Scarica il file in pdf – brevi riflessioni di politica estera- agosto 2023 – cucchi
Brevi amare riflessioni del Generale Cuccchi sul rapporto del nostro Paese con la Politica Internazionale[1]
Gli italiani e la Politica Internazionale
Gen. C. d’A. Giuseppe Cucchi
Se c’è qualcosa che colpisce sempre uno come me che, volente o nolente, è stato costretto dalle vicissitudini della vita a diventare membro della ridotta famiglia dei cultori italiani della geopolitica, è il modo in cui non soltanto la nostra opinione pubblica, e a valle (o a monte?) di essa i mass media e la politica nazionale, sottovalutano sin quasi a trascurarla integralmente la politica internazionale.
Eppure, siamo Paese piccolo, del tutto privo della forza necessaria per effettuare scelte autonome ogni volta che si renda necessario prendere decisioni di grande momento; una situazione che per quanto io ricordi soltanto due dei nostri uomini politici, prima Cavour negli anni cinquanta dell’Ottocento, poi De Gasperi al momento della scelta atlantica hanno pienamente compreso.
Per di più la nostra convivenza sul medesimo territorio con il Vaticano ci pone nella non invidiabile ed unica condizione di una potenza medio/piccola costretta a sopportare una simbiosi particolarmente pesante con una grande potenza. Il che non significa che la nostra politica non possa essere diversa da quella della Chiesa Cattolica. Essa sarà però sempre talmente condizionata dalle scelte Papali da renderci assolutamente impossibile prendere strade che da esse possano nettamente divergere o, ancor peggio, essere con esse in netto contrasto.
Il mare della politica estera in cui navigare è quindi per noi già in partenza un mare stretto, agitato, fortemente rischioso, al punto tale da richiedere una magistrale esperienza associata ad una istintiva vocazione perché si possa sperare in una navigazione più tranquilla.
Nulla di tutto ciò …e così mentre all’estero nelle sedi a ciò delegate vengono prese decisioni destinate a condizionare per anni, e a volte addirittura per decenni, la nostra vita, l’attenzione collettiva nazionale rimane concentrata sugli eterni inutili dibattiti in cui si richiedono le dimissioni di qualche politico – che poi non le dà mai! – o su fattacci di cronaca, magari vecchi di trenta e più anni ma su cui sembriamo del tutto incapaci di “mettere una pietra sopra”.
Apparentemente però, almeno così dicono, l’interesse verso la geopolitica sembra da qualche anno in netta crescita fra la nostra popolazione studentesca. Una affermazione che non contesto e che è suffragata da un lato dalla continua crescita del numero delle riviste specializzate, dall’altro dal fenomeno “Limes” che, partito con l’ambizione di mettere sul mercato quattro o sei volte all’anno fra le cinque e le settemila copie, ne vende ora circa centomila ogni mese.
Si deve in ogni caso trattare di un interesse di durata contenuta nel tempo ai soli anni della frequenza universitaria, considerato come esso sparisca puntualmente dopo l’ingresso degli interessati nel mondo del lavoro. L’unica traccia che a quel punto resta dell’interesse giovanile consiste nell’abuso del prefisso geo che viene appioppato con facilità estrema ad ogni settore dell’umana attività, per cui oltre che di geopolitica di parla di geoeconomia, di geostrategia e via di questo passo, a volte anche con creazioni tanto fantasiose da suonare completamente assurde.
La scarsità dell’interesse che il Paese dedica allo specifico settore si impone poi in maniera veramente clamorosa ogni volta in cui, sia pure per periodi di tempo di durata limitata, l’attenzione nazionale si concentra su avvenimenti che, pur avendo in altri teatri strategici il proprio fuoco iniziale, comportano il chiaro rischio di evoluzioni negative che potrebbero incidere anche sulla realtà della nostra vita di tutti i giorni.
In occasioni del genere radio e televisioni sono infatti costrette “ad arrampicarsi sui vetri” per reperire esperti che siano non soltanto in condizione di comprendere quanto sta succedendo ma altresì di spiegarlo in maniera chiara ed esauriente ad una audience che non ha alcuna abitudine a discorsi di questo tipo. La caccia all’esperto diviene in questo modo rapidamente affannosa, specie una volta esauriti i pochi professionisti di quel pugno di istituti di studio e facoltà universitarie che in Italia seguono la materia con continuità. Se la crisi si prolunga, e si moltiplica di conseguenza il numero dei centri di informazione interessati, la “caccia all’esperto” finisce così col dare inevitabilmente risultati che si possono definire come ridicoli o tragici, a seconda dei punti di vista.
La sindrome nazionale dell’assoluto rifiuto della politica estera è tale che, per fornire un esempio, si ritiene opportuno segnalare come all’inizio di una recente legislatura la Camera dei Deputati, lavorando in contatto con i pochi Istituti italiani di rilievo nel settore, avesse offerto ai deputati neoeletti un breve corso formativo di base alla politica estera, che oltretutto presentava il vantaggio di essere completamente gratuito. La risposta dei destinatari dell’invito fu un “No!” corale, malgrado il fatto, fra l’altro, che si trattasse di una elezione da cui era uscito un Parlamento fra i più impreparati nella storia della nostra Repubblica.
Una situazione negativa destinata a durare nel lungo periodo? Sarebbe tragico, considerando oltretutto il fatto che le decisioni relative alla nostra economia si stanno sempre più concentrando a Bruxelles presso l’Unione Europea, o a Francoforte, ove ha sede la BCE (Banca Centrale Europea), mentre, come evidenziato dall’ormai troppo lungo conflitto fra Russia ed Ucraina, per i problemi di sicurezza si è continuato a dipendere esclusivamente ed integralmente dal benvolere della Alleanza Atlantica.
In tale ambito, tra l’altro, non disponiamo neanche di quel minimo di coraggio e di iniziativa che ci consentirebbero di fermare con un veto decisioni destinate a risultare sgradite ed alla lunga anche dannose nei nostri confronti.
Non lo abbiamo fatto nel ‘98 al tempo dell’attacco della Alleanza a quei serbi che per un secolo erano stati la nostra controparte nei Balcani per impedire alla influenza tedesca nei Balcani di estendersi a Sud della Croazia. E adesso l’influenza di Berlino si fa sentire sino ad Ankara.
Non lo abbiamo poi fatto neppure allorché l’azione Franco inglese contro Gheddafi si è trasformata in una guerra NATO di cui noi eravamo chiaramente destinati a sopportare quasi integralmente i danni.
Grazie a questi episodi siamo così divenuti l’unico Paese della storia che sia riuscito ad entrare in guerra due volte contro sé stesso: un record certo molto poco invidiabile!
Vi è quindi da sperare che a questa importante lacuna della nostra preparazione nazionale si riesca a porre rimedio nel breve o al massimo nel medio periodo. Come? Purtroppo a questo punto chi scrive non se la sente più di dare suggerimenti e consigli che ha già provato a dare centinaia di altre volte nella sua vita solo per vedere le sue parole scivolare rapidamente via come acqua sul sedere unto di una anatra.
Si limita dunque a salutarvi col vecchio detto latino che più appare appropriato in una situazione come questa: “Feci quod potui; alia faciant meliores!”, vale a dire “Ho fatto tutto ciò che ho potuto; chi è meglio di me faccia il resto!”
[1] Mediterranean Insecurity ha il piacere di ospitare delle brevi e personali considerazioni del Generale di Corpo d’Armata Giuseppe Cucchi, già Direttore Generale del Dipartimento Informazioni per la Sicurezza della Presidenza del Consiglio.