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Il conflitto russo-ucraino:
analisi delle cause dal punto di vista del Cremlino
Federica Nicolini
Introduzione
Sin dagli inizi del ‘900 l’Europa Centrale era considerato un territorio altamente strategico, crocevia tra Europa Orientale, Occidentale, Asia e Medio Oriente. Ottenerne il controllo era quindi fondamentale per esercitare dominio nella politica internazionale. [1] Un secolo dopo, l’area continua ad essere rilevante per lo sviluppo della politica europea e internazionale. Pochi anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica, ad esempio, lo stratega statunitense Brzezinski ha continuato a sostenere l’importanza dell’area e del suo controllo, affermando che il controllo sull’Eurasia avrebbe significato un’influenza decisiva su due delle tre aree più produttive al mondo.[2]
Di rilievo appare quindi l’Ucraina, non solo per la sua posizione geografica. Ad eccezione della Federazione Russa, l’Ucraina è il più grande Paese d’Europa, nonché un territorio centrale per il transito dell’energia, anche grazie alla sua posizione sul Mar Nero. Per queste ragioni, sin dal crollo dell’URSS, tre grandi poli mondiali – l’Unione Europea, gli Stati Uniti e la Federazione Russa – hanno tentato di estendere la propria influenza sul governo di Kiev.
Dalla caduta dell’URSS, l’Ucraina ha dovuto decidere il proprio percorso, trovandosi spesso al centro degli interessi contrapposti di Mosca e Washington: la prima con le sue ambizioni di riaffermarsi come grande potenza; la seconda per colmare il vuoto lasciato dall’Unione Sovietica, promuovendo i suoi valori e le sue istituzioni. Il governo di Kiev ha optato per un percorso democratico, con la possibilità di accedere alle istituzioni euro-atlantiche, in particolare la NATO.
Con questo articolo si intende delineare le cause del conflitto tra Russia e Ucraina, scoppiato la notte del 24 febbraio 2022, dal punto di vista russo. Il territorio ucraino è stato presto devastato da assalti delle milizie da terra e bombardamenti sulle infrastrutture strategiche, tra cui l’impianto nucleare di Chernobyl. Alla condanna occidentale, che si è subito schierata a sostegno del popolo ucraino, ha fatto eco una parte dell’opinione pubblica russa, che si è riversata nelle piazze delle principali città.
Oltre ad una considerazione umanitaria, il conflitto genera notevoli implicazioni sulla vita politica ed economica europea, colpendo particolarmente l’Italia, uno dei principali partner commerciali della Russia. È quindi importante analizzare le radici del conflitto, al fine di comprendere le ragioni alla base dell’azione militare. La presente analisi non intende in alcun modo giustificare le azioni russe o il ricorso alla violenza, sempre condannabile indipendentemente dalle sue cause. Al contrario, si vuole analizzare e comprendere gli interessi russi alla base del conflitto, tenendo in considerazione le dottrine di politica estera e gli eventi che si sono susseguiti dal crollo dell’URSS.
Il conflitto infatti, ha radici trentennali, illustrate nella prima parte dell’articolo. Si proseguirà quindi con una panoramica della strategia del Cremlino, analizzando le dottrine di politica estera adottate. Risulta poi fondamentale valutare le politiche di espansione della NATO e le proteste Euromaidan del 2014, che hanno rappresentato un punto di svolta nei rapporti della Russia con Ucraina e Unione Europea, a seguito dell’annessione della Crimea. Infine, viene presa in considerazione la reazione dell’opinione pubblica, al fine di comprendere l’eventuale sostegno alla politica adottata da Mosca.
Una guerra con radici trentennali
Il crollo dell’Unione Sovietica, per molti “il più grande disastro geopolitico del secolo“[3], fu sancito dalla firma degli Accordi di Belovezha. Fatta eccezione per gli Stati baltici, che ben presto optarono per un percorso di integrazione nelle istituzioni europee e occidentali, i nuovi Stati vissero un periodo di incertezza e instabilità, sia politica che economica, dovendo scegliere da soli la strada per la propria indipendenza.
Erede naturale dell’URSS era la Federazione Russa, che ne conservò i privilegi, forza nucleare, ambizione, ma anche l’instabilità economica. Con alla guida la coalizione liberale pro-occidentale capeggiata da Boris Yeltsin, la Russia doveva riprendere in mano le redini della sua politica interna – fronteggiando incertezze e crisi economiche – ed estera, dovendo decidere il percorso da adottare. La politica estera russa, infatti, è storicamente dominata da tre scuole di pensiero: gli occidentalisti, gli statisti e i cosiddetti “civilizzazionisti”.[4]
Gli occidentalisti pongono un forte accento sulle somiglianze tra Russia e Occidente, condividendone i valori delle libertà costituzionali e dell’uguaglianza politica. Nel periodo post-sovietico, tale idea si è ulteriormente rafforzata, promuovendo i valori democratici, diritti umani e libero mercato. La continuità nella politica estera russa era quindi vista con scetticismo, soprattutto riguardo l’atteggiamento “paternalistico” adottato con degli Stati post-Sovietici. Vi era infatti l’idea che solo costruendo istituzioni liberali e unendosi alla coalizione occidentale la Russia sarebbe stata in grado di rispondere alle minacce e superare i problemi economici e l’arretratezza politica.
Il pensiero degli Statisti è, secondo Tsygankov[5], quello più influente nella definizione della politica estera russa. Sostenitori dei valori di potere, stabilità e sovranità, gli statisti non sono per definizione anti-occidentali, al contrario ne cercano il riconoscimento. Dopo il crollo dell’URSS, gli statisti concordavano sull’importanza di costruire uno Stato democratico, basato sull’economia di mercato, ma non erano pronti a sacrificare l’idea di Stato forte e dominante. Lo status di grande potenza rimaneva quindi predominante nel loro pensiero, come mezzo per rispondere alle minacce esterne.
Infine, il pensiero civilizzazionista ha sempre concepito i valori russi come incompatibili a quelli occidentali. La riposta ai dilemmi di sicurezza della Russia era quindi più aggressiva rispetto alla soluzione proposta dagli statisti, di mantenimento dello status quo. Tale pensiero si è poi tradotto nel supporto a politiche di espansione, come mezzo migliore per garantire la sicurezza del Paese e di continua contrapposizione agli Stati Uniti.[6]
Lo scontro tra le tre scuole di pensiero ha indirizzato la politica estera russa del periodo post-sovietico. Inizialmente, Eltsin e il suo Ministro degli Affari Esteri Kozyrev (1990-1996) promossero un indirizzo filo-occidentale che fu però presto contestato dalle minacce interne ed esterne che la Russia stava vivendo. Alla volontà di integrarsi con le istituzioni occidentali, la Russia dovette far fronte al forte malcontento interno, a causa delle stringenti politiche economiche adottate per rispondere alla crisi. Vi furono quindi proteste e ondate di sentimenti anti-occidentali e anti-americani, che venivano considerati responsabili della crisi economica.
Inoltre, nel 1993, la NATO iniziò un processo di espansione a est, incorporando alcuni Stati dell’ex blocco sovietico in Europa orientale. Tale decisione generò preoccupazione: in un periodo in cui la Russia cercava di far parte del mondo occidentale, l’espansione dell’alleanza militare, che non sembrava avere intenzione di integrare anche Mosca, venne interpretato come un’aperta minaccia. In risposta, nel 1993 venne pubblicata una dottrina di politica estera, che proclamava la periferia russa come l’area dei suoi interessi geopolitici. Il documento, inoltre, auspicava il termine della Guerra Fredda, con la conseguente riduzione della corsa agli armamenti. Mosca, in aggiunta, intendeva aprirsi all’Occidente con l’obiettivo di stabilire relazioni sia con la NATO che con l’Unione Europea, promuovendo al contempo il ruolo della Russia nelle istituzioni internazionali.[7]
Il Cremlino iniziò così ad allontanarsi dalle prospettive di integrazione con l’Occidente e a considerare l’area post-Sovietica la zona del naturale sviluppo della sua politica estera. La Russia appariva pertanto ostaggio della sua “liturgia post-imperiale”, [8] della sua maestosa e impotente potestà (“великодержавность”)[9], un sentimento diffuso di nostalgia per il ruolo dominante che l’URSS ricopriva nella politica internazionale: divenne quindi centrale l’intenzione di riaffermarsi come grande potenza. A tal fine erano necessarie periferie obbedienti, vicini leali e dipendenti, con un sistema di valori condivisi, a supporto della politica estera e degli interessi economici della potenza dominante.
Tale pensiero divenne infatti più vicino a quello degli statisti, che auspicavano la realizzazione di un mondo multipolare, in cui la Russia potesse rappresentare uno dei poli, implicando così un ritorno al suo status di grande potenza. Tale strategia era realizzabile attraverso il perseguimento dei suoi interessi nazionali, principalmente nello spazio post-sovietico. [10]
Pertanto, la possibile integrazione con l’Occidente non si rivelò vincente, anche a causa del mancato pieno coinvolgimento della Russia nelle istituzioni occidentali. Aumentarono così i sentimenti di alienazione pubblica dal percorso adottato che fu, verso la fine del secolo, sostituito da una conduzione statista, promossa dal Ministro degli Esteri Primakov. È stata quindi riconosciuta la necessità di cooperare con l’Occidente per la creazione di un’economia di mercato e di istituzioni democratiche vitali, insistendo però sul fatto che tali obiettivi sono secondari al rafforzamento dello status di grande potenza della Russia.
Alle prospettive di integrazione, pertanto, si è preferito un rafforzamento degli interessi di Mosca, che nascondeva una forte preoccupazione – e delusione – per il mancato coinvolgimento nelle istituzioni e per l’espansione della NATO a est. Inoltre, il passato sovietico sembrava ancora incombere sul Cremlino e la popolazione russa, incapaci di accettare un ruolo secondario nel panorama internazionale. Questa situazione ha portato la Russia a cercare di ripristinare la propria influenza sull’area post-sovietica, al fine di recuperare il suo status di grande potenza.
L’avvento di Putin e la strategia del Cremlino
Il crollo dell’URSS portò, da un lato, all’accettazione delle regole del libero mercato, dall’altro, ad una vera e propria crisi identitaria, causata dall’incapacità di ripristinare la posizione di grande potenza che la popolazione e i силовики (siloviki)[11] percepivano come naturale.[12] In questo contesto nostalgico si affermò un giovane e tenace Vladimir Putin, che divenne Presidente della Federazione Russa a seguito delle dimissioni di Eltsin, il 31 dicembre 1999.
Una nuova dottrina di politica estera fu adottata nel giugno 2000. Priorità principale veniva data alla tutela degli obiettivi della popolazione russa, garantiti con il rafforzamento della sicurezza del Paese, attraverso l’ottenimento una posizione prestigiosa nella comunità mondiale, in linea con gli “interessi della Federazione Russa come una grande potenza, come uno dei centri più influenti del mondo moderno”.[13] La priorità regionale era quindi lo spazio post-sovietico, in particolar modo i Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), allo scopo di favorire rapporti di buon vicinato e la soluzione pacifica dei conflitti. La cooperazione con l’occidente continuava ad essere promossa, seppur posta in secondo piano rispetto agli obiettivi nazionali. Rilevante era l’intenzione di cooperare con la NATO, anche se le sue linee guida non coincidevano con gli interessi di sicurezza di Mosca.
Tuttavia, l’area post-sovietica era ancora caratterizzata da una forte instabilità politica. Le “rivoluzioni colorate” che stavano imperversando – supportate dall’Occidente – vennero interpretate come minacce alla sicurezza del Cremlino. Inoltre, Georgia e Ucraina iniziarono ad esprimere la propria volontà di aderire alla NATO, rafforzando il senso di insicurezza russo. La possibile espansione venne considerata da Putin – e dalla popolazione russa – come una diretta minaccia alla sicurezza nazionale.[14]
Pertanto, poco prima delle elezioni presidenziali del 2008, venne pubblicata una nuova dottrina. Nel documento venne riaffermata la volontà della Federazione Russa di ristabilire le relazioni con i Paesi limitrofi, con l’obiettivo di creare “un ambiente esterno favorevole alla modernizzazione della Russia” e promuovere il buon vicinato, facendosi garante della stabilità politica della Regione. Si ribadiva inoltre la volontà di instaurare relazioni costruttive con la NATO, pur non approvando la sua espansione verso Ucraina e Georgia e l’avvicinamento ai confini russi, una violazione del principio di pari sicurezza. [15]
Le elezioni presidenziali furono vinte da Dmitri Medvedev, ex Primo Ministro. Putin mantenne comunque un ruolo rilevante in qualità di Capo del Governo. Medvedev era un liberale occidentalista, un pensiero che voleva tradurre anche in politica estera. Tale intenzione non fu però mantenuta a causa dello scoppio del conflitto russo-georgiano che deteriorò i rapporti con gli Stati Uniti a seguito del supporto russo e riconoscimento delle Repubbliche indipendentiste dell’Abkhazia e Ossezia del Sud.
Il coinvolgimento nel conflitto era infatti dovuto alla percepita minaccia dell’espansione della NATO, considerata come mezzo per diffondere l’influenza statunitense in Eurasia. Infatti, gli USA, come sottolineato da Brzezinski, ritenevano che l’affermazione nella regione avrebbe consolidato il primato mondiale, un ruolo che sarebbe stato incontestato considerando il suo dominio militare, economico, tecnologico e culturale, prevenendo l’emergere di Stati ostili.[16]
Il desiderio della Georgia e dell’Ucraina post-rivoluzionarie di aderire alla NATO hanno quindi esacerbato il senso di vulnerabilità e isolamento della Russia da parte dell’Occidente, che ne ha fortemente sottostimato l’ambizione di imporsi in un territorio tradizionalmente considerato come la sua sfera di influenza. [17] La Russia ha pertanto più volte ribadito che avrebbe fatto tutto il possibile per impedire l’espansione dell’alleanza e l’adesione di Georgia e Ucraina.
La crisi in Ucraina del 2014: ipotesi di nuove espansioni della NATO
Una nuova dottrina di politica estera venne pubblicata nel 2013, in concomitanza con il ritorno alla Presidenza di Putin, avvenuta con le elezioni dell’anno prima. Nonostante il conflitto con la Georgia, non vi furono particolari cambiamenti rispetto a quella precedente. La Federazione Russa ribadì così il proprio interesse a ricoprire un ruolo più proattivo negli affari internazionali.[18]
Rimasero immutate le priorità regionali, con focus predominante sui Paesi della CSI, considerati rilevanti per la sicurezza e gli interessi del Cremlino. In questo contesto, Mosca dichiarava il suo interesse a rafforzare i legami con la regione, promuovendo nuove forme istituzionali di integrazione. Inoltre, l’Ucraina venne esplicitamente citata nella dottrina di politica estera, definita come un partner prioritario, affermando implicitamente che la sua propensione verso l’occidente sarebbe stata considerata una minaccia agli obiettivi regionali di Mosca.
L’intenzione di re-imporsi come superpotenza e il crescente nazionalismo russo hanno infatti progressivamente generato nuove rivalità con l’Occidente,[19] di cui l’Ucraina è il simbolo, essendo al centro degli interessi di entrambe le parti che intendono attirarla nelle proprie istituzioni: l’Unione Europea, la NATO e l’Unione Economica Eurasiatica (EEU).
Come anticipato, già prima della rivoluzione arancione, l’Ucraina aveva espresso il suo desiderio di entrare nella NATO. Erano però necessarie alcune riforme, che includevano l’istituzione di un sistema politico democratico, un trattamento equo delle popolazioni minoritarie secondo le raccomandazioni dell’OSCE, l’impegno per una risoluzione pacifica delle controversie e la capacità e la volontà di assumere il contributo militare per conto della NATO.[20]
Al fine di sostenerne l’adesione e aiutarla a soddisfare i requisiti richiesti, il dialogo tra NATO e Ucraina si intensificò. Così facendo, come sottolineato da Mearsheimer, l’Occidente ha fortemente sottovalutato la Realpolitik russa nel corso degli anni. Se, da un lato, gli Stati Uniti agivano per la promozione dei valori liberali e della democrazia, allargando la propria sfera di influenza, dall’altro, la Federazione Russa stava perdendo terreno nel Paese, eventualità che il Cremlino non era disposto ad accettare: l’ingresso dell’Ucraina nella NATO sarebbe stato considerato da Mosca come un’umiliazione.
Il Cremlino era quindi preoccupato per il comportamento politico ucraino e disposto a esercitare qualsiasi tipo di influenza sul Governo. Essendo l’adesione alla NATO ancora in discussione, Mosca promise al Presidente ucraino Yanukovich importanti sconti nel prezzo dell’energia e un aiuto di 15 miliardi di dollari per far fronte alla crisi economica, convincendolo a rifiutare l’accordo negoziato con l’Unione Europea. Tale decisione generò numerose proteste per le strade di Kiev, con migliaia di persone che rivendicavano il rispetto dell’accordo con l’UE, esaltando i valori di democrazia e libertà e chiedendo le dimissioni di Yanukovich, che fuggì dal Paese. [21]
Il governo successivo, filo-occidentale, ereditò un Paese segnato da una profonda crisi politica ed economica. La svolta nell’indirizzo politico, infatti, non venne accolta con entusiasmo in tutto il Paese, in particolare nel sud e est (tra cui nel Donetsk e nel Lugansk), filorussi, fino a sfociare in un conflitto civile. La Crimea – con il supporto del Cremlino – chiese la secessione, approvata con successivo referendum, stabilendone l’unificazione con la Russia.
Il referendum fu accusato dall’Occidente di non essere rappresentativo e democratico, a causa degli episodi di violenza russa sulla popolazione, seppur negati da Aljazeera.[22] Alla condanna seguirono sanzioni economiche allo scopo di isolare la Russia indebolendone l’economia.[23] I rapporti, pertanto, peggiorarono drasticamente: da un lato Mosca non intendeva accettare interferenze nella sua politica estera o minacce alla sua area di influenza, dall’altro, l’Occidente, che non riconosceva l’annessione, rivendicava la sovranità territoriale ucraina.
Alla luce degli eventi in Ucraina, nel 2016 la Russia ha aggiornato la sua dottrina di politica estera.[24] Sono state così identificate nuove priorità che rispecchiavano l’ormai ritrovato sentimento e percezione di essere una grande potenza, in grado di influenzare l’arena internazionale. Pertanto, in considerazione del nuovo status, la dottrina elencava il rispetto della sicurezza nazionale e il perseguimento dei propri interessi strategici come fattori chiave della politica estera russa. Inoltre, in risposta alle sanzioni, Mosca si poneva l’obiettivo di rafforzare il suo coinvolgimento nelle relazioni economiche globali, al fine di prevenire le discriminazione nei confronti di beni, servizi e investimenti.
In questo contesto, cambiavano anche le strategie nei confronti degli Stati confinanti, dichiarando esplicitamente l’intenzione di assisterli nella prevenzione o eliminazione di eventuali tumulti interni. Nel dettaglio, la Russia esprimeva il suo impegno a promuovere una soluzione politica e diplomatica per risolvere il conflitto in Ucraina, collaborando con gli Stati interessati e le organizzazioni internazionali. Inoltre, venne dichiarata la volontà di continuare a sviluppare legami politici, economici e culturali con il Paese.
Infine, la Russia si dichiarava pronta a sviluppare le relazioni con la NATO, a condizione che quest’ultima si impegnasse a compiere passi concreti verso uno spazio comune di pace, sicurezza e stabilità nella Regione euro-atlantica basata sui principi di fiducia reciproca, trasparenza e prevedibilità, astenendosi dal cercare di garantire la propria sicurezza a scapito della sicurezza degli altri Stati membri. Ribadiva inoltre l’opinione negativa nei confronti della possibile espansione della NATO e della sua crescente attività militare nelle regioni vicine alla Russia, interpretata come una violazione del principio della sicurezza uguale e indivisibile e portando al rafforzamento delle vecchie linee di demarcazione in Europa e all’emergere di nuove.
L’opinione pubblica
Come sostenuto in precedenza, le strategie di politica estera adottate dalla Russia sono frutto di una percezione di sé come grande potenza e di un diffuso sentimento di nostalgia nei confronti dell’immagine e timore che il mondo aveva dell’Unione Sovietica. Come afferma il premio Nobel Svetlana Aleksievich, questo sentimento di rivalsa è ancora molto radicato tra la popolazione russa, soprattutto nelle periferie, che sostiene fortemente le azioni intraprese da Putin.[25] Tuttavia, progressivamente, il forte sentimento patriottico sembra stia svanendo e il sostegno nei confronti dell’autorità è in forte calo, soprattutto da parte delle giovani generazioni. La guerra prolungata, inoltre, rischia di generare un malcontento, esacerbando i problemi socioeconomici del Paese.
Già numerose proteste hanno avuto luogo in Russia dall’inizio del conflitto. OVD-info, un’organizzazione indipendente per la tutela dei diritti dei prigionieri politici, ha stimato più di 15.000 arresti dall’inizio del conflitto a metà marzo.[26] Le proteste sono però fortemente mitigate dal contesto normativo e dalla difficoltà nel reperire informazioni sul conflitto.
Per quanto concerne la prima, non vi è un’organizzazione o movimento politico in grado di coordinare le proteste, fortemente scoraggiate dalla normativa che consente alle autorità di sciogliere organizzazioni e portare avanti arbitrariamente cause giudiziarie. Inoltre, con la legge contro le fake news è prevista una detenzione fino a quindici anni per chi divulghi informazioni false (o che si discostino dalla narrativa del Cremlino) sul conflitto in Ucraina.
Inoltre, molte persone non hanno accesso alle informazioni su quanto avviene in Ucraina, non venendo a conoscenza della distruzione delle città o delle perdite dell’esercito russo. Le reti televisive nazionali non danno copertura alle proteste e illustrano esclusivamente la posizione del Cremlino, giustificando l’aggressione come un processo di “denazificazione” e disarmo dell’Ucraina. L’unica fonte di informazione, pertanto, è quella dei social network, ma nelle prime settimane di marzo Facebook, Instagram e Twitter sono stati oscurati. Ciononostante, anche grazie all’utilizzo di VPN, la fascia più giovane della popolazione riesce comunque ad accedere alle informazioni e coordinare piccole manifestazioni per la pace.[27]
Conclusione
Il conflitto in Ucraina ha radici profonde, segno di incomprensioni mai sanate e una diplomazia non sempre efficace. L’area post-sovietica ha storicamente rappresentato il target naturale della politica estera russa, considerata predominante per i suoi interessi strategici e la sua sicurezza. Ne risulta, pertanto, che eventuali interferenze nella sua sfera di influenza non siano considerate accettabili, rappresentando una diretta minaccia agli interessi del Cremlino.
In questo contesto, l’espansione a est della NATO, per cui si nutriva già diffidenza per il mancato pieno coinvolgimento della Russia nelle istituzioni occidentali, era – ed è ancora oggi – vista come un’aperta minaccia agli interessi e sicurezza di Mosca. I conflitti che ne sono conseguiti, tra cui quello in Georgia nel 2008, e i più recenti scontri in Ucraina, testimoniano la forte volontà russa di impedire penetrazioni nella sua sfera di influenza.
Tale strategia ha infatti fortemente minato le ambizioni russe di ripristinare il proprio ruolo di grande potenza: l’uso della forza viene quindi concepito come mezzo per tutelare i propri interessi. In questo contesto, il Cremlino si è posto l’obiettivo di impedire, con ogni mezzo, l’adesione dell’Ucraina alla NATO, inizialmente cercando di rafforzare il legame culturale tra i popoli e creando un elettorato russofono leale, come garanzia istituzionale contro l’Occidente. [28] Il fallimento di questa politica e l’acuirsi del dialogo con le istituzioni occidentali ha quindi portato al conflitto militare.
Pertanto, la sottovalutazione degli interessi regionali russi è da considerarsi come la principale causa dello scoppio della guerra. L’intromissione nella sua sfera di influenza, infatti, è interpretata come una diretta minaccia ai confini nazionali e alle ambizioni di grande potenza, esacerbate con l’eventuale adesione alla NATO o all’UE, preferite all’iniziativa di integrazione regionale russa. Tale situazione, come più volte ribadito e dimostrato, non può essere accettata dal Cremlino, che è pronto ad adoperare qualsiasi mezzo per la protezione dei propri interessi e sicurezza.
[1] Mackinder, H. (1919). Democratic ideals and reality. New York: Henry Holt and Company.
[2] Brzezinski, Z. (1997). A Geostrategy for Eurasia. Foreign Affairs, 76(5), pp.50-64.
[3] Putin, V. Annual Address to the Federal Assembly of the Russian Federation. 25 April, 2005. http://en.kremlin.ru/events/president/transcripts/22931
[4] “Westernizers, Statists and Civilizationist”. Tsygankov, A. (2016). Russia’s Foreign Policy: Change and Continuity in National Identity. Lanham: Rowman & Littlefield Pub In.
[5] Ibid
[6] Дугин, A. (1997) Основы геополитики. Москва: Арктогея. Митрофа́нов, A. (1998) Шаги новой геополитики. Москва.
[7] Zonova T., Reinhardt R., (2014). “Main vectors of Russia’s foreign policy (1991-2014). Rivista di Studi Politici Internazionali. Vol. 81, No. 4, p. 501
[8] Nalbandov, R. (2016). Not by Bread Alone. Russian Foreign Policy under Putin. Lincoln: University of Nebraska Press.
[9] Ibid.
[10] Rumer, E. (2019) “The Primakov (Not Gerasimov) Doctrine in Action”. Moscow Carnegie Endowment for International Peace.: https://carnegieendowment.org/2019/06/05/primakov-not-gerasimov-doctrine-in-action-pub-79254
[11] Politici che provenivano dal campo militare e della sicurezza
[12] Zonova, Reinhards (2014), p. 509
[13] Концепция внешней политики Российской Федерации (Утверждена Президентом Российской Федерации 28 июня 2000 года)
[14] Putin, V. “Press Statement and Answers to Journalists’ Questions Following a Meeting of the Russia- NATO Council” Bucharest, April 4, 2008, Kremlin.ru.
[15] Концепция внешней политики Российской Федерации (Утверждена Президентом Российской Федерации 12 января2000 года).
[16] Ibid.
[17] Shakleina, T. (2016). A Russian Perspective on Twenty-First-Century Challenges. In: N. Noonan and V. Nadkarni, ed., Challenge and Change. San Diego: Palgrave MacMillan, pp.35-70.
[18] Концепция внешней политики Российской Федерации (Утверждена Президентом Российской, Федерации 12 июня 2013 года).
[19] Trenin, D. (2017). Russia’s Breakout From the Post–Cold War System: The Drivers of Putin’s Course. Carnegie Moscow Center. http://carnegie.ru/2014/12/22/russia-s-breakout-from-post-cold-war-system-drivers-of-putin-s-course-pub-57589
[20] NATO. (2008). Bucharest Summit Declaration – Issued by the Heads of State and Government participating in the meeting of the North Atlantic Council in Bucharest on 3 April 2008. https://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_8443.htm?mode=pressrelease
[21] Ibid.
[22] Batchelor J. (2014). Russia wins second Crimean war. Aljazeera America. Available at: http://america.aljazeera.com/opinions/2014/3/crimea-ukraine-russiaputinblacksea.html
[23] Trenin D. (2014). Ukraine and the New Divide. Carnegie Moscow Center. http://carnegie.ru/2014/07/30/ukraine-and-new-divide-pub-56435
[24] Концепция внешней политики Российской Федерации (Утверждена Президентом Российской, Федерации 30 ноября 2016 года).
[25] Dragosei, F. “La premio Nobel Svetlana Aleksievich: «Perché oltre il 60 per cento dei russi sostiene Putin»”. Corriere della Sera. 5 marzo 2022. https://www.corriere.it/politica/22_marzo_05/premio-nobel-svetlana-aleksievich-il-regime-sostenuto-russia-profonda-che-si-sente-umiliata-b1ce6158-9bfa-11ec-87e9-1676e8d33acb.shtml?&appunica=true&app_v1=true
[27] Francescelli, M. C. “Quella Russia contro la Guerra”. Sbilanciamoci. 19 Marzo 2022. https://sbilanciamoci.info/quella-russia-contro-la-guerra/
[28] Trenin D. (2014). Russia’s Goal in Ukraine Remains the Same: Keep NATO Out. Carnegie Moscow Center. http://carnegie.ru/2014/06/02/russia-s-goal-in-ukraine-remains-same-keep-nato-out-pub-55798%20Ibid