Scarica il file in PDF – crescita demografica e tecnologica nel Mediterraneo Orientale-Marco Marino-agosto 2021
Crescita demografica e sviluppo tecnologico
nel Mediterraneo Orientale – Parte I:
Lo youth bulge nelle prospettive della sicurezza
Marco Marino
Quando il boom dello sviluppo tecnologico e dell’era digitale ha investito le economie occidentali, era già in corso un lento e costante calo delle nascite: inizialmente non ci si è posti la questione delle conseguenze economico-sociali, e di riflesso della sicurezza, che oggi si potrebbero osservare nei Paesi in via di sviluppo, i quali si trovano a gestire l’entrata nel mondo del lavoro attivo di nuove generazioni, numericamente molto più ampie e al tempo stesso iperconnesse, alle prese con dinamiche economiche in più rapida e continua evoluzione.
Le persone di età compresa tra i 15 e i 24 anni costituiscono attualmente quasi un sesto della popolazione mondiale.[1] La grande popolazione giovanile concettualizzata come youth bulge si è trasformata in una sfida per diversi Paesi, in quanto numerosi studi hanno rivelato la connessione tra questo concetto e la nascita di conflitti interni. Alcuni studi hanno indagato su rivolte e conflitti in regioni specifiche, come la Primavera araba e il suo legame con i giovani.[2]
Alcuni studiosi sostengono che ci sono e ci saranno in futuro notevoli conseguenze del rigonfiamento della popolazione giovanile nei Paesi musulmani, in quanto masse di giovani potrebbero diventare attori principali nei movimenti sociali, nelle riforme e persino nelle rivoluzioni. Questa argomentazione fa riferimento al ruolo di grandi masse giovanili nelle rivoluzioni democratiche del diciottesimo secolo nei Paesi occidentali e nei movimenti fascisti degli anni ’20, poiché è più probabile che grandi popolazioni giovanili siano reclutate in conflitti e movimenti sociali se in passato sono state socialmente ed economicamente escluse. Questo fenomeno ha costituito quindi uno degli elementi chiave nella tesi sullo “scontro di civiltà”, in quanto nei Paesi musulmani si è rivelato un fattore fondamentale alla base dei conflitti.[3]
Tuttavia queste argomentazioni sono state confutate attraverso una prospettiva più ampia che cerca di spiegare i conflitti interni della primavera araba. Infatti, un’altra teoria sostiene che il rigonfiamento della popolazione giovanile non aumenti direttamente la minaccia di conflitti; piuttosto, questo fenomeno tende a causare conflitti e trasformare i giovani in una minaccia solo se i Paesi considerati hanno anche problemi economici o regimi politici instabili. Si è sostenuto che anche l’ascesa del nazismo in Germania fosse una combinazione di un rigonfiamento della popolazione giovanile e di cattive condizioni economiche.[4]
- Il caso egiziano
Durante la Primavera araba, gli egiziani si ribellarono contro decenni di cattiva amministrazione e istituzioni fallite. Una vasta gamma di rimostranze contribuì alla caduta finale del regime di Mubarak e la maggior parte di queste proteste furono influenzate dalla composizione demografica della popolazione egiziana. Lo youth bulge in Egitto ha svolto un ruolo importante nella transizione politica, e come tale è il primo esempio dell’intersezione tra demografia, sicurezza e Primavera araba.
Le fasce d’età che hanno partecipato all’insurrezione, a conflitti etnici, al terrorismo e alla violenza sponsorizzata dallo Stato sono costanti. La stragrande maggioranza delle reclute sono giovani uomini, la maggior parte dei quali non va a scuola e non lavora.
Settimane di proteste nel centro del Cairo hanno portato alla cacciata dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak. Gli accademici e i responsabili politici hanno avanzato teorie sulle cause di questo fenomeno che si è rapidamente diffuso in tutto il Medio Oriente, ma è difficile dare la colpa dell’innesco a un singolo evento, come i regimi autoritari colpevoli dell’oppressione o l’aumento del prezzo del grano. Mentre la causa ultima dei disordini che hanno portato alla caduta di Mubarak è probabilmente una combinazione di molti fattori, i dati demografici dell’Egitto e di tutta la regione indicano che determinate fasce di popolazione hanno svolto un ruolo importante nella diffusa instabilità.
L’Egitto può essere preso come esempio, in quanto uno dei Paesi al centro della Primavera araba, e il più rilevante per la sicurezza del Medio Oriente e, più in generale, per la stabilità strategica nella regione. Lo youth bulge in Egitto ha svolto un ruolo importante nella transizione politica, e come tale è il primo esempio dell’intersezione tra demografia, sicurezza e Primavera araba.
Per comprendere la relazione tra fattori demografici e sicurezza nel contesto della Primavera araba è necessario analizzare come i fattori demografici interagiscano con le cause dell’insicurezza, e cosa si può fare per mitigarne gli effetti negativi. Una serie di condizioni, come la disoccupazione e la povertà, sono variabili intermedie tra demografia e sicurezza. La demografia può esacerbare condizioni come la disoccupazione o la povertà, determinando una serie di diversi problemi di sicurezza.
In riferimento alla sicurezza internazionale sono identificate numerose cause profonde di conflitti e instabilità, come disoccupazione, povertà, disordini sociali, urbanizzazione e condizioni economiche in declino. La demografia interagisce con queste condizioni spesso preesistenti, e in alcune situazioni le aggrava, agendo come un moltiplicatore di forza per i fattori di conflitto. In questo modo, i dati demografici fungono da variabile intermedia. La disoccupazione e la povertà esistono nella società indipendentemente dalla struttura demografica di un Paese; tuttavia, gli effetti negativi delle suddette variabili sulla sicurezza sono più drammatici nei casi in cui è presente una sfida demografica.
Lo youth bulge è un fenomeno demografico fortemente connesso alle sfide della sicurezza: può essere definito come l’insieme di grandi gruppi di persone di età compresa tra i 15 e i 24 anni, in percentuale alte o in ogni caso crescenti rispetto alla popolazione totale.[5] In molti Paesi, un rigonfiamento della popolazione giovanile può provocare una carenza di posti di lavoro, e poiché la crescita della popolazione supera la crescita economica, il problema diventa più acuto. Attualmente, metà della popolazione mondiale ha meno di 24 anni, con 1,2 miliardi di giovani (15-24 anni) che raggruppano il desiderio di trovare opportunità attraverso un impiego significativo.[6] Purtroppo, queste opportunità sono spesso gravemente carenti; come percentuale della disoccupazione globale totale, i giovani rappresentano il 40%, ma la loro quota della popolazione in età lavorativa è solo del 25%.
Rispetto agli adulti, i giovani hanno una probabilità circa tre volte maggiore di essere disoccupati. È probabile che questa tendenza continui, se non peggiori, date le sfide demografiche che il pianeta deve affrontare. Per di più, i Paesi in via di sviluppo ospitano nove bambini su dieci che hanno meno di 15 anni, e mantengono i tassi di natalità più alti al mondo. Inoltre si stima che più del 70% della crescita della popolazione mondiale da qui al 2050 avverrà in 24 Paesi, tutti classificati dalla Banca mondiale come Paesi dal reddito basso o medio-basso.[7]
L’intersezione di questi fenomeni può aggravare le varie cause di povertà, aumentando la probabilità di conflitti civili. Esperti di tutto il campo suggeriscono che potrebbe essere necessario monitorare le variabili che contribuiscono a tassi di natalità elevati, come il livello di istruzione femminile, per ridurre questa tendenza in futuro.[8]
Lo youth bulge e la conseguente disoccupazione si traducono in una maggiore percentuale di persone che vivono in povertà. I giovani costituiscono quasi il 60% dei poveri nel mondo.[9] Uno dei lavori fondamentali su questo argomento rileva che un aumento dell’1% della popolazione giovanile all’interno di un Paese si traduce in un aumento del 4% della probabilità di conflitto. Inoltre, quando i giovani costituiscono più del 35% della popolazione adulta (come in molti Paesi in via di sviluppo), il rischio del conflitto armato è del 150% più alto che nei Paesi con un’età media simile alla maggior parte dei Paesi sviluppati.[10]
La povertà ovviamente contribuisce a quasi tutte le carenze di sicurezza discusse finora.[11] In effetti, gli esperti sostengono che potrebbe svolgere un ruolo ancora più importante rispetto ad altri fattori di instabilità. L’economista dello sviluppo Paul Collier ha presentato le prove di una correlazione tra la debole crescita economica e il basso reddito come fattori che contribuiscono all’instabilità molto più di qualsiasi controversia etnica. Collier, infatti, ha dimostrato che la diversità etnica è inversamente correlata all’insicurezza.[12]
La disoccupazione giovanile, in definitiva, provoca sentimenti di alienazione dalla società e dai processi politici, dando origine a disordini sociali.[13] Generalmente è stato osservato che i giovani maschi sono i principali protagonisti di violenza criminale oltre che politica.[14] In tutto il mondo, i giovani uomini sono responsabili di tre quarti dei crimini violenti.[15] Una numerosa popolazione giovanile abbassa i costi di reclutamento per potenziali leader di bande criminali e ribelli, in quanto tali iniziative diventano più allettanti per i disoccupati. Allo stesso modo, in queste condizioni è più probabile che una vasta popolazione di giovani uomini con istruzione universitaria e aspettative elevate si radicalizzi.
Inoltre, ci sono una serie di argomenti economici relativi a dati demografici e sicurezza: la sicurezza internazionale del ventunesimo secolo non dipenderà tanto dal numero di persone che abitano nel mondo, quanto piuttosto da come la popolazione globale sarà composta e distribuita. L’esempio più lampante di questa tendenza si trova nei Paesi in via di sviluppo più piccoli, situati in tutto il Medio Oriente e in Africa, che registrano una crescita media tra il 2,5 e il 4,7%.
Con Stati Uniti, Europa e altri Paesi occidentali che crescono a un ritmo molto più lento, e in alcuni casi addirittura si riducono, il peso demografico relativo dell’Occidente è in declino. Si prevede che il peso demografico relativo dei Paesi sviluppati del mondo diminuirà quasi del 25% nei prossimi 40 anni.[16]
Man mano che le popolazioni diminuiscono, in modo assoluto o relativo, diminuisce anche il loro peso economico sotto forma di percentuale del prodotto interno lordo globale (PIL). In un rapporto dell’Environment Change and Security Program presso il Woodrow Wilson International Center for Scholars, è stato affermato che le capacità militari dei grandi Paesi in via di sviluppo aumenteranno, mentre la capacità di intervento nelle zone di conflitto da parte delle nazioni ricche diminuirà. La gestione dei conflitti che coinvolgono i Paesi in via di sviluppo diventerà quindi più difficile e metterà a dura prova le economie dei Paesi sviluppati.”[17]
Un’altra importante metrica demografica è la fase particolare lungo la transizione demografica in cui si trova un determinato Paese. In una delle prime fasi di sviluppo si avrà costantemente tassi di natalità e mortalità molto elevati. Gli alti tassi di natalità nel tempo faranno sì che grandi gruppi di giovani si susseguano, aumentando le dimensioni di uno youth bulge nella popolazione. Questo, a sua volta, aumenta il rapporto di dipendenza, o il rapporto tra non lavoratori e lavoratori all’interno di una popolazione. Un rapporto di dipendenza più elevato è rappresentativo della porzione di popolazione che non guadagna reddito, non partecipa alla base imponibile o non crea crescita economica. Vi è inoltre la preoccupazione che all’interno di questa popolazione non lavorativa, più persone necessitino di servizi sociali, non siano in grado di contribuire al nucleo familiare e quindi riducano i livelli di reddito familiare.
Ad aggravare ulteriormente il problema economico è l’invecchiamento delle popolazioni occidentali. Non solo la crescita delle popolazioni occidentali sarà superata dalla crescita dei Paesi in via di sviluppo, ma i Paesi occidentali invecchieranno. La popolazione attiva nei Paesi occidentali si ridurrà mentre aumenterà la popolazione anziana e in pensione, diminuendo la produttività complessiva.
Sebbene il conflitto tra Stati sia di solito la principale preoccupazione derivante dallo youth bulge, questo fenomeno può anche inavvertitamente porre i Paesi sotto un rischio maggiore di conflitto interstatale.
Innanzitutto, molti Paesi in via di sviluppo sono spinti ad arruolare un gran numero di giovani per mantenere la disoccupazione a un livello accettabile e per infondere nei giovani un senso di orgoglio nazionalista. Ciò, tuttavia, ha l’effetto non intenzionale di alterare l’equilibrio militare regionale, rischiando di portare all’instabilità.[18]
I recenti sconvolgimenti in Medio Oriente, e in particolare la rivoluzione egiziana, hanno messo in primo piano i fattori demografici. Le cause principali che hanno portato all’instabilità e alla fine alla rivolta egiziana possono essere discusse, ma la demografia ha innegabilmente giocato un ruolo preminente.
In generale, la popolazione dei Paesi del Medio Oriente è più che quadruplicata negli ultimi 60 anni. La sua percentuale sulla popolazione mondiale totale è raddoppiata dal 2,5 al 5% nello stesso periodo.[19] Ancora più sbalorditive sono le cifre dell’Egitto: è cresciuto di oltre il 378% dal 1950 ad oggi, partendo da 21,5 milioni di abitanti e attestandosi attualmente a oltre 81 milioni.[20]
In altre parole, la popolazione dell’Egitto oggi ha 20 milioni di persone in più rispetto all’intero Medio Oriente nel 1950. A livello di città, il Cairo è l’area metropolitana più popolosa del continente africano e una delle città più densamente popolate del mondo. Inoltre, si prevede che la popolazione crescerà di circa il 50% nel prossimo mezzo secolo.
Il motivo per cui piazza Tahrir ha funzionato come cuore pulsante della rivoluzione è stato, in parte, perché molti dei fattori di stress demografico sono stati esacerbati nell’area metropolitana sovraffollata del Cairo.
Guardando a tutto il Medio Oriente, esso è dotato di una delle popolazioni più giovani al mondo; la popolazione sotto i 15 anni supera il 33%. La maggior parte delle singole nazioni della regione ha masse di giovani di età inferiore ai 24 anni che rappresentano oltre la metà della loro popolazione. L’Egitto non è diverso, con oltre il 54% della sua popolazione che costituisce la fascia demografica sotto i 24 anni. Ai segnali demografici di allarme si aggiungono i 24 milioni di egiziani di età compresa tra i 15 e i 29 anni, indicata anche nel campo della sicurezza demografica come “età combattiva”. Il Medio Oriente rivendica uno dei più alti tassi di disoccupazione nel mondo. Inoltre, il livello di capacità sociale richiesto per soddisfare i bisogni delle nuove generazioni è gravemente carente: le popolazioni giovanili che sperimentano una combinazione di difficoltà economiche, troppi pochi luoghi politici per esprimere rimostranze e un’inondazione di un’ideologia rivoluzionaria hanno maggiori probabilità di causare instabilità politica.[21] A partire dal 2010 il tasso di disoccupazione egiziano era stabile al 9,7%, sebbene questo non includesse i sottoccupati.[22]
Il risultato di queste dinamiche demografiche è stato quindi evidente. Hosni Mubarak si è dimesso sotto la forte pressione provocata dalle proteste e dalle manifestazioni di milioni di persone in piazza Tahrir, che hanno bloccato l’economia egiziana. Sebbene i tassi di disoccupazione complessivi non fossero particolarmente allarmanti, vi era una concentrazione di disoccupazione tra i giovani con istruzione universitaria. L’Egitto ha un’età media di 24 anni e un governo che fornisce istruzione superiore gratuita. Circa il 25% della popolazione egiziana ha un’istruzione universitaria.
Quasi l’87% dei disoccupati in Egitto è in un’età compresa tra i 15 e i 29 anni, con una disoccupazione tra i laureati egiziani dieci volte superiore a quella di coloro che non sono andati al college.[23] L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha scoperto che il fattore di spinta più significativo per i giovani egiziani che desiderano migrare è la mancanza di opportunità di lavoro. Inoltre, i problemi occupazionali sono stati esacerbati dagli eventi durante la rivoluzione egiziana.[24]
Alcuni sostengono che l’aumento del costo del grano in Egitto sia stato un fattore determinante. Anche se questo è vero, è importante capire che a innescare le proteste sia stato un aumento dei costi per cibo e carburante, insieme alle sfide demografiche. Per comprendere le ragioni di questo rapido aumento bisogna guardare alla diminuzione dei transiti attraverso il canale di Suez, avvenuta in particolare nel periodo tra il 2008 ed il 2010. La riduzione dei flussi ha causato un rilevante effetto negativo a livello economico, trattandosi della principale fonte di reddito del Paese. Le motivazioni di questo temporaneo cambio di tendenza devono essere ricercate principalmente nel fenomeno della pirateria somala, che nei tre anni considerati ha effettuato più di 400 attacchi, operando principalmente nel Golfo di Aden e portando a termine un considerevole numero di sequestri sia di navi che di personale.
Il fenomeno, che ha indotto a modificare alcune rotte commerciali da e verso il Mediterraneo con la circumnavigazione verso il Sudafrica (nonostante il paradossale aumento del costo del carburante), è stato in seguito limitato dal lancio di operazioni di pattugliamento delle acque da parte di Unione Europea, Stati Uniti e alleati. Queste operazioni hanno riportato i flussi dei transiti attraverso Suez a livelli precedenti, senza però porre rimedio alle conseguenze sui costi dei beni primari in Egitto.
La situazione demografica dell’Egitto ha agito da moltiplicatore di forza per alcune condizioni già destabilizzanti. Gli egiziani hanno visto i loro redditi reali gravemente erosi di fronte ad aumenti incontrollabili dei prezzi dei beni di prima necessità. La recente recessione globale ha peggiorato le cose, con un aumento della povertà. Questi fattori si sono combinati e hanno spinto la popolazione egiziana oltre il punto critico. Elezioni parlamentari inique e l’ondata di disordini politici in Tunisia possono aver acceso la miccia, ma le disuguaglianze socioeconomiche sottostanti hanno alimentato disordini continui.[25]
È interessante notare che lo stesso segmento della popolazione che è considerato youth bulge ha una padronanza della tecnologia molto avanzata rispetto a qualsiasi generazione che l’ha preceduta. L’uso dei social media nell’organizzazione dei giovani è stato fondamentale per determinare il cambio di regime in Egitto e per le proteste in tutto il Medio Oriente. Senza l’uso dei social media in Egitto in particolare, la portata delle proteste avrebbe potuto essere frenata dal blackout dei media controllati dallo Stato. Questi fattori dimostrano come la demografia in generale, e lo youth bulge in particolare, abbiano influenzato il cambio di regime in Egitto.
Le tendenze demografiche in generale, e lo youth bulge in particolare, possono quindi avere un impatto enorme sulla sicurezza dello Stato e sulla stabilità del regime, come testimoniato in Medio Oriente durante la Primavera araba.
Se si esclude l’incoraggiamento, da parte di alcuni governi sub-sahariani, all’emigrazione dei giovani, molte risposte alle sfide demografiche, sia da parte dei governi che di organizzazioni internazionali, si concentrano sulla formazione e l’istruzione dei giovani disoccupati. Questa tendenza è dovuta ai rischi creati lasciando questi gruppi inattivi, e le soluzioni devono essere adattate ai problemi specifici della popolazione giovanile. A sua volta, è necessaria una migliore cooperazione tra governo e industria privata: il settore privato deve fare un lavoro migliore nell’informare il governo sui posti di lavoro disponibili, e quali tipi di competenze siano più richieste.
Sapere dove concentrare i programmi per i giovani è fondamentale, ed è al tempo stesso importante che i responsabili politici e gli operatori che formulano e sviluppano politiche siano consapevoli degli effetti moltiplicatori della disoccupazione sull’instabilità associati allo youth bulge, che resta un indicatore critico della sicurezza nazionale. D’altra parte, alcune tendenze demografiche, come il rigonfiamento della popolazione giovanile, possono essere utili quando un Paese raggiunge un certo punto della transizione demografica, in cui i tassi di natalità e di morte iniziano a diminuire. Una volta iniziata questa progressione demografica, si può sperimentare una finestra di opportunità per lo sviluppo economico, chiamata “dividendo demografico”, derivante in gran parte da un aumento dei risparmi al diminuire del numero relativo di persone a carico.[26] Al fine di raggiungere questa fase della transizione demografica, è necessario mantenere i giovani il più possibile occupati e socialmente impegnati così da raccogliere i frutti e impedire che l’Egitto, come altri Paesi dell’area strutturalmente simili, cada in conflitti interni.
Attualmente l’Egitto persegue grandi progetti, che sicuramente incrementano l’occupazione giovanile: tra i maggiori, si possono annoverare il “Nilo 2”, che prevede lo sdoppiamento del corso del Nilo tramite la creazione di un canale artificiale che va dal Lago Nasser alla depressione di El Qattara; e il “Canale Al-Salaam”, progetto nato per l’irrigazione della penisola del Sinai, pompando acqua dal delta del Nilo e passando sotto il Canale di Suez.
In questo contesto, il Paese è sulla buona strada per raccogliere i frutti del dividendo demografico, e si sta avvicinando all’apice della sua giovinezza. Recentemente, la traiettoria della popolazione dai 15 ai 29 anni ha iniziato a stabilizzarsi.
Un rigonfiamento di popolazione giovanile può pagare dividendi demografici una volta che i tassi di natalità e mortalità si uniformino, con il risultato che una percentuale maggiore della popolazione sia economicamente produttiva rispetto a quella che ne dipende. I tassi di natalità sono anche direttamente correlati al livello di istruzione raggiunto dalle donne nella società: più a lungo una ragazza rimane a scuola e più è alto il livello di istruzione superiore che raggiunge, meno figli avrà. Pertanto, concentrarsi sul miglioramento dell’istruzione per le ragazze potrebbe spostare l’Egitto e i Paesi che si trovano in una posizione simile in una direzione positiva in termini di passaggio alla fase successiva della transizione demografica. Inoltre, un maggiore accesso ai servizi sanitari, alla pianificazione familiare e all’educazione sessuale, possono contribuire alla stabilità demografica. Sebbene promettenti, queste sono riforme particolarmente impegnative in alcune delle società musulmane più conservatrici a causa dell’adesione dei governi a norme culturali obsolete.
Si può affermare che i problemi di sicurezza derivanti o aggravati dallo youth bulge e dai fattori demografici correlati non scompaiono velocemente. Circa un terzo dei Paesi rimane nelle prime fasi della transizione demografica, aumentando la probabilità di conflitti civili anche in futuro.[27] Questo fenomeno rappresenta una sfida non solo per i Paesi in cui si verificano queste situazioni, ma in tutta la regione e nel sistema internazionale. Comprendere l’impatto di queste tendenze su altri fattori di stabilità, come la disoccupazione e la povertà, è fondamentale per creare politiche efficaci.
- Il caso turco
La Turchia è composta anch’essa da una popolazione relativamente molto giovane: è quindi rilevante capire se questo possa rappresentare una minaccia o un’opportunità per la società. Ed è perciò necessario identificare le principali variabili che possono trasformare lo youth bulge in una minaccia, analizzando comparativamente i dati e considerando una nuova serie di fattori, organizzati sotto quattro principali situazioni: l’aspetto economico, la condizione educativa, la situazione politica e le condizioni culturali.
Mentre la Turchia differisce dalla maggioranza dei Paesi della regione MENA in termini di fattori strutturali, essa tende a restare nella media degli standard internazionali, lasciando i giovani in Turchia in un limbo tra il diventare un’opportunità per il futuro della società e una sfida problematica per la sicurezza.
Una delle sfide di primo piano per i Paesi con uno youth bulge si collega alla gestione di questo gruppo come un bene positivo della società. Grandi gruppi di giovani in una società possono diventare parte del processo di costruzione di pace, di prevenzione e risoluzione di conflitti; in altri casi invece possono diventare un pericolo e partecipare a conflitti.
Negli ultimi decenni, un notevole numero di società ha assistito ai risultati negativi dello youth bulge, visto che la loro giovane popolazione è diventata un elemento di conflitti interni, tensioni politiche e rivolte, invece di tradursi in un fattore di contributi positivi. Queste sproporzionate percentuali nelle popolazioni sono descrivibili sia come un grande insieme di giovani in rapporto al totale degli adulti[28], sia come un’estesa popolazione di giovani relativamente alla popolazione nell’età lavorativa.[29] Fin dagli anni 2000, questo fenomeno è stato usato come strumento analitico per spiegare le cause alla radice dell’aumento della violenza, dei conflitti e degli estremismi in molti Paesi della regione del Medio Oriente e Nord Africa (MENA). Questo concetto è rilevante anche per la Turchia, dove l’elevata popolazione giovanile è una delle più spiccate caratteristiche demografiche (più di metà della popolazione ha meno di 30 anni). La struttura demografica della Turchia ha anche significative diversità etniche, linguistiche, religiose, individuali; e al tempo stesso sussistono disparità regionali dal punto di vista economico, sociale ed educativo, che insieme a tensioni politiche complicano ulteriormente lo scenario.
Tuttavia, come parametro quantitativo, il numero di giovani non è di per sé sufficiente a spiegare se un Paese sperimenterà direttamente gli effetti collaterali di uno youth bulge; quindi è importante analizzare perché questo diventa una sfida solo in alcuni Paesi. In particolare, questo tende ad accadere quando un rigonfiamento della popolazione giovanile si sviluppa insieme ad altri fattori strutturali.
Il concetto non implica direttamente esiti negativi ma è invece il risultato di un processo di trasformazione dovuto a fattori specifici. Se questa trasformazione non avviene automaticamente data una soglia di popolazione giovanile, bisogna capire quali fattori trasformano questo rigonfiamento in un rischio per la sicurezza delle società.
È possibile, sulla base dell’esperienza dei Paesi della regione MENA, identificare i principali fattori che trasformano il rigonfiamento della popolazione giovanile in una minaccia, e classificarli in quattro differenti situazioni. In seguito, si possono applicare questi fattori in modo comparativo al caso specifico della Turchia. Ciò porta sicuramente ad alcune conclusioni sul fatto che lo youth bulge turco possa dare esiti negativi per la società, come è accaduto in diversi Paesi MENA dal 2011.
Per trovare risposte alle principali questioni relative alla gioventù turca è necessario quindi evidenziare i quattro fattori che possono convertire un rigonfiamento della popolazione giovanile in una minaccia per le società.
I primi fattori sono legati alla situazione economica, e includono la mancanza di opportunità di lavoro (dignitose) e l’elevata disoccupazione giovanile, una struttura economica povera, come un’economia stagnante o risorse statali limitate; una bassa crescita annua del PIL, salari in calo, disuguaglianza di genere nella partecipazione alla forza lavoro, sfide della transizione dalla scuola al lavoro e disallineamenti tra lavoro e competenze.
La seconda serie di fattori, legati alla situazione educativa, include la bassa iscrizione all’istruzione, in particolare all’istruzione secondaria e superiore, bassi tassi di alfabetizzazione, poche opportunità educative, e squilibrio di genere nell’iscrizione scolastica.
La terza serie di fattori riguardante la situazione politica, include l’instabilità politica, i regimi non democratici o la mancanza di democrazia, lo scarso accesso dei giovani a processi democratici o la scarsa partecipazione politica.
Infine, l’ultimo gruppo di fattori è stato correlato alla situazione culturale, con studi rilevanti che affrontano principalmente problemi legati a etnia e genere, religione, divisione etno-linguistica, mancanza di dialogo e livello di diversità nella società.
In un’analisi comparativa, possono essere inclusi Paesi come l’Egitto, la Libia e la Siria, in quanto tutti hanno una popolazione giovanile significativamente numerosa e sono Paesi che hanno subito recenti conflitti e rivolte durante la primavera araba dopo il 2011.
Più in generale, la numerosa popolazione giovanile della regione MENA è stata un attore chiave nelle recenti violenze e conflitti armati dal 2011. Nel 2010, alla vigilia della Primavera araba, la popolazione giovanile totale di MENA era di circa 90 milioni: l’età media in Paesi come la Siria era di 21 anni nel 2010, mentre la media mondiale è di 29 anni.[30] Sebbene i Paesi MENA si trovino in fasi diverse, la regione ha registrato una transizione demografica che ha portato al declino dei tassi di fertilità e della mortalità infantile. Il numero di giovani con meno di 24 anni è il più grande di tutti gli altri gruppi di età nella regione con una persona su cinque di età compresa tra i 15 ei 24 anni.[31] L’attuale rigonfiamento di popolazione giovanile nei Paesi MENA è strettamente connesso all’evoluzione demografica, caratterizzata da un declino della mortalità infantile e tassi di fertilità ancora sostenuti.[32]
La Turchia si trova all’incrocio tra Medio Oriente ed Europa, i quali, in termini di numeri e qualifiche delle loro giovani popolazioni, sono notevolmente differenti. Per quanto riguarda la popolazione giovanile turca, essa è più vicina al quadro generale della regione MENA piuttosto che dell’Europa. La popolazione turca di età compresa tra i 15 e i 24 anni costituisce il 16,3% del totale, che è superiore alla media dei Paesi dell’UE, ferma all’11,5%.[33] Se si estende la definizione di società giovane, includendo i bambini e tutti gli adulti sotto i 30 anni, quasi la metà della popolazione turca può essere considerata giovane.
Per quanto riguarda la situazione economica, portare la popolazione giovane nel mercato del lavoro è una delle principali preoccupazioni dei responsabili politici di un Paese durante lo sviluppo delle politiche giovanili. Una grande popolazione giovane rende questo processo più complesso, poiché il Paese deve generare abbastanza posti di lavoro per assorbire questi gruppi di giovani. Se ciò non avviene, aumenta il rischio di escludere e perdere un’intera generazione facente parte di un gruppo particolarmente vulnerabile, provocando il doppio problema di un eccesso di offerta di giovani con posti di lavoro limitati. L’occupazione, l’istruzione e l’inclusione sociale sono elementi collegati nella promozione di una società pacifica. Si prevede che l’istruzione possa aumentare l’occupabilità, fattore che accresce il senso di dignità e di appartenenza nei giovani man mano che ottengono lavori dignitosi e ben qualificati.
Ciò riduce direttamente la loro tendenza a essere coinvolti in attività contro la coesione sociale. Tuttavia, purtroppo, le opportunità di lavoro per i giovani non hanno tenuto il passo con il loro numero in crescita.
Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, i tassi di disoccupazione giovanile più elevati al mondo sono attualmente del 28,2% in Medio Oriente e del 30,5% in Nord Africa. Si può quindi ipotizzare che esista una relazione causale molto chiara nei Paesi che hanno vissuto la primavera araba, tra le rivolte e i conflitti nella regione e l’elevata disoccupazione nelle grandi masse giovanili di questi Paesi.[34] La disoccupazione giovanile di MENA è strettamente correlata alle pressioni democratiche derivanti dall’elevata crescita della popolazione dopo gli anni ‘50, a causa della diminuzione della mortalità infantile combinata con l’aumento della fertilità.[35] Inoltre, mentre i livelli di istruzione hanno aumentato le opportunità di lavoro per le giovani popolazioni in Asia e nel Pacifico, in Medio Oriente e Nord Africa sono diminuite. Infine, il divario di genere nei tassi di disoccupazione giovanile è eccezionalmente ampio e peggiora in MENA, rispettivamente al 13,8% e al 19,7%.[36]
Un altro fattore significativo legato alla situazione economica è che il PIL pro capite della regione MENA è relativamente basso. La disparità di reddito complica questo quadro, anche nei Paesi MENA con un PIL più elevato. Ad esempio, si ritiene che le rivolte e la rivoluzione in Egitto fossero fortemente correlate alla disuguaglianza dei redditi.[37] Inoltre, l’OCSE rileva che i tassi di crescita tra il 2000 e il 2010 non sono stati in grado di creare nuovi posti di lavoro sufficienti. Per quanto riguarda l’uguaglianza di genere nel mercato del lavoro, la regione MENA è in ritardo rispetto alle medie mondiali con tassi più bassi di partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Infine, le carenze di competenze e gli squilibri sono un elemento aggiuntivo che riduce l’occupazione giovanile e ostacola la transizione dei giovani dalla scuola al lavoro.
Le lacune e gli squilibri di competenze sono sia qualitativi, perché le qualifiche dei giovani laureati non soddisfano le esigenze delle aziende, sia quantitativi, per la mancanza di persone istruite in professioni specifiche, principalmente a causa dell’emigrazione.[38]
Considerando questi fattori economici in MENA, la Turchia è un caso unico con alcuni vantaggi specifici. Il PIL pro capite della Turchia è superiore a quello di molti Paesi della regione MENA, mentre il suo tasso di disoccupazione giovanile era del 19,9% nel 2017, un valore inferiore sia alla media MENA che a quella dell’UE. Tuttavia, il tasso di occupazione femminile, pari al 31% della forza lavoro totale, è ancora inferiore alla metà degli uomini in Turchia e inferiore alla metà della media dell’UE.[39] Il deficit e il divario di competenze, superiore alla media globale, ostacola anche l’integrazione dei giovani nel mercato del lavoro turco. Inoltre, un quinto dei giovani vive al di fuori del sistema di sicurezza sociale della Turchia: ciò impedisce la loro partecipazione attiva alla vita sociale ed è un indicatore allarmante per una società con una popolazione giovanile così numerosa.[40] La gioventù turca così ha registrato un’enorme crescita della disoccupazione.[41]
Anche i fattori legati alla situazione educativa sono cruciali, poiché hanno un impatto sulla trasformazione delle popolazioni giovani in una minaccia. Molti studi riportano che grandi masse di giovani maschi poco istruiti potrebbero aumentare il rischio di conflitti. Inoltre, una spesa insufficiente per l’istruzione potrebbe produrre rimostranze tra quei segmenti della popolazione che sono successivamente esclusi dall’istruzione.[42]
Le disparità nell’istruzione e la mancanza di pari opportunità sono una sfida diretta per i giovani in MENA. I fattori chiave sono il basso livello di iscrizione all’istruzione, in particolare nell’istruzione secondaria e superiore: bassi tassi di alfabetizzazione, minori opportunità, meno spesa pubblica e risorse per l’istruzione e squilibrio di genere nell’iscrizione scolastica.
Oltre a tassi di iscrizione scolastici molto più bassi nei Paesi MENA rispetto ai Paesi OCSE, anche i tassi di iscrizione all’istruzione secondaria e terziaria stanno diminuendo in alcuni Paesi MENA. Sebbene i tassi di iscrizione alla scuola siano aumentati per l’istruzione primaria dal 2000 (dall’86% al 94%), l’iscrizione alla scuola secondaria rimane intorno al 70%, una percentuale ancora relativamente bassa.[43] L’abbandono scolastico è stata una delle sfide più rilevanti, in particolare con Paesi come la Siria che ha registrato uno dei tassi più elevati di abbandono. I tassi di alfabetizzazione medi di MENA erano del 78% nel 2010, mentre l’esclusione dei bambini dall’istruzione è stata citata come uno dei maggiori problemi per i giovani della regione. La percentuale di bambini che non sono iscritti all’istruzione pre-primaria o primaria è rimasta di oltre il 40% per molti anni in alcuni Paesi MENA, come Egitto e Siria.[44] Infine, anche la spesa pubblica totale per l’istruzione come percentuale del PIL è bassa. Ad esempio, negli anni 2010 era di circa il 3,70% in Egitto e 2,20% in Libia.[45]
Rispetto a MENA, gli standard educativi della Turchia sono molto più elevati, nonostante non riescano a raggiungere gli standard internazionali in molti aspetti, come l’uguaglianza di genere, i livelli di partecipazione, l’uguaglianza nell’istruzione, l’accesso all’istruzione prescolare e l’equilibrio tra domanda e offerta in istruzione superiore.[46] Ad esempio, il 65% delle giovani donne non riesce a completare la scuola secondaria in Turchia, che è quasi il doppio del tasso per i maschi. Il tasso di giovani donne che sono alfabetizzate ma non hanno completato la scuola è dell’8,9%.[47]
D’altra parte, instabilità politica, regimi non democratici o bassi livelli di democrazia, scarso accesso dei giovani ai processi democratici e bassa partecipazione politica sono considerati fattori politici importanti che rendono lo youth bulge un fenomeno negativo.
Questo può essere discusso anche in termini di rapporto con la democrazia liberale, in quanto la transizione di un Paese alla democrazia o al consolidamento democratico può essere destabilizzata da uno youth bulge. In altre parole, una combinazione tra una grande popolazione giovanile e un alto tasso di disoccupazione rende la democrazia fragile e crea un ambiente che incoraggia lo sviluppo di regimi autoritari.[48] In questo contesto, la popolazione giovane è considerata sia un’opportunità che una minaccia, poiché può essere un agente di prevenzione dei conflitti e di costruzione della pace, o di violenza e conflitti.
La mancanza di istituzioni inclusive che consentano ai giovani MENA di partecipare e il predominio degli anziani in questi meccanismi scoraggiano i giovani dalla partecipazione politica; di conseguenza, la partecipazione dei giovani alle istituzioni politiche formali è bassa ed è difficile creare opportunità per il coinvolgimento dei giovani. L’effetto più importante di queste carenze è che i giovani perdono la fiducia nelle istituzioni come metodo formale di partecipazione politica, aumentando la minaccia di emarginazione.
L’età minima per votare o candidarsi a una carica politica è un fattore importante nella partecipazione politica: diversi Paesi che hanno subito un conflitto dopo il 2010, come Libia e Siria, hanno requisiti di età più elevati della media per candidature a una carica politica.
I giovani sono stati uno dei gruppi più significativi nelle manifestazioni politiche e nelle proteste nei Paesi MENA, assumendo un ruolo attivo per chiedere riforme in Paesi come Egitto e Libano. Risposte inadeguate del governo alle loro richieste di istruzione, lavoro e ulteriore impegno rischiano di trasformare queste frustrazioni in violenza e movimenti estremisti.[49]
Per quanto riguarda i dati sui giovani turchi, la loro partecipazione politica è inferiore a quella dei loro coetanei europei. Solo il 10% circa dei giovani in Turchia è stato membro di un partito politico, mentre il 76,5% non è o non pensa di diventare membro di un partito politico. Ancora più importante è il dato che indica che il 43% pensa che lavorare in un partito politico non risolverà alcun problema.[50] Circa il 75% non ha mai aderito a un’organizzazione non governativa, come enti di beneficenza, fondazioni o comunità studentesche. Tuttavia, l’età minima della Turchia per candidarsi a una carica politica è stata di 25 anni fino al 2017, che è comunque superiore a quella di diversi Paesi europei.
La valutazione di libertà e democrazia per la Turchia nel 2010 da parte di FH era di “parzialmente libera” ed è rimasta in questa categoria anche negli anni successivi. La sua valutazione di libertà era 4,5 su 7 e il suo punteggio di libertà complessivo era 38 su 100: un valore preoccupante in termini di diritti politici e libertà civili.[51] La valutazione dell’indice di democrazia dell’Economist Intelligence Unit per la Turchia era solo di 5,04 nel 2016, che, sebbene superiore a quella dei Paesi MENA, non è soddisfacente se confrontata con i livelli europei.[52]
Esempi nel MENA confermano anche il ruolo centrale dei fattori culturali per conflitti basati sulla cultura e l’etnia. La cultura è uno dei fattori più difficili da misurare per quanto riguarda il suo ruolo nello youth bulge e nei conflitti associati.
I giovani possono svolgere un ruolo cruciale nello sviluppo di tale comprensione perché sono il gruppo più influente e aperto nella società e generalmente hanno la migliore opportunità di riunirsi su piattaforme che accolgono idee e approcci diversi (come istituzioni educative, organizzazioni non governative o gruppi di amici).
I Paesi MENA sono stati classificati come “considerevolmente diversi” e la maggior parte è frammentata principalmente da due o più gruppi etnici o etno-religiosi.[53] La Turchia mostra tutte le caratteristiche di una società multiculturale poiché include diversi gruppi etno-culturali all’interno della sua popolazione, comprese le minoranze non musulmane di armeni, ebrei e greci, e altre minoranze musulmane, come arabi, aleviti, curdi, balcanici e caucasici. Inoltre, queste categorie possono essere ulteriormente suddivise in 20 etnie e circa 130 sottogruppi, evidenziando la diversità della società turca.[54] Infine in Turchia sussistono molti esempi di altre dimensioni identitarie, come aleviti-sunniti, religiosi-laici e colletti bianchi-blu. I giovani turchi sono un gruppo chiave nel riflettere tutti questi sentimenti identici e incrociati e nel vivere all’interno della struttura di tutte queste identità.
Secondo una recente ricerca sulle identità nella gioventù turca, le percezioni dei giovani turchi di fronte alla discriminazione in diversi ambiti della vita hanno raggiunto livelli quasi epidemici e definiscono la discriminazione come uno dei trattamenti ingiusti che più frequentemente incontrano. I livelli di distanza sociale e discriminazione tra i diversi gruppi di giovani turchi (che sono definiti in termini di cultura, religione e atteggiamento politico) sono estremamente elevati.[55]
Potrebbe essere un errore analizzare lo youth bulge come una trasformazione automatica dei giovani in una sfida per le loro società. Un effetto a catena può spiegare il ruolo preminente dei fattori economici e l’interazione tra un’economia debole, meno opportunità educative e più disoccupazione giovanile: la conseguenza è lo sviluppo di uno youth bulge con connotazioni e risultati negativi.
Tuttavia la Turchia è unica per quanto riguarda i possibili risultati del suo youth bulge. Da un lato, non può essere direttamente equiparato ai Paesi MENA, e in particolare del Mediterraneo orientale a causa di diverse caratteristiche. L’inclusione della sua popolazione giovane nell’istruzione superiore è aumentata costantemente, mentre la gioventù turca è fortemente impegnata nelle opportunità di istruzione internazionale, in particolare quelle fornite dall’UE. I tassi di alfabetizzazione della Turchia sono di gran lunga superiori a quelli di MENA, mentre il suo settore privato è di gran lunga migliore nel fornire opportunità di lavoro ai giovani.
D’altra parte, mentre la Turchia differisce dalla maggior parte dei Paesi della regione MENA in termini di questi fattori strutturali, tende a rimanere indietro rispetto agli standard internazionali medi. Essendo un Paese con quasi la metà della sua popolazione al di sotto dei 30 anni, lo sviluppo di giovani qualificati e istruiti può essere considerato una chiave essenziale per promuovere la pace interna e la coesione sociale.
Attualmente però, il rendimento relativamente scarso della Turchia rispetto ai suoi pari in Europa, considerando diversi aspetti in materia di istruzione, partecipazione politica e occupazione, dimostra che i giovani in Turchia rimangono nel limbo tra un’opportunità per il futuro della società e una sfida che potrebbe aumentare il rischio di conflitti sociali.
Il tutto si sviluppa in un quadro socio-politico fortemente influenzato dal confessionalismo religioso, imposto dall’attuale governo: sebbene ufficialmente si tratti di uno Stato laico, il sistema dei rapporti statali in Turchia, tendendo ad uniformare le istituzioni ai principi morali dell’Islam conservatore, sta apportando dei limiti sia all’istruzione che all’occupazione femminile, definendo con modalità più limitanti diritti, doveri e ruoli femminili nella società.
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