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NOI, IL COVID E IL MEDITERRANEO:
da minaccia a opportunità
Amm. Sq. Ferdinando SANFELICE di MONTEFORTE
Introduzione
La pandemia, causata dal virus COVID-19, ha colpito con tutta la sua virulenza, l’uno dopo l’altro, prima l’Asia, quindi il Nord del mondo, il Sud-America, e infine l’Africa, e ora sta tornando in Europa. Sappiamo tutti, grazie ai reportage televisivi, dell’andamento di questa seconda ondata in Italia e nel Nord del mondo, e siamo giustamente preoccupati per ciò che accade da noi.
Purtroppo, stiamo perdendo di vista la dimensione mediterranea della pandemia e, di conseguenza, rischia di sfuggirci una preziosa chiave di lettura su come il mondo mediterraneo stia evolvendo intorno a noi. Per quanto riguarda il nostro immediato vicinato, infatti, le notizie su come il COVID abbia colpito le altre parti del Mediterraneo, e soprattutto i Paesi litoranei extra-europei, circolano quasi solo sul web e non attraggono l’attenzione dei media, anche se riguardano Paesi a noi fin troppo vicini geograficamente.
In effetti, tra le Nazioni del nostro bacino sta accadendo esattamente quanto avviene tra i Grandi della terra: l’attuale morbo, infatti, non solo sta sconvolgendo i rapporti di forza tra le Potenze mondiali[1], ma ha anche indotto, finora, quasi tutte queste Nazioni ad attuare provvedimenti, anche drastici e aggressivi, sia sul piano interno, sia su quello delle relazioni internazionali, nel disperato tentativo di uscire da questa crisi, minimizzando i danni alle proprie economie e coesione sociale.
Ricorderete le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina di qualche mese fa, nonché le minacce di sanzioni che il governo di Washington ha usato, nello stesso periodo, per premere sull’Unione Europea. Questi sono stati solo i primi segni di una lotta per ricavare profitti o accaparrarsi una parte maggiore delle ricchezze e delle risorse naturali, il tutto a svantaggio di altri. Questa lotta sta diventando generalizzata, visto che anche alcune cosiddette “Potenze Regionali” iniziano a seguire lo stesso percorso, con il rischio comprensibile di conflitti e di una lotta di “tutti contro tutti”.
Nella nostra visione fin troppo concentrata verso l’interno, infatti, ci sta sfuggendo che, negli ultimi mesi, la tensione in quello che era il “Mare Nostrum” è improvvisamente aumentata. Pochi, in particolare, hanno finora correlato i contenziosi in atto con l’impatto che il morbo sta avendo su questi Paesi, un’azione che può farci a capire quanto la pandemia stia influenzando i rapporti tra i Paesi litoranei e perché questi ultimi stanno agendo nel modo che vediamo.
Infatti, i nostri vicini stanno adottando l’una o l’altra delle politiche “storiche” che vengono messe in atto da secoli per uscire da gravi crisi interne. La prima è, come si è visto, quella di approfittare della debolezza altrui per migliorare la propria posizione economica, togliendo ad altri fonti di benessere.
Per fare questo, però, è necessario disporre di forza militare superiore rispetto a quella degli avversari, oltre a una disponibilità finanziaria adeguata a sostenere per tempi lunghi queste imprese, senza causare il tracollo economico della Nazione.
È ben vero che, in alcuni casi, specie nel passato, alcuni governi, incapaci di riassestare le finanze, hanno rischiato tutto su questo tavolo, ma solo in pochi casi sono riusciti a ottenere ciò che perseguivano. Il caso dell’Inghilterra, che fece ben tre guerre contro l’Olanda nel XVII secolo, per strapparle il dominio del commercio mondiale, riuscendo così a pagare i debiti contratti sul mercato internazionale e diventare una Grande Potenza, ne è solo un esempio. Nella maggioranza dei casi, invece, questo tipo di approccio prevaricatore, se spinto troppo oltre, non ha avuto successo, e la sconfitta ha fatto precipitare la situazione, causando la rovina del Paese, che si è potuto risollevare solo dopo anni e anni di sacrifici durissimi.
Per questi motivi, i contenziosi in atto, che vedremo tra breve, hanno ancora un carattere limitato, ma il rischio che sfuggano di mano e creino una spirale perversa di aggressioni e ritorsioni non è trascurabile: basta una testa calda, e la situazione potrebbe precipitare.
La seconda via, usata in questi casi, è invece profondamente diversa, quasi all’opposto, dato che consiste nel tentativo di sanare le piaghe altrui, riducendo le tensioni e creando nuovi legami di riconoscenza con i Paesi d’interesse strategico. Questo tipo di approccio è tipico dei Paesi, come l’Italia di oggi, che hanno fiducia nelle proprie capacità, e che sono consapevoli che il proprio sviluppo, basato sulla manifattura e sul commercio internazionale, richiede un vicinato stabile, il più prospero possibile, e non sopraffatto dall’illegalità.
Prima di tutto, però, bisogna considerare come e quanto il COVID stia influenzando le strategie dei Paesi litoranei nel nostro bacino.
La Pandemia nel Mediterraneo
Premesso che la sponda sud e quella est del Mediterraneo erano state, almeno in parte, risparmiate dalla prima ondata pandemica, e si ritrovano solo ora a dover fronteggiare in pieno l’impatto del morbo, il quadro dell’andamento della pandemia in questi Paesi è, stando agli aggiornamenti settimanale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)[2] (i dati più recenti a destra):
Nazione | Casi totali | Pop. | Percentuali |
Marocco | 219.084/288.211 | 36 | 0,6%/0,8% |
Algeria | 57.651/65.975 | 42 | 0,14%/0,16% |
Tunisia | 59.813/79.339 | 11,5 | 0,5%/0,7% |
Libia | 61.095/72.628 | 6,7 | 0,9%/1,1% |
Egitto | 107.555/110.547 | 98,5 | 0,2%/0,11% |
Israele | 313.533/322.371 | 8,8 | 3,6%/3,7% |
Palestina | 65.262/74.350 | 5 | 0,13%/1,5% |
Giordania | 72.607/141.305 | 9,9 | 0,7%/1,4% |
Siria | 5.728/6.613 | 17 | 0,03%/0,03% |
Turchia | 375.367/411.055 | 82 | 0,46%/0,5% |
Grecia | 39.251/72.510 | 11 | 0,37%/0,66% |
Libano | 81.228/104.267 | 6 | 1.38%/1,7% |
E, per confronto,
(Italia, 732.000/1.144.552, 60, 1,22%/1,9%)
La stessa OMS, nell’inserire la nota, secondo cui il suo documento riporta “dato ricevuti dalle autorità nazionali” sembra nutrire dubbi sulle cifre ufficiali del contagio, specie per quanto riguarda la Libia e la Siria, dove la guerra in corso rende aleatoria qualsiasi rilevazione, il che porta a ritenere che il numero delle persone colpite sia ben maggiore.
In effetti – e lo abbiamo visto anche da noi – le autorità nazionali tendono, fino all’ultimo, a minimizzare l’impatto del morbo, per non impressionare troppo la popolazione. Inoltre, in molti Paesi, specie al di fuori dell’Europa, le capacità di rilevazione accurata della diffusione di un morbo, mentre è adeguata nelle città, spesso è incompleta nelle campagne.
Il primo aspetto interessante di questa tabellina è che essa mostra come alcuni Paesi siano stati finora relativamente risparmiati dalla pandemia, mentre altri sono stati colpiti in modo relativamente più pesante in rapporto alla popolazione, anche se, con l’eccezione di Israele, ancora molto meno rispetto a quanto sta accadendo nel nostro Paese. Naturalmente, queste cifre sono ancor più preoccupanti, rispetto a quelle europee, dato che molti Paesi del Mediterraneo non sono dotati di mezzi e strutture adeguati a fronteggiare queste disastrose calamità.
L’altro aspetto importante, rilevato sia dall’OMS sia da altri organi di stampa, è che si sta verificando, nei Paesi mediterranei, una crescita esponenziale dei contagi. Questo pericoloso fenomeno è particolarmente avvertito in alcuni Paesi, in primo luogo in Tunisia, dove “le autorità, lo scorso giovedì (29 ottobre, n.d.r.) hanno bandito gli spostamenti tra i vari governatorati, hanno sospeso l’insegnamento nelle scuole e proibito riunioni di più di quattro persone. Le scuole secondarie potranno riaprire l’8 novembre e le università potranno fare lo stesso il 12 novembre. Le proteste non sono permesse, e il governo ha imposto un coprifuoco nazionale dalle 20:00 durante la settimana e dalle 19:00 nei week end”[3].
In Marocco, poi, come riferisce l’OMS, il Paese “sta avendo un aumento graduale di casi e di morti, fin dall’inizio di agosto. Nella scorsa settimana, il Paese ha registrato un nuovo record di casi. Attualmente, il rateo di morti per COVID-19 è circa del 1,7%. La regione di Casablanca-Settat è la regione più colpita, con la maggioranza dei casi che si verifica nella città di Casablanca. Misure più restrittive sono state stabilite nella regione di Casablanca-Settat. Le altre regioni hanno anche adottato nuove misure, inclusa la chiusura anticipata dei centri commerciali”[4].
Infine, nel suo rapporto del 17 novembre, l’OMS informa che “l’Algeria ha riferito su un deciso aumento (113%) nella scorsa settimana, con 5806 nuovi casi individuati (131 per 1 milione di persone) e 114 nuovi decessi. Le autorità locali hanno anche riferito su un sostanziale aumento di ospedalizzazioni in ottobre, specie nelle province del Nord-Est e del Nord. L’8 novembre, il governo algerino ha introdotto 12 nuove misure di salute pubblica e sociali, per mitigare questa crescita, inclusa la reintroduzione di un coprifuoco notturno, la chiusura di mercati per la vendita di veicoli per 15 giorni, la proibizione di riunioni pubbliche e familiari, e il rinvio dell’inizio delle lezioni universitarie e di addestramento tecnico al 15 dicembre”[5]
Questa situazione, che costituisce un radicale cambiamento, rispetto ai mesi scorsi, durante i quali, come si è detto, i Paesi del Nord Africa erano stati risparmiati dalla prima ondata pandemica, fa pensare, quindi, che il virus si stia diffondendo anche da loro, in maniera esponenziale.
I Paesi più colpiti da quest’ondata, quindi, potrebbero cercare, mediante politiche aggressive, sia di trovare fonti di reddito nuove, sia di aggravare le crisi in atto, al fine di ottenere ciò che altrimenti non potrebbero avere. Una ricapitolazione di queste crisi, quindi, ci mostra dove queste politiche aggressive potrebbero indirizzarsi o, in alcuni casi, siano già in corso.
Le crisi in atto
Anzitutto, bisogna ricordare, a conferma di quanto detto, che si è riaperto il “conflitto congelato” per il Sarawi, dove il Marocco ha occupato militarmente il Paese, mentre gli indipendentisti, raggruppati nel Fronte Polisario, sono appoggiati dall’Algeria.
Il conflitto era iniziato nel 1973, sotto forma di guerriglia contro la Spagna, che all’epoca dominava il territorio noto, allora, come il Sahara Occidentale. Dopo gli accordi di Madrid del 1975, che sancirono il ritiro della Spagna, il Marocco e la Mauritania si contesero il possesso del Paese. Ai due contendenti se ne aggiunse, ben presto, un terzo: il Fronte indipendentista Polisario, che aveva proclamato la Repubblica Araba del Sahrawi nel 1976, fece ricorso alla guerriglia, che continuò negli anni successivi, malgrado il ritiro della Mauritania dal conflitto.
Nel 1977, dopo un intervento armato da parte della Francia, il Marocco occupò il Sahrawi, e nel 1991 firmò un armistizio con il Polisario. La guerriglia e le proteste, però sono riprese una prima volta nel 2005, per poi cessare nel 2011. Oggi, solo il 20% del territorio è controllato dal Polisario, sempre appoggiato dall’Algeria, mentre il resto del Paese è sotto il controllo delle forze del Marocco.
Sembrava che le parti si fossero ormai accordate per uno status quo soddisfacente per entrambi, ma in questi giorni, come riferisce un dispaccio Reuters del 14 novembre, “il leader del Fronte Polisario, il movimento indipendentista del Sahara Occidentale, ha affermato che il gruppo ha terminato l’armistizio con il Marocco, che durava da 29 anni, per riprendere la sua lotta armata, in seguito a uno scontro di frontiera”[6].
Viene, poi, la guerra civile in Libia, che dura ormai del 2011, e si è aggravata per effetto degli interventi stranieri, successivi alla caduta del regime di Gheddafi. Le Nazioni extra-UE più impegnate nel volgere la crisi in proprio favore sono l’Egitto, la Russia e la Turchia, ma il loro intervento non ha portato finora ad alcuna decisione definitiva. Va da sé che la presenza di truppe straniere, specie quelle provenienti da Paesi gravemente colpiti dalla pandemia, come gli ultimi due, non può che diffondere ulteriormente il morbo. Non a caso, rispetto a pochi mesi fa, il numero delle persone colpite dal COVID, in Libia, sta aumentando esponenzialmente, e la Russia ha annunciato il proprio ritiro dal territorio conteso.
Un altro conflitto che va seguito da vicino è la crisi palestinese, un conflitto che dura, tra alti e bassi, dal 1948 e ha spesso coinvolto anche i Paesi europei, per anni oggetto di pressione e di attentati terroristici. Infatti, l’area vive una situazione particolare, a causa del gravissimo impatto che il COVID-19 sta esercitando su Israele, il Paese più colpito dal morbo, e la Palestina, dove il virus si sta diffondendo in modo altrettanto pesante, anche se ha iniziato a diffondersi dopo.
In questo caso, forse, vi sono speranze di un allentamento della tensione, anche se i movimenti palestinesi più oltranzisti cercheranno di approfittare della situazione. Questi, oltretutto, sono appoggiati dal governo di Teheran, e quindi, a poco vale il fatto che il governo di Gerusalemme stia creando rapporti amichevoli con alcuni Paesi musulmani a prevalenza sunnita.
Poco più a Nord, la guerra civile in Siria – le cui statistiche sull’impatto della pandemia, secondo le quali il morbo sembrerebbe aver risparmiato il Paese, appaiono troppo ottimistiche – vede una situazione simile a quella libica, anche lì a causa della presenza di truppe provenienti da Paesi gravemente colpiti dalla pandemia.
L’aspetto più preoccupante, infine, è l’aggravarsi dei contenziosi sulle Zone Economiche esclusive (ZEE) tra i Paesi litoranei. In questo momento osserviamo la Turchia da una parte e l’Egitto, Cipro e la Grecia dall’altra, che si contendono vaste zone di mare del Mediterraneo Orientale, dove ognuno cerca di conquistare ZEE il più ampie possibili, a scapito dei contendenti.
Il recente aumento della presenza, nelle acque contese del Mediterraneo Orientale, di forze navali turche mostra, infatti, quanto deciso sia il tentativo da parte del governo di Ankara, di ottenere vantaggi notevoli, mediante lo sfruttamento delle risorse marine, soprattutto mediante l’estrazione di gas e petrolio, rispetto a quanto possibile, stando ai termini del Diritto del Mare.
I Paesi dell’Unione Europea stanno cercando di sedare la contesa, mantenendo forze navali in zona, e cercano di proteggere le attività di ricerca condotte dalle proprie imprese petrolifere, ma la possibilità di raggiungere un accordo tra i contendenti è ancora lontana. Il rischio che parta qualche colpo di cannone, a opera di una testa calda, dell’una o dell’altra parte, non è da trascurare, e questo coinvolgerebbe l’Unione Europea, spingendola ad appoggiare la Grecia, in forza del Trattato di Lisbona. Quanto alla NATO, il contenzioso greco-turco rappresenta un fattore di grave crisi come nel 1974 e l’Alleanza ha difficoltà ad affrontarlo.
Va detto, oltretutto, che la situazione economica della Turchia è, quantomeno, precaria, e solo la possibilità di sfruttare i giacimenti di gas e petrolio sembra essere l’unica speranza di risollevare la disastrata economia del Paese, a spese della Grecia e di Cipro, che non navigano certo in acque migliori, dal punto di vista finanziario. Non vi è nulla di più pericoloso di una sfida tra contendenti ridotti alla disperazione, e questo rende la crisi potenzialmente drammatica.
Come si può notare, più in generale, quasi tutti i Paesi mediterranei sono impegnati in contenziosi e conflitti. Appare interessante, tra l’altro, che i contenziosi, nella loro maggior parte, stiano riaccendendo antiche rivalità. Basti pensare, ad esempio, all’ormai secolare conflitto tra Grecia e Turchia, che oggi si concentra proprio sullo sfruttamento delle proprie ZEE, oppure alla tensione tra Egitto e Turchia, da sempre rivali nel Mediterraneo Orientale, che stanno rivaleggiando sia per acquisire una posizione d’influenza in Libia, sia per ottenere il massimo possibile dallo sfruttamento delle risorse marine.
Gli effetti che un differenziale d’indebolimento provoca sono, infatti, visibili anzitutto nel caso dell’Egitto e della Turchia. I due Paesi, avversari da secoli, sono – tra l’altro – gli sponsor principali delle due fazioni in lotta per il dominio sulla Libia. Non è quindi improbabile che la Turchia, che è stata fortemente colpita dal morbo, ed ha inviato truppe a sostegno del governo di Tripoli di Fayez al-Sarraj, oltre a diffondere il virus tra la popolazione, incontri difficoltà sempre maggiori nel sostenere il proprio numeroso contingente in Libia, mentre l’Egitto, meno colpito e quindi con l’economia relativamente meno martoriata a causa del COVID, sia in grado di sostenere il governo di Tobruk e il suo uomo forte, il generale Khalifa Haftar, permettendogli di proseguire la sua conquista di sempre maggiori porzioni dell’enorme territorio libico.
Sempre la Turchia, con la sua posizione intransigente sulle ZEE del Mediterraneo Orientale, e l’economia sempre più traballante, sta rischiando di implodere, proprio per la contraddizione tra una politica estera assertiva, sostenuta dalle fazioni che fanno capo agli accademici e agli Ammiragli in pensione, ideatori della dottrina del “Mavi Vatan” (Patria Blu), e la precaria condizione dell’economia, in affanno fin da molto prima della necessità di sostenere le spese per proteggere la popolazione dalla pandemia.
La questione del Sahara Occidentale, ancora, riporta l’una contro l’altra due Nazioni, il Marocco e l’Algeria, che avevano faticosamente raggiunto un modus vivendi. Il fatto che ambedue stiano vivendo il dramma di una crescita, a livello esponenziale, dei contagi non depone certo bene per la stabilità del Mediterraneo Occidentale.
Non va dimenticato, infine, che nell’area mediterranea e sub-sahariana agiscono sempre più potenti gruppi Jihadisti, la cui azione è facilitata dalla debolezza dei governi locali, incapaci di controllare i propri territori, senza l’aiuto dei Paesi europei. In definitiva, il COVID rischia di alimentare questi contenziosi, creando un’instabilità che sta diventando preoccupante, e che può essere definita come “La Spiralizzazione delle debolezze”.
Dietro tutti i contenziosi tra i Paesi mediterranei e tra questi e la ricca “Sponda Nord” del bacino vi è, infatti, una situazione di crisi economica, di cui noi non abbiamo l’esatta percezione. Le economie dei Paesi non europei del Mediterraneo si basano prevalentemente su tre fonti di reddito: pochi Paesi privilegiati vivono grazie ai profitti dell’estrazione di petrolio e il gas, mentre la maggior parte di loro dipende dal piccolo commercio e dal turismo, due attività che stanno lentamente morendo, specie dopo che si sono viste le conseguenze della pandemia. Chi sia stato, ad esempio, in visita a Petra, in Giordania, ha visto quante persone ricavavano i mezzi di sostentamento, grazie alla moltitudine di turisti che visitavano quel meraviglioso sito. Ora, con la drastica riduzione di questa attività, Petra è ridiventato un luogo silenzioso e abbandonato, e le centinaia, se non migliaia di persone che facevano da guide turistiche, o che vendevano ricordi del sito, sono alla fame.
Non bisogna dimenticare, in tutto questo, che in questi Paesi l’equilibrio sociale ed etnico è oltremodo precario, per cui ogni pur minimo peggioramento della situazione economica è causa di violenti tumulti, che scuotono i Paesi fin dalle loro fondamenta istituzionali. Gli eventi che hanno scosso l’Egitto, quasi dieci anni fa, sono un monito per noi sulla possibilità di una loro diffusione, proprio per ragioni di sopravvivenza. Il progetto europeo di un “Vicinato Stabile”[7] sta diventando sempre più un sogno irrealizzabile.
I rischi dell’Europa
Quali rischi corre l’Europa, per effetto della pandemia? Il primo e più grave rischio è la possibilità di dover gestire una crisi del tipo “tutti contro tutti”, tra i Paesi litoranei, con conseguenze imprevedibili sul loro sviluppo. Il commercio internazionale, la prima fonte di prosperità dell’Europa, ne verrebbe danneggiato profondamente.
Subito dopo, vi è il rischio che il virus diventi endemico nei Paesi litoranei del Mediterraneo, per effetto delle limitate capacità, da parte di alcune Nazioni, di sradicare la malattia. Questo fenomeno si è verificato nei secoli scorsi – fin dall’epoca dell’Impero Romano – ed è durato fino al XIX secolo.
Ogni contatto, sia di tipo commerciale, sia di altro tipo, con i Paesi della Sponda Sud o del Levante comportò, per la sponda nord, la creazione di un’organizzazione complessa, che gli Stati europei, oltre ai nostri Stati pre-unitari, dovettero attuare. Infatti, l’unico modo per evitare altre ondate di ritorno era di costringere a un’attesa di vari giorni le navi che trasportavano le merci o i passeggeri, nei cosiddetti “porti di quarantena”. La baia di La Spezia e il seno di Nisida, con le rovine del vecchio Lazzaretto, sono una testimonianza di quanto difficile e oneroso sia prevenire i pericoli di una pandemia, quando diventi endemica intorno a noi.
Non è solo un problema del passato, infatti. Si pensi alla scorsa estate, quando sembrava che i Paesi europei – Italia inclusa – avessero superato la prima ondata pandemica, e il turismo di massa verso aree non altrettanto fortunate in termini di pandemia ha creato le premesse affinché il continente fosse colpito da una seconda ondata, quella che stiamo vivendo.
Se vogliamo evitare il rischio di una terza ondata, di ritorno, e di tante altre successive, dobbiamo considerare come assicurare periodi di quarantena per coloro che si recano all’estero o che entrano nei nostri Paesi, oppure agire in loco per sradicare i focolai pandemici. Si tratta di un aspetto particolarmente importante, dato che, in effetti, fino ad ora l’arma principale usata dai Paesi della sponda sud e del Levante contro l’Europa, come ritorsione ad atti giudicati lesivi dei loro interessi vitali, è stata quella dell’immigrazione clandestina.
Questo mezzo è stato usato dai Paesi interessati fin dallo scorso secolo, per accelerare la soluzione di accordi sulla pesca o sul commercio, oppure per ottenere l’ingresso facilitato di derrate alimentari, olio in primis, per non parlare delle annose dispute sulla riparazione dei danni arrecati durante l’epoca coloniale e, in genere, nel passato.
Più recentemente, la guerra civile libica – che ha assorbito forze militari di vari Paesi, anche lontani – ha visto le due principali fazioni gareggiare tra di loro nell’invio d’immigrati verso l’Italia e l’Europa, nel tentativo di farci prendere una posizione a loro favore. Ricevere immigrati positivi al COVID, quindi, renderebbe l’immigrazione, nelle mani dei governi nordafricani un’arma letale nei nostri confronti.
Questo tipo di ritorsione, oggi, potrebbe anche essere una reazione ai nostri comportamenti. Non si può, infatti, tacere che, ad esempio, molti pescherecci europei operino all’interno di aree di mare, rivendicate dai Paesi interessati come di loro esclusiva appartenenza, senza la copertura di un accordo di pesca bilaterale a livello governativo. In generale, il nostro atteggiamento poco incline a comprendere e soddisfare le esigenze altrui, cominciando dalla riparazione dei danni inferti durante la nostra dominazione coloniale, alle popolazioni locali, non è certo d’aiuto.
Infine, non dobbiamo dimenticare che, spesso, siamo rimasti coinvolti fin troppo spesso, contro il nostro volere, in dispute tra Paesi mediterranei sul possesso delle ZEE. Questo è accaduto, nel passato, per le dispute tra la Libia di Gheddafi e la Tunisia, fino al 1988, e continua tuttora. L’ultima di questa lunga serie è quella sulle Zone Economiche Esclusive del Mediterraneo Orientale, in cui alleanze improvvisate hanno creato un’intricata serie di accordi su aree che si sovrappongono tra loro, per cui uno stesso tratto di mare sembra appartenere a più di un Paese.
Quale ruolo per l’Italia?
Da questo pur sommario quadro di situazione, si nota come il COVID possa agire da detonatore, ed aggravare le crisi da tempo in atto. Solo i Paesi della sponda nord, e l’Italia in primo luogo, possono agire per calmare – metaforicamente – le acque agitate del Mediterraneo, usando come strumento la “Diplomazia della Scienza”.
In questa situazione di progressivo e rapido aggravamento, l’attenzione del nostro governo e dell’opinione pubblica italiana è prevalentemente rivolta al problema che il COVID sta creando alla nostra popolazione. Esiste, quindi, il rischio che ci sfugga il fatto di avere un dovere morale, come “Paese ricco” della sponda nord, di intervenire per alleviare la situazione sanitaria delle Nazioni più colpite.
Si tratta, come abbiamo visto, di una corsa contro il tempo, visto che, probabilmente, quando questa seconda ondata sarà finita da noi, le Nazioni del Nord-Africa si troveranno in piena pandemia. Se si vuole, infatti, mantenere rapporti corretti e amichevoli con questi Paesi, è necessario aiutare chi è nostro amico, quando questi versi in gravi difficoltà.
Questo tipo di azione, al momento, non è stata ancora presa in considerazione dal nostro governo, per cui non stiamo mettendo a disposizione altrui l’esperienza che abbiamo maturato in questi mesi, ma bisogna anche considerare che è necessario prevenire i fenomeni di “contagio di ritorno”. Infatti, quando anche questa seconda ondata pandemica si sarà esaurita da noi, gli altri Paesi mediterranei, in gravi difficoltà, costituiranno un focolaio che potrebbe causarci una terza, una quarta e tante successive ondate, se noi non li aiuteremo a sradicare il morbo anche da loro .
Un tal tipo di azione, sulla cui urgenza è lecito insistere, rientra a pieno titolo nella cosiddetta “Diplomazia della Scienza”, che indica quanto sia utile mettere a disposizione di altri le conoscenze, le capacità e i mezzi, in poche parole tutto ciò che abbiamo imparato, sulla nostra pelle, nei mesi drammatici della prima ondata.
Cos’è la “Diplomazia della Scienza”? Secondo la dottoressa Nina Federoff, Consigliere del Segretario di Stato USA, “la Diplomazia della Scienza è l’uso di interazioni scientifiche fra Nazioni per risolvere i problemi comuni che l’umanità fronteggia, e per costruire partenariati internazionali costruttivi, basati sulla conoscenza”[8]. Il suo scopo è “aiutare a costruire fiducia e incrementare la comprensione tra diverse culture”[9], e quindi creare legami a livello scientifico tra Nazioni diverse, con ricadute positive nel campo delle relazioni bilaterali.
Va detto che, anche se scambiare informazioni in campo scientifico è comunque un fatto positivo, quando questo tipo di aiuto avvenga al fine di salvare vite umane, si ha un enorme impatto positivo sull’opinione pubblica del Paese assistito.
Ecco, quindi, che si può considerare l’uso, da parte nostra, della “Diplomazia della Scienza”, nel senso che, aiutandoli, potremmo creare sentimenti collettivi di gratitudine nelle opinioni pubbliche interessate, tali da influenzare positivamente i rapporti tra i loro governi e noi. In questo, la diplomazia della scienza è un po’ come il soccorso umanitario, un altro strumento potentissimo per migliorare i rapporti tra Nazioni.
Non si tratta, come abbiamo visto, solo un mezzo per mostrarci generosi verso gli altri! Se noi non aiutiamo i Paesi della sponda sud e del Levante, ci ritroveremo, come nei secoli passati, a dover fronteggiare un rischio perenne, ogni qualvolta avremo contatti con loro.
L’Italia, da sempre interessata al commercio con la sponda meridionale del Mediterraneo e con i Balcani, e protagonista di rapporti tormentati con questi Paesi, può quindi trovare nell’uso della “Diplomazia della Scienza”, per quanto riguarda la lotta alla pandemia, una carta vincente. Solo così sarà possibile attenuare le diffidenze reciproche, creare un rapporto stabile di collaborazione e ridurre i rischi di ondate di ritorno, specie laddove si sono verificati, nel passato, screzi con conseguenti atti malevoli da una parte o dall’altra.
In questo, abbiamo già un antesignano: la nostra Sanità Militare sta mettendo a disposizione della popolazione bosniaca l’esperienza maturata in questi drammatici mesi di pandemia, con risultati notevoli, per quanto riguarda la stima delle comunità locali verso il nostro Paese. Estendere questo tipo di assistenza, oltre che moralmente doveroso, è un’azione che ci può portare frutti duraturi.
Smettiamo quindi di piangerci addosso, e cominciamo ad agire per mettere la nostra esperienza a disposizione dei Paesi mediterranei, pensando che, mai come nel caso dell’attuale pandemia, il bene nostro e quello altrui coincidono.
[1] Per approfondimenti, si veda Sanfelice di Monteforte Ferdinando, Quadarella Sanfelice di Monteforte Laura, Il mondo dopo il COVID-19. Conseguenze geopolitiche e strategiche. Posture dei gruppi jihadisti e dell’estremismo violento, Mursia, Milano, 2020, e ampia bibliografia ivi citata.
[2] WORLD HEALTH ORGANIZATION. COVID-19 Weekly Epidemiological Update. Data as received by WHO from national authorities, as of 1 November 2020, 10 am CEST and November 17, 10 am CEST.
[3] AL MONITOR, 29 ottobre 2020.
[4] WHO. Op. cit. pag. 8.
[5] WHO. COVID-19 Weekly Epidemiological Update as of 15 November 2020, 10 am CEST
[6] REUTERS.. Polisario leader says Western Sahara ceasefire with Morocco is over. Nov. 14, 2020
[7] Vds. UE. Strategia di Sicurezza Europea. Un’Europa sicura in un mondo migliore. 12 dicembre 2003.
[8] ROYAL SOCIETY. New Fronteirs in Science Diplomacy. 2010, pag. 2.
[9] Ibid. pag. 4.