“Il Mediterraneo non finisce a Suez”. Il Mar Rosso visto dall’ammiraglio Sanfelice – intervista a  True News

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“Il Mediterraneo non finisce a Suez”. Il Mar Rosso visto dall’ammiraglio Sanfelice

“Ci accorgiamo oggi più che mai di quanto il Mediterraneo non finisca a Suez, ma a Bab-el-Mandeb”: l’ammiraglio Ferdinando Sanfelice

“Ci accorgiamo oggi più che mai di quanto il Mediterraneo non finisca a Suez, ma a Bab-el-Mandeb”. Le rotte strategiche del “mare nostrum” arrivano quindi allo stretto che collega il Mar Rosso col Golfo di Aden. L’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, parlando con True-News, legge le conseguenze della crisi geopolitica aperta dall’escalation degli Houthi nel Mar Rosso. Fonte di una serie di blocchi a cascata del commercio internazionale. Da Vasco da Gama a Vasco da Sana’a, si potrebbe dire: per effetto delle mosse dei miliziani yemeniti le compagnie tornano a circumnavigare il Capo di Buona Speranza per collegare l’Europa all’Asia, allungando il tragitto del 40%.

Sanfelice: “Il mondo è più complesso e competitivo”

“Una rotta alternativa, più lunga ma più sicura è oggi scelta inevitabilmente dalle compagnie per bypassare le problematiche securitarie”, dice Sanfelice, 79 anni, a lungo nella Marina Militare, oggi a capo del think tank “Mediterranean Insecurity“. E questa è una presa d’atto del fatto che “il mondo è diventato sempre più complesso e competitivo” e “anche per la pressione di attori esterni regioni come quella del Mar Rosso aumentano l’incertezza che le avvolge”.

Gli Houthi hanno annunciato di aver alzato il livello dello scontro sulla scia dell’aumento dei raid israeliani a Gaza e per Sanfelice questa è una conferma del fatto che “le potenze sciite hanno deciso di alzare il livello del contrasto a Israele sostenendo in maniera più attiva e dinamica Hamas e Gaza contro lo Stato ebraico di quanto stiano facendo le potenze sunnite. Dietro la minaccia posta dagli Houthi non è difficile vedere le manovre dell’Iran” che vuole “uscire dall’angolo in cui l’hanno posto le sanzioni”.

Fronte caldo tra Mediterraneo e Mar Rosso

Su questo fronte, il problema è strategico a livello regionale. “Viviamo in un contesto in cui la sicurezza del Mediterraneo, del Mar Rosso e del Medio Oriente sono sempre più integrate e in quest’ottica si stanno riducendo gli spazi di manovra consentiti per gestire la problematica legata allo spirito di rivalsa degli Houthi. Ora il conflitto in Yemen è congelato per giustificare la tiepida riappacificazione tra Iran e Arabia Saudita. Ma i proxy iraniani rappresentano ancora una minaccia”, dice Sanfelice. Inoltre, aggiunge l’ammiraglio, in passato “gli Stati Uniti e i Paesi occidentali sarebbero intervenuti per interdire le capacità missilistiche dei miliziani, come è già successo in caso di altri attacchi”. Ma oggigiorno, “anche complice la volontà dell’Arabia Saudita di non compromettere la distensione con Teheran” i margini di manovra sono più ridotti.

In quest’ottica è da valutare la possibilità di una missione occidentale a tutela della libertà di navigazione. Oggigiorno, spiega Sanfelice, nel Mar Rosso e nei quadranti marittimi vicini operano due forze navali. Una è “la missione Eunavfor Atalanta per la lotta alla pirateria, a cui partecipa anche l’Italia. Poi c’è la missione a guida egiziana chiamata a contrastare il contrabbando a favore degli Houthi. A cui solo Il Cairo e Riad, però, hanno garantito naviglio capace di gestire operazioni complesse“.

Cosa può fare l’Italia

L’Italia è pronta a schierare la fregata Virgilio Fassan, ma la sfida chiaramente è complessa. La missione, nota Sanfelice, si prevedrebbe “molto più complessa di quelle antipirateria a cavallo tra Mar Rosso e Oceano Indiano o nel Golfo di Guinea. Questo perché le armi a disposizione degli Houthi sono più complesse di quelle in mano ai pirati” e c’è poi il tema della difficoltà delle regole d’ingaggio tra scenari terrestri e marittimi in cui guerre congelate, crisi ibride e scenari asimmetrici si compenetrano. Aumentando il caos in un mondo in cui su commercio ed economia pende, sempre di più, la priorità del principio di tutela della sicurezza collettiva dalle minacce sdoganate a ogni livello su scala internazionale”.