Scarica il file in PDF – tesi marciano APPROFONDIMENTI SUL TERRORISMO
Il fenomeno dei foreign fighters nel XXI secolo
Maria Letizia Marcianò
(tesi Master in “Analista del Medio Oriente”, Università degli Studi Niccolò Cusano UNICUSANO – a.a. 2017-2018 – relatore Prof. Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte)
INTRODUZIONE
CAPITOLO I – IL TERRORISMO E MODALITÀ DI RECLUTAMENTO DEI FOREIGN FIGHTERS
1.1 GLI ATTACCHI TERRORISTICI DEGLI ULTIMI DECENNI
1.2 LA DEFINIZIONE ATTUALE DI TERRORISMO
1.3 CHI SONO I FOREIGN FIGHTERS
1.3.1 METODOLOGIE DI RECLUTAMENTO
1.3.2 SELEZIONE E IMPIEGO DEI FOREIGN FIGHTERS
1.3.3 MODALITÀ DI AZIONE
CAPITOLO II – LE POLITICHE DI CONTRASTO DEL FENOMENO DEI FOREIGN FIGHTERS
2.1 PERCHÉ I FOREIGN FIGHTERS PARTONO
2.2 LA STRATEGIA COMUNICATIVA
2.2.1 LA LORO CAPACITÀ DI INFLUENZARE IL MONDO
2.3 LA PRESENZA IN EUROPA DEI FOREIGN FIGHTERS
2.4 LE POLITICHE DI CONTRASTO NEI PAESI DEL NORD AFRICA
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
Introduzione
Il terrorismo è un metodo di lotta adottato da alcuni gruppi estremisti e volto a seminare terrore e a minare le istituzioni di un paese mediante attentati, omicidi, sequestri di persona o dirottamenti di aerei per conseguire esiti di natura politica.
In particolare, quello di natura islamica si è diffuso in tutto il mondo a partire dal secondo dopoguerra e soprattutto dagli anni Sessanta, ed è presente soprattutto nei paesi occidentali, in Giappone, in America Latina, in Medio oriente, in Africa. Il terrorismo viene praticato da organizzazioni, movimenti e gruppi di natura diversa.
Nonostante l’intensità del fenomeno è bene tenere presente, nel prosieguo del lavoro, che non è presente una definizione universalmente riconosciuta a livello internazionale del termine terrorismo.
In genere se ne fanno promotori movimenti nazionalisti e indipendentisti mossi dall’integralismo religioso e dal nazionalismo, interpretando una lotta di liberazione nazionale.
La nascita del terrorismo estremista islamico, che è sempre stato ritenuto legato esclusivamente alla “questione palestinese”, va comunque probabilmente ricercata in due importantissimi avvenimenti del 1979: la rivoluzione in Iran e l’invasione sovietica in Afghanistan, due avvenimenti strettamente connessi tra loro, che modificarono gli equilibri dell’intera regione e trasformarono un problema locale in un problema globale.[1]
E’ possibile affermare che la questione palestinese sia diventata lotta di tutti gli arabi contro l’Occidente. A partire dalla rivoluzione khomeinista in Iran che con la cacciata dello scià, l’Iran si trasforma da Stato filoamericano a culla del fondamentalismo islamico sciita lasciando campo aperto all’Unione Sovietica per l’invasione dell’Afghanistan in soccorso del quale arrivarono migliaia di giovani musulmani. Contestualmente, in Libano, già diviso in due: cristiani al potere e mussulmani in aumento a causa dell’arrivo dei profughi palestinesi dopo la guerra arabo-israeliana del 1967, scoppiò una sanguinosa guerra civile dando il via all’aumento di campi di addestramento dei terroristi palestinesi.
Il fenomeno dei foreign fighters si è sviluppato recentemente e ha destato l’attenzione di diversi Stati e Organizzazioni Internazionali in quanto si tratta di persone che partono e che poi fanno ritorno, e quindi risultano difficili da gestire. Importante ricordare il fenomeno dei mujaheddin che dal 1979 si recavano in Afghanistan a difendere il territorio dai sovietici, primo esempio di foreign fighters.
L’estremismo islamico di oggi crea preoccupazione in tutto il mondo, partendo dal presupposto che esso non va identificato con l’Islam in generale perché coloro che si occupano delle attività terroristiche sono solo una piccola parte del mondo islamico; bisogna contraddistinguere il fenomeno che oggi prende il nome di islamismo, in cui rientrano tutti i movimenti di attivisti.
La distinzione consiste nel fatto che vi sono coloro che non hanno obiettivi politici ma soltanto di tipo missionario, proponendosi come fine ultimo la conservazione delle tradizioni islamiche, l’adozione della sharia come legge fondamentale dello stato. Nonostante gli scopi, non sempre essi sono disposti a ricorrere a forme di violenza, a differenza del secondo gruppo, i terroristi, che perseguono i propri obiettivi a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo.
Tale gruppo si compone soprattutto di sunniti del gruppo salafita e wahabita, il quale prevede tre correnti diverse.
La prima combatte contro i governi considerati empi perché non rispettano la legge coranica, operando quindi all’interno dei regimi arabi.
Il secondo gruppo riguarda gli irredentisti i quali hanno intenzione di liberare territori arabi sotto i governi non islamici o occupati da stranieri.
Infine il terzo gruppo riguarda il terrorismo globale nei confronti dell’Occidente. Le rivendicazioni dei primi due gruppi, che facciano riferimento all’apostasia di governi arabo-islamici o all’appoggio esterno a tali governi, o che si oppongano alla presenza di infedeli su suolo islamico o all’occupazione straniera di Palestina, Afghanistan e Iraq, sono individuabili a livello politico.
Il terzo gruppo invece è maggiormente violento e determinato, di esso ne fanno parte i Jihadisti anti occidentali convinti del fatto che coloro che non sono musulmani sono infedeli e sono nemici dell’islam, e coloro che lo appoggiano invece o sono loro alleati o, contrariamente, sono infedeli per cui nemici loro stessi.
Per questo motivo vengono riportate vittime anche fra i musulmani, accettando tali azioni come danni collaterali inevitabili. L’estremismo sunnita wahabita e salafita, attualmente, ha a che fare anche contro gli sciiti, coinvolgendo direttamente grandi paesi come l’Iran per la loro difesa.
Questi sono i punti principali del presente lavoro diviso in due capitoli.
Nel primo di questi si tratterà del fenomeno dei foreign fighters e delle modalità di reclutamento, cercando di capire chi sono, come vengono reclutati e come agiscono.
Il secondo capitolo sarà incentrato sulle strategie adottate dai foreign fighters e sulla loro presenza in Europa, nonché sulle politiche di contrasto da parte dei paesi del Nord Africa.
CAPITOLO I
IL TERRORISMO E MODALITÀ DI RECLUTAMENTO DEI FOREIGN FIGHTERS
- Gli attacchi terroristici degli ultimi decenni
Il volto del terrorismo, nel corso degli anni, è cambiato in continuazione a causa delle condizioni a livello socio-culturale e dei mezzi disponibili con cui esso viene realizzato.
La figura che allo stato attuale maggiormente spaventa è quella del foreign fighter, ossia colui che agisce minacciando la sicurezza dei paesi, e mosso da una propria radicalizzazione di ideologie condivise da un gruppo di appartenenza ideologica.
“Spesso si fa confusione tra le espressioni come “homegrown terrorist”, “foreign fighter” e “lone wolf”, che non sono tra loro solo diverse ma si pongono anche su piani differenti, ancorché tutte e tre rientrino a titolo diverso nel discorso sul terrorismo “fai da te”, ma mentre con le prime due si caratterizzano le modalità con le quali si sono radicalizzati ed addestrati i terroristi, con l’ultima si indica la modalità di azione, che sarebbe nel loro caso da lupo solitario. Il terrorista homegrown si è radicalizzato ed addestrato in Occidente, dove vive, senza fare viaggi e colpisce nel proprio paese. Il terrorista foreign fighter invece va a combattere la jihad in uno dei teatri di crisi.”[2] Il lupo solitario in particolare decide autonomamente i tempi e i luoghi in cui agire infondendo terrore a livelli molto alti, nonostante la scarsità di mezzi economici e bellici di cui può usufruire in quanto addestratosi e formatosi in autonomia. Questo tipo di terrorista è stato protagonista durante gli attacchi alle Tween Towers del 2001, diffondendo un senso di paura tra le persone con atti terroristici improvvisi e senza alcuna struttura di comando[3].
Rilevanti sono stati anche gli attentati riguardanti Parigi, avvenuti il 13 novembre 2015; a essi hanno fatto seguito quelli della Tunisia il 18 marzo 2015 e il 26 giugno dello stesso anno; il primo attentato si è verificata nel Museo del Bardo di Tunisi, mentre il secondo sulla spiaggia della città tunisina di Sousse.
Scopo di ogni strategia terroristica è quello di apportare dei cambiamenti alle condizioni politiche colpendo però persone che non sono coinvolte direttamente, tramite stragi indiscriminate, sabotaggi dei servizi di pubblica utilità o interruzione delle comunicazioni.
Si pensi, ad esempio, al cosiddetto “terrorismo aereo” il quale ha modificato notevolmente le abitudini dei viaggiatori : il fallito attentato del c.d. “attentatore delle scarpe” del dicembre 2001 portò a più severi controlli al momento dell’imbarco; il piano dello sventato attacco dell’estate del 2006 che avrebbe dovuto causare la caduta di numerosi aerei intercontinentali fatti esplodere azionando esplosivo liquido comportò restrizioni relative alle quantità di liquidi trasportabili in cabina; la nuova modalità operativa utilizzata nel Natale 2009 da un giovane attentatore (c.d. “attentatore delle mutande”) che aveva accuratamente nascosto in due tasche appositamente cucite nei suoi indumenti intimi un tipo di esplosivo non rilevabile attraverso i normali controlli a raggi x e la sostanza per attivarne la detonazione, ha portato nuove risposte da parte delle Autorità dei Paesi occidentali, che per garantire la sicurezza aerea hanno modificato le nostre abitudini e portato all’abbattimento della privacy; il piano che nell’autunno 2010 ha fatto viaggiare su aerei sia cargo che passeggeri le stampanti bomba imbottite di plastico sta comportando un inasprimento dei sistemi di controllo delle merci che viaggiano utilizzando il mezzo aereo.[4]
Oggi si sente spesso parlare di terrorismo islamico, movimento di cui fanno parte gruppi di musulmani integralisti che hanno come scopo raggiungimenti politici in nome della propria religione. Nel radicalismo islamico sono insite diverse forme di pensiero e di azioni, o organizzazioni che hanno diverse strategie e modi di agire.
Un’organizzazione molto attiva e potente è “Al Qaeda” fondata da Bin Laden nel 1988 ed in seguito all’uccisione del fondatore, l’attività è proseguita grazie al nuovo leader al-Zawahiri. Al Qaeda è divenuto un fenomeno a più strati, o meglio a cerchi concentrici, il cui nucleo centrale, c.d. Al Qaeda Core, continua ad essere l’organizzazione con sede tra Afghanistan e Pakistan. Accanto a questo nucleo si trova l’anello dei gruppi terroristici che potremmo definire affiliati, condividono totalmente ideologia e sistemi operativi. Tra i principali gruppi i maggiori sono Al Qaeda in the Arabic Peninsula (AQAP operante nella Penisola arabica), Al Shabaab (operante in Somalia), Al Qaeda in the Islamic Maghreb (AQIM. Presente in Algeria, Marocco, Tunisia e Sahel) e l’Islamic State of Iraq (ISI operante in Iraq), per quest’ultimo andrebbe usato il nome con cui si è autodefinito dopo l’annessione di Al Nusra Front to Protect the Levant (operante in Siria) : The Islamic State in Iraq and the Levant (ISIL operante in un’aerea che va dall’Iraq alla Siria)[5]. Vi sono poi gruppi islamici minori e cellule più o meno grandi che operano in autonomia pur ispirandosi sempre alla Jihad. Tra gli elementi più importanti abbiamo i fondamentalisti homegrown, che vivono in occidente e si trasformano in self made terrorist dopo essere stati per brevi periodi in campi di addestramento di Al Qaeda o formatisi con manuali su internet.
Le caratteristiche comuni del fenomeno concernono il potenziale criminogeno che è andato aumentando sempre più; tale escalation è cominciata con gli attentati del 2001 dato che la reazione degli Stati Uniti è stata quella di inasprire la normativa in materia di terrorismo, sicurezza e immigrazione, e con i jet militari hanno raso al suolo le infrastrutture di al-Qaeda, i campi di addestramento, e i vari depositi di armi e mezzi; di conseguenza, sono stati uccisi tanti militanti[6], e coloro che sono sopravvissuti si sono adattati alle nuove condizioni cominciando ad agire da soli.
Infatti, sono stati realizzati due grandi attentati in Europa, uno a Madrid l’11 marzo 2004, e un altro a Londra il 7 luglio 2005; il movimento si è poi chetato in seguito all’uccisione di Osama bin Laden il 2 maggio 2011, anche se il declino non ha intaccato sul jihadismo militare e sul terrorismo islamista[7] in quanto Al-Qaeda e tutt’oggi attiva.
Forme di terrorismo ancora più potenti, sono state attuate dall’ISIS, un’organizzazione terrorista di matrice islamico-integralista che ha realizzato gli attacchi violenti in Tunisia e in Francia.
In ogni caso, comunque, l’origine del terrore risiede nel fatto che questi individui non hanno un volto e quindi diviene impossibile riuscire a prevedere quando e come essi colpiranno; non vi sono neanche caratteristiche psichiatriche o criminologiche che permettono di capire chi potrebbe essere un attentatore, giungendo alla conclusione della mancanza di una relazione diretta tra coloro che attuano l’atto terroristico e una qualsiasi organizzazione che comanda le varie azioni[8].
Nonostante oggi sia molto diffusa questa forma di terrorismo, i primi attentati sono ravvisabili già nel secolo precedente, e le motivazioni sono le medesime, vale a dire ragioni di supremazia della razza bianca, fondamentalismo islamico e nazionalismo. Nella maggior parte dei casi, le armi utilizzate sono quelle da fuoco, soprattutto negli Stati Uniti, gli ordigni esplosivi e i dirottamenti armati. Inoltre, si tratta spesso di soggetti di età compresa tra i 20 e i 30 anni che conducono una vita normale, tanto da renderli anonimi e da passare inosservati.
Questa fascia d’età coincide con il periodo in cui la mente è facilmente influenzabile a livello ideologico e il corpo è maggiormente prestante all’azione diretta. Si tratta in gran parte dei casi di uomini con notevoli capacità intellettive con alcune patologie psichiche, ma dichiarati comunque capaci di intendere e di volere[9].
Il modo di agire di questi individui non fa altro che lasciare sempre più spazio alla paura nel mondo, considerando anche l’attuale realtà multipla che ci circonda che prevede incontri continui tra varie etnie, culture e religioni diverse; l’incontro multietnico viene favorito anche dalla semplicità economica con cui ormai ci si può spostare da un Paese all’altro e dalla Rete che permette di comunicare da e verso diverse parti del mondo.
La tecnologia ha imposto all’uomo un adattamento alla nuova realtà, ritrovandosi in contesti che cambiano di continuo e che non hanno più confini geografici o ideologici, provocando quindi scontri e conflitti interiori ed esteriori. Oggigiorno, infatti, ciò che accade da una parte del mondo ha delle ripercussioni su tutto il resto, trattandosi di minacce asimmetriche che inducono a pensare che con il tempo cambieranno i volti del terrorismo ma non le atrocità che vengono condotte[10].
- La definizione attuale di terrorismo
Come accennato, il terrorismo oggi ha assunto forme diverse e si è esteso su tutto il pianeta in maniera rapida, divenendo un problema molto grave e urgente da risolvere; non esiste una definizione internazionale universalmente riconosciuta di terrorismo. esso si basa soprattutto su due punti fondamentali, vale a dire il radicalismo fondamentalista di radice islamica e il coincidere dell’omicidio nei confronti delle vittime e del suicidio da parte del terrorista[11].
Gli elementi fondamentali, invece, sono la politicità del fenomeno e il ricorso continuo alla violenza organizzata; dunque, nonostante gli attacchi terroristici siano sempre un fatto politico, si basano sempre su una motivazione ideologica. La condotta è sempre capace di seminare panico e disarticolazione dell’intero corpo sociale, sfiduciando le istituzioni che non sempre sono capaci di far fronte al fenomeno.
Per definizione, il fenomeno viene considerato come un metodo di lotta politica basato sul ricorso alla violenza, differenziandosi in base alla modalità di condotta, alla qualità della persona e all’entità del danno. Infatti, ciò che emerge nella quasi totalità dei casi è la capacità di colpire chiunque appartiene ad una determinata categoria sociale in base a logiche di clandestinità e segretezza[12].
Dunque, è l’ideologia a spingere le manifestazioni terroristiche mediante tecniche riscontrabili in qualsiasi tipo di reato e non necessariamente di natura terroristica. Pertanto, tali elementi assumono la forma di manifestazioni simboliche, il cui scopo è quello di impressionare l’opinione pubblica ottenendo la massima attenzione da ogni gesto compiuto, in modo da dare adito all’eterogenesi dei fini.
Il terrorismo di stato viene anche distinto in tre tipi, vale a dire:
- Terrorismo governativo che si verifica quando uno stato utilizza metodi terroristici contro la popolazione in modo da mantenere il rapporto o instaurare una dittatura;
- Terrorismo esterno mediante l’attuazione di rappresaglie ad azioni che contrastano con le leggi internazionali nei confronti di un altro stato per ritorsione ad azioni terroristiche lì preparate;
- Terrorismo in complicità da parte di alcuni governi nei confronti di atti terroristici[13].
Il fenomeno del terrorismo, dunque, rientra in tre diverse categorie, ossia:
- terrorismo di diritto comune che mira a seminare il terrore;
- terrorismo sociale che mira alla realizzazione di un’ideologia per l’organizzazione di una collettività o di un Paese;
- terrorismo politico con scopi di natura politica e un’azione diretta nei confronti dello stato e dei suoi organi[14].
Viene ulteriormente distinto in diretto e indiretto, indicando il primo come quella forma di terrorismo che si verifica nel momento in cui l’azione mira direttamente allo scopo, e il secondo come le azioni svolte dal terrorista per raggiungere il luogo dell’attentato.
Considerando anche il contesto in cui il terrorismo viene attuato, esso viene distinto in assoluto quando si tratta di violazioni gravi dei diritti umani, e relativo quando gli atti rientrano nei normali costumi di guerra.
Si comprende quindi come il fenomeno venga esaminato conducendo analisi delle strutture politiche, economiche e ideologiche in quanto il fondamentalismo islamico è mosso dalla radicalizzazione, dallo jihadismo e dallo Stato Islamico (IS), riuscendo a minacciare in qualsiasi modo la sicurezza dell’intero Occidente.
Vengono anche considerati gli ambiti culturali, emozionali ed etici evidenziando le differenze sostanziali esistenti tra Oriente e Occidente, nel tentativo di rilevare il profilo del terrorista e cercare di anticipare le sue mosse[15].
Lo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi è divenuto l’attuale protagonista del terrorismo internazionale di natura jihadista, e il Califfato è riuscito oggi ad attirare a sé proseliti sia del Nord Africa e del Sudest Asiatico, sia delle società occidentali. La motivazione di ciò risiede nel cambiamento avvenuto con il passaggio alla leadership irachena di IS dalla precedente esperienza di Al-Qaeda, diffondendo un messaggio globale e un’innovazione dei contenuti, dei metodi e degli scopi.
L’organizzazione Al-Qaeda era nata dall’incontro tra Osama Bin Laden e Ayman al-Zawahiri, con lo scopo di riunire la Umma[16] e di purificare i Paesi della Casa della Pace[17] imponendo la Sharia[18] e una ideologia jihadista che si contrapponeva alle istituzioni nazionali, al di là del contesto geografico di appartenenza.
Tale organizzazione ha una struttura a piramide con un meccanismo di imposizione dall’alto dei precetti; i comandanti militari o spirituali, dunque, vengono considerati come una guida della Umma verso la catarsi terrena; inizialmente sono stati mobilitati gli elitari delle società musulmane, ma effettivamente non sono mai state adattate le prescrizioni ideologiche alle esigenze delle varie comunità locali, non riuscendo quindi a trovare soluzioni ai diversi problemi politici[19].
È stata così minata la stabilità dell’organizzazione e la leadership “qaedista”, al momento della Guerra al Terrorismo, si è mostrata incapace di fornire risorse alle proprie branche regionali, perdendo quindi la propria influenza. Di conseguenza, hanno preso potere i vari comandanti regionali che hanno trasformato il messaggio jihadista in uno strumento politico per affrontare le rivendicazioni delle comunità che lo sostenevano. Inoltre, la mancanza di uno Stato ha permesso ai network terroristici di diventare erogatori di welfare, di istruzione e di lavoro, acquistando credibilità da parte delle istituzioni centrali riconosciute come illegittime dalla popolazione.
Lo jihadismo è divenuto in tal modo una realtà che ha trovato il proprio apice nello Stato Islamico, avendo la possibilità di realizzare un modello gestionale basato su:
- Controllo amministrativo del territorio grazie alla presenza di città capitali e sindaci locali;
- Erogazione di servizi e di stato sociale;
- Gestione di una vera e propria economia.
Sfruttando questo modello, l’IS ha potuto affermare il proprio potere e limare i confini tra Siria e Iraq, sfruttando anche a livello scientifico e metodico i nuovi mezzi di comunicazione, vale a dire internet e i social media. Lo strumento mediatico, infatti, è risultato per il Califfato un canale per poter diramare il proprio messaggio, e anche uno strumento di reclutamento e propaganda.
AQ usava la potenza mediatica della rete, a seguire, IS ha sfruttato al massimo le potenzialità della propaganda jihadista online che AQ aveva già concepito e sfruttato da anni.
È riuscito anche a manipolare il potenziale comunicativo delle immagini mediante la prontezza delle informazioni sul web a diffondersi a macchia d’olio, costruendo così una strategia di marketing del terrore. Lo Stato Islamico ha sfruttato la capacità di Internet di eliminare le distanze fisiche e geografiche, attuando proselitismo in tempo reale e in qualsiasi parte del mondo; di conseguenza, oggi il gruppo viene istantaneamente riconosciuto continuando a riscuotere consensi da parte delle nuove generazioni[20].
Si comprende quindi come oggi sia cambiato il volto del terrorismo proprio grazie alla capacità mediatica, divenuto strumento di radicalizzazione internazionale con cui il Califfato può trasformare lo jihadismo in un modello culturale considerato dai giovani disoccupati o dai militanti che, rispetto al passato, ora hanno un modello vincente da seguire. Gli aspiranti jihadisti, infatti, possono usufruire di tutti gli strumenti per poter realizzare un processo di auto-radicalizzazione autonomo; di conseguenza, tanto gruppi quanto singoli individui reclamano la propria appartenenza allo Stato islamico, contribuendo alla lotta jihadista nei confronti del takfirismo[21] e dell’Occidente utilizzando i mezzi di cui dispongono.
La forza di IS, infatti, consiste proprio nell’incitare all’azione singoli individui che rispondono alla chiamata jihadista senza alcun contatto diretto con la leadership irachena. Si tratta quindi dei lupi solitari che fanno dei luoghi comuni il posto migliore per condurre attacchi terroristici, come stazioni metropolitane, ristoranti o centri commerciali[22].
La minaccia terroristica attuale si sviluppa all’interno delle comunità europee, convinte ormai di non poter più fornire una risposta utile a una realtà che non ha più confini e che, oltre alla sicurezza, deve tenere conto dei problemi sociali e culturali.
- Chi sono i foreign fighters
Prima di delineare il profilo dei foreign fighters, è bene richiamare la figura del mujaheddin, ossia colui che è impegnato nella Jihad, utilizzata come strumento armato per affermare ed estendere l’Islam. Il termine mujaheddin è la forma plurale di “mujahid”, parola araba che indica “colui che è impegnato nella Jihad”. Il termine “Jihad” in arabo significa sforzo o slancio verso il raggiungimento di un determinato obiettivo. L’obiettivo può essere quello spirituale del miglioramento intellettuale del credente, attraverso lo studio e approfondimento dei testi sacri, o anche significato più materiale cioè l’espansione dell’Islam al di fuori dei confini del mondo musulmano. Nell’era moderna invece il termine “mujahid” ha assunto un significato più militare per identificare la figura di colui che combatte contro l’infedele ed utilizza la Jihad come strumento armato per l’affermazione e l’espansione dell’Islam.[23] I primi mujaheddin sono stati coloro che hanno combattuto in Afghanistan contro l’invasione sovietica dal 1979 al 1989. Erano militanti islamici volontari prevalentemente sunniti che per amore della libertà e senso del dovere combattevano per difendere le proprie famiglie, le proprie tribù di appartenenza e la loro religione; senza alcuna esperienza militare o formazione specifica, combattevano con qualsiasi tipo di arma a disposizione usufruendo della conoscenza del territorio che consentiva di spostarsi rapidamente anche di notte.
Con la caduta dell’esercito della Repubblica Democratica Afghana, i vari gruppi mobili si sono riuniti in un’unica forma di resistenza per contrastare l’invasione sovietica.
Altro scopo è stato quello di promuovere e affermare la dottrina religiosa, e il mujaheddinismo è passato dal personale e individuale al collettivo e universale; la conseguenza di tale cambiamento è stato lo sviluppo di diversi gruppi che, prendendo spunto da tali modalità di azione, hanno assunto tale ideologia, impiegando i medesimi strumenti
Si parla in tal caso dei foreign fighters, giovani combattenti stranieri di età compresa tra i 16 e i 29 anni provenienti soprattutto da Tunisia, Arabia Saudita, Marocco, Turchia e Giordania; il fenomeno si è sviluppato anzitutto in Francia e in Inghilterra e i servizi antiterrorismo europeo, sin dagli anni Ottanta e Novanta, hanno riportato una notevole attività di reclutamento per la formazione di giovani mujaheddin.
Tuttavia va ricordato che la motivazione dei combattenti stranieri in Afghanistan era più sentita dei foreign fighters in quanto essi avevano come obiettivo la cacciata dei russi dall’Afghanistan, Paese mussulmano, il mujaheddin combatteva una guerra di liberazione mentre il foreign fighter combatte per uno Stato ideale in cui si riconosce.
I foreign fighters non sono altro che l’evoluzione del terrorismo che si è venuto a creare in seguito agli attentati alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 che hanno evidenziato le responsabilità di al-Qaeda e Osama Bin Laden, consapevoli del fatto che da quel momento avrebbero potuto operare in maniera libera in Afghanistan dove avevano il pieno appoggio del regime dei talebani[24].
Al-Qaeda viene quindi considerata come l’entità di riferimento che da tanto tempo è sorretta dall’ideologia Jihadista ed altre teorie su cui si fonda l’estremismo islamico. La fine del regime talebano ha spinto al-Qaeda ad affidare alla clandestinità le proprie azioni per poter far fronte agli sforzi militari, di polizia e di intelligence; le sue attività operative a livello generale e internazionale sono state quindi svolte in maniera maggiormente selettiva, ma la sua capacità di influenzare altri gruppi nel condurre azioni simili è cresciuta grazie al successo proprio degli attacchi alle Torri Gemelle e alla capacità mostrata da Osama Bin Laden di sottrarsi alla cattura per molto tempo.
Questi gruppi si configurano oggi come il centro dell’estremismo islamico, e il loro continuo sviluppo in vari paesi rende difficile l’individuazione e la soppressione. L’ideologia quindi fa riferimento ad al-Qaeda, così come i metodi di lotta e i legami che sono nati durante gli scontri contro i sovietici in Afghanistan o nel nord Iraq ai tempi di Saddam, in Somalia, in Sudan e ovunque vi sia stata la possibilità.
Anche in Iraq, nei campi di detenzione degli insorgenti arrestati dagli americani, si sono create delle alleanze, la cui dimostrazione è data da quella stretta fra Abu Bakr al Baghdadi che è poi divenuto il capo dell’Isis e alcuni elementi di Al Nusra. Rilevanti sono stati anche i combattenti stranieri della Jihad per la propagazione dell’ideologia e delle tecniche di combattimento dei terroristi, i quali si sono trasferiti dalla Bosnia al Caucaso, poi alla Afghanistan e all’Iraq, e infine in Siria.
Negli anni, l’organizzazione ha cominciato ad agire in base alle circostanze e alle situazioni ambientali, senza mostrare legami evidenti fra di loro e senza una solida direzione gerarchica. Fanno eccezione soltanto i territori controllati dall’Isis che, in Siria e in parte dell’Iraq, è divenuto un vero e proprio stato, mentre altrove opera considerando gli ideali tipici dei gruppi terroristici; le varie circostanze hanno permesso la nascita dei “lupi solitari” o delle “cellule dormienti” che sono pronte ad attaccare anche i grandi paesi in cui non mancano i mezzi per contrastare il terrorismo[25].
Di questi sottogruppi, ossia dei foreign fighters, ne è stata fornita una definizione da parte della Risoluzione ONU n. 2178/2014, dalla quale si evince anzitutto il carattere straniero dei combattenti, la loro qualifica come terroristi e la partecipazione a un conflitto armato. Essi comunicano tra di loro senza nemmeno conoscersi, organizzando delle mobilitazioni in maniera rapida tramite internet; in pratica viene diffusa la nuova azione da attuare e questa viene copiata e replicata da altri che la adottano e modificano a seconda dell’ambiente di riferimento.
Molto spesso i foreign fighters vengono utilizzati per le missioni suicide nei Paesi di origine o, in seguito all’addestramento, a combattere contro il regime di al-Assad; in caso di sopravvivenza ritornano in Occidente, cominciando a istigare i simpatizzanti in patria e a pianificare attacchi nella loro homeland in modo da condurre nuove azioni estremiste[26].
Dunque, il fenomeno dei foreign fighters si espande seguendo uno schema che parte dalla radicalizzazione, dalla partenza e dall’addestramento, per poi passare al combattimento e al ritorno a casa per continuare a commettere ulteriori attentati nel proprio paese, radicalizzando di conseguenza altri soggetti; questa modalità di azione, infatti, è riuscita negli anni ad attirare foreign fighters provenienti anche dal Sud Est asiatico.
- Metodologie di reclutamento
I foreign fighters vengono reclutati in base al loro aspetto ideologico, dato che essi hanno una scarsa conoscenza della presenza dei vari gruppo jihadisti; innanzitutto si procede con l’indottrinamento di coloro che sono già simpatizzanti mediante i social network.
In tal modo, i reclutatori possono già comprendere quali sono le motivazioni reali che inducono i giovani ad aderire a tale movimento; è impossibile definire un profilo univoco dei foreign fighters dato che le motivazioni sono varie, tra coloro che credono nel Califfato universale e coloro che scelgono questo rito di passaggio per una vita migliore.
Sommariamente, le motivazioni ad agire sono cause religiose o lo sviluppo di meccanismi che inducono ad attuare azioni violente sono legati all’educazione e alle inclinazioni dei maestri religiosi che incidono fortemente sulla mente dei giovani.
Rilevanti sono anche le condizioni ambientali in cui essi crescono, la povertà e la scarsa conoscenza del mondo esterno, nonché il radicalismo da parte degli adulti che li circondano e la disoccupazione, oppure il disinteresse nei confronti delle attività professionali che non vengono ritenute degne di un uomo vero; molto importante risulta essere anche l’inclinazione a laurearsi in teologia e non in altre discipline.
A tutto ciò, si aggiunge anche l’attitudine caratteriale dei giovani arabi al fanatismo e allo scarso realismo, aderendo facilmente a gruppi che praticano la salvezza dell’anima attraverso il martirio. Non si può indicare specificamente il senso di frustrazione di queste persone nel compiere atti terroristici anche quando sono ben integrati con il mondo occidentale, in cui non subiscono alcuna forma di pressione per la propria religione, né costrizioni, né rinuncia ai propri usi e costumi[27].
Come accennato, il reclutamento dei foreign fighters avviene in maniera virtuale, su siti contenenti video di giovani che cercano di persuadere altri giovani puntando alla giustizia e alla legittimità dello Stato islamico. Spesso vi sono commenti tradotti in varie lingue, con un sottofondo musicale consono alle immagini mostrate e alla cultura giovanile occidentale. Dunque, ciò che viene posto in risalto è l’importanza della chiamata all’azione, controbilanciando le malefatte del nemico con le buone azioni dello Stato islamico.
Negli anni Al Qaeda ha dimostrato capacità di adattamento sviluppando tecniche che permettono mediante internet di reclutare ed i terroristi direttamente in Occidente. Si parla oggi anche di cyber terrorism e cioè minacce alla sicurezza cibernetica, sfida a cui i Paesi occidentali devono far fronte. Ma oltre a ciò, vanno tenuti in grande considerazione il ruolo sempre più centrale di blog, social network e riviste online. A tal proposito va inquadrata la rivista Inspire, la prima in lingua inglese e la prima che si rivolgesse ai mussulmani in occidente, nata come una delle più significative opere di propaganda in occidente. Il ruolo di internet diviene centrale, nonostante gli sforzi intrapresi a livello nazionale e internazionale, internet continua ad essere un canale di comunicazione in cui chinque può rapidamente diffondere informazioni di ogni tipo. La rivista Inspire, è stata pubblicata a partire dall’estate 2010 regolarmente con lo scopo di promuovere la nascita di nuovi terroristi direttamente nei Paesi occidentali. Essa colpì fin dal primo numero per i messaggi propagandistici contenuti. Il terrorismo è rappresentato come guerra santa, che altro non sarebbe se non la giustificata risposta di ogni buon mussulmano alle atrocità subite dai propri fratelli. E’ operato un continuo indottrinamento contro gli occidentali, visti come il nemico, il male assoluto, il tiranno che porta morte e distruzione nei loro Paesi. Un nemico che è tale soprattutto perché alleato di Israele, che soffoca il popolo palestinese.[28] E’ presente in ogni numero della rivista una sezione “Open Source Jihad”, che è una vera e propria fonte da cui trarre manuali che consentono di addestrarsi per la jihad da casa, senza dover partecipare a corsi di addestramento che comportano viaggi costosi.
- Selezione e impiego dei foreign fighters
L’ascesa al potere dello Stato Islamico è stata rapida caratterizzandosi per un innalzamento del livello di terrore raggiungendo alte soglie di crudeltà. Lo Stato Islamico ha imposto ad ogni individuo l’obbligo sacro di effettuare la hijra ossia di emigrare, raggiungendo i suoi territorie e, di combattere il jihad contro i nemici. I territori controllati dall’Isis possono essere facilmente raggiungibili passando per la Turchia, in cui si ottiene facilmente il visto e, infatti, notevole è l’afflusso di foreign fighters che provengono dalla Malesia.
Allo stesso modo, la regione balcanica si configura oggi come transit point per i foreign fighters di provenienza europea; essi prediligono destinazioni prive di formazione militare per poi essere smistati nei campi di addestramento a seconda della preparazione personale e scolastica nelle varie zone controllate dall’Islamic Movement of Uzbekistan (Imu), le quali si trovano tra il Pakistan e l’Afghanistan[29].
Il processo di selezione dei combattenti stranieri può imbattersi in due criticità, vale a dire la selezione errata e la dubbia moralità. La prima fa riferimento alla quantità di informazioni che si possiedono sul reclutando, la seconda alle reclute native; può infatti verificarsi che si recluti un combattente che poi si rivela incompetente e irresponsabile, per cui vanno considerati i problemi caratteriali e psicologici, rilevando anche abilità o competenze specifiche.
Per quanto riguarda la dubbia moralità, la recluta può essere spinta da motivazioni personali diverse da quelle indicate e, per quanto i leader dei gruppi svolgano azioni di monitoraggio, ciò non può essere mai effettuato in maniera completa.
Alcune difformità vengono riscontrate anche durante i percorsi addestrativi in merito alla tipologia delle reclute, consentendo a pochi foreign fighters di ricevere un addestramento avanzato, sia per le difficoltà di comunicazione sia perché considerati di poca importanza data l’inesperienza nel combattimento; i combattenti stranieri, dunque, vengono per questi motivi utilizzati per missioni suicide nei paesi di origine.
Una volta oltrepassato il confine, all’arrivo nei territori dell’IS, le nuove reclute vengono esaminate scrupolosamente con compilazione di moduli comprendenti fino a 23 voci riguardanti ogni tipo di informazione. A questo punto l’Emni, l’apparato di sicurezza del gruppo, seleziona i potenziali operativi da dislocare in Europa per compiere le missioni affidategli. Quindi dopo aver appreso come diventare macchine per uccidere e le tecniche per eludere i servizi di intelligence, i militanti vengono inviati in occidente per scopi terroristici.[30]
I foreign fighters vengono impiegati anche per svolgere il ruolo di comunicatori dell’internazionalizzazione della causa del Califfato, contribuendo alle conoscenze linguistiche dei paesi occidentali; le loro comunicazioni avvengono però previo controllo perché le informazioni fornite devono essere sempre conformi al raggiungimento della vittoria finale.
I gruppi combattenti, i sostenitori e i singoli combattenti si occupano dell’attività di propaganda, sfruttando soprattutto i social network per creare cellule dormienti pronte a entrare in azioni in determinati momenti.
Anche l’arruolamento svolto online sta riportando dei risultati notevoli, contribuendo alla credibilità dell’organizzazione, e ciò non fa altro che aumentare nei foreign fighters le motivazioni ideologiche e la spinta ad agire in un clima di coesione con tutti gli altri membri[31]. La narrativa on-line ritrae l’IS come agente di cambiamento, campione di forza, fede e giustizia sociale, veicolando anche l’idea che lo Stato Islamico stia guadagnando potere e che la sua vittoria sarà inevitabile. I messaggi vengono diffusi attraverso tutti i tipi di on-line media (l’ISIS sfrutta in particolare i social media i.e. Facebook, Instagram e Twitter) e hanno raggiunto e ispirato utenti in tutto il mondo.[32]
- Modalità di azione
Gli attacchi terroristici condotti negli ultimi tempi hanno evidenziato come i gruppi abbiano iniziativa, creatività e immaginazione.
Inoltre, essi realizzano un effetto sorpresa grazie proprio al fatto che non tutte le reazioni vengono attribuite unicamente ad un’organizzazione, ragion per cui viene cambiato il mezzo con cui colpiscono, gli obiettivi e le tempistiche, conducendo un’azione che si sviluppa anche per periodi lunghi.
Dal canto loro, le autorità non devono creare allarmismi diffusi, anche se i rischi maggiori vengono riportati nei paesi in cui vi sono truppe in Iraq e in Afghanistan, quelli che sostengono a livello politico gli Stati Uniti, nei paesi musulmani in cui i gruppi estremisti che stanno cercando di penetrare la società assumono posizioni di un Islamismo maggiormente radicale, come in Turchia, Indonesia o Filippine e alcuni paesi del centro Asia[33].
La lotta principale viene condotta comunque nei confronti delle truppe di occupazione o di invasione in Iraq e in Afghanistan e contro le istituzioni afghane e irachene, nonché in Siria. Viene considerato il paese principale dell’operazione dei terroristi a causa di motivazioni strategiche e tattiche che ricoprono un lungo periodo.
Infatti vi è la popolazione sunnita che sostiene e favorisce i foreign fighters fornendo anche la manodopera, per cui colpire gli americani ha significato per tutto il mondo islamico mostrare la propria capacità di fronteggiare la grande potenza senza farsi intimidire, conducendo nel contempo una lotta per la sopravvivenza delle idee jihadiste.
I foreign fighters iracheni hanno riportato diverse vittorie nonostante l’impegno da parte delle forze della coalizione e delle nuove forze di polizia irachena e del nuovo esercito iracheno. Nonostante la maggior parte della loro leadership sia stata catturata o uccisa, gli attacchi sono continuati in maniera efficace colpendo la popolazione sciita di Bagdad[34].
Anche in alcuni paesi arabi è stata condotta una lotta al terrorismo, tra cui in Egitto in cui si susseguono attacchi ai comprensori turistici, per cui le autorità locali stanno cercando di salvaguardare il settore turistico che è la maggior fonte di reddito del paese, anche se i risultati riportati non sono quelli sperati.
La polizia in Arabia Saudita, in seguito alle prese di posizione americane e agli attacchi da parte di gruppi estremisti, ha condotto diverse azioni che sono terminate con scontri a fuoco con alcuni elementi appartenenti a questi gruppi, eliminando talvolta diverse cellule.
Ciò che risulta difficile comprendere è l’appoggio ricevuto da questi gruppi di foreign fighters da Paesi come Siria e Iran, anche se per sviluppare un sistema difensivo basta l’appoggio di pochi paesi che non sono totalmente coinvolti nella lotta al terrorismo. Le difese, ogni modo, risultano migliorate nei paesi occidentali in concomitanza con l’ampliamento della minaccia del terrorismo e in seguito all’avanzata da parte dell’Isis, lavorando sul campo dell’intelligence della prevenzione comune.
Gli orrori che sono stati compiuti dall’Isis con esecuzioni a danno di cittadini occidentali che sono caduti nelle loro mani o le stragi che sono state compiute a danno delle comunità cristiane rendono difficile mantenere il controllo della situazione, ma in ogni caso bisogna restare lucidi sul fatto che non tutti i paesi sono coinvolti e che bisogna evitare vittime che non hanno nulla a che fare con questi attacchi terroristici[35].
CAPITOLO II
LE POLITICHE DI CONTRASTO DEL FENOMENO DEI FOREIGN FIGHTERS
2.1 Perché i foreign fighters partono
Le motivazioni per cui i foreign fighters partono sono di natura diversa, e non tutte sono di matrice integralista islamista; le ragioni principali riguardano l’indignazione nei confronti dei fatti accaduti, l’adesione all’ideologia di un gruppo e la ricerca di un senso per la propria esistenza[36].
Altri fattori consistono nel risentimento verso la politica estera e interna del proprio paese, nel conflitto intergenerazionale e nella pressione dei propri coetanei. Il primo interesse che si scatena nei foreign fighters proviene proprio dall’indignazione verso gli avvenimenti, il che li spinge a dover fare qualcosa, contribuendo così alla diffusione di immagini che mostrano atrocità per fare in modo che anche altri giovani si sentano in dovere di rimediare a tale situazione.
Altro fattore è la loro partecipazione a un determinato gruppo in cui i membri hanno in comune una propria ideologia, ed entrano a farne parte in seguito all’approvazione da parte di tutti; esso infatti si compone di coloro che sono veri e propri militanti e che attendono di entrare in campo, e coloro che in campo ci sono già scesi e quindi continuano a condividere la medesima ideologia.
La partenza dei foreign fighters viene determinata anche dalla ricerca di identità e di un senso alla propria esistenza, e si tratta di giovani al di sotto dei 30 anni che sono alla ricerca di un senso della propria esistenza, sia per colmare un proprio vuoto personale, sia per consolidare la nuova identità percepita.
Le varie motivazioni sono comunque accomunate dalla sensazione di empatia, di comprensione e condivisione di ciò che sentono anche gli altri membri del gruppo, con cui si auto-identificano[37].
Infine, vi è una parte di giovani foreign fighters che sono spinti alla partenza per un loro bisogno di raggiungere uno scopo personale, dando un senso maggiormente significativo alla propria esistenza, rendendo la propria vita reale con la ricerca di un’identità[38].
Uno studio del CPDSI (Centro di Prevenzione contro le Derive Settarie dell’Islam) ha individuato alcuni soggetti più sensibili al jiadismo:
- Individui che soffrono di ansia o depressione sono particolarmente inclini ai messaggi dalla forte portata dottrinale, in grado di ridurre l’incertezza sul futuro attraverso la presentazione di un sistema di valori chiari e ben definiti;
- Individui cresciuti in famiglie eccessivamente tolleranti o atee sono più propensi a trovare conforto in messaggi che offrono regolamentazioni dottrinali;
- Individui giovani allettati dalla dinamica ludica della jihad convinti di poter vivere un’esperienza da videogame nella vita reale;
- Individui che soffrono di esclusione sociale o difficoltà di integrazione trovano conforto nelle promesse e prospettive di una vita semplice, che permetta di accedere in maniera immediata a dinamiche di inclusione elitaria.[39]
É possibile affermare che il foreign fighter è colui che va a combattere il jihad in uno dei teatri di crisi ed una volta concluso torna nel proprio Paese di origine, anche Occidentale. É un terrorista cosiddetto “fai da te” in quanto si è formato autonomamente su internet grazie a siti e riviste che forniscono delle vere e proprie linee guida su come diventare jihadista senza compiere addestramenti e viaggi costosi in giro per il mondo. Diversa invece è la figura del “homegrown terrorist” ovvero il terrorista radicalizzato nel proprio Paese che per svariati motivi già elencati, decide di compiere attacchi all’interno del proprio Paese allo scopo di colpire gli infedeli. Si intende precisare come grazie alla diffusione di internet sia diventato sempre più facile fare proselitismo utilizzando social networks, riviste on line, diffusione di filmati e foto. Un esempio di riviste on line sono Dabiq, in lingua inglese, Dar al- Islam in lingua francese, Rumiyah in una decina di lingue diverse.[40]
2.2 La strategia comunicativa
La campagna condotta dai gruppi jihadisti e dai loro simpatizzanti per promuovere nuovi foreign fighter vede il coinvolgimento di molti di loro, sia per la conoscenza linguistica che per una maggiore capacità nel reclutarli. Si tratta di una campagna che veicola messaggi tramite sentimenti enfatizzati e ha natura interna ed esterna facendo in modo che il messaggio assume significati diversi.
Solitamente, quando viene realizzata una campagna pubblicitaria vengono esternati vari messaggi che coinvolgono diversi fattori, tra cui il potenziale consumatore finale, cercando di giungere anche ad altri stakeholder o competitor.
La campagna dei foreign fighters sfrutta diversi media per declinare i propri contenuti, per cui rilevanti sono le varie interpretazioni che un messaggio pubblicitario può assumere tenendo conto del fatto che la battaglia condotta dall’ISIS è composta da lettura e stratificate diverse che sono difficili da sottovalutare.
A ogni modo, essi conducono una campagna di comunicazione duplice, facendo riferimento all’attività di propaganda e all’attività pubblicitaria. Distinguendo le due forme di attività è possibile comprendere la differenziazione del target e dei contenuti[41].
Una parte di pubblico è composta da giovani osservanti dell’islam che sono nati e cresciuti nei paesi occidentali con livello di istruzione medio alto capaci di comprendere i capi politici, economici della società occidentale. In tal modo la propaganda ha come scopo quello di colmare i vuoti lasciati dal contesto europeo tramite la proposta di un modello alternativo rivoluzionario di stato.
L’efficacia della campagna di propaganda si denota dal crescente numero di foreign fighters europei, le cui motivazioni che inducono i nuovi Combattenti a partire sono diverse. Il web è capace di influenzare fortemente queste figure e dal rapporto dell’International Centre for the Study of Radicalisation and Political Violence (ICSR) del 2016 si evince la presenza di giovani studenti, musulmani di seconda generazione, non che il peso della componente web per il reclutamento[42].
I paesi maggiormente coinvolti sono Francia, Belgio, Regno Unito, Danimarca, Austria, Paesi Bassi e Germania.
I mujaheddin, considerando il target di ISIS occidentale, hanno una certa abilità per la creazione di un ponte comunicativo tra i due linguaggi mediante l’elaborazione di diverse varianti di contenuti interessanti, fruibili e persuasivi[43].
Sia per la campagna propagandistica che per quella pubblicitaria i foreign fighters utilizzano una leva persuasoria che accomuna tutti gli individui, vale a dire quella della paura, intercettando nuovi soggetti per lo stato islamico e terrorizzando coloro che con lo Stato islamico non vorrebbero avere niente a che fare.
In tal senso, l’audience interna fa riferimento ai membri attivi del califfato e a coloro che sono alla ricerca di nuovi affiliati. l’audience esterna fa invece riferimento a coloro che non sono coinvolti nel processo persuasivo di reclutamento, ma che sono preoccupati per le azioni condotte dai foreign fighters[44].
2.2.1 La loro capacità di influenzare il mondo
La potenza dei media nel riportare le notizie svolge un ruolo fondamentale nella società attuale, vale a dire quello di incutere paura. Il lavoro svolto dai foreign fighters in tale ambito ha come scopo proprio quello di diffondere il terrore, considerando ciò che è stato già compiuto in passato dai movimenti estremisti, tra cui le dittature europee, il nazismo o il fascismo.
A livello espressivo, infatti, la paura si basa su elementi fondamentali, come ad esempio l’utilizzo di slogan che hanno una notevole potenza emozionale e riescono a toccare la sensibilità collettiva; quando tale paura riguarda il contesto sociale riesce a incentivare la funzione coesiva e la funzione dissensuale[45].
Ad ampliare il senso di paura diffusa è l’inserimento nei discorsi attuali di un altro termine, vale a dire terrorismo, al quale hanno dichiarato guerra i capi di Stato di Stati Uniti, Francia e Russia, facendo in modo che la parola terrore si configuri oggi come un concetto fondamentale su cui il gruppo di foreign fighters ha passato gran parte del proprio linguaggio, ricorrendo tramite i canali informativi principali.
Il semplice termine terrore associato ai foreign fighters riesce ad avere una funzione provocatoria, esplicita e diretta con effetti amplificati dell’immaginario sociale È diffusa l’idea di uomini martiri che si fanno esplodere o si gettano verso il nemico in nome della loro religione islamica. Ciò che viene mostrato nei video dei foreign fighters lascia straziati, mostrando una morte lenta e la promozione di un terrore puro che viene presentato ai consumatori in maniera accurata.
La concezione del terrore può essere suddivisa in tre periodi della storia occidentale, tenendo come punto di riferimento la rivoluzione francese. Questi tre periodi sono divisi nel terrore prerivoluzionario, rivoluzionario e post rivoluzionario.
Il primo ha natura arcaica ed è legata al rapporto verso dio, gli dei e l’ineluttabilità della morte.
Il secondo consiste nel terrore rivoluzionario e richiama la rivoluzione francese nonché la gerarchia dei rapporti di potere.
Infine vi è il sistema di terrore post rivoluzionario che è stato attuato durante i due conflitti mondiali da parte del governo e dei movimenti sociali[46].
In tal senso, il terrore è passato da un’astrazione morale ha una connotazione del tutto nuova dagli anni Duemila con atteggiamenti e caratteristiche proprie. Sia i foreign fighters che Al Qaida hanno cominciato a impersonare il male puro, e ad essere considerati come il nemico comune che effettuano attentati alla vita degli innocenti mediante azioni violente e sanguinose.
Le variazioni condotte sono state viste tutte tramite immagini e video che hanno fatto il giro del mondo tramite i media che diffondono informazioni semplici ma a volte incomplete. Il pubblico viene quindi coinvolto da notizie violente scandalose che sono divenute poi negli anni uno strumento di marketing che ha poco a che fare proprio nell’ambito del marketing.
Sono quindi palesi gli interessi di coloro che hanno bisogno di fare opinione per vendere articoli di consumo, così come i giornalisti sono interessati soprattutto a mettere in scena lo spettacolo del terrore raccontando ciò che viene visto sullo schermo. Di conseguenza non si fa altro che aumentare il lavoro di propaganda e pubblicità dei foreign fighters favorendo la loro fama.
Anche se gli spettatori sono terrorizzati dalle minacce da parte dello stato islamico, il pericolo viene strumentalizzato per far prevalere le azioni dell’Occidente. Il rischio, inoltre, viene considerato oggi un elemento fondamentale delle società contemporanee, che non può essere previsto e che crea dubbio e sconforto nella popolazione[47].
2.3 La presenza in Europa dei foreign fighters
La presenza dei foreign fighters in Europa è un processo in parte legato agli eventi migratori cominciati durante la Guerra Fredda, i quali hanno dato inizio alla manipolazione ideologica e di influenza politica.
L’equilibrio di molti paesi è stato messo in crisi dalla caduta del muro di Berlino, dando origine in America al fenomeno del Melting Pot secondo cui i membri delle minoranze dovevano abbandonare man mano il proprio bagaglio culturale, lasciando spazio a quello della nazione ospitante. Nel secondo dopoguerra, l’Europa ha sperimentato nuovi flussi migratori, coinvolgendo gruppi portatori di un grado di distanza culturale.
In Europa sono convogliate le varie generazioni di immigrati che da cui sono conseguite vari scontri tra culture; in particolare, la presenza di musulmani ha consentito la diffusione dell’Islam come religione negli spazi urbani europei, passando dall’Islam in Europa all’Islam d’Europa. Il fondamentalismo islamico ha sempre mostrato la propria volontà di proteggere la propria identità, senza lasciarsi contaminare dalla cultura occidentale[48].
L’Europa è stata invasa dal multiculturalismo, vale a dire dalle politiche sociali volte all’integrazione delle minoranze, con interventi pubblici e istituzionali che cercano di contenere le forme di discriminazione; di conseguenza, si è verificata un’accelerazione del processo di globalizzazione e alcune problematiche concernenti il ruolo degli immigrati all’interno della società, considerando sempre il rispetto dei loro diritti.
La situazione in cui essi si sono ritrovati talvolta a vivere, tra criminalità, uso di stupefacenti, disgregazione familiare, ha reso difficile anche la distinzione tra migranti e nativi, provando mancanza di confidenza e fiducia per entrambe le parti; il fenomeno dei foreign fighters, dunque, ha preso origine dalla combinazione tra questi aspetti e il fondamentalismo islamico, con un forte ritorno alla fede e uno spiccato estremismo in alcuni casi.
L’Italia ha constatato una presenza jihadista molto forte nei primi anni Novanta, a causa del fenomeno migratorio da paesi soprattutto islamici, della mancanza di alcuni network tradizionali e della rigorosa legislazione italiana che non sempre riconosce la cittadinanza ad alcuni jihadisti autoctoni. Si sono dunque sviluppate delle differenze notevoli di ogni genere tra i Paesi europei, e anche in merito alla composizione della società, le quali spiegano i motivi per cui gli attentati terroristici sono stati commessi in determinati Paesi.
Il modello interculturale adottato dall’Italia si basa sull’accordo di integrazione, per cui l’immigrato deve conquistarsi il permesso di risiedere approfondendo la conoscenza linguistica e avere un permesso di soggiorno a punti[49]. L’integrazione avviene a livello locale mediante la sussidiarietà verticale e orizzontale, e coinvolgendo diversi attori.
Infine, vengono condotte azioni volte ad incrementare l’interazione sociale, attuando pratiche specifiche anche nel settore della salute; in ogni caso, ancora oggi, il fenomeno migratorio viene associato a un fenomeno di invasione, senza tenere conto del fatto che essi possano comportare benefici alla situazione di crisi economica in cui si trova il Paese semplicemente approfondendo la conoscenza della lingua e della cultura del paese in cui giungono, condividendo i valori più importanti[50].
La recente mobilitazione iniziata nel 2001, verso Siria e Iraq da parte di mujaheddin è di dimensioni enormi: 60.000 combattenti da più di 110 Paesi per unirsi allo Stato Islamico[51]. Tra questi circa 5.000/6.000 provengono dall’Europa, il 70% da Francia, Regno Unito, Germania e Belgio. Per quanto riguarda l’Italia, ad oggi sono circa 130 i foreign fighters stimati, valore che può essere considerato basso rispetto agli altri Paesi europei. Inoltre, non tutti, fra questi, sono cittadini italiani o abitano nel territorio nazionale. A differenza degli altri Stati europei, la maggior parte dei foreign fighters italiani è nata all’estero, in particolare: Tunisia, Marocco, Siria, Iraq.
La mobilitazione verso Siria e Iraq risulta avere caratteristiche diverse dalle precedenti ed un contesto globale mutato in quanto, un tempo, la mobilitazione dei foreign fighters era destinata ad un evento bellico singolo invece lo Stato Islamico sembra non avere limiti temporali e spaziali. La notevole differenza in numeri riguardo i foreign fighters italiani rispetto agli altri Stati europei è dovuta a fattori quali la presenza minore di seconde generazioni, ovvero quella che ha subito maggiormente la radicalizzazione ed un apparato anti-terrorismo attento.
Dei foreign fighters europei partiti per combattere in Siria e Iraq, il 14% sono morti, il 30% sono tornati nei loro paesi d’origine. Secondo un’analisi, i Paesi con più alta densità in rapporto alla popolazione sono: Belgio (41 per milione di abitanti), Austria (31), Svezia (28), Danimarca (22), Francia (14), Finlandia (13), i Paesi Bassi (13), il Lussemburgo (11) e Regno Unito (11). Seguono Germania (9), Irlanda (6), Spagna (3), Estonia (2), Slovenia (2), Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo e Slovacchia[52].
2.4 Le politiche di contrasto nei paesi del Nord Africa
Il ritorno dei foreign fighters, considerando gli attacchi terroristici che si sono verificati negli ultimi tempi, indica come essi siano soltanto una parte della strategia dell’IS; l’offensiva jihadista viene combattuta sia dai paesi europei, e i combattenti che sono stati cacciati dalla Siria, dall’Iraq o dalla Libia stanno avanzando minacce anche nei confronti del Nord Africa, della Turchia, dell’Egitto o della Tunisia.
Vi sono infatti dei combattenti jihadisti che hanno lasciato la Libia e si sono trasferiti in Tunisia e, in generale, il conflitto si sta spostando dal fronte mediorientale verso il Nord Africa, in cui vi sono diversi gruppi di opposizione armata[53].
Il ridimensionamento territoriale dello Stato islamico ha ridimensionato anche il flusso di volontari dalla Tunisia verso la linea del fronte, riducendo l’offensiva militare della Coalizione e rafforzando le misure di controllo da parte delle autorità tunisine, nonché il conseguente rischio interno.
I foreign fighters si stanno quindi muovendo verso l’Europa e il Nord Africa, richiamando i propri seguaci nei paesi europei e nordafricani per condurre azioni offensive con la convinzione che compiere attacchi suicidi o azioni dirette al di fuori dello Stato islamico massimizzi il proprio ruolo.
Alcuni dei principali attacchi in Europa sono stati condotti da soggetti che precedentemente avevano combattuto in Siria, o che a livello individuale avevano auto esperienze di Jihad in Siria, in Iraq o in Libia; questi giovani sono stati educati nelle carceri o negli ambienti religiosi, o spinti a auto-educarsi mediante il web.
Gli attuali foreign fighters, pertanto, un domani saranno fonte di ispirazione per i futuri aspiranti jihadisti, conducendo attività di propaganda e reclutamento, nonché di finanziamento e radicalizzazione.
Considerando la situazione attuale, i paesi del Nord Africa non possono fare altro che adottare delle politiche di contrasto nei confronti di questo fenomeno; in particolare, l’approccio strategico di contrasto prevede i seguenti punti:
- Visione a lungo termine;
- Definizione a lungo termine di strategie per affrontare il terrorismo;
- Sviluppo di politiche di coordinamento per prevenire le crisi;
- Sviluppo di norme giuridiche che garantiscano una maggiore sicurezza per il ritorno dei foreign fighters;
- Sviluppo di strumenti che consentano di individuare eventuali simpatizzanti o aderenti all’IS nel paese o provenienti da paesi terzi;
- Monitoraggio continuo dei foreign fighters
Infine, bisogna sempre tenere conto del fatto che i paesi e le comunità esterne allo Stato islamico hanno un’alta probabilità di essere fonte di reclutamento, e quindi rientrano costantemente negli obiettivi strategici a lungo termine[54].
“Il terrorismo colpisce quotidianamente nei Paesi musulmani, dove si verificano le maggiori perdite anche in termini di vite umane, per non parlare di come il terrorismo condizioni la vita quotidiana di molti Paesi del Nord Africa e Medio Oriente ed abbia drasticamente ridotto le entrate derivanti dal turismo, quasi totalmente scomparso in alcune zone. Si pensi a località turistiche quali Sharm el – Sheik in Egitto. Pesante è la diminuzione del numero di turisti anche in Paesi a noi più vicini quali la Tunisia, che soffre da anni della situazione di profonda instabilità, della vicina Libia e ha subito attacchi contro i turisti a Tunisi (Museo del Bardo) e a Sousse nel 2015.”[55]
Data la situazione in cui imperversano i Paesi nordafricani, si è verificata la necessità di prendere dei provvedimenti per contrastare il fenomeno dei foreign fighters. Per quanto riguarda il Marocco, punta tanto sulla prevenzione del fondamentalismo: il re ricopre anche il ruolo di Comandante dei Credenti permettendogli un capillare sistema di controllo sulle 30000 moschee del Paese. Inoltre, sono imposte delle linee guida per il discorso dell’imam di ogni venerdì ed il monopolio dello Stato per la formazione delle guide spirituali allo scopo di diffondere una versione moderata dell’Islam la quale sia avversa ad ogni forma di violenza.
La prima misura attuata in Marocco è stata la revisione della legge anti-terrorismo del 2003 ed entrata in vigore nel 2015 che ha tratto in arresto chiunque fosse sospettato aderire ad un’organizzazione terroristica in Marocco. Il Country Report on Terrorism del 2016 mette in luce come il Marocco abbia elaborato misure di controllo per i rientri in patria di ex combattenti, per lo smantellamento delle cellule terroristiche e per la gestione della radicalizzazione interna.
Per lo smantellamento delle cellule terroristiche è stato creato nel 2015 il Bureau Central d’Investigation Judiciaire (BCIJ), la principale agenzia di sicurezza responsabile delle operazioni anti-terrorismo, che in due anni ha individuato 47 cellule terroristiche legate allo Stato Islamico e altre 5 legate ad Al-Qaeda del Maghreb Islamico (AQIM) e ad al-Nusra (affiliazione di Al-Qaeda in Siria). Inoltre, dal 2015 ad oggi, sono state arrestate 698 persone con l’accusa di partecipazione ad organizzazioni terroristiche all’interno o all’esterno del Paese.[56]
Diverso è il caso della Tunisia che intende preparare un programma per la de-radicalizzazione dei circa 2000 jihadisti tunisini di ritorno che hanno combattuto tra i ranghi dell’IS in Siria, Iraq e Libia. Sono state stanziate a tal proposito risorse per lo sviluppo di un piano di riabilitazione degli estremisti. Alcuni partiti avevano presentato una proposta di legge per privare della cittadinanza chi si è macchiato di terrorismo andando contro la Costituzione tunisina secondo cui, all’articolo 25, afferma che nessun cittadino può essere privato della cittadinanza ne può essergli negato il ritorno in patria.[57] Il 24 luglio del 2015, il Parlamento tunisino ha approvato una nuova legge contro il terrorismo. Essa dispone la creazione di una Commissione nazionale per la lotta al terrorismo, incaricata di studiare il fenomeno e coordinare gli sforzi delle autorità.
Fino al 2015, la strategia tunisina per la gestione dei foreign fighters si basava sulla possibilità per questi ultimi di pentirsi una volta tornati in patria, tuttavia a seguito dei sanguinosi attentati del 2015 cambiò il quadro: vennero chiuse alcune moschee dirette da predicatori “radicali”, ai cittadini sotto i 35 anni venne impedito di viaggiare in Libia, Serbia e Turchia, vennero aumentate le truppe nei pressi dei confini con Algeria e Libia. La legge anti-terrorismo del 2015 permette alle autorità di detenere dei sospettati e punire con il carcere chiunque abbia “viaggiato all’estero per commettere atti terroristici”, tuttavia, dato il sovraffollamento delle carceri, spesso ciò non viene attuato. Un piano chiaro e condiviso di contrasto dei foreign fighters di ritorno, in ogni caso, sembra oggi mancare in Tunisia.
Secondo Country Report on Terrorism[58] nel 2016 il governo egiziano ha continuato a confrontarsi con gruppi terroristici attivi che hanno condotto attacchi mortali ad obiettivi governativi, militari e civili in tutto il Paese. Due gruppi affiliati all’ ISIS permangono: ISIL- Sinai Province ed un gruppo che si autodefinisce Stato Islamico Egitto, continuano a rappresentare una minaccia. Il presidente Abdel Fattah Al Sisi rimane concentrato sugli sforzi antiterrorismo in Egitto. Le Forze Armate Egiziane (EAF) continuano la campagna terroristica.
L’Egitto ha continuato ad applicare due leggi antiterrorismo significative ratificate dal Parlamento nel 2016: “La legge sulle entità terroristiche”, che ha istituito un meccanismo per designare organizzazioni o individui come entità terroristiche ed una nuova legge antiterrorismo che ha aumentato le pene per i crimini legati al terrorismo. La legge impone anche una multa pesante per chi pubblica false notizie che contraddicono i rapporti ufficiali del governo sul terrorismo.
Conclusioni
Considerando quanto detto all’interno del presente lavoro si comprende come la sicurezza della popolazione, allo stato attuale, si configuri come uno dei temi maggiormente importanti a livello globale.
Nei cittadini dilaga un senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni a causa della scarsità nei livelli di sicurezza, a causa del ridotto a livello di considerazione da parte delle politiche pubbliche.
Rilevante negli anni è stato il peso dei mezzi di comunicazione di massa che hanno sfruttato le tecnologie di trasmissione satellitare e digitale per raggiungere ogni parte del pianeta. Il terrorismo internazionale si è inserito in questo contesto di interazione globale, configurandosi come un fenomeno simbiotico nei confronti della televisione.
Si è infatti sviluppato il nuovo terrorismo del modello Al Qaida, l’organizzazione che, nel 2001, è diventata una minaccia del mondo occidentale, destabilizzando l’intera comunità internazionale. Inoltre, con l’evoluzione dei media digitali, la rete è diventata uno strumento di democrazia e di condivisione delle varie esperienze.
L’ISIS è un esempio di come questi nuovi strumenti comunicativi vengono utilizzati per la diffusione del terrore, dividendo anche il proprio pubblico tra coloro che simpatizzano e coloro che sono contrari alle loro azioni.
Nel primo caso viene mostrato il volto sociale dello Stato islamico con video propagandistici, mentre nel secondo caso viene mostrato lo spettacolo del terrore e della violenza in maniera plateale.
I tentativi di arginare il fenomeno da parte degli Stati Uniti o della Francia si sono rivelati vani, evidenziando come video o messaggi anti-Isis abbiano scarsi risultati.
In conclusione, dunque, la comprensione e l’analisi dell’origine della consapevolezza dei foreign fighters potrebbe permettere di avere una visione completa, nel tentativo di far assumere al web una nuova immagine.
Inoltre, tralasciando l’impegno da parte della politica e delle azioni di contrasto che promuovono le pubbliche istituzioni, è necessaria una presa di coscienza sul fatto che il tema della sicurezza sia divenuto un problema da risolvere a cui ancora oggi non si è trovata una soluzione univoca; va infatti riconosciuto come una questione seria e delicata a livello sociale che bisogna cercare di governare in tutti i modi.
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[1] Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Terrorismo “fai da te”, Roma 2013.
[2] Quadarella Sanfelice di Monteforte L., “Perché ci attaccano. Al Qaeda, l’Islamic State e il terrorismo fai da te”, Roma, 2017
[3] Moresco A., Voltolini D., Scrivere sul fronte occidentale, Milano, Feltrinelli, 2002.
[4] Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Il terrorismo aereo. Il nuovo terrorismo internazionale e la risposta della comunità, in Quaderni della Rivista Aeronautica, Approfondimenti, dicembre 2011.
[5] Quadarella Sanfelice di Monteforte L.,Terrorismo “fai da te”, Roma 2013
[6] Al Qaeda consiste in un movimento islamista sunnita paramilitare terroristico i cui ideali sono legati al fondamentalismo islamico impegnato nell’organizzazione e nell’esecuzione di violente azioni ostili nei confronti dei vari regimi islamici filo-occidentali e del mondo occidentale.
[7] Aleo S., Barone G., Quaderni del dipartimento di studi politici (2008), Milano, Giuffrè, 2008.
[8] Ansalone G., Zappalà A., 11 settembre 2021. Le minacce del prossimo decennio, Milano, Franco Angeli, 2012.
[9] Fotia D., Terrorismo… per non addetti ai lavori, Edizioni Nuova Cultura, 2012.
[10] De Masi F., Trauma, deumanizzazione e distruttività. Il caso del terrorismo suicida. Milano, Franco Angeli, 2008.
[11] Zumbo D., Lupidi V., Psicologia del terrore, Milano, Giuffrè, 2014.
[12] Merari A., Psychological aspects of suicide terrorism. In B. Bongar, L. M. Brown, L. E. Beutler, J. N. Breckenridge, & Ph. G. Zimbardo (Eds.), Psychology of terrorism. New York, NY, Oxford University Press, 2007.
[13] Pisapia G., Terrorismo: delitto politico o delitto comune, in Giust. Pen., 1975.
[14] Spoliti D., Spunti sulla figura del delitto terroristico, in Giust. Pen. 1980.
[15] Reuter C., La mia vita è un’arma. Storia e psicologia del terrorismo suicida. TEA 2006.
[16] La Umma è la comunità dei credenti.
[17] La “Casa dell’Islam” (Dar al-Islam), chiamata anche “Casa della Pace” (Dar e-Salaam) è composta da quei territori sottoposti alla Sharia, cioè al diritto islamico.
[18] La Sharia è il diritto islamico.
[19] Zygmunt B., Paura liquida, Roma-Bari, Laterza, 2008.
[20] Arlacchi P., L’inganno e la paura. Il mito del caos globale, Milano, Il Saggiatore, 2011.
[21] Il takfirismo, la seconda matrice ideologica a cui attinge lo Stato islamico.
[22] Horgan J., Psicologia del terrorismo. Milano, Edra, 2015.
[23] Gruppo di lavoro, Gen. D. G. Cretella Dal mujahidismo ai foreign fighters. Dinamiche, profili, attori e modelli organizzativi del combattentismo tra il XX e XXI secolo ,Centro Alti Studi Per la Difesa
[24] Laurenza V., Strategie di Marketing nell’attentato dell’11 settembre 2001, Perugia, 2005.
[25]. Quadarella Sanfelice di Monteforte L., “Perché ci attaccano. Al Qaeda, l’Islamic State e il terrorismo fai da te”, Roma, 2017
[26] Entenmann, E., Van Der Heide, L., Weggemansand, D., Dorsey, J., Rehabilitation for Foreign Fighters, ICCT, 2015.
[27] Fisogni P., Terroristi. La persona nell’agire eversivo, Roma, Armando Editore 2004.
[28] Quadarella Sanfelice di Monteforte L.,Terrorismo “fai da te”, Roma 2013
[29] De Angelis S., Il terrorismo nell’era postmoderna. Chieti, Tabula Fati, 2014.
[30] Vidino L.,Jihadista della porta accanto: radicalizzazione e attacchi jihadisti in Occidente.
[31] Malet D., Foreign fighters transnational identity in civil conflicts, Oxford: University Press, 2013.
[32] J.P. FARWELL, The Media Strategy of ISIS, in “Survival”, vol. 56, n. 6, 2014, pp. 49-50
[33] Plebani A., Origini ed evoluzione dell’autoproclamato «stato islamico», in A. Plebani, Jihad e terrorismo – Da al-Qaeda all’ISIS: storia di un nemico che cambia, Mondadori, 2016
[34] Magdi A., Vincere la paura, Milano, Mondadori, 2010.
[35] Ranzato L., Psicologia dell’Emergenza, Emergenza della psicologia, Contributo al convegno Psicologia per i Popoli, Bologna, 9 Novembre 2002.
[36] Orsini A., Isis: i terroristi più fortunati del mondo e tutto ciò che è stato fatto per favorirli. Rizzoli, Milano, 2016.
[37] Guarino G., Terrorismo e lotte di liberazione nazionale: la legge applicabile, in «Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale», n. 22, 2006.
[38] Kraehenmann S., Foreign Fighters under International Law, Academy Briefing No. 7, ottobre 2014.
[39] Gruppo di lavoro, Gen. D. G. Cretella Dal mujahidismo ai foreign fighters. Dinamiche, profili, attori e modelli organizzativi del combattentismo tra il XX e XXI secolo ,Centro Alti Studi Per la Difesa
[40]Quadarella Sanfelice di Monteforte L., “Perché ci attaccano. Al Qaeda, l’Islamic State e il terrorismo fai da te”, Roma, 2017
[41] De Masi F., Trauma, deumanizzazione e distruttività. Il caso del terrorismo suicida. Milano, FrancoAngeli, 2008.
[42] Floris F., Isis genesi dei foreign fighters. Disponibile da http://www.agoravox.it/, 2015.
[43] Breckenridge J. N., Zimbardo Ph. G., The strategy of terrorism and the psychology of mass-mediated fear. In B. Bongar, L. M. Brown, L. E. Beutler, J. N. Breckenridge, & Ph. G. Zimbardo (Eds.), Psychology of terrorism. New York, NY, Oxford University Press, 2007.
[44] Gozzi G., Martelli F., Guerre e minoranze. Bologna, il Mulino, 2004.
[45] Bertocci G., Testimonianze in tema di psichiatria culturale. Definizione del terrorismo in un’ottica transculturale, in Psichiatria e Psicoterapia Culturale. Versione italiana della WCPRR, 2 (1), 2014.
[46] Ferraris M., Male. É possibile vivere senza il male? La biblioteca di Repubblica, 2012.
[47] Perna G., Stowe R., Blundo C., La rabbia e l’aggressività. In C. Blundo (Ed.), Neuroscienze cliniche del comportamento, Terza edizione. Milano, Elsevier, 2011.
[48] Marinai S., Perdita della Cittadinanza e Diritti Fondamentali: Profili Internazionalistici ed Europei, Milano, Giuffrè Editore, 2017.
[49] Legge 15 luglio 2009, n. 94, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, in Gazzetta Ufficiale n. 170 del 24 luglio 2009 – Supplemento ordinario n. 128.
[50] Ballardini B., ISIS. Il marketing dell’apocalisse, Milano, Baldini e Castoldi, 2015.
[51] Destinazione jihad – i foreign fighters d’Italia Francesco Marone Lorenzo Vidino
[52] https://www.analisidifesa.it/2016/05/i-foreign-fighters-negli-stati-europei
[53] Ronzitti N., Diritto internazionale dei conflitti armati, IV ed., Torino 2014.
[54] Iacovelli P., Terrorismo nella storia, origini ed evoluzione, 21 settembre 2015.
[55] Quadarella Sanfelice di Monteforte L., “Perché ci attaccano. Al Qaeda, l’Islamic State e il terrorismo fai da te”, Roma, 2017
[56] https://www.ilcaffegeopolitico.org/59092/il-marocco-e-la-minaccia-jihadista-tra-radicalizzazione-e-narco-jihadismo
[57] https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09/24/foreign-fighters-la-tunisia-annuncia-il-programma-statale-di-de-radicalizzazione-per-chi-ha-combattuto-con-lisis/3868429/
[58] https://www.state.gov/j/ct/rls/crt/2016/272232.htm