uno studio della Banca mondiale pubblicato nel 2018 sostiene che lo sviluppo dell’accesso a banda larga avrebbe un effetto positivo sulla creazione di posti di lavoro a breve termine, rilevando che i suoi effetti a lungo termine sono più complessi. Lo sviluppo della banda larga crea sia posti di lavoro diretti per costruire l’infrastruttura, sia posti di lavoro indiretti e indotti da questa attività, e sia posti di lavoro aggiuntivi per le esternalità e delle ricadute della rete a banda larga.
Tuttavia, c’è poco lavoro accademico sull’impatto della digitalizzazione sull’economia globale, inclusa la creazione di posti di lavoro in Medio Oriente e Nord Africa. Vari esperti di digitalizzazione intervistati dall’ECFR hanno espresso scetticismo sul potenziale del settore digitale di diventare un importante datore di lavoro in questi Paesi.
Per convertire il crescente accesso a internet in crescita economica e occupazione, la Banca mondiale ha lanciato nel 2019 l’iniziativa Mashreq 2.0 (concentrata su Giordania, Libano e Iraq), che si avvicina alla trasformazione digitale come un’opportunità per aiutare ad affrontare le sfide più imminenti della Regione. Supporta questi Paesi con prestiti e l’iniziativa Skilling Up Mashreq, che mira a fornire a 500.000 donne e giovani uomini competenze digitali entro il 2022. La Banca mondiale fornirà anche consulenza su aree come infrastrutture, innovazione e riforma del settore della banda larga.
Anche un passaggio verso il cloud può promuovere la trasformazione digitale e la creazione di posti di lavoro nella regione. Ad esempio, uno studio di Microsoft e dell’International Data Corporation prevede che il cloud e l’ecosistema Microsoft creeranno più di 500.000 posti di lavoro in Medio Oriente entro il 2022. Un alto dirigente di Amazon Web Services aveva dichiarato a settembre 2019 che molti dei 30.000 lavoratori che l’azienda intende assumere avranno sede in Medio Oriente.
Con la natura dell’occupazione che cambia in Medio Oriente e Nord Africa (come altrove), vi sono preoccupazioni diffuse che la digitalizzazione possa comportare una perdita netta di posti di lavoro. Un rapporto del 2018 del World Government Summit ha rilevato che la tecnologia esistente potrebbe automatizzare il 45% delle attuali attività lavorative, risparmiando centinaia di miliardi di dollari di salari in Paesi come l’Egitto.
Tuttavia, lo stesso rapporto stima che, nel medio-lungo termine, gli aumenti della produttività del lavoro associati possano anche essere un motore per la crescita e la creazione di nuovi posti di lavoro come nei precedenti cicli di innovazione, e che la maggior parte di questi lavori sarebbe al di fuori del settore tecnologico stesso.
Al di là dei numeri, la digitalizzazione sta cambiando anche il modo in cui le persone lavorano qualitativamente. Ad esempio, le tecnologie di comunicazione avanzate consentono alle persone di lavorare da remoto, riducendo così i costi logistici.
Tali conclusioni trovano eco in un rapporto pubblicato da LinkedIn, che aveva già classificato il software engineer come figura lavorativa emergente più popolare in Medio Oriente e Nord Africa tra il 2013 e il 2017. LinkedIn ha anche identificato l’analista di dati come ruolo professionale emergente nella regione tra il 2018 e il 2022. Allo stesso modo, la tecnologia dell’informazione è stato il secondo settore più popolare nel sito web di lavoro Bayt, per Medio Oriente e Nord Africa, nel 2018 (dopo petrolio e gas).
Esistono diverse stime sulla misura in cui la trasformazione digitale può dare impulso alle economie in Medio Oriente e Nord Africa. Secondo un rapporto di GSMA (un’associazione che rappresenta gli operatori di telecomunicazioni mobili), le tecnologie e i servizi mobili hanno creato un valore di quasi 165 miliardi di dollari in Medio Oriente e Nord Africa nel 2017. Il rapporto prevede che la regione vedrà il tasso di crescita più veloce di qualsiasi altra regione (eccetto l’Africa subsahariana). Nel 2016 McKinsey ha stimato che un mercato digitale unificato in Medio Oriente, con 160 milioni di potenziali utenti mobili entro il 2025, potrebbe aumentare il PIL di circa 95 miliardi di dollari all’anno. Inoltre, un aumento del 10% dell’accesso alla banda larga aumenterebbe la crescita del PIL fino all’1,4% e migliorerebbe l’integrazione commerciale.
Secondo uno studio, i progressi nella tecnologia dell’intelligenza artificiale aumenteranno anche il PIL del Medio Oriente, fino a 320 miliardi di dollari tra il 2018 e il 2030. Si prevede che tale tecnologia faciliti la produzione di una gamma di prodotti, inclusi veicoli autonomi, robot utilizzati nel settore sanitario e sorveglianza video automatizzata.
Alcuni esperti ritengono che il 5G, che garantisce velocità di trasferimento dati almeno 20 volte superiori al 4G, sarà al centro di tali sviluppi, inaugurando una quarta rivoluzione industriale nella regione.
Questa tecnologia influenzerà non solo il consumo dei media da parte dei cittadini, ma anche settori come quello manifatturiero. Ad esempio, la creazione di fabbriche intelligenti consentirebbe a vari sistemi su una linea di produzione di comunicare tra loro e di adattarsi in tempo reale, con un intervento umano minimo. Altre applicazioni pianificate del 5G vanno dall’intrattenimento alla tecnologia dei droni alla chirurgia remota e alla robotica.
Presi insieme, i trasferimenti di dati 5G, l’elaborazione dei dati su larga scala abilitata dall’intelligenza artificiale e la grande quantità di dati raccolti dai dispositivi connessi tramite l’internet delle cose miglioreranno i processi decisionali delle aziende. Una politica che consenta trasferimenti su larga scala di informazioni non personali aiuterebbe gli sforzi dei Paesi per promuovere l’innovazione. Tuttavia, l’elaborazione dei big data solleva questioni relative ai diritti umani, in quanto può consentire ai governi autoritari di monitorare da vicino i cittadini.
Nel 2019 per la prima volta, l’Egitto – la cui popolazione è salita a più di 100 milioni di abitanti – ha siglato un numero maggiore di accordi per startup rispetto a qualsiasi altro Paese nel mondo arabo, conquistando il 25% di tutti questi accordi grazie al sostegno sia privato che pubblico per il settore.
Il Libano, tra i primi ad adottare e promuovere l’imprenditorialità nel mondo arabo, ha assistito a una leggera diminuzione del numero annuale di accordi di avvio, stabilizzandosi al quarto posto. Questo calo sembra in parte dovuto all’aumento dei disordini civili nell’ultimo trimestre del 2019.
Eppure il concetto di startup non è nuovo nella regione. Il provider di servizi di posta elettronica Maktoob, il primo a offrire supporto gratuito in arabo per le e-mail, era stato lanciato nel 1999 e acquisito da Yahoo nel 2009. Tuttavia, sono state le acquisizioni di Souq e Careem a mettere sotto i riflettori la scena delle startup mediorientali. Quest’ultimo rimane il più grande accordo tecnologico privato nella storia del Medio Oriente e del Nord Africa. D’altra parte, anche Israele è presente con startup che attirano investitori da Stati Uniti, Europa, Cina e Golfo.
Anche aziende tecnologiche americane come Microsoft e Amazon Web Services hanno aumentato la loro presenza nel mondo arabo negli ultimi anni creando data center e strutture di cloud storage. Il miglioramento dell’infrastruttura digitale locale sarà fondamentale per gli sforzi dei governi regionali per raggiungere i loro obiettivi di trasformazione digitale.
C’è poi un altro aspetto da considerare: dato che molti dei suoi abitanti non hanno accesso ai servizi bancari tradizionali, il Medio Oriente e il Nord Africa potrebbero trarre grandi vantaggi dalla crescita del settore fintech (tecnologia finanziaria). Sebbene il contante rimanga il metodo di pagamento preferito dai cittadini, si prevede che il numero di società fintech nella regione continuerà a crescere rapidamente nei prossimi anni. Ciò potrebbe ridurre notevolmente i costi di transazione nel settore finanziario.[41]
Stati come l’Egitto hanno anche lanciato iniziative pubbliche e private per rafforzare i loro nascenti settori fintech. Ma, affinché questo abbia un impatto profondo sulla regione, i governi dovranno apportare modifiche legislative che consentano ai nuovi arrivati di entrare più facilmente nel mercato e quindi di interrompere il sistema bancario consolidato.
Se si vuole far crescere l’economia digitale e fare un uso efficace dei molti giovani informatici della regione, i governi dovranno affrontare diverse carenze delle loro strategie di digitalizzazione. Come parte di ciò, bisognerebbe semplificare il processo normativo per le nuove imprese digitali, migliorare l’infrastruttura digitale su cui fanno affidamento le startup e aumentare gli investimenti pubblici e privati nella formazione all’alfabetizzazione digitale.
Molti imprenditori della regione sottolineano la difficoltà di ottenere finanziamenti per le loro startup digitali, soprattutto in una fase iniziale. Questo nonostante il maggiore accesso al capitale di rischio che hanno avuto negli ultimi anni con la maturazione della scena delle startup.
Molte startup tecnologiche nel mondo arabo hanno sviluppato le loro innovazioni in modelli di business di successo nel mercato locale, come si è visto, ad esempio, con l’app di consegna di cibo Talabat. Tuttavia, finora il Medio Oriente è stato un “consumatore di innovazione”, più che un creatore.[42] Una strategia di trasformazione digitale di successo richiederà maggiori investimenti nel capitale umano. Al momento, il sistema educativo nei Paesi arabi non prepara adeguatamente gli studenti a partecipare all’economia digitale, con le scuole pubbliche che spesso si concentrano sull’apprendimento meccanico piuttosto che sul pensiero critico o sulle competenze tecnologiche aggiornate. Alcuni Stati della regione hanno cercato di insegnare agli studenti competenze informatiche sin dalla tenera età, ma il rapido ritmo dei nuovi sviluppi nella tecnologia dell’informazione e della comunicazione rappresenta una sfida per il settore dell’istruzione anche in questi casi.
A questo problema si aggiunge il fatto che poche donne nella regione perseguono carriere nel campo della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria o della matematica e che in molti Paesi vi è un crescente divario di genere nell’accesso a internet. Inoltre, sebbene molti governi arabi abbiano reso l’accesso a internet più semplice, hanno continuato a limitare i contenuti online – attraverso la censura – in modi che riducono i potenziali benefici della digitalizzazione.[43]
Un altro fattore è la relativa mancanza di infrastrutture in Medio Oriente e Nord Africa, che si riflette nel numero insufficiente di punti di scambio internet (IXP). Questi punti aumentano la velocità di internet, supportando così il 5G e l’internet delle cose. In quanto tale, la carenza di IXP costringe gran parte del traffico internet originario del mondo arabo a viaggiare attraverso altre regioni e ne rende più facile per i governi autoritari la disattivazione.
Anche altre carenze infrastrutturali, come quelle che interrompono la fornitura di elettricità, rimangono un problema in tutta la regione, complicando le operazioni digitali delle aziende e la “logistica dell’ultimo miglio” (la consegna di beni o servizi alla loro destinazione finale). Anche l’accesso limitato ai servizi di protocollo Voice Over Internet in molti Paesi arabi, come il divieto in corso di chiamate Skype e WhatsApp, fa aumentare i costi di transazione per le aziende.
Infine, la regolamentazione dell’economia digitale e la sua attuazione sono considerati un problema chiave per le imprese. Anche quando sono in vigore leggi a riguardo, i modi in cui le autorità le applicano e le interpretano possono aumentare i costi di transazione.[44]
Queste sfide sono aggravate dalla mancanza di personale dei servizi pubblici con conoscenze per progettare e attuare normative in grado di stimolare l’economia digitale. Allo stesso modo, l’assenza di un quadro di politica regionale unificato per la regolamentazione rende difficile per le società operare in più giurisdizioni contemporaneamente, scoraggiando gli investitori locali e stranieri.[45]
Oltre a creare nuove opportunità economiche per i giovani, la trasformazione digitale nel mondo arabo potrebbe avere un impatto politico positivo, migliorando il libero flusso di informazioni e creando il tipo di canali di comunicazione diretta sicuri che facilitano la mobilitazione civica. Il crescente accesso a internet nella regione può persino aiutare i cittadini nei confronti dei loro governi: diverse piattaforme online sono servite anche da hub e punti di incontro per le comunità delle minoranze perseguitate.
Allo stesso modo, agendo come forum pubblici, gli strumenti di comunicazione digitale hanno conferito potere ai giovani e facilitato la partecipazione politica. Tali strumenti hanno svolto un ruolo fondamentale nelle rivolte arabe che hanno travolto la regione all’inizio dell’ultimo decennio e nelle proteste più recenti come quelle in Libano. Ad esempio, nel 2011, video e post sui blog che documentavano il trattamento brutale dei manifestanti da parte delle forze di sicurezza egiziane hanno contribuito a galvanizzare le manifestazioni che alla fine hanno portato alla caduta del presidente Mubarak.
Oltre a consentire la comunicazione digitale, il crescente accesso a internet ha anche portato all’emergere di piattaforme che forniscono reportage critici in Paesi che sono in guerra o con governi autoritari. In Siria, un aumento dell’accesso a internet è legato alla diffusione del giornalismo cittadino e all’emergere di innumerevoli siti di notizie online che documentano i crimini del regime di Assad, fornendo uno spazio pubblico in cui i cittadini possono discutere di sistemi politici alternativi per il Paese.
Tuttavia, i governi del mondo arabo vedono in generale internet come uno strumento di sorveglianza piuttosto che di sviluppo, come sostiene l’esperta di diritti digitali Hanane Boujemi.[46] Alcuni di questi governi sfruttano sempre più tecnologie come spyware e sistemi di sorveglianza automatizzata per monitorare i cittadini e reprimere il dissenso in patria e all’estero. In effetti, la prospettiva che questi governi controlleranno completamente i flussi di dati interni ha spinto Freedom House ad avvertire di un passaggio all’autoritarismo digitale nella regione.
Il desiderio dei leader autoritari di mantenere il controllo di internet riduce anche il potenziale della digitalizzazione per creare un ambiente imprenditoriale e stimolare la crescita economica.[47] La Cina gioca un ruolo importante in questo. Il presidente cinese Xi Jinping ha presentato il modello di governance cinese, compresa la sua gestione di internet, come una nuova opzione per altre nazioni che vogliono accelerare il loro sviluppo preservando la loro indipendenza. Molto di questo, senza dubbio, si basa sull’esperienza di Pechino di controllare pesantemente l’utilizzo domestico di internet.
Il ricercatore Tin Hinane El Kadi sostiene che, in Nord Africa, una questione chiave con il dominio della Cina sul mercato globale delle comunicazioni risiede nella sua capacità di plasmare il futuro della governance del cyberspazio in modi che normalizzano la censura e limitano le libertà.
I governi arabi hanno mostrato interesse nel ricreare nei propri Paesi l’ambiente digitale cinese controllato dallo Stato. Pechino ospita sessioni sulla censura e sorveglianza con funzionari dei media di Stati come l’Egitto. Nel novembre 2017, la Cina aveva tenuto un seminario sulla “Gestione del cyberspazio per i funzionari dei Paesi lungo la Belt and Road Initiative”.
Secondo Freedom House, questi incontri sono stati seguiti dall’introduzione di leggi sulla sicurezza informatica simili a quelle in Cina. Nel 2018, ad esempio, l’Egitto ha approvato una controversa legge sulla criminalità informatica che si ispira alla strategia di governance di internet della Cina. Subito dopo, le autorità egiziane hanno bloccato centinaia di siti web, molti dei quali dedicati alle notizie.
Per alcuni governi arabi, la Cina fornisce un prezioso esempio di come spingere per l’innovazione economica mantenendo il controllo sui cittadini. Ma non è solo la Cina che aiuta a creare un ambiente digitale ostile. A causa della mancanza di quadri normativi internazionali conformi ai diritti umani, la vendita globale di tecnologia di sorveglianza è stata in grado di prosperare, dando luogo a violazioni significative e ricorrenti dei diritti umani.[48]
Aziende con sede negli Stati Uniti, Israele e vari Paesi europei – tra cui Italia, Germania, Francia e Regno Unito – hanno esportato tecnologia di sorveglianza in Medio Oriente e Nord Africa. Ad esempio, una società italiana ha iniziato a costruire un sistema di sorveglianza internet in Siria (poi abbandonato nel novembre 2011) che, secondo Bloomberg, avrebbe dato al regime di Assad il potere di intercettare, scansionare e catalogare praticamente ogni e-mail che attraversava il Paese.
La trasformazione digitale si intreccia spesso con la geopolitica: la supremazia tecnologica cinese nel mondo arabo è particolarmente evidente nel ruolo centrale di Huawei nell’espansione dell’infrastruttura ICT. Come parte di questo sforzo, l’azienda ha firmato vari accordi di installazione 5G con operatori in tutta la regione. L’impronta dell’azienda sta crescendo mentre la Cina intensifica il suo coinvolgimento economico nella regione attraverso l’espansione della Belt and Road Initiative.[49] Il progetto ha un grande elemento digitale, con i big data che aiutano a creare quella che Xi chiama una nuova “via della seta digitale” per il ventunesimo secolo.
Alcuni Stati del Mediterraneo orientale hanno presumibilmente utilizzato prodotti come spyware di “intercettazione legale” per monitorare attivisti per i diritti umani, giornalisti e rivali politici. Il Citizen Lab, un’organizzazione di ricerca con sede a Toronto che si concentra sulle minacce digitali, ha concluso che molti attivisti per i diritti umani siano stati presi di mira da uno spyware per monitorare le comunicazioni di attivisti per i diritti umani, giornalisti e rivali politici.
Più in generale, solleva preoccupazioni la privacy personale. Programmi di sorveglianza biometrica su larga scala hanno contribuito a molti arresti: l’intelligenza artificiale consente alle telecamere di sorveglianza di analizzare video in diretta senza intervento umano. Ma d’altra parte, un ambiente controllato come quello di Stati che si avviano verso lo sviluppo tecnologico più avanzato senza regolamentazioni e tutele sulla persona può rendere difficile lo sfruttamento di tutti i vantaggi economici e civili della digitalizzazione, e della stessa imprenditoria digitale.
Nel 2019 la sovranità digitale e tecnologica è diventata per la prima volta una priorità per la Commissione Europea. Il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha affidato a Margrethe Vestager, vicepresidente esecutivo dell’organismo, la responsabilità del portafoglio digitale dell’UE. Vestager ha il mandato di trasformare l’UE in un grande attore nel settore tecnologico globale. Von der Leyen ha incaricato Thierry Breton, commissario per il mercato interno e i servizi, di investire nelle prossime frontiere della tecnologia, come la blockchain e il calcolo ad alte prestazioni, e di definire gli standard per le reti 5G e le tecnologie di nuova generazione.
La nuova strategia dell’UE per i dati e l’intelligenza artificiale, che Vestager ha presentato il 19 febbraio 2020, ha tre obiettivi principali per affermare l’Europa come leader digitale affidabile: una tecnologia che funzioni per le persone; un’economia equa e competitiva; e una società aperta, democratica e sostenibile. L’UE vuole esportare la sua idea di gestire la trasformazione digitale in modo che funzioni a vantaggio di tutti, in linea con i valori europei, mirando a creare un mercato unico per i dati, in cui le informazioni non personali fluiscano liberamente tra i Paesi dell’UE, e sfruttando il potere dei big data. Ciò potrebbe aumentare la produttività delle fabbriche e l’efficienza dell’agricoltura.
L’UE si impegna anche con Paesi come Egitto, Libano, Libia, e Palestina su questioni digitali attraverso la politica europea di vicinato e l’Unione per il Mediterraneo, che ha istituito un gruppo di lavoro di esperti sull’economia digitale e sull’accesso a internet per identificare le modalità per approfondire la cooperazione tra le parti.
Inoltre l’UE ha adottato ormai dal 2016 il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), che offre ai suoi cittadini un maggiore controllo sui propri dati. Poiché si applica alle organizzazioni non europee che forniscono servizi e beni all’interno dell’UE, il regolamento promuove gli sforzi dell’Europa per diventare un leader globale nella regolamentazione digitale.
Ci sono stati progressi limitati nel rafforzamento del regime di controllo delle esportazioni dell’UE per la tecnologia di sorveglianza informatica. Eppure si sono tenute discussioni tra il Parlamento europeo, la Commissione europea e il Consiglio europeo sull’inclusione di più prodotti di sorveglianza informatica nel regime di controllo delle esportazioni dell’UE per la tecnologia a duplice uso.
Attualmente, l’UE aggiorna il suo elenco di controllo delle esportazioni sulla base delle informazioni raccolte in base ad accordi internazionali, come l’accordo di Wassenaar sui beni e sulla tecnologia a duplice uso. L’ultimo aggiornamento dell’elenco, pubblicato a dicembre 2019, include riferimenti alla tecnologia di sorveglianza informatica come il software di intrusione.
I fornitori non possono esportare beni a duplice uso se sanno che possono essere impiegati in relazione a una violazione dei diritti umani, dei principi democratici o della libertà di parola.
Il Parlamento europeo, la Commissione europea e gruppi della società civile stanno spingendo per l’istituzione di una lista di controllo delle esportazioni dell’UE autonoma che vada oltre gli accordi internazionali esistenti. Il Parlamento europeo desidera inoltre applicare condizioni più rigorose, compresi i diritti alla privacy, alle decisioni nazionali sul controllo delle esportazioni. Tuttavia, ci sono differenze significative tra il Parlamento europeo, la Commissione e il Consiglio sulle diverse questioni. Ad esempio, Repubblica Ceca, Cipro, Estonia, Finlandia, Irlanda, Italia, Polonia e Svezia hanno dichiarato nel 2018 che la creazione di un elenco UE autonomo ha minato la competitività dell’industria europea e ha deviato dai regimi di controllo internazionale esistenti.
Ma la trasformazione digitale può essere anche utilizzata come strumento di politica estera. L’UE dà la priorità alla tecnologia digitale nella sua politica di sviluppo internazionale, come si riflette nel suo lavoro per creare una strategia di cooperazione digitale con l’Unione per il Mediterraneo. Tuttavia, poiché il sostegno specifico alla digitalizzazione è una parte relativamente nuova della politica estera dell’UE, finora il blocco ha finanziato solo un piccolo numero di progetti digitali.
Nell’aprile 2019, la Commissione ha ospitato la conferenza Digi4Med a Bruxelles, descrivendo l’evento come il primo passo verso lo sviluppo di una strategia di connettività e dati per i Paesi del Mediterraneo meridionale.
L’UE ha utilizzato il Technical Assistance and Information Exchange (TAIEX) per sostenere Paesi come Egitto, Libano, Libia, Palestina e Siria. Il lavoro dello strumento ICT si è concentrato sulla comunicazione elettronica e sull’infrastruttura a banda larga. Tale assistenza a volte assume la forma di workshop ospitati da esperti europei o visite di studio negli Stati membri dell’UE da parte di rappresentanti dei Paesi beneficiari.
Vari Stati membri dell’UE hanno inoltre fornito supporto mirato alla digitalizzazione e agli sforzi di formazione. Per aumentare le opportunità di lavoro in Palestina, la German Society for International Cooperation aveva sostenuto nel 2015 l’introduzione di un doppio programma di studio, che copriva la tecnologia dell’informazione, presso l’Università Al-Quds di Gerusalemme. L’impegno del governo tedesco con il mondo arabo è in parte guidato dalla sua iniziativa speciale (nel periodo 2014-2022) sulla stabilità e lo sviluppo in Medio Oriente e Nord Africa, che si concentra su progetti relativi alla disoccupazione giovanile, allo sviluppo economico, alla democratizzazione e alla stabilizzazione dei Paesi in crisi.
Il sostegno dell’UE alla trasformazione digitale nel mondo arabo va di pari passo con la nuova agenda della Commissione europea. Inoltre integra vari filoni della politica estera del blocco e dei suoi Stati membri, compresi quelli incentrati sulla stabilizzazione e prevenzione dei conflitti in Medio Oriente e Nord Africa.
È nell’interesse dell’UE sviluppare le economie digitali dei Paesi arabi, soprattutto dato il loro potenziale per aumentare i tassi di occupazione regionali, migliorare la stabilità socioeconomica e ridurre gli incentivi per le persone a migrare in Europa. Un ecosistema digitale più produttivo potrebbe incoraggiare la migrazione circolare verso il Medio Oriente e il Nord Africa da parte di giovani arabi esperti di tecnologia che attualmente lavorano in Europa, consentendo loro di contribuire alla trasformazione digitale del mondo arabo.
Il sostegno dell’Europa alla digitalizzazione si allinea anche con quello per la democratizzazione e l’emancipazione politica nel mondo arabo. In molti modi, l’UE e i suoi Stati membri possono svolgere un ruolo cruciale nella trasformazione digitale nella regione, basandosi sulle loro iniziative esistenti per sostenere lo sviluppo economico e responsabilizzare i giovani. Le seguenti raccomandazioni, che sono in linea con la priorità della nuova Commissione europea per le questioni digitali, rientrano in tre grandi categorie: regolamenti; rafforzamento delle capacità e formazione professionale; e finanziamenti.
La battaglia globale per il dominio tecnologico è in parte una battaglia per stabilire standard internazionali. Al centro di tutto ci sono due questioni: quanto strettamente i governi nel mondo arabo controllino lo sviluppo del cyberspazio; e, altrettanto cruciale, quali attori internazionali li assisteranno nel compito. In questo contesto, il coinvolgimento della Cina nel 5G è una preoccupazione particolare, data la minaccia che il Paese rappresenta per gli ideali di neutralità della rete e diritti digitali.
L’UE ha un ruolo importante da svolgere nel compensare alcune delle dinamiche negative che potrebbero influenzare la digitalizzazione nel mondo arabo nei prossimi anni, utilizzando il suo lavoro pionieristico sulla regolamentazione tecnologica (in settori come la privacy dei dati) per impegnarsi con i governi della regione, elaborando quadri politici e approvando leggi che aiutano l’economia digitale a prosperare. L’UE ei suoi Stati membri possono fornire assistenza tecnica nella stesura della legislazione e nella formazione dei dipendenti pubblici.
L’UE e i suoi Stati membri possono svolgere un ruolo decisivo nel sostenere le attività di sviluppo delle capacità digitali in Medio Oriente e Nord Africa. Ciò può comportare la creazione o il sostegno finanziario di seminari e centri di formazione in cui i professionisti della tecnologia dell’informazione forniscono ai cittadini competenze aggiornate.
Da questa ampia panoramica sui numerosi fattori in gioco nello scacchiere politico, economico e sociale del Mediterraneo orientale, risulta evidente che la tecnologia assumerà un ruolo sempre più centrale, sia per i governi al potere, che per le nuove generazioni.
Un utilizzo consapevole e strategico delle innovazioni tecnologiche porta dentro di sé un enorme potenziale in grado di cambiare rapidamente le carte in tavola in diverse partite. Sicuramente un migliore sfruttamento delle risorse economiche in futuro potrà contribuire al miglioramento delle condizioni dei Paesi in via di sviluppo, ma, allo stesso tempo, senza il perseguimento di una regolamentazione internazionale all’altezza, l’utilizzo di strumenti innovativi ad esclusivo vantaggio del potere potrà finire per accentuare gli autoritarismi, esasperando condizioni di cui le nuove masse giovanili saranno sempre più coscienti, proprio grazie alla stessa diffusione della tecnologia.
D’altra parte, è innegabile la possibilità che si verifichi un fenomeno già presente nelle realtà occidentali, dovuto alla diffusione in “tempo zero” di informazioni (che siano vere o false): la polarizzazione della società, principalmente verso l’uno o l’altro schieramento politico, verso un’idea o l’altra per qualsiasi argomento.
In merito a ciò, il funzionamento dell’intelligenza artificiale, in uno dei suoi utilizzi più distorti, può rivelarsi molto pericoloso quando porta a mostrare agli utenti ciò che gli stessi utenti vogliono. Profilare attraverso i big data le nuove generazioni significa avere il potere di indirizzarle; e per questo diventa indispensabile regolamentare questo mondo, a partire proprio da iniziative governative, per arrivare a una sensibilizzazione di massa che prepari le nuove generazioni ai pericoli della “quarta rivoluzione industriale”.
Tra i Paesi più esposti a questo tipo di rischio, per differenti motivi, ci sono sicuramente quelli arabi del Mediterraneo orientale: puntare a uno sviluppo più rapido per rincorrere l’occidente può provocare il salto di alcuni passaggi fondamentali nella stabilizzazione sociale, e nella situazione in cui uno youth bulge si incrocia con nuove tecnologie a disposizione delle masse, l’effetto può essere imprevedibile.
Si può tornare così a ripensare la geopolitica anche in questa chiave moderna, per la quale i nuovi leader e le future alleanze strategiche del quadrante del Mediterraneo orientale dovranno rapportarsi non solo agli omologhi vicini, ma probabilmente anche ai singoli organizzati, in società in cui il confine territoriale diventa sempre più irrilevante, il confine economico segue sempre più logiche a breve termine, mentre il confine ideologico si accentua verso marcate polarizzazioni.
[1] Alterman Jon B., “New Media: New Politics?”, in The Washington Institute for Near East Policy, Washington, DC, 1998
[2] Dabbagh Information Technology Group, User Profile Survey, aprile 1998
[3] Dabbagh Information Technology Group, User Profile Survey, agosto 1999
[4] National Academy of Sciences, Fostering Research on the Economic and Social Impacts of Information Technology National Academy Press, Washington, DC, 1998
[5] Gates Bill, The Road Ahead, Viking Penguin, New York, 1996; Negroponte Nicholas, Being Digital
Random House, New York, 1995
[6] Anderson Jon, “Cybarites, Knowledge Workers and New Creoles of the Information Superhighway”, in
Anthropology Today, Vol. 11 No.4., agosto 1995, pp.13-15; “Globalizing Politics and Religion in the Muslim
World”, in Journal of Electronic Publishing, Vol.3. No.1, settembre 1997
[7] Anderson Jon, “The Internet and the Middle East: Commerce Brings the Region On-Line”, in Middle East Executive Reports, Vol. 20 No. 12, dicembre 1997, p. 5
[8] Oueichek Ibaa, Allouch Mohammed, Salem Saleh, “Internet in Syria, Past & Present”, in The First Syrian-Lebanese Symposium on Information and Communication Technology Development, Damascus, 25-26 aprile 2000
[9] Khalaf Roula, “Middle East Banking and Finance: Dyamism is Held Back by State Control”, in Financial Times Survey, 11 aprile 2000, p. 1
[10] Sardar Ziauddin, “Paper, Printing, and Compact Disks: The Making and Unmaking of Islamic Culture”, in Media, Culture, and Society, vol. 15 n. 1, gennaio 1993, pp. 43-60
[11] Drotner, K. (1999). Dangerous media? Panic discourses and dilemmas of modernity. London: Routledge.
[12] Boas T. C., “The Dictator’s Dilemma? The Internet and U.S. Policy toward Cuba”, in The Washington Quarterly 23:3, 2000, pp. 57-67; Ackerman E., “Twitter and the Dictator’s Dilemma”, in Forbes, 28 gennaio 2012
[13] Kington, T., “Twitter hoaxer comes clean and says: I did it to expose weak media”, in The Guardian, 30 marzo 2012
[14] Rugh William A., Arab Mass Media: Newspapers, Radio, and Television in Arab Politics, Greenwood Publishing Group, Praeger, Westport (CT), 2004, pp. 5-14
[15] “Media Source: 2009 journalist survey”, in Middle East Media Guide, 2009, p. 63
[16] Stableford D., “Al Jazeera director resigns amid scandal; WikiLeaks cable reveals he met with U.S. Intelligence, agreed to remove ‘disturbing’ content”, in The Cutline Weblog, 20 settembre 2011
[17] “Syrian minister tries to pass off old footage from Lebanon as proof of ‘terrorism’ in Syria”, in France 24, 2 dicembre 2011
[18] Christensen C. M., The innovator’s dilemma: When new technologies cause great firms to fail, Harvard University Press, Boston, 1997
[19] Baran S. J., Davis D. K., Mass communication theory: Foundations, ferment and future, Wadsworth Publishing Company, Belmont, CA, 1995, p. 39
[20] Committee to Protect Journalists, “Imprisonments jump worldwide, and Iran is the worst.”, 8 dicembre 2011
[21] “Green Helmet Acting as a Cynical Movie Director in Qana.”, in YouTube, 2006
[22] Editor & Publisher, Reuters fires photog over doctored pictures, 6 agosto 2006
[23] “Adnan Hajj Photographs Controversy”, in Wikipedia, 2011
[24] Dawood Sofi Mohammad, “Democratic uprisings in the New Middle East: youth, technology, human rights, and US Foreign Policy”, in The Journal of North African Studies, 2019
[25] Choucri, Nazli, “Migration and Security: Some Key Linkages”, in Journal of International Affairs 56 (1):, 2002, p. 98
[26] Murphy James T., “Technology and Development”, in The International Encyclopedia of Geography edited by Douglas Richardson, Noel Castree, Michael F. Goodchild, Audrey Kobayashi, Weidong Liu and Richard A. Marston, John Wiley & Sons., London, 2017, p. 1
[27] Hanska Max, “Social Media and the Arab Spring: How Communication Technology shapes Socio-political Change”, in Orient 5 (3):, 2016, p. 32
[28] Stivachtis Yannis A., Human and State (In)Security in a Globalized World, 2nd edition. Dubuque, IA: Kendall Hunt, 2011, pp.414-415
[29] Skocpol Theda, Social Revolutions in the Modern World, Cambridge: Cambridge University Press, 1994
[30] Zahlan Antoine B., “Technology: A Disintegrative Factor in the Arab World”, in Middle East Dilemma: The Politics and Economics of Arab Integration, ed. Michael C. Hudson, New York: Columbia University press, 1999, pp. 259–278,
[31] Segal Aaron, “Why Does the Muslim World Lag in Science?”, Middle East Quarterly 3 (2), 2018
[32] Bizri Omar, Science, Technology, Innovation, and Development in the Arab Countries, Mass.: Academic Press, Cambridge, 2017
[33] Singer Peter W., “A Revolution Once more: Unmanned Systems and the Middle East”, Brookings, Washington, 29 ottobre 2009
[34] Mouchantaf Christine, “What’s driving the Middle East’s armored vehicles market?”, in Defense News, 2 maggio 2018
[35] Berman Russell A., “Social Media, New Technologies and the Middle East”, in The Caravan, Issue 1714, Hoover Institution, 6 giugno 2017
[36] Brown Heather, “The Role of Social Media in the Arab Uprisings”, in Pew Research Center, 28 novembre 2012
[37] Hanska Max, “Social Media and the Arab Spring: How Communication Technology shapes Socio-political Change”, in Orient 5 (3):, 2016, pp. 29-30
[38] Ellis Wesley, “The Role of Information and Communication Technologies in Shaping the Arab Spring”, in Alternatives International Journal, 2011
[39] Burkhart Grey E., The Information Revolution in the Middle East and North Africa. Santa Monica, CA: RAND, 2003
[40] ECFR intervista con con Philip Bahoshy, MAGNiTT, Dubai, 7 ottobre 2019
[41] ECFR intervista con Rose Murad, Bahrain FinTech Bay, 28 ottobre 2019
[42] ECFR intervista con Jason Gasper, Razr Lab, 16 ottobre 2019
[43] ECFR intervista con Tom Fletcher, 11 Ottobre 2019
[44] ECFR intervista con Laith al-Qasem, ISSF, 25 novembre 2019
[45] ECFR intervista con Philip Bahoshy, Dubai, 7 ottobre 2019
[46] ECFR intervista con Hanane Boujemi, Tech Policy Tank, 11 novembre 2019
[47] ECFR intervista con Andrew Puddephatt, Global Partners Digital, 30 gennaio 2020
[48] ECFR intervista con Samuel Woodhams, Top10VPN, 3 dicembre 2019
[49] ECFR intervista con Sara Hsu, State University of New York at New Paltz, 30 ottobre 2019