scarica il file in pdf – cina – settembre 2024 – Lanzara
La Cina: asimmetrie di un aspirante egemone
Gino Lanzara
Draghi e guerrieri di terracotta
Di Cina si sente abitualmente parlare à la mode, vellicando unicamente la considerazione degli aspetti di più facile presa tralasciandone altri, forse meno accattivanti ma di maggior spessore, evitando declinazioni più complesse, richiedenti maggior tempo e maggior studio. Si faccia caso al fatto che si sente ormai sempre più spesso discutere di Marina cinese, ma si rifletta su quanto sia raro ascoltare qualcuno che sappia riconoscere la differenza tra un incrociatore ed un cacciatorpediniere. Partendo da tematiche meno a la page, si intende dunque instillare qualche curiosità in più da approfondire e su cui aggiornarsi specialmente su campi fisiologicamente asimmetrici, come quello economico.
Il Regno di Mezzo rimane un rompicapo irrisolvibile; complessa e culturalmente distante, la dimensione cinese non si presta ad alcuna forma semplificativa per l’Occidente, non così preparato a meditare sulla convinzione degli antichi trascorsi storici cinesi espressa dal Presidente Xi durante una visita ufficiale. È questa la chiave di lettura che permette di comprendere importanza e suggestività insite nell’armata degli 8.000 guerrieri di terracotta, rimasti sepolti per oltre 2000 anni a protezione del loro imperatore[1] Qin Shi Huangdi, testimoni di una grandezza che trascende il tempo. si tratta di assunti che vanno valutati attentamente ed olisticamente in modo da affrontare il più correttamente possibile una realtà politica che del Drago sta reinterpretando la volontà di potenza. Per affrontarlo è dunque indispensabile mutare lenti e prospettive, tenendo conto che l’attrito con il contesto geopolitico pechinese, che lo si desideri o meno, è già iniziato.
Eccezionalismo cinese
La Cina è poliedrica, tanto è vero che è stata da sempre appellata con numerose denominazioni indicanti bellezza, status divino, celestialità, centralità geografica, accezioni funzionali ad identificare un popolo multietnico e sovente diviso, su cui spesso spira il vento del nazionalismo. Non è un caso se il concetto di geopolitica in Cina esiste fin dall’antichità sia pur in termini di vantaggio geografico o di politica geografica, una prospettiva che permette di cominciare a comprendere meglio lo stupore provinciale yankee e millennial al cospetto di un figlio del drago. Come altrove, anche in Cina si è posta in evidenza l’essenzialità del rapporto tra geografia e politica ed in quest’ambito è risaltata la relazione intercorrente tra approvvigionamento ed accumulo di risorse nell’area Pacifica, dove i mercati emergenti sono prosperi e numerosi e dove l’inscindibilità di politica e geografia è ancor più evidente.
La geopolitica non scaturisce da deduzioni astratte, ma dalla necessità pragmatica di comparare obiettivi e risorse, adeguando i mezzi necessari e contemperando la fisiologia dei domini terrestre e marittimo in funzione della rilevanza strategica della posizione geografica. Il Pacifico è un’area di passaggi obbligati, una zona in cui l’Occidente ambisce ad entrare liberamente, ma in cui è destinato a collidere con la Via della seta, espressione di un vantaggio geografico che Pechino custodisce gelosamente, tra mare e altitudini tibetane, tra potenza continentale ed una capacità tecnologica comunque apprezzabile: la Cina si scopre dunque espressione politica di potenza marittima, agevolata peraltro dalla stabilità periferica con l’India ed interessata dall’ascesa strategica a fasi alterne delle potenze egemoniche dell’Asia centrale. Pechino, mentre segue una sua propria forma di modernizzazione, definisce un sinocentrismo che ambisce ad una sorta di superpotenza, interprete di un inedito eccezionalismo asiatico tuttavia vincolato alla tempra di un’economia invero fin troppo sofferente ed in competizione con Washington, che certo non può permettere l’egemonia del Dragone, destinata ad essere di certo poco armoniosa.
Politica e filosofia Confuciana
Riprendendo le fila, è interessante notare come la leadership pechinese sia tornata a recuperare i fondamenti confuciani, filosofia di Stato fino al 1912, progettando di trasfonderli entro il quadro delineato dal socialismo con caratteristiche cinesi, un melting pot cui aggiungere pensiero marxista-leninista ed un ridotto liberismo. Ad oggi il confucianesimo non è più un ostacolo alla modernizzazione, ma diviene anzi catalizzatore di armoniosa coesione collettivistica e sociale, entro cui coltivare il rispetto per la gerarchia e da utilizzare nella proiezione culturale, rassicurante e pervasiva da soft power verso l’esterno[2]. Il riavvicinamento governativo al confucianesimo sottende quindi un utilizzo strumentale della cultura, puntando ad affermare il potere sia internamente che all’estero, visto che, peraltro, la tradizione vuole che il pensiero confuciano conservi connotazioni politiche. È qui che Xi impone alle giovani generazioni[3] un percorso pedagogico fondato sulla continuità storica tra impero, repubblica, comunismo e sull’imprescindibile guida del Partito.
Nell’ottica del perseguimento del riscatto dal secolo delle umiliazioni, è allora più comprensibile la muscolarità diplomatica da lupo guerriero invocata da Xi, il politico più potente ed assertivo della recente storia cinese, non solo Timoniere interprete di interessi non negoziabili nonché del grande risorgimento della nazione al netto di ogni possibile anelito liberale, ma anche rigido censore dell’apparato militare, esortato ad evolversi entro il 2027; un risorgimento che ha dovuto fronteggiare le ripercussioni di tre elementi: l’insorgere del contenimento bellico-tecnologico occidentale; l’invasione ucraina; la pandemia di Covid-19, tutti fattori che hanno evidenziato vulnerabilità strutturali tali da accentuare un disagio[4] emerso con il deflagrare di vibrate proteste interne anti governative.
Dal punto di vista diplomatico la Cina mantiene posizioni multilateraliste apparentemente funzionali alla negoziazione riconciliativa, come avvenuto per la querelle irano-saudita, o quella interessante il mosaico israelo-palestinese, oppure basate su considerazioni etimologiche, dove il senza limiti, affermazione di principio destinata alla liaison con Mosca, esclude tuttavia qualsiasi cooperazione bellica contro uno Stato sovrano[5]. Del resto la Cina è comunque contraria alla guerra, fenomeno incontrollabile e commercialmente dannoso, o per via diretta sul terreno o per via sanzionatoria, posto che rimane comunque viva l’attenzione alle evoluzioni geopolitiche in corso nel triangolo strategico Ucraina, Mar Cinese Meridionale, Taiwan, certo non così potente da distogliere le attenzioni USA[6] dall’Indo Pacifico. Molto probabilmente Pechino perseguirà la propria strategia cooperando con Mosca, in accordo con l’idea di un asse di convenienza, per controbilanciare le spinte occidentali ma senza mettere a rischio i propri interessi, secondo il sicuro modello dell’adelante con juicio[7]. Quel che suscita curiosità nel multilateralismo non allineato (!) alla cinese, è la constatazione dell’esclusione a priori dei rapporti con l’Occidente (che non costituisce lato) nonché la presa d’atto dell’intento di instaurare più che relazioni una sorta di inediti patti leonini, a meno che non si consideri un’ipotetica volontà cinese di giungere ad un orwelliano G2 sino-americano.
È la postura assertiva di Xi che rende possibili la Belt and Road Iniative, la Global Developement Initiative e la Global Security Initiative, quest’ultima volta a realizzare un sistema securitario in grado di contrastare ovunque gli USA, ponendo un caveat su Taiwan. La visione politica del Timoniere richiede tuttavia il superamento di un’invalicabile linea rossa statunitense[8], ovvero il riconoscimento da parte americana dello status di pari potenza egemonica, cosa che ha indotto Pechino a volgersi alla Russia, partner quanto mai problematico di cui Pechino intende comunque evitare un collasso che si ritorcerebbe contro; un partner che comunque non dispiace in versione fiacca e debilitata, comunque capace di generare per riflesso dell’invasione ucraina il rafforzamento speculare della presenza americana nell’Indo Pacifico. C’è da considerare che il rischio dell’accentramento dei poteri nelle mani di un unico decisore si concretizzi in un isolamento foriero di politiche imprevedibili, prova ne siano le decisioni personalistiche assunte in ambito economico, per cui il PCC ha continuato ad imporsi sullo Stato, annichilendo le iniziative di stampo privato con le imprese chiamate da un lato a uniformarsi alla rigidità disciplinare di partito, dall’altro a supportare, in un mercato incompatibile con prese di posizione insensate, lo sforzo tecnologico nazionale. In questo ambito la parola d’ordine è stabilità, anche se a discapito dei problemi strutturali del Paese, riguardanti la disoccupazione giovanile[9], un sistema finanziario ed immobiliare lacunoso, la carenza di investimenti[10], la fuga dei capitali, il declino demografico, fermo restando che secondo Xi, il cui pensiero è ormai divenuto oggetto di studio[11] istituzionale, bisogna “integrare la preparazione tra combattimento militare marittimo, difesa dei diritti marittimi e sviluppo dell’economia marittima“. Il problema imperiale è che molte e controverse decisioni di natura economica riflettono spiccate idiosincrasie personali, come accaduto con le irragionevoli reprimende inflitte ai conglomerati dell’information technology tra cui Alibaba, Tencent e Didi Chuxing, certo non motivanti all’assunzione del rischio d’impresa, o con l’insistenza nel perseguire una leadership in contesti chiave quali semiconduttori, AI, veicoli elettrici, bioingegneria, pur in carenza di un know how di adeguato livello competitivo. Con alle spalle la draconiana politica di tolleranza zero al Covid 19 ed il suo contestuale repentino abbandono, Xi ha reiterato nella pratica del sovraindebitamento per finanziare la realizzazione di infrastrutture alimentando così un passivo pubblico e privato che punta al 350% del PIL. Anche la politica estera detiene l’imprimatur di Xi, il cui desiderio di proiettare la Cina verso la parità di status con gli USA, ha tuttavia determinato una controspinta tesa al contenimento di Pechino anche da parte dei sodali degli USA[12]. Insomma, parafrasando detti secolari, in Cina l’abbigliamento non si muta in funzione del clima ma del freddo soggettivo patito dall’imperatore.
Vulnerabilità demografiche
Inseriamo nel diagramma politico generale l’alfa critico che riguarda la demografia. Già nel 2023 Pechino ha ammesso un sensibile declino, presumibilmente iniziato già dal 2014 e comunicato dopo aver tardato la diffusione dei dati del censimento 2020 e dopo aver introdotto la legge del terzo figlio, unitamente ad altre misure finalizzate a favorire l’aumento della fertilità. La situazione potrebbe stare a significare che, demograficamente, la Repubblica Popolare sta per affrontare un crollo significativo, quantificabile in un gap non inferiore a 130 milioni di abitanti e non ovviabile con provvedimenti legislativi che, peraltro, hanno per decenni afflitto la fecondità. Va da sé che a queste condizioni tutta la struttura politico-economica instaurata sarebbe basata su informazioni errate, con buona pace della presumibile entità futura del PIL, così come sarebbero fuori obiettivo le proiezioni stilate da Washington; insomma, un effetto farfalla capace di azzerare l’ordine globale vigente che peraltro, ingannevolmente da un punto di vista demografico, vuole un Oriente in ascesa. Con una popolazione in forte incremento il convincimento realista di John Mearsheimer, che ritiene che la Cina sarà presto pronta a sfidare l’egemonia americana, viene posto in ombra dalla previsione di un decremento che svela trentennali sovrastime, un errore prodotto da un sistema statistico adulterato da interessi governativi locali e dalle autorità deputate al controllo della pianificazione familiare che intendevano mostrare una demografia falsamente in crescita. Se la crisi immobiliare viene contenuta, le giovani coppie non saranno comunque in grado di allevare i figli; se invece la bolla scoppia, l’economia verrà rallentata innescando una crisi mondiale. Il tasso di fertilità quindi si correla negativamente con la densità abitativa di centri urbani dove è ora praticamente impossibile demolire grattacieli ormai inutili, e dove l’invecchiamento accresce l’onere di quiescenza su giovani ancor meno motivati a metter su famiglia. È un fatto: la rigida pianificazione familiare perseguita per decenni e la progressiva erosione dei valori associati alle tradizioni, hanno reso socialmente desiderabile avere un solo figlio o non averne nessuno. Il controllo delle nascite può associarsi a sanzioni, l’espansione del nucleo familiare, cui nessuno può essere costretto, richiede concrete misure di sostegno economico ora difficilmente erogabili. Da non trascurare, infine, il forte fenomeno migratorio verso il vituperato ma ambito Occidente, in un Paese caratterizzato da una competizione universitaria feroce e finalizzata a conquistare una posizione lavorativa migliore[13]. Il Paese, di fatto, non sta risorgendo come desiderato, anzi: alla luce di un possibile collasso demografico sarebbe auspicabile che la Cina migliorasse strategicamente i rapporti con l’Occidente, a pena di incorrere in un declino graduale accentuato dalla repressione dei diritti di genere, in un contesto in cui la rappresentanza politica femminile è praticamente inconsistente.
Soft power e realpolitik
Lo sviluppo della Cina si è accompagnato nel tempo all’esercizio di un accorto soft power, grazie agli istituti di cultura e all’opera diplomatica svolta dalle sue legazioni in tutto il pianeta; lentamente, sta ora prendendo sembiante una potenza militare inizialmente poco appariscente ma che non deve far per questo trascurare la rilevanza della realpolitik[14], ispiratrice di condotte pragmatiche e fondate su valutazioni concrete, prive di trascendenti afflati etico-morali. Nonostante l’accrescimento delle capacità belliche, accompagnate da una retorica sempre più aggressiva, le attività operative sono rimaste a lungo circoscritte in ambiti ristretti e contigui ai confini nazionali, fino a giungere all’attualità che ha visto la presenza di navi da guerra cinesi sia nel Mar Baltico, sia nel Mar di Barents sia nel Mar Cinese Meridionale con la Marina russa e, con l’Iran, nel Golfo di Oman[15]. Inevitabile dunque dover considerare l’interazione tra istituzioni civili e militari, laddove politicamente il controllo delle prime sulle seconde rimane vincolante ed imprescindibile, e tenuto conto che gli uomini in divisa, nell’alta gerarchia del PCC, sono sempre di meno[16]. Si tratta di un fenomeno, tuttavia, che nel contesto affaristico civile non si reitera, cosa che permette al PLA di esercitare una discreta influenza sui processi decisionali, anche se non in modo uniforme; esempio ne sia il progetto della BRI, potenziale trampolino di lancio per le capacità militari all’estero, ma in cui le FA non sono state coinvolte per evitare critiche e diffidenze in grado di vanificare un rebranding forgiato per configurare l’impresa quale simbolo di una pacifica cooperazione win-win. Prosaicamente, La strategia militare della Cina[17] punta a mantenere l’integrità territoriale del Regno di Mezzo, senza coltivare alcuna velleità di voler sostituire Washington quale poliziotto del mondo; questo, ovviamente, non ha impedito di perseguire una politica commerciale della difesa che ha condotto ad un buon volume negoziale di asset bellici cinesi da parte delle monarchie del Golfo[18].
L’importanza costante del terzo Plenum
Già dal 2023 la politica attendeva le risoluzioni approvate nel Congresso nazionale dell’ottobre 2022 con il primo Plenum[19], cui è seguito il secondo del febbraio 2023 tuttavia non perfezionato dalla definizione conclusiva dell’autunno dello stesso anno rimandata al 2024, cosa che ha sollevato non poche incertezze, specie perché i temi fondamentali sono rimasti quelli relativi alla sicurezza ed alla crescita economica[20], correlate alle politiche interna ed estera, con sullo sfondo l’eterna lotta alla corruzione, potente strumento di pressione politica, al di là dell’effettivo accertamento di qualsiasi malversazione; Honi soit qui mal y pense, ma certo tra corruttele, derive ideologiche, violentissime e sanguinose repressioni del dissenso, sembra di intravvedere qualche crepa di troppo nell’intonaco rosso e perbenista del Partito. È stato Xi ad evidenziare come la sicurezza costituisca il fondamento per sviluppo, prosperità e stabilità, unitamente ad un non più differibile processo di rinnovamento nazionale, secondo un concetto di sicurezza comune accolto con attenzione e con una certa diffidenza da parte dei Paesi dell’Asia orientale; il tutto secondo un’architettura securitaria che il Dragone vede ovviamente come più equilibrata e che intende agevolare la collaborazione con un’UE avvinta alla Nato, ma senza tralasciare la centralità della componente finanziaria. Si tratta di una consapevolezza che trae origine dalla crisi del 1997-98, ma che si è riverberata in conseguenza dell’aggravamento della contesa commerciale con gli USA, tanto da indurre ad ipotizzare lo sviluppo di un sistema finanziario alternativo immune ad ogni possibile misura sanzionatoria esogena. Elemento di relativa novità è stato quello rappresentato dal concetto di nuove forze produttive di qualità, necessarie alla gestione delle catene del valore per ottenere vantaggi comparativi nella produzione avanzata; un principio che richiama la necessità di puntare sull’innovazione tecnologica, con una crescita mutuata da proficui investimenti a lungo termine nei segmenti produttivi a carattere scientifico, ed a più breve scadenza nella riqualificazione industriale, il che costituisce di fatto un’ammissione governativa dei limiti strutturali ed economici esistenti. Attenzione però, perché dal quadro macroeconomico emergono due rischi concreti: il primo riguarda lo scollamento tra centro e zone periferiche regionali dove potrebbero essere imposte strategie irrealizzabili; il secondo un eccesso di capacità produttiva. La crescita economica, di fatto, sta decelerando, con il settore immobiliare in condizione di stasi e con i consumi da valutare[21]. Come perseguire allora l’obiettivo del Risorgimento nazionale, indispensabile per la trasformazione della Cina in superpotenza, entro il 2049, in competizione con i decadenti Stati Uniti?
Autarchia e forze produttive di qualità
Ma la politica incombe e nel recente (e fumosamente ritardato) Plenum, il momento più significativo del ciclo politico quinquennale della Cina, i 370 membri del Comitato Centrale hanno tenuto a stigmatizzare tutti i problemi economici incombenti, inghirlandando la narrativa con la descrizione del radioso futuro in imminente e luminosa attesa; in tale occasione l’esecutivo ha dichiarato di puntare ad una crescita del PIL del 5% entro il 2024, un tasso inferiore al 5,2% del 2023, ma tuttavia superiore alla previsione del FMI del 4,6%. Come perseguirlo, non è dato sapere[22]; quel che è certo è che incentivi di mercato, manodopera a basso costo, investimenti infrastrutturali, esportazioni e investimenti diretti esteri sono volani non più operativi come in passato, anche per il maggior intervento statale intervenuto. Il Terzo Plenum per quali ragioni è importante? Economiche o politiche? Sicuramente entrambe, in un momento in cui la debolezza demografica ha fiaccato l’offerta di lavoro, con una contestuale fuga degli investimenti[23]. I rischi arrivano innanzi tutto dal settore immobiliare, a lungo trainato dai rendimenti speculativi e dal debito, tanto che per massimizzare i profitti, i costruttori hanno venduto case ancora non realizzate. Con il rallentamento economico sono giunte poi restrizioni sui prestiti, cosa che ha impedito il saldo dei debiti preesistenti: da qui la crisi ed il fallimento dello sviluppatore immobiliare Evergrande, insieme con Country Garden e Vanke[24]. Se il governo da un lato ha confermato di voler ridurre la bolla immobiliare, dall’altro non ha specificato dettagliatamente come; la domanda carente dei consumatori rimane dunque correlata alla crisi immobiliare, con un valore delle case in picchiata e capace solo di indurre ad un risparmio precauzionale e ad un minor consumo, con un calo generalizzato dei prezzi di beni e servizi. Anche la domanda di asset all’estero è calata a fronte delle restrizioni americane, tanto da imporre l’autarchica necessità dell’autosufficienza economica, puntando alle già citate nuove forze produttive di qualità, concentrate su tecnologia e innovazione, tutti fattori che richiedono capitale umano qualificato, incentivi e garanzie istituzionali per tutelare l’assunzione dei rischi. Inevitabile ricorrere al settore privato, fiaccato da una quota di mercato tuttavia scesa al 36,8% alla fine del 2023 dal 55,4% a metà del 2021. Non c’è dubbio che Partito e Stato dovranno reggersi su organizzazione, leggi e studio, secondo un progetto neoclassico che compendi la struttura imperiale in modo da contemperare il controllo del Partito stesso a fronte delle FA, della crescita economica e delle necessità dei consumatori, consentendo la realizzazione di impianti industriali atti a consentire produzioni capaci di reggere il confronto tecnologico con gli USA. Senza andare molto lontano dalla verità, il Wall Street Journal ha scritto che il Plenum suggerisce un futuro che assomiglia più o meno al presente, con una forte resistenza al cambiamento nonostante i segnali che indicano approcci insostenibili, e senza una concreta exit strategy emergenziale, malgrado sia dato per inteso che entro il 2035 il sistema economico di mercato socialista di alto livello dovrà essere pienamente stabilito. Il problema è che il programma così tratteggiato si basa sulla promozione di uno sviluppo di alta qualità fondato sul miglioramento del sistema di governance macroeconomica, asserzione che, presa con le molle, vuol dire talmente tante cose da non dire quasi nulla, fatta salva una modernizzazione generata da uno sviluppo caratterizzato da multipolarismo e globalizzazione economica inclusiva. In teoria Xi ora avrebbe bisogno di essere più forte che mai, tuttavia le defenestrazioni avvenute, non da ultimo quella di Qin Gang, fedelissimo ex ministro degli esteri, inducono a più di una riflessione dello stesso tipo di quelle pensate ma prudentemente non espresse al momento dell’allontanamento forzato di Hu Jintao il 22 ottobre 2022, ultimo giorno del Congresso. La storia a volte è beffardamente enigmatica.
L’economia del Drago
Inevitabile, a questo punto, tornare sull’economia, il più immediato terreno di scontro tra egemoni. Secondo uno dei più recenti Chief Economists Outlook del World Economic Forum, l’economia globale si presenta con un aspetto prudentemente ottimistico, malgrado le turbolenze geopolitiche e la notevole variabilità; tensioni e conflitti esaltano l’interconnessione tra economia e politica. Malgrado dalle economie asiatiche ci si attenda una buona crescita, debolezza dei consumi e fragilità del mercato immobiliare impongono la prudenza circa le aspettative cinesi. Le asperità geopolitiche possono condurre a interruzioni nelle supply chains nei mercati energetici e lungo le più importanti rotte commerciali, influenzando tutto il contesto finanziario. Qualsiasi attrito riguardante la Cina può interrompere gli approvvigionamenti di terre rare, compromettendo il percorso verso soluzioni energetiche sostenibili. A ciò va aggiunta la considerazione per cui gli squilibri macroeconomici e le politiche non di mercato cinesi rappresentano un rischio per tutte le altre imprese, data la possibilità che le caratteristiche economiche di Pechino conducano a un eccesso di capacità industriale capace di compromettere solidità e capacità di ripresa delle supply chains occidentali, una sovraccapacità in cui la produzione è svincolata dalla domanda globale ed è in grado di determinare la perdita di posti di lavoro. La caratteristica peculiare di questa relazione sono stati gli squilibri macroeconomici; la Cina ha mantenuto negli ultimi vent’anni un tasso di risparmio[25] alto, pari a circa il 45-50% del PIL; con il 28% del risparmio globale, e con il 18% della produzione globale, gli alti risparmi hanno evidenziato bassi livelli dei consumi familiari. Poiché i consumi cinesi sono più bassi rispetto a quelli di altri soggetti economici con pari livelli di reddito, è palmare ritenere che questi risparmi, incanalandosi altrove, abbiano lasciato l’economia cinese dipendente da una combinazione di investimenti interni e domanda estera. Va rammentato che fino a un paio di decenni fa la Cina si affidava alla domanda estera con un avanzo delle partite correnti, mentre gli investimenti nelle infrastrutture e nel settore immobiliare drenavano i risparmi. Allo stato attuale il Dragone vede allontanarsi i fondi stranieri sia per effetto del collasso Evergrande, sia per le improvvide ingerenze politiche di partito, sia per la crisi di liquidità, sia per lo s-boom post Covid. Il giocattolo cinese si è rotto, e l’inversione dei flussi di capitale è stata potenziata dai produttori stranieri che hanno spostato le fabbriche dalla Cina.
Se Pechino si affida alla domanda estera per la crescita, e quando i surplus commerciali di settore crescono rapidamente, la perdita di posti di lavoro e la contrazione salariale creano danni duraturi alle comunità caratterizzate dal basso reddito. Questo significa che la Cina, economia ormai troppo grande e priva della libertà d’azione precedente, non può più fare affidamento sulla crescita globale; se Pechino opta per il settore manifatturiero come motore di crescita, questo vuol dire che intende assumere una quota sempre più grande della produzione globale, costringendo gli analoghi settori manifatturieri di altri paesi a ridursi per compensare. È evidente che le dimensioni cinesi portino squilibri tali da sbilanciare l’economia planetaria: una grande economia con una posizione dominante sul mercato, può incidere sui prezzi globali lasciando che tutto il mercato ne paghi le conseguenze; nel momento in cui la produzione cinese cresce più velocemente della domanda interna o di quella globale, il mercato non può assorbire l’aumento produttivo senza contraccolpi: condizioni incongrue in una normale economia di mercato e comuni in presenza di distorsioni indotte da improvvide politiche governative. La combinazione degli squilibri macroeconomici e del supporto statale a specifici settori industriali determina la sovraccapacità industriale. Il CSIS[26] ha concluso che la Cina spende circa il 5% del PIL in sussidi industriali, dieci volte di più degli USA, del Brasile, della Germania, del Giappone, secondo algoritmi che indicano un aumento della pratica in questione. I fondi di investimento governativi continuano dunque ad utilizzare risorse pubbliche per effettuare investimenti azionari in settori e attività ritenute rilevanti ma a trasparenza limitata. Le condizioni settoriali cinesi sono esaltate da politiche non di mercato che infrangono il vincolo tra imprese e forze mercantili e consentono di vendere beni all’estero a prezzi inferiori a quelli che i loro concorrenti sono in grado di offrire in funzione di una crescita di capacità che sopravanza la domanda globale[27], o perché imprese in perdita e bassi rendimenti possono essere risultati fisiologici in settori nuovi o in trasformazione[28] o, infine, perché si palesa un calo delle percentuali di impiego della capacità produttiva[29]. Non c’è dubbio che le imprese cinesi, sostenute dal governo, potenzieranno la produzione, satureranno il mercato interno ed esporteranno l’eccesso di produzione a tassi inferiori. Da non trascurare poi il fatto che la produzione cinese, durante le recessioni, è meno reattiva, sicché piuttosto che diminuire la produzione o soggiacere ad un consolidamento di settore, le industrie continuano a forzare verso l’estero l’eccesso di offerta. La sovraccapacità distorce i prezzi dei mercati, minaccia la redditività dei concorrenti stranieri, ritara la risposta dei mercati esteri. L’incremento dei casi di antidumping nei confronti di uno specifico paese non può che suggerire che le imprese di quest’ultimo stiano vendendo a prezzi inferiori ai costi o alle normali condizioni di mercato, e qui gli squilibri cinesi non passano certo inosservati[30]. La Cina stessa è consapevole dei problemi derivanti dalla sua sovraccapacità, riconosciuta come un rischio per la ripresa economica e per l’inevitabile reazione dai mercati esteri; la difesa contro sovraccapacità e dumping non è un’arma protezionistica o anticommerciale, ma rientra nella salvaguardia di imprese e lavoratori dalle pratiche distorsive da parte di un’altra economia che sta dibattendo su come superare i problemi strutturali evitando lo scoppio della bolla immobiliare e rilanciando lo sviluppo, visto che la percezione che il Paese abbia ormai raggiunto il suo apice si è ormai diffusa con il timore del consolidamento di un modello di crescita rallentata dalla trappola del reddito medio per effetto dell’aumento del costo della vita e dalla perdita di competitività. Attenzione però alla recessione patrimoniale, accezione resa popolare da Richard Koo, economista taiwanese americano, che ritiene che se a Pechino scoppiasse la bolla immobiliare si innescherebbe una recessione tale da richiedere un forte stimolo fiscale[31], anche perché il mercato di settore rappresenta una quota forte del PIL (fino al 30%). A chi asserisce che la recessione altro non è che un fenomeno controllabile in quanto prodotto di scelte politiche deliberate, converrebbe rammentare quanto sia complicato fermare a mani nude un treno in pieno abbrivio visto che, malgrado le alchimie controllate, l’inflazione tende a rimanere bassa[32] con tassi di disoccupazione alti con famiglie che drenano parte di ciò che realizzano ostacolando la capacità di consumare la parte più consistente della produzione. Un tasso di risparmio così alto indica una scarsa fiducia nella capacità politica di guardare e provvedere al futuro, come avvenuto con Evergrande e con i deboli piani di welfare approntati[33]. Insomma, al momento nulla di innovativo o di dirompente se non la latente resistenza di gruppi sociali che non intendono rinunciare ai benefici acquisiti. A ben vedere, l’ultimo Plenum risulta molto affine a quello del 2013 specialmente sotto l’ottica per cui risulta quanto mai difficile privare di qualsiasi cosa vecchi e consolidati percettori, che si vogliono ora orbati di autonomia e vantaggi. I cambiamenti mancati del 2013, uniti alle necessità attuali, indicano che il Timoniere è ostacolato dalla sua stessa politica e dall’ipotesi della rielezione di Donald Trump, la cui visione della Cina quale potenza revisionista ha irrigidito le relazioni e la cui politica daziaria e di pressione non è poi stata così intenerita dall’amministrazione Biden. Protezionismo e contrazione del commercio transfrontaliero freneranno la crescita ovunque ma gli USA continueranno a disporre di guarentigie esclusive che lasciano supporre che Cina ed UE[34] potrebbero trovarsi dal lato perdente del tavolo visto che Pechino continua ad avere problemi con il mercato del lavoro, in particolare con il segmento dei neolaureati[35].
L’allentamento di molte delle misure restrittive sull’immobiliare ha sì determinato un calo dei tassi sui mutui con un aumento delle misure a sostegno al settore, ma ha favorito solo un temporaneo incremento della superficie residenziale completata; altri fattori hanno favorito la persistenza della crisi[36]: mancanza di liquidità o successiva bancarotta hanno costretto molte imprese ad interrompere i lavori, tanto da indurre gli acquirenti a sospendere il pagamento dei mutui[37]. Recentemente i dati ufficiali hanno rivelato l’essenza dell’acqua calda, evidenziando che la crescita del PIL sta scendendo al di sotto dell’obiettivo ufficiale del 5% a causa di un fattore destinato a sopravvivere all’attuale e non stimabile stasi e che va oltre l’autoritarismo di Xi, saggiato a denti stretti dai cittadini di Hong Kong, ed il crollo immobiliare, ovvero una strategia economica ormai obsoleta che privilegia la produzione industriale e che ha condotto ad un eccesso di investimenti in impianti per settori che vanno dalle materie prime alle tecnologie emergenti, caricando di debiti città ed aziende. Il risultato è stato quello di trovarsi nella necessità di dover sovrapprodurre per generare liquidità, per poi chiudere i battenti generando disoccupazione e lasciando il campo ad altre imprese spesso meno performanti, secondo il principio immortale della clonazione dell’elemento peggiore (non del migliore). A ben vedere si tratta di prendere atto di aspetti che stigmatizzano ogni organizzazione a carattere fortemente gerarchico[38], prova ne sia che, malgrado le pessime performance, si è comunque creato un eccesso di investimenti in settori commerciali già saturi, cosa che ha determinato una guerra interna dei prezzi che ostacola i profitti e annichilisce i capitali sotto la guida sia del governo centrale sia di quelli locali[39] che sono costretti ad assumersi la responsabilità della (difficile) buona riuscita dei progetti. Altro problema incompreso a livello centrale è la mancanza di differenziazione, per cui l’attuazione della politica industriale fa sì che le varie regioni competano per gli stessi settori produttivi anziché privilegiare i diversi punti di forza[40]; anche questo ha condotto a sovraccapacità e ad alti livelli di debito, con forte spreco di capitali in investimenti ridondanti che accentuano le economie di scala piuttosto che l’innovazione, con buona pace della Ricerca & Sviluppo e secondo il paradigma del cane che si morde la coda, dato che le esenzioni fiscali limitano le entrate dei governi locali che, sull’altra guancia, prendono gli schiaffi del governo centrale. In sintesi: la relazione tra i governi locali e le imprese che loro stessi sostengono ha creato una crescita del PIL locale alimentata dal debito lasciando l’economia nella trappola non invertibile dell’eccesso di capacità. Insomma, come incancrenire i problemi guardandosi bene dal risolverli, visto che la forza trainante dell’innovazione è la rottura, exploit inconcepibile in un sistema capitalistico di stato dove è vietato parlare al conducente.
Il multilateralismo dei BRICS
A grandi linee, in quest’ambito asimmetrico non è così improprio toccare la tematica BRICS[41], organizzazione che, con peso soverchiante cinese, intende creare un nuovo ordine politico economico alternativo a quello occidentale esteso fino al Golfo Persico, privilegiando risvolti geopolitici che valorizzano politiche e progetti come la saudita Vision 2030, i contorni marcati dalla Belt and Road Initiative ed il tentativo di creare una valuta unica a base aurea[42] in grado di preservare le economie dei partecipanti dalle sanzioni internazionali[43]. In quest’ottica l’analisi su un nuovo Washington Consensus ha preso nuovo vigore dopo che Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale USA, ha tenuto una prolusione alla Brookings Institution, da cui è disceso un nuovo orientamento strategico interno al G7, relativo al passaggio da interdipendenza economica a sicurezza economica. In ogni caso, lo sviluppo cinese tra recente passato e immediato futuro è e sarà segnato da squilibri che richiederanno tempi lunghi che non potranno non trovare correlazioni significative con le attività di politica monetaria estera. In uno scenario così complesso va scisso il peso politico e demografico da quello economico e relazionale esercitati dagli aderenti e dagli aspiranti aderenti ai BRICS, ovvero: che la stadera politica penda sempre e comunque verso l’egemonia cinese davvero accontenta tutti? E poi: la Cina ha considerato la propria situazione economica interna più su tratteggiata? In ogni caso il peso geopolitico cinese è avvertito in ambito SCO, secondo una rilevanza che fa sì che il Presidente russo non sia più di fatto un primus inter pares ma un problema che sta guastando gli interessi economici di Pechino.
I rischi d’impresa della politica
Ma non è tutto oro quel che luce; le vie tracciate da Xi per sottrarre l’Europa agli Usa e installarsi in Africa non si impongono con facilità, visti eccesso di prestiti, consapevolezza dei rischi di impresa e guerra ucraina: i programmi che prevedevano una forte domanda estera di infrastrutture sono stati di fatto disattesi, con sullo sfondo un’Europa che, con il resto del G7, dibatte sulla semantica di derisking, preferito a decoupling. Non c’è dubbio che la guerra ucraina mini una delle dimensioni strategiche fondanti della BRI visto che, travisata da progetto logistico e infrastrutturale, punta in realtà ad ottenere l’affrancamento dal preponderante contenimento marittimo americano; utile ricordare che la BRI intendeva controllare la massa continentale eurasiatica rendendola un retroterra cinese, ipotesi non più percorribile stante la necessità di far viaggiare i convogli ferroviari attraverso Russia e UE. A questo va aggiunto che per molti paesi contrarre prestiti con Pechino è divenuto insostenibile visti i rincari conseguenti alla guerra, che hanno deteriorato i bilanci pubblici. Insomma, un problema serio dati i tre obiettivi inizialmente perseguiti dalla Cina, ovvero: dare sfogo alla sovraccapacità produttiva; sostenere il contrasto alle conseguenze dell’invecchiamento demografico, dato che interessi e rimborsi avrebbero fornito entrate certe a sostegno di una popolazione che invecchia; introitare valuta pregiata (dollari) senza dover ricorrere a commercio e Borse. Altro problema è dato dal debito cinese, una vulnerabilità posta in ombra dal debito contratto dai Paesi verso la Cina; di fatto due crisi collegate, poiché la fragilità interna cinese può aggravare la situazione debitoria di altri, visto che le condizioni economico-politiche cinesi sono cambiate.
Nell’arco di vent’anni Pechino ha impiegato le riserve di dollari in investimenti diretti ed in prestiti, versando centinaia di miliardi di valuta pregiata per progetti infrastrutturali rientranti nella BRI e diventando così il maggior creditore mondiale dei Paesi in via di sviluppo. Dalla crisi del 2008 le banche cinesi hanno fruito dell’ombrello fornito dalla BRI; tuttavia le condizioni odierne sono mutate ed internamente il debito pubblico è lievitato, tanto che l’indice di indebitamento già ad inizio 2023 aveva raggiunto livelli record, per cui il rapporto complessivo debito pubblico/privato-PIL toccava il 279,7%. La Cina ha dunque scoperto che la strategia utilizzata per aumentare ascendente politico diventando grande creditore, ha un trade-off economico-politico insostenibile: le aspirazioni di influenza politica richiedono il recupero dei capitali prestati tanto da rivestire, più che il ruolo di investitore, quello di escussore, vista l’entità del debito pubblico dei governi locali, realtà che tuttavia cozza contro la politica di FMI e Banca Mondiale, che premono per una ristrutturazione dei debiti contratti da Paesi altrimenti destinati al collasso.
Linee occidentali di reazione
Il mondo dell’Ovest si sta confrontando con sempre maggiore verve con la Cina, capace di penetrare nei mercati africani mentre si espande in Asia ed esercita una costante influenza sulle economie americana ed europea. Probabilmente, al di là dei formalismi, Pechino costituisce la più grande minaccia al liberalismo occidentale dal 1989, tanto da costringere l’Ovest sia ad affrontare il pericolo cinese, sia a fronteggiare la potenza russa. Una soluzione già vista potrebbe essere, da parte americana, quella di convergere con la Cina per fare muro contro il Cremlino; il Quad[44] o la NATO asiatica possono interpretare ruoli polivalenti nella regione Asia-Pacifico, un’area strategica comprendente USA, Australia, Giappone, che sta cambiando la sua postura militare, e India, la new entry con la maschera dell’imperialismo neo-occidentale, cui la Cina contrappone la rotta transpolare da collegare con la Via della Seta Marittima. Non escludiamo le provocazioni, ovvero l’opportunità di un cambiamento ideologico che instauri affinità posturali tra UE e Cina, magari inducendo il liberalismo occidentale a contemplare nuove accezioni inclusive di una nuova visione della politica vicina ad una forma di conservatorismo più rigido; il tutto rientra tra le boutade, benché il ménage della questione inerente all’app cinese Tik Tok induca a pensare ad altro[45]. Consequenziale valutare, a più alto livello, la sostituzione della Forza di supporto strategico con tre organi dedicati alla Disseminazione informativa, al Ciberspazio e allo Spazio, una decisione volta a potenziare il coordinamento informativo per giungere ad una nuova dimensione spaziale e marittima pronta alle guerre intelligenti in cui IA, big data e cloud sono impiegati in tutte le fasi del conflitto.
Conclusioni
Il panorama che si è tentato di tratteggiare è ovviamente incompleto, tale è l’estensione e la complessità della tematica cinese, a cominciare dal cambiamento di strategia navale dal 1949, che ha ampliato sia il campo di azione da Taiwan alla più estesa area del Mar Cinese Meridionale, sia le capacità operative della Marina, imponendo l’impostazione ed il varo di unità navali in grado di conferire con il tempo la qualifica di Blue. Dagli anni 2000 allo sviluppo commerciale si associa la necessità di proteggere le rotte commerciali salvaguardando gli interessi economici, pur salvaguardando il teatro indopacifico comunque vincolato ad un’evoluzione che ancora non eguaglia le capacità tecnologiche della US Navy, forza ora da evitare in acque aperte.
Questo, tuttavia, non significa che la Cina, insieme al Regno Eremita della Corea del Nord, non costituisca una minaccia per i vicini, specialmente per il Giappone[46]; l’aggressione russa all’Ucraina, che ha determinato una variazione dello status quo grazie all’uso della forza, ha fatto sì che Tokio entrasse a pieno titolo nella panoplia occidentale, vista anche la Nuova Strategia Nazionale adottata dal 2022 e l’incremento delle spese per la difesa che denotano una filosofia diversa e più proattiva, non più supinamente ripiegata sugli USA che, realisticamente, stanno reinterpretando il loro primato militare. Stessa cosa dicasi per l’Australia dove, in considerazione delle infiltrazioni dei servizi segreti cinesi[47], il 63% degli intervistati vede ormai Pechino come un pericolo per la sicurezza nazionale e dove le FA, sulla base di Aukus, sono state chiamate ad adeguarsi rapidamente all’ipotesi di un conflitto ad alta intensità nell’Indo Pacifico. Con gli USA intanto la corsa agli armamenti procede alimentando il rischio di scontri accidentali al largo delle Isole Spratly o di confronti diretti nello Stretto di Taiwan. Malgrado le (deboli) schermaglie diplomatiche, Cina, che coltiva una posizione difensiva[48] e USA, che ne ha adottata una offensiva basata su sanzioni commerciali, si preparano al peggio. Del resto la posta il gioco è altissima, si tratta dell’attribuzione dell’effettività geopolitica, una volta definita fase dell’ambiguità coesistenziale del 1972, della frattura insanabile di Tienanmen del 1989, dell’avvento di Xi, in un contesto dove comincia ad essere difficile stabilire dove arrivino gli uni, che non rinunciano certo al Pacifico, e cominci l’altra, che alimenta aspre vie della seta, alla luce sia degli scontri diretti sia delle immancabili rappresaglie asimmetriche, in un momento in cui le dinamiche elettorali statunitensi fanno presagire un periodo post consultazioni comunque poco idilliaco. Attingendo all’esempio reaganiano, la scuola di pensiero dei New warrior of the Cold War, afferma che la competizione con la Cina deve essere vinta, non gestita; il filone dei Competition Managers ritiene che la rivalità tra USA e Cina non sia un gioco a somma zero e dunque che sia indispensabile disporre di una strategia di coesistenza; la terza dottrina, quella degli Obliging[49] pur condividendo la scarsa empatia per il sistema cinese porta a considerare rischi e conseguenze di un conflitto. In ogni caso, Pechino non sembra ritenere possibili cambi di rotta nel prossimo decennio, visto che i sondaggi e il consenso bipartisan fanno presumere che chiunque verrà eletto alla Casa Bianca continuerà a dare priorità a competizione strategica e contenimento, perseguendo prudenti accordi bilaterali magari usando Taiwan, e la sua ambita indipendenza de jure, quale merce di scambio; dato però che nessuno dei due contendenti, Harris e Trump, sembra propenso al conflitto militare, è difficile che Pechino nutra una preferenza netta: data la sensibilità politica attuale qualsiasi azione d’interferenza cinese si ritorcerebbe contro Pechino.
Il rapporto interculturale non è mai stato agevole; la cultura occidentale, secondo Arnold Toynbee[50], ha un carattere radioattivo che assedia le altre, private di qualsiasi possibilità di reazione[51]. Se da una cultura si stacca una scheggia che si introduce in corpo sociale estraneo, si conserveranno comunque gli elementi costitutivi originari permettendone la ricostruzione[52], consentendo un processo di acculturazione inarrestabile. A ben vedere è quanto la Cina ancora ricorda con umiliazione rammentando la presenza occidentale tra fine 800 ed inizio del secolo scorso, ed è quanto sta tentando di fare ora lei stessa introducendo nella realtà occidentale un soft power discreto ma pervasivo. Ora come allora è stato essenziale comprendere da dove scaturisse la potenza europea per poterla imitare autorafforzandosi, ovvero apprendendo ed utilizzando scienza e tecnica occidentali in modo di resistere alle aggressioni pur mantenendo la cultura e i valori tradizionali: il sapere occidentale come mezzo, il sapere cinese come fondamento[53], un esperimento destinato al fallimento perché non è possibile far convivere una società aperta antitradizionale in una società chiusa. Ecco perché, probabilmente, come accaduto nel 1979 in Iran, Mao Zedong richiuse la Cina all’Occidente e al mondo, lasciando a Deng Xiaoping l’onere della riapertura dopo una serie di scelte disastrose la cui aura si è riflessa sulle decisioni di Xi che hanno riguardato Alibaba ed il patron, Jack Ma. Per il principio dell’autorafforzamento, favorendo il trasferimento tecnologico in Cina, Deng ha cercato di consolidare il PCC, non ricordando però che il principio per cui una cosa tira l’altra era quello che aveva messo in crisi il vecchio impero, tanto da arrivare alle nemesi del 1989 di Tienanmen, con i carri armati lanciati contro i rappresentanti delle istanze più moderniste e libertarie di stampo occidentale che testimoniavano il passaggio -bloccato- dalla modernizzazione economica a quella politica. Quel che è rimasto, ad oggi, è dunque il tentativo di far convivere mercato e autocrazia, dove il PCC, per conservare il potere, deve aumentare il controllo su società ed economia evitando che diventino autonomi, anche se questo vuol dire rallentare l’economia nazionale. Per dare ancora una volta il via sarebbero necessarie riforme politiche, tuttavia fermate da un sistema sclerotizzato organizzato da e attorno un politico che ha optato, da buon timoniere, per un dispotismo capace di soffocare qualsiasi sussulto. Guardando a Hong Kong ed al giro di vite liberticida, sembra di poter quanto meno ipotizzare che la causa della libertà sia definitivamente persa e che il PCC sia riuscito, come nel 1989, a recidere l’ultimo legame tra modernizzazione economica ed evoluzione politica.
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[1] A 30 km dalla città di Xi’an
[2] Gli Istituti Confucio sono istituzioni governative che promuovono la cultura cinese all’estero.
[3] Per quanto concerne le giovani generazioni ci sono da notare due fattori: l’aumento del tasso di obesità, passato dal 2,1% nel 1985 al 12,2% nel 2014, e la presunta scarsa virilità maschile; tra l’altro il governo ha anche ridotto il numero di ore di studio domestico, limitando le attività di tutoraggio online e l’uso dei videogiochi; in più ha aggiornato il curriculum scolastico con più ore di ginnastica ed addestramento paramilitare.
[4] Il disagio viene espresso dai giovani, a fronte delle discrepanze tra le prospettive di vita lavorative e quelle diffuse dal main stream ufficiale con il tangping, ovvero lo stare sdraiati quale forma di reazione passiva alle delusioni e sulla scarsa attinenza dell’ufficialità formale con la realtà, un indice della decrescente fiducia popolare.
[5] Dal 2023 Pechino interpreta il ruolo del risolutore delle controversie regionali (Iran-Arabia Saudita, Rohingya in Myanmar, Afghanistan, Ucraina) dato che l’epidemia di Covid-19 ha fortemente danneggiato la sua reputazione, la Cina cerca di recuperare un’immagine nazionale positiva.
[6] In questo momento gli USA hanno rimodellato le linee politiche di faglia continentali; hanno costretto l’asse franco-tedesco a fare pressione sulla Russia; hanno venduto le proprie risorse energetiche all’Europa.
[7] La Cina ha aumentato del 40% le importazioni di prodotti energetici russi ma non ha fornito apparecchiature militari cruciali.
[8] Gli USA hanno adottato la tecnica dell’engagement che consisteva nell’intrattenere relazioni economiche con la Cina sperando che il loro sviluppo innescasse democratizzazione e adesione alle norme internazionali. Per Jake Sullivan “l’errore fondamentale della politica di engagement è stato supporre che avrebbe portato a cambiamenti sostanziali nel sistema di governo, nell’economia e nella politica estera della Cina”.
[9] Il tasso di disoccupazione giovanile in Cina ha raggiunto il 17,1 % a luglio 2024, il livello più alto dall’inizio dell’anno. Il tasso di disoccupazione tra i 16 e i 24 anni, non più inclusivo degli studenti dopo la modifica governativa della formula di calcolo della disoccupazione, era del 13,2 % a giugno.
[10] Ultimamente i non residenti hanno effettuato disinvestimenti diretti netti per 15 miliardi di dollari, portando il saldo del primo semestre 2024 a meno 5 miliardi a causa della debolezza congiunturale cinese e delle tensioni geopolitiche. Per molti gestori di fondi stranieri il rischio di investire in titoli cinesi è aumentato nell’ultimo anno e i rendimenti non sono stati all’altezza; di conseguenza, molti fondi pensione e altre grandi istituzioni hanno smesso di acquistare in Cina per spostare i capitali invece verso mercati più promettenti come quello indiano.
[11] Gli emendamenti allo statuto del PCC del 2018 ed alla costituzione del 2022 hanno elevato Xi a centro vitale del Partito. Il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova èra, ha trovato dignità costituzionale nel 2022. Il ritorno del maoismo da parte di Xi ha reso i processi politico e di governo più sfuggenti ed autoritari rispetto ai predecessori Deng, Hu Jintao,Jiang Zemin. Xi è ormai riuscito a piegare le regole stesse del PCC avocando a sé un sempre maggior potere decisionale, minato tuttavia da episodi come quello relativo alla destituzione del fedelissimo Qin Gang dalla carica di ministro degli esteri.
[12] Nuova Zelanda, Giappone, Corea del Sud, Australia, sotto determinati aspetti India e Filippine
[13] Il gaokao, il test di ingresso per l’università è diventata strumento di competizione e pressione estenuante. Molti studenti ripetono il gaokao sperando di acquisire un punteggio migliore che permette l’accesso ad università più prestigiose; questo ha condotto a saturare il mercato del lavoro con un impatto che si estende alle decisioni familiari ed alla fertilità: l’ansia a livello sociale, insieme con i costi per l’istruzione, ha contribuito a far decrescere il tasso di natalità
[14] Tom Christensen, Foreign Affairs, 1996
[15] La PLAN fa parte di una struttura civile, paramilitare e militare multistrato che le autorità politiche stanno utilizzando per promuovere gli interessi marittimi attraverso la coercizione e la minaccia dell’uso della forza, minando i principi fondamentali della libertà di navigazione.
[16] Durante Il recente Terzo Plenum del PCC, l’ammiraglio Dong Jun, ministro della Difesa, non è stato né cooptato nella Commissione Militare Centrale, né nominato Consigliere di Stato. L’ammiraglio è responsabile della gestione delle relazioni delle forze armate, non è nella catena di comando diretta per le operazioni di combattimento, né è un membro degli organi decisionali del partito.
[17] Vd. libro bianco edito nel 2015
[18] Alla Unmanned Systems 2024 di Abu Dhabi (UMEX), il secondo Stato più rilevante in termini di superficie espositiva è stato la Cina dopo EAU e davanti agli USA Al Saudi World Defence Show 2024, la superficie della Cina ha raggiunto i 4.668 metri quadrati. Secondo il SIPRI, tra il 2010 e il 2020 Riyadh ha importato armi cinesi per circa 245 milioni di USD, contro gli oltre 19 miliardi di USD degli USA. Gli EAU, tra 2010 e 2021, hanno importato armi cinesi per circa 166 milioni di USD e 7,3 miliardi di dollari dagli USA, mentre il Qatar ha acquistato armi cinesi per 118 milioni di USD, armi francesi per circa 2,3 miliardi e 4,2 miliardi dagli USA.
[19] Dal 1982, il Politburo e il comitato centrale convocano sette plenum ogni cinque anni. Il primo e il secondo plenum trattano le nomine dei vertici del partito e la ristrutturazione delle istituzioni governative; il terzo introduce iniziative politiche per i successivi cinque-dieci anni. Il terzo plenum è dunque il momento costitutivo del ciclo politico quinquennale Nel 1978, il terzo plenum dell’11° comitato centrale ha fatto passare il Paese dalla tumultuosa gestione della Rivoluzione Culturale all’introduzione della riforma economica di Deng Xiaoping.
[20] Per raggiungere l’obiettivo della crescita economica, la Cina sta perseguendo la strategia del Grand Steerage (Barry Naughton), con l’uso di agevolazioni fiscali, sconti per ricerca e sviluppo, fondi orientamento, capitali dallo Stato, sussidi energetici per le imprese ritenute strategiche
[21] Le vendite al dettaglio sono cresciute del 7,2% su base annua nel 2023, inferiore ai tassi degli anni 2010
[22] Moody’s ha tagliato la sua valutazione sui rating del credito pubblico da stabile a negativo, visto che l’economia cinese ha stentato nel ritrovare slancio date le politiche restrittive per arginare la pandemia e la crisi immobiliare. Moody’s ritiene che la crescita annuale del PIL rallenterà al 4,0% nel 2024 e 2025e in media al 3,8% dal 2026 al 2030. Il declassamento è giunto quando il Paese sta incrementando i suoi prestiti come misura di sostegno economico, cosa che ha suscitato preoccupazioni sui livelli di debito con la prospettiva di un’emissione straordinaria di obbligazioni. Secondo il FMI il debito dei governi locali ha raggiunto i 12,6 mila miliari di dollari, ovvero il 76% della produzione economica cinese nel 2022
[23] A inizio 2024, gli investimenti diretti esteri in entrata erano meno del 10% dei 344 miliardi di dollari ricevuti nel 2021.
[24] Le restrizioni dell’offerta, introdotte da fine 2019 e poi intensificate, hanno preso la forma di una restrizione del credito al settore immobiliare (imposizione delle Tre Linee Rosse) con lo scopo di imporre una disciplina di bilancio alle società indebitate, ridurre il rischio finanziario, evitare un eccessivo aumento dei prezzi, deviare il credito da un settore a produttività decrescente, quale quello immobiliare, verso settori innovativi. La restrizione del credito e la diminuzione dei ricavi dalle prevendite di abitazioni in costruzione, in un contesto di rallentamento dell’economia per pandemia e tolleranza zero sul COVID-19, hanno limitato la liquidità di molte imprese immobiliari, fino a portare alla bancarotta di Evergrande.
[25] Secondo il PCC il consumo rientra nelle distrazioni individualistiche che distolgono le risorse dalla base industriale. Secondo la linea ortodossa il vantaggio economico deriva quindi dai bassi consumi e dagli alti tassi di risparmio, che generano capitali che il sistema bancario di Stato può dirottare sulle imprese industriali. Il sistema consolida la stabilità politica poiché incorpora la gerarchia del partito in ogni settore. Visto che la base industriale dipende da finanziamenti a basso costo gli imprenditori sono vincolati agli interessi del partito. In Occidente il denaro influenza la politica, in Cina è il contrario. L’economia ha bisogno di un nuovo equilibrio tra investimenti e consumi, cosa altamente improbabile perché dipende dal controllo politico.
[26] Center for Strategic and International Studies
[27] Vd. e.g. batterie agli ioni di litio ed i veicoli elettrici
[28] Le aziende in perdita dovrebbero fallire, non continuare a produrre aumentando l’offerta, a meno che i sussidi governativi non consentano all’impresa di prolungare la sua attività.
[29] I tassi di utilizzo della capacità possono fluttuare con il ciclo economico; I dati di inizio 2024 mostrano che il tasso di utilizzo della capacità produttiva cinese è sceso al punto più basso dal 2016 proprio nei settori nei settori a cui Pechino dà la priorità (automobilistico, solare, dei semiconduttori).
[30] Oltre agli USA anche UE e Turchia hanno imposto dazi sulle importazioni cinesi di vetture elettriche, mentre Messico, Cile e Brasile hanno intrapreso azioni sull’acciaio cinese e l’India ha difeso i suoi produttori di energia solare.
[31] Secondo Koo le recessioni patrimoniali avvengono quando i prezzi dei beni declinano, portando a una riduzione della leva finanziaria tra famiglie e imprese, cosa che conduce ad un calo della spesa e nella stagnazione. La convinzione alla base è che se in Cina scoppiasse la bolla immobiliare si potrebbe innescare una reazione a catena in tutti i settori.
[32] La Trappola della liquidità è relativa alla situazione in cui l’aumento dell’emissione di moneta non determina quello di prezzi e domanda, un fenomeno che riesamina l’idea tradizionale di inflazione e deflazione una dinamica che richiederebbe politiche stimolanti la domanda interna.
[33] Curiosamente la filosofia economica cinese ha palesato alcuni elementi in comune con quella del GOP statunitense, tanto che il PCC ha accentuato la responsabilità personale e dopo aver definito i programmi di sicurezza sociale occidentali come assistenzialismo. Durante l’epidemia di Covid-19 la Cina non ha elargito aiuti alle famiglie.
[34] L’Europa rischia sia di diventare più periferica negli affari globali, ma anche di perdere potere contrattuale con le economie indo-pacifiche.
[35] Un eccessivo affidamento all’impiego pubblico potrebbe plasmare il futuro della Cina, ed è quindi da considerare il fatto che, laureati e laureandi, sempre più spesso, si rivolgono al settore pubblico per ragioni pragmatiche: impiego sicuro, retribuzione dignitosa, buoni benefit, un favorevole equilibrio tra lavoro e vita privata.
[36] Secondo l’Economist potrebbe essere imminente una crisi manifatturiera; secondo i dati del National Bureau of Statistics, il 30% circa delle aziende erano in perdita già alla fine di giugno 2024, dunque non secondo una crisi improvvisa visti i dati dell’inizio dell’anno (44% delle 500mila compagnie esaminate in perdita). Altri indicatori negativi: discesa delle vendite delle auto nel mercato interno; esportazioni calanti. Comparto in imprevedibile sofferenza quello delle auto elettriche. Secondo l’Economist nel 2023 non meno di 52mila aziende legate al ciclo dell’EV avrebbero chiuso con un incremento di quasi il 90% rispetto al 2022. La sovraccapacità sta inoltre colpendo il settore dell’energia solare mentre i semiconduttori sono in crisi iniziale.
[37] A maggio 2024 è stato varato un piano nazionale comprensivo a supporto del mercato immobiliare che rende lo Stato un compratore di ultima istanza dell’enorme stock di abitazioni invendute. Misure principali: a) acquisto di unità immobiliari completate ma invendute dalle imprese immobiliari in difficoltà da parte di imprese statali selezionate dai governi locali per trasformarle poi in case popolari; b) rimozione nazionale del limite inferiore ai tassi di interesse sui mutui individuali per la prima e la seconda casa con diminuzione della caparra; taglio di 25 punti base sui tassi dei mutui concessi
[38] Se anche gli USA e l’EU riuscissero a limitare le merci cinesi che verso i mercati occidentali, non si risolverebbero le inefficienze strutturali accumulatesi in Cina nel corso del tempo. Il proposito di rendere la Cina autosufficiente ha aumentato la sovrapproduzione.
[39] Secondo il Wall Street Journal, l’importo totale dei debiti non registrati dai governi locali si attesta tra i 7 e gli 11 trilioni di dollari, con 800 miliardi di dollari a rischio default. Sin dal 1994 la riforma fiscale ha consentito ai governi locali di drenare quota parte del gettito fiscale raccolto, ma ha ridotto i trasferimenti erariali ricevuti da Pechino. Centralizzando il potere finanziario a livello nazionale e scaricando le spese infrastrutturali e sociali su regioni e comuni, le politiche di Pechino hanno spinto i governi locali a indebitarsi.
[40] Il vantaggio comparativo fa sì che alcuni paesi sono in grado di produrre particolari beni in modo più efficiente di altri; tale vantaggio si realizza solo nello scambio di merci e non nella loro produzione.
[41] L’allargamento dei Brics ha determinato un forte interesse per il concetto di Global South di cui lo stesso Xi Jinping si è appropriato; oggi i partner africani sono risorse essenziali per la strategia cinese tesa a contenere Washington attraverso la creazione di un ordine mondiale multipolare
[42] Secondo Krishan Gopaul, analista del World Gold Council, in giugno la Cina avrebbe effettuato acquisti d’oro incrementando le proprie riserve di 21 tonnellate per raggiungere un totale di 2.113 (controvalore di 134 miliardi di dollari, al prezzo corrente di 63.500 dollari al chilo) portandosi al quinto posto vicina alle 2.451 tonnellate dell’Italia. Mentre acquista oro, la Cina riduce la sua posizione in dollari: nell’ultimo anno, il valore delle obbligazioni USA detenute in Cina si è ridotto di oltre 100 miliardi di dollari, scendendo a 847 miliardi a maggio 2023 – con una diminuzione del 35% rispetto a 10 anni fa.
[43] I dati del FMI sulla composizione valutaria delle riserve ufficiali di valuta estera indicano un continuo declino della quota del dollaro nelle riserve estere allocate dalle banche centrali. Il ruolo ridotto del dollaro negli ultimi 20 anni non è stato accompagnato da aumenti delle altre valute di pregio, ovvero euro, yen e sterlina, ma c’è stato un aumento della quota delle valute di riserva non tradizionali, tra cui il dollaro australiano, il dollaro canadese, il renminbi cinese, il won sudcoreano, il dollaro di Singapore e le valute nordiche. Il premio Nobel Paul Krugman sul NYT ha dichiarato che Il dominio del biglietto verde non durerà per sempre, perché nulla è eterno. Ma il clamore sulla de-dollarizzazione è molto rumore per quasi nulla. Per ora, il dollaro domina perché non ci sono alternative valide. La fine del dominio del dollaro potrebbe essere segnata non da un nuovo egemone ma da una frammentazione degli spazi monetari e da un parziale ritorno all’oro.
[44] Quadrilateral Security Dialogue
[45] I timori americani derivano dagli obblighi di legge cinesi che impongono alle aziende nazionali di condividere con le istituzioni tutti i dati in proprio possesso ed inseriti presso le proprie banche dati, sollevando dunque legittime preoccupazioni sull’influenzante uso della piattaforma.
[46] Filippine, Giappone e Corea del Sud sono i paesi più esposti alle conseguenze di una guerra per Taiwan, anzitutto per la prossimità geografica, in più la politica di ognuno è dettata sia dal vincolo di alleanza con gli USA sia anche dalla dipendenza commerciale da Pechino. L’interesse prevalente è mantenere una situazione pacifica nello Stretto dato che in quel tratto di mare passa quasi il 90% del commercio mondiale
[47] Il senatore laburista Sam Dastyari, accusato di legami con donatori politici cinesi, nel 2016 si è dovuto dimettere; nel 2017 è stata diffusa la registrazione di una conferenza stampa in cui il senatore sosteneva le posizioni cinesi relative alle zone contese nel Mar Cinese Meridionale, contraddicendo la linea del suo stesso partito. Altre fonti hanno poi indicato che Dastyari aveva avvertito Huang Xiangmo, finanziatore di entrambi i principali partiti australiani e legato al PCC, che i servizi australiani avevano probabilmente intercettato il suo traffico telefonico. La Australian Security Intelligence Organisation e altre agenzie intelligence già sapevano che la Cina comprometteva i sistemi informatici nazionali. L’Australia è stata la prima nazione a chiedere, nel 2020, un’indagine indipendente internazionale sull’origine dell’agente patogeno del Covid-19. Pechino ha allora introdotto un dazio dell’80% sulle importazioni di orzo australiano
[48] Nel 2010 il PLA ha inquadrato i quattro scenari bellici più probabili. 1) guerra difensiva totale vs l’ingerenza straniera in operazioni militari relative a dispute per la sovranità. 2) Conflitto nello Stretto di Taiwan è al secondo posto. 3) Conflitti di medie/piccole entità per controversie territoriali lungo il confine sino-indiano o nei Mari Cinesi. 4) Attività a bassa intensità, vd. Xinjiang o le MOOTW.
[49] Accomodanti
[50] Storico inglese
[51] Civiltà al paragone, 1948; secondo Toynbee in seno ad una civiltà aggredita dall’Occidente si verificano due reazioni: la formazione di un partito erodiano, che non rifiuta la cultura aliena e si volge ad una autocolonizzazione forzata per evitare una colonizzazione imposta, oppure la creazione di un partito zelota, che rifiuta ogni elemento culturale esterno. Il partito erodiano è tuttavia destinato al fallimento, dato che è impossibile mantenere la propria struttura culturale se si consente l’infiltrazione anche di un solo elemento di una società aperta.
[52] Il mondo e l’Occidente, Toynbee, 1953
[53] Mario Sabattini e Paolo Santangelo, Storia della Cina, 2005