Scarica il file in PDF – la NATO e l’UE- ottobre 2021- sanfelice
IL FUTURO DELLA NATO E DELL’UE
Amm. Sq. Ferdinando SANFELICE di MONTEFORTE
Introduzione
In questi giorni, nei quali l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale è concentrata sul Summit di Roma del G20, merita riflettere sul ruolo che la NATO e l’UE svolgono, e soprattutto sulle loro elaborazioni concettuali, tese a renderle più adatte al mondo in evoluzione.
Va premesso che i guai arrivano sempre in gruppo, uno dopo l’altro, in una sequenza che sembra non finire mai. Questo è vero per le persone, per le Nazioni, e anche per le alleanze. Negli ultimi mesi, in particolare, la NATO è stata colpita prima dai contraccolpi della ritirata dall’Afghanistan, quindi dal ritiro della delegazione russa, e infine è scossa dalla crisi tra il governo di Ankara e ben dieci Nazioni alleate, che hanno preso una posizione forte sulla questione dei diritti umani in Turchia, prendendo spunto dal caso dell’imprenditore Osman Kavala, arrestato quattro anni fa e mai processato.
Quasi contemporaneamente, la questione della “dimensione difesa” dell’UE è tornata di colpo sulle prime pagine dei giornali. Il ritorno di questa controversa questione sulle agende governative dei Paesi europei non è una coincidenza: già nel 1992, di fronte all’impossibilità degli USA – impegnati com’erano nella guerra del Golfo – di guidare un’azione della NATO nell’ex-Jugoslavia, i Paesi membri dell’UE riscoprirono l’importanza di una dimensione di difesa europea.
All’inizio si tentò di rivitalizzare l’UEO, da anni trascurata dai Paesi membri, ma, visto che questa non riusciva a compensare l’assenza degli USA, ed aveva portato al fallimento delle operazioni di stabilizzazione a lei affidate nell’area, i Paesi europei procedettero con il Trattato di Maastricht a creare un nuovo embrione difensivo dell’Unione, autonomo rispetto alla NATO.
All’epoca, questo embrione non fu nulla più di una “politica” di difesa e sicurezza, che si fermava quindi un passo prima della creazione di una struttura vera e propria, anche se, qualche anno dopo, vi si aggiunse la costituzione dell’Agenzia per lo sviluppo degli armamenti (EDA), in concorrenza all’analoga struttura della NATO, governata dalla Conferenza dei Direttori degli Armamenti dell’Alleanza.
Le ragioni di questo arresto improvviso, a metà del guado rispetto alla costituzione di un sistema UE di sicurezza e difesa vero e proprio, si dovette all’impegno preso, nei confronti del governo di Washington, detto delle “Tre D” (nessuna duplicazione, nessuna discriminazione, nessun disaccoppiamento). Si giunse così all’accordo “Berlin Plus” che prevedeva gli ambiti e le modalità di collaborazione tra le due organizzazioni.
Nonostante questo accordo, da quel momento iniziò una specie di guerra fredda tra le due organizzazioni, tanto che si iniziò a parlare del “Muro di Bruxelles”: infatti, si moltiplicarono i dispetti che ogni organizzazione commetteva nei confronti dell’altra. Si ebbe, così, da parte della NATO il rifiuto di allargare l’ambito del trattato “Berlin Plus”, per adeguarlo alle nuove esigenze operative che, negli anni, si erano manifestate, la sterilizzazione del forum congiunto sulle capacità e, infine, il lancio della missione antipirateria, da parte dell’UE nel Corno d’Africa, all’insaputa della NATO.
Ma la costruzione della dimensione europea di sicurezza e difesa aveva trovato anche un’opposizione strisciante all’interno dell’Unione, tanto che il nuovo “pilastro” della difesa e sicurezza dovette affrontare notevoli difficoltà, per creare un modus vivendi con l’allora onnipotente Commissione, riluttante a cedere competenze ai nuovi arrivati. Solo il Trattato di Lisbona, nel 2009, creò le premesse per una convivenza pacifica tra le varie anime dell’UE, fino ad allora chiamate, in modo efficace, “pilastri”.
Tutto sembrava bloccato, fino ai mesi scorsi, quando da più parti è stata sottolineata, come si è visto, la necessità di sviluppare ulteriormente la Difesa Europea. Visti i precedenti del 1992, in definitiva, sembra quasi che, solo quando gli Europei sentono venir meno l’ombrello NATO, si preoccupino di organizzarsi in modo autonomo.
Non bisogna dimenticare, però, che a questa serie di turbolenze passate e presenti, che le due Organizzazioni stanno attraversando, si sono aggiunte le conseguenze geopolitiche del COVID-19, il cui impatto grava principalmente sulle Nazioni, ma interessa – sia pure di riflesso – le organizzazioni alle quali hanno aderito.
Il COVID, come è avvenuto per tutte le altre pandemie nel corso della Storia, oltre a provocare dolorose perdite umane, ha destabilizzato internamente i Paesi colpiti, con la popolazione che si è impoverita e si è polarizzata tra chi vuole seguire le indicazioni del governo – e considera chi non lo fa poco meno che “untori” – e chi si rifiuta di sottomettersi alla cosiddetta “dittatura sanitaria”.
Inoltre, e questo è meno palese ma più grave, l’indebitamento dei governi, per mantenere un minimo di pace sociale, è cresciuto a dismisura, con il rischio che per molti di loro ci si possa avvicinare pericolosamente al livello di insolvibilità, come è avvenuto per alcuni di loro negli scorsi decenni.
Poiché nessuna organizzazione può essere molto più capace della somma della potenza dei suoi membri, anche la NATO e l’UE dovranno tener conto di questa situazione, e non illudersi di poter spazzare via, con un singolo gesto, questo accumularsi di difficoltà.
In effetti, questi problemi sono sorti mentre ambedue le organizzazioni erano intente a riscrivere i rispettivi Concetti Strategici, un’occasione per allineare le “Strategie Declaratorie” in vigore alla situazione reale. Merita vedere cosa stanno facendo.
La situazione nella NATO
Anche se i toni trionfalistici usati nel comunicato finale, in occasione dell’ultima riunione dei Ministri della Difesa della NATO, e puntualmente ripresi dalla stampa[1], avevano fatto sospettare, in un primo tempo, che il senso di realtà dell’attuale leadership dell’Alleanza non fosse proprio elevato, in realtà gli esiti di tale riunione sono stati in linea con la prudenza, necessaria nell’attuale situazione di gravi difficoltà in cui versano i Paesi interessati.
Infatti, le decisioni prese sono state, essenzialmente, la creazione di un fondo per l’innovazione, una strategia per l’intelligenza artificiale, e il rafforzamento delle capacità collettive di difesa aerea e antimissili balistici, oltre alla continuazione di una serie di misure e di sanzioni atte a prevenire una possibile aggressione, o quantomeno una maggior pressione ai propri confini, da parte della Russia, sanzioni che, insieme alle accuse di spionaggio nei confronti di alcuni membri dello Staff, che hanno portato al ritiro della delegazione di Mosca nella NATO.
Più importante, però, è stata la decisione dei Ministri della Difesa della NATO di rivolgere, finalmente, l’attenzione dell’Alleanza a quello che per troppi anni è stato chiamato il “Fianco Sud”, ovvero la zona del cosiddetto MENA (Middle East and North Africa), dove il livello di tensione e di conflittualità ha raggiunto livelli preoccupanti, anche se i contendenti hanno sospeso, per il momento, attacchi terroristici contro di noi.
Questa ritrovata concordanza di vedute, però, non può nascondere le divergenze, che negli anni si sono approfondite, tra i tre “gruppi storici” nei quali i Paesi membri si sono identificati.
Da un lato, anzitutto, vi è la componente dei Paesi anglo-americani che vorrebbero vedere la NATO sempre più impegnata oltremare, in missioni non più solo “di pace”, ma anche a difesa degli interessi vitali dell’Occidente. Il ritiro dall’Afghanistan ha messo momentaneamente in un angolo questo gruppo di Nazioni, già da tempo criticate, sia pure in modo indiretto, per aver preteso troppo dall’Alleanza, ma il loro peso è sempre notevole.
Il secondo gruppo di Nazioni, al momento prevalente, è costituito da coloro che sentono il fiato caldo dell’Orso russo ai propri confini orientali. Si tratta di numerosi Paesi membri che si stendono lungo un arco geografico esteso e ininterrotto, dal Capo Nord al Mar Nero. Il gruppo comprende, in massima parte, i Paesi ex sovietici ed ex membri del Patto di Varsavia, ma include anche la Norvegia e – fino a poco tempo fa – anche la Turchia.
La “defezione” da tale gruppo del governo di Ankara, che ha iniziato una serie di “giri di valzer” con la Russia, lo ha indebolito. Oltretutto, di recente, queste Nazioni si sono sentite spiazzate dai colloqui di vertice russo-americani, tanto da far pensare ad alcuni che il ruolo della NATO fosse quello di abbaiare, in giardino, nei confronti di Mosca, mentre il governo di Washington, nel salotto, si metteva d’accordo con la controparte del Cremlino.
Inutile dire che, dietro alle spalle di questo gruppo di Nazioni, un congruo numero di Alleati si è preoccupato, negli anni, di creare rapporti amichevoli con l’Orso russo, sia per motivi di commercio, sia per migliorare il livello di interdipendenza, la vera garanzia contro un pericoloso deterioramento dei rapporti tra Est e Ovest, come ai tempi della Guerra Fredda.
Il terzo gruppo di Nazioni, infine, è quello che vorrebbe una NATO più attenta alla sua “Sponda Sud”. Questi Paesi sanno bene, come osservava Mackinder oltre un secolo fa, che “il confine meridionale dell’Europa era ed è il Sahara, piuttosto che il Mediterraneo”[2], e vedono con favore un maggior impegno NATO nella zona del MENA, includendovi pure il Sahel, arrivando a parlare di “Mediterraneo Allargato”.
Purtroppo, vi sono ancora dissensi e competizioni tra questi Paesi membri sulla strategia da perseguire, anche a causa dei loro interessi divergenti e, talvolta, in concorrenza tra loro. Anche qui, esiste il rischio che un intervento della NATO nell’area sia messo in forse dall’opposizione della Turchia, il cui approccio verso l’area è sempre più divergente rispetto a quello degli altri alleati europei.
Verso un nuovo Concetto Strategico NATO
Stando sempre alle note diffuse dal Quartier Generale dell’Alleanza, la riunione dei Ministri della Difesa ha anche “posto le premesse per il vertice di Madrid”[3], dove dovrebbe essere approvato, tra l’altro, il nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza.
I lavori, su questo argomento, sono iniziati da tempo: prima è stato riunito un comitato di esperti, che ha presentato, il 25 novembre 2020, un rapporto, e quindi, nel giugno 2021, si è svolto un seminario, nel quale sono state discusse le principali tematiche proposte dagli esperti, la cui prima proposta è stata quella di aggiornare il Concetto Strategico in vigore, che risale al 2010, inserendovi alcuni aggiornamenti al testo precedente, senza rinnegarne i fondamenti. Questi aggiornamenti riguardano:
- “I principi alla base dell’Alleanza, come un fondamento da riaffermare ed incrementare;
- I cambiamenti all’ambiente geo-strategico, con l’inclusione sia della sfida principale posta dalla Russia, sia della sfida emergente con la Cina;
- L’inserimento più incisivo del [la lotta al] terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni all’interno dei compiti chiave dell’Alleanza (considerandolo una minaccia grave);
- Rispecchiare il ruolo sempre maggiore delle minacce ibride poste dagli avversari della NATO e le implicazioni poste dalle tecnologie emergenti e distruttive [EDT]”[4].
Ma il rapporto, oltre a disegnare un quadro geostrategico completo – anche se ormai da aggiornare, a un anno di distanza – risponde anche al mandato del Segretario Generale, che aveva chiesto di formulare proposte atte a “rafforzare sia il ruolo politico della NATO, sia i suoi strumenti per affrontare le minacce e le sfide presenti e future alla sicurezza dell’Alleanza, provenienti da tutte le direzioni strategiche”[5].
Giustamente, il rapporto cita, nelle sue prime pagine, il rapporto, compilato nel 1956 dal cosiddetto “Comitato dei Tre” anche detto il “gruppo dei Saggi”, nel quale si affermava che: “il ruolo NATO di garante della pace, basato sulla solidarietà e sulla forza, può essere svolto solo se le relazioni politiche ed economiche tra i suoi membri sono di cooperazione e di vicinanza”[6] tra loro.
Come si è visto finora, la cooperazione e la vicinanza, in campo politico ed economico tra gli Alleati è lungi dall’essere ottimale, anche se il pericolo posto dalla “Guerra dei Dazi”, minacciata dalla passata Amministrazione USA, si è in parte attenuato. Molto, quindi, resta ancora da fare per rendere possibile alla NATO di presentarsi all’esterno come l’espressione di una coesione transatlantica ancora in fieri.
Infatti, il rafforzamento della dimensione politica dell’Alleanza, come nota il rapporto, deve anzitutto “cementare la sua abilità nell’agire come il principale forum politico per le sfide strategiche e geopolitiche che la comunità transatlantica deve fronteggiare”[7] in modo da “metterla nella posizione forte per proteggere la libertà e la sicurezza dei suoi membri ed agire come un pilastro essenziale di un ordine internazionale aperto e stabile”[8].
Questo significa invitare i Paesi membri a non affrontare i problemi internazionali individualmente, ma concordare prima con l’Alleanza la linea d’azione da seguire e poi metterla in pratica in modo coordinato e sinergico, un approccio che potrebbe essere accettato solo da alcuni membri, anche perché altri, con gli USA in testa, non hanno quasi mai usato la NATO anziché i canali bilaterali, per risolvere le questioni in atto.
Verso quali sfide e minacce, secondo gli esperti, dovrebbe orientarsi l’azione politica di questa Alleanza dalle nuove caratteristiche? Il rapporto indica, in primis, la Russia, ritenuta una minaccia, a causa della sua aggressività. Per contenerla, la proposta è di mantenere un approccio su due binari, basato da un lato sulla deterrenza (non solo nucleare) e dall’altro sul dialogo.
Purtroppo, la crisi politico-economica in Romania e i “giri di valzer” della Turchia avevano già messo in dubbio l’efficacia di tale approccio, e il recente ritiro della delegazione russa presso la NATO ha momentaneamente compromesso una tale linea d’azione. Nei confronti di Mosca, quindi, alla NATO rimane solo un ruolo militare da svolgere, quello del contenimento, mediante il lungamente sperimentato sistema del “trip wire” (filo d’inciampo), costituito da un velo di forze alleate posizionate al proprio confine orientale.
Il rapporto, poi, vede la possibilità di un ruolo della NATO nei confronti della Cina, le cui iniziative spaventano alcuni Paesi membri dell’Alleanza. Anche in questo caso, viene proposto un atteggiamento fermo, con potenziali aperture al dialogo.
Soprattutto, secondo il rapporto, la NATO “deve mostrare la coesione politica e restare una piattaforma per una consultazione sulle azioni della Cina e sulle reazioni alleate, difendendo i valori dell’Alleanza e un ordine internazionale basato sulle leggi”[9]. Ovviamente, nessuno dei relatori ha osato entrare nello specifico, ma gli accenni indiretti alla crisi di Taiwan e alla disputa sul Mar Cinese meridionale sono più che evidenti.
Poi, il terrorismo viene inserito quale campo d’azione della NATO. Anche se si riconosce che la prima responsabilità tocca alle Nazioni, sempre secondo gli esperti, la NATO potrebbe coadiuvarle, offrendo “una capacità aggiuntiva alle singole Nazioni le cui potenzialità siano sopraffatte da un attacco terroristico”[10]. Qui, in effetti, l’Alleanza può svolgere un ruolo utile, in via preventiva, agendo come polo accentratore, valutatore e distributore di informazioni intelligence, oltre a intervenire in soccorso di Nazioni colpite da attacchi terroristici o, comunque, asimmetrici, come quelli contro le infrastrutture telematiche ed energetiche.
Rimangono poi alla NATO – e il rapporto ben lo spiega – sia il ruolo di coordinamento e sviluppo delle tecnologie emergenti, specie quelle per il contrasto a quelle distruttive, le già citate EDT, sia il campo d’azione in quello che il rapporto definisce, purtroppo in modo inesatto, riesumando un termine dei tempi della Guerra Fredda, il cosiddetto “Fianco Sud”. In effetti, non si tratta più di un “fianco”, bensì del fronte principale in cui la NATO dovrà operare.
Anche qui le difficoltà non mancano, dagli interessi confliggenti dei vari alleati al tentativo del governo di Ankara di agire in solitario; la NATO, però, è riuscita già nel passato a ingabbiare e a smussare questo tipo di divergenze – ricordiamo la Guerra di Cipro del 1974 – e saprà ottenere anche ora risultati positivi. La volontà di sinergia con l’Unione Europea, ben enfatizzata nel rapporto, potrà essere un notevole fattore di successo in questo campo.
Il rapporto, però, tratta anche un aspetto critico, destinato a far discutere a lungo i Paesi membri. Dopo aver elencato nel dettaglio tutti i possibili campi d’azione della NATO, ed aver avanzato i relativi suggerimenti, il testo include anche la proposta di creare un “Codice di buona condotta” cui le Nazioni dovranno aderire – rendendole in qualche modo, subordinate all’Alleanza. In parallelo, il rapporto propone di rafforzare i poteri del Segretario Generale, in alcuni ambiti, anche a parziale discapito della “regola del consenso”, che finora ha costituito la base granitica su cui si poggiava l’Alleanza.
Questa serie di proposte fa sorgere il sospetto che la NATO voglia avvicinarsi al livello di Organizzazione sovranazionale, con poteri di giudizio (e di sanzione?) sull’operato degli Stati Membri, e con un Segretario Generale in grado di imporre la propria linea di azione. Finora, la forza della NATO è stata quella di agire solo contro le minacce percepite da tutti. Andare al di là di questa caratteristica, prevedendo quindi azioni volute solo da una parte dell’Alleanza, è un modo per spaccarla ulteriormente, con buona pace della tanto conclamata volontà di conseguire una maggiore coesione.
Non è questo l’unico punto dolente: a parte ciò che è stato scritto, sorprende una grave omissione: anche se si parla delle pandemie come minacce, non si ammette la necessità di un periodo di moderazione nell’agire e nello spendere, in modo da consentire un consolidamento delle economie dei Paesi membri, ed evitando di contribuire, con la crescita delle spese militari per i mezzi e per le operazioni, al rischio di una loro bancarotta economica.
In sintesi, i relatori hanno dimenticato che, come diceva Sun Bin, oltre 2000 anni fa, “per ottenere un esercito potente, rendi ricco il Paese”[11]. Se le economie dei Paesi membri dell’Alleanza non si risollevano, la capacità di agire della NATO sarà sempre minore, per la carenza di contributi nazionali in termini di fondi e di forze, e l’Organizzazione scivolerà, sia pure lentamente, nel limbo dell’irrilevanza, un po’ come accadde, nei decenni scorsi, all’Unione Europea Occidentale.
L’elaborazione strategica UE
Pur in una situazione di forte tensione istituzionale tra alcuni Paesi membri e la Commissione, che in questi mesi si concentra sulla questione di quale sia prevalente tra le Costituzioni nazionali e le direttive UE, il tentativo di rafforzare la dimensione difesa e sicurezza dell’Unione prosegue, malgrado gli appelli di chi, come gli USA vedono, in questa costruzione di nuove strutture europee dedicate, il rischio di un allontanamento tra le due sponde dell’Atlantico, specie per le attuali difficoltà della NATO.
Già nel 2016, la “Strategia Globale” emanata dall’European External Action Service, alla cui direzione era da poco stata nominata l’on. Federica Mogherini, affermava che “gli Europei devono essere meglio equipaggiati, addestrati e organizzati anche per agire in modo autonomo, se e quando necessario”[12]. Questa frase accennava, quindi, alla necessità di disporre di una sia pur modesta struttura di difesa e sicurezza, anche se – come veniva precisato nel prosieguo del documento – il suo ambito era giustamente contenuto, nelle sue dimensioni geografiche.
Il documento, infatti, precisava fin dall’inizio che “la nostra sicurezza in Patria implica un interesse parallelo nella pace della nostra regione che ci è vicina e ci circonda”[13], un indice che l’UE non aveva abbandonato il saggio gradualismo che aveva caratterizzato la “politica europea di sicurezza e difesa” (PESD) fin dal 2003.
Quasi contemporaneamente all’elaborazione del rapporto sul nuovo Concetto Strategico della NATO, da parte del “Gruppo di Riflessione”, in Europa è stata avviata una simile iniziativa, le cui fasi iniziali hanno visto, come protagonista, un forum di ricerca geopolitica tedesco, il “Deutsche Gesellshaft für Auswärtige Politik” – DGAP.
Indubbiamente, era necessario avviare un tale procedimento: l’ultimo documento strategico europeo, focalizzato sulla sicurezza e difesa, risaliva al 12 dicembre 2003, ed era La “Strategia Europea di Sicurezza”, il cui titolo, molto appropriato per il turbolento periodo in cui era stato concepito, era “A secure Europe in a better world”.
Il fatto che tale documento fosse stato scritto da un gruppo di studiosi colti e lungimiranti ne ha prolungato il periodo di validità. Ora, però, era necessario prevedere come l’Europa potesse garantire la propria sicurezza, anche da sola, in un mondo che è diventato multipolare, e questo giustifica pienamente le risorse finanziarie e umane dedicate a questa nuova elaborazione.
Il procedimento, secondo l’UE, è dovuto al fatto che “l’UE fronteggia minacce e sfide nuove e in crescita. Per contrastarle, proteggere i propri cittadini e migliorare la propria autonomia strategica, in modo da diventare un partner globale più forte, l’UE deve definire quale tipo di attore di sicurezza e difesa vuole diventare”[14].
Finora, sono stati individuati quattro “canestri” – o, per meglio dire – pilastri di discussione, interconnessi tra loro, e precisamente:
- La Gestione delle crisi, nel cui ambito dovranno essere definiti gli scenari per le missioni militari e civili e le priorità geografiche, dovranno essere rivisti i cosiddetti “Petersberg Tasks”[15], la revisione degli obiettivi primari – noti come “Headline Goals” – la generazione delle forze, le capacità istituzionali, la European Peace Facility, e la componente civile della Common Security and Defense Policy – CSDP;
- La Resilienza, che dovrà comprendere l’esame della mutua assistenza e solidarietà, la protezione delle infrastrutture critiche, la sicurezza delle filiere (supply chains), la mobilità militare, gli ambienti globali, e le minacce non tradizionali;
- Lo Sviluppo delle Capacità, incluse la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO), il fondo europeo della difesa, la revisione annuale coordinata della difesa, l’Agenzia Europea di Difesa (EDA), le capacità nella difesa dello spazio, cyber e marittima;
- I Partenariati con l’ONU, la NATO, gli USA, l’Africa (Unione Africana e il G5 sul Sahel, il Partenariato con l’Est, e l’Indo-Pacifico (QUAD, ASEAN e quelli bilaterali).
Oltre a contrastare le sfide e le minacce, i documenti UE affermano che la funzione dello Strategic Compass dovrà essere quella di “contribuire a rafforzare una cultura comune di sicurezza e difesa europea, e a definire i giusti obiettivi e i traguardi concreti per le nostre politiche[16].
Finora, i lavori, svolti mediante seminari e discussioni a livello istituzionale, hanno portato ad alcune raccomandazioni, e precisamente:
- “È necessario convergere su un ristretto set di priorità, ciò allo scopo di garantire una risposta alle crisi più veloce, unita ed efficace.
- È importante che i lavori sul dialogo strategico nel 2021 proseguano nel modo corretto prima di pensare di ristrutturare strumenti e istituzioni esistenti.
- Occorre stabilizzare i progressi fatti nell’ambito dello Strategic Compass, mettendo in evidenza i risultati attraverso ulteriori documenti, per esempio un piano per l’aggiornamento e la realizzazione della sicurezza e difesa, come pure l’impiego di strumenti migliori per assicurare coerenza e conformità.
- Ogni qualvolta possibile, deve essere applicato il principio di sussidiarietà, ma la resilienza dell’Unione Europea può essere raggiunta solo attraverso l’interazione di differenti livelli e attori: tra istituzioni UE, tra UE e gli Stati membri, tra settore pubblico e privato, tra attori civili e militari, tra UE e NATO.
- Nell’ambito dello sviluppo capacitivo, è molto importante impiegare la natura consensuale del Common Security and Defence Policy (CSDP) per lavorare a stretto contatto con gli stati membri che preferiscono impiegare il NATO Defence Planning Process (NDPP). È necessario fare in modo che gli obiettivi stabiliti dal Consiglio Europeo siano tenuti in conto dagli stati membri.
- Occorre iniziare ad interrogarsi su come si può semplificare il processo di prioritizzazione delle capacità e come rafforzare le strutture politiche e l’integrazione tra expertise militare senza modificare i trattati e senza sconvolgere il panorama istituzionale esistente.
- Bisogna attribuire le giuste priorità alle partnership in funzione della capacità di raggiungere obiettivi ben definiti.
- Infine, occorre rendere realmente complementari UE, NATO e ONU. Affrontare e definire il problema della suddivisione del lavoro tra partners, sia tra i membri della UE, sia all’interno della UE, sia tra civili e militari, a riguardo della resilienza e della gestione delle crisi”[17].
Come si vede, il lavoro che attende gli esperti e le istituzioni non è semplice, anche se la speranza è che l’intero processo di elaborazione della nuova strategia di difesa e sicurezza dell’UE dovrebbe portare all’adozione del documento, da parte del Consiglio Europeo, nella prima metà del 2022.
Anche qui, non viene esplicitamente ammesso che la pandemia di COVID ha indebolito i Paesi membri dell’Unione, anche se il “canestro” riguardante la resilienza fa pensare che questo aspetto, non da poco, sarà tenuto in debito conto.
Considerazioni
Iniziando dalla NATO, è lecito aver dubbi su come possa l’Alleanza svolgere un ruolo politico di peso in una situazione di competizione tra i Potenti, siano essi la Russia, la Cina, gli Stati Uniti, per non parlare delle azioni terroristiche della Galassia islamica. La violenza e la dimensione geografica di queste lotte portano, infatti, a dubitare della capacità di svolgere un tale immane compito, da parte dell’Alleanza, specie dopo il rifiuto, da parte di numerosi Membri europei, di svolgere, insieme o in concomitanza con gli USA, quelle “Freedom of Navigation Operations” (Operazioni per la Libertà di Navigazione) che tanto hanno irritato Pechino. Anche il capitolo Cina, quindi, vede la NATO in un ruolo estremamente defilato, a causa delle distanze in gioco, malgrado l’attivismo di alcuni suoi membri.
Va ricordato, infatti, quanto a suo tempo era stato segnalato da Mahan, quando avvertì che “Maggiore è la distanza, maggiore è la difficoltà di difendere o di attaccare”[18]. La decisione di intervenire in Afghanistan si basava sull’erroneo presupposto che, con i mezzi moderni per il trasporto strategico, questo paradigma fosse ormai obsoleto.
L’enorme quantità di armamenti e di materiale bellico abbandonati in Afghanistan, insieme alle continue difficoltà che i contingenti hanno dovuto affrontare per manutenere i mezzi a disposizione, sono invece una conferma della saggezza dello stratega statunitense. Prima di impegnarsi lontano, quindi, bisogna pensarci due volte e organizzare una catena di basi (la “linea di comunicazione”, come si dice in Strategia), tali sostenere le forze sia al momento del loro ingresso nel Paese da stabilizzare, sia durante la missione, sia infine al momento della ritirata. Non a caso molti studiosi evidenziano che il sostegno a una ritirata è proprio il momento di massima utilità della “linea di comunicazione”!
Allora, quale ruolo politico può essere svolto dalla NATO? Il ritiro della delegazione russa dal Partenariato speciale con l’Alleanza, e l’assenza della Cina dalla rete di relazioni intessuta finora precludono la possibilità che la NATO diventi un “salotto buono” nel quale i Grandi del mondo possano trovare una qualsiasi intesa, al riparo dai media.
Invece, per quanto riguarda il “Fronte Sud”, la NATO, forte di consessi ampiamente collaudati, come i Partenariati, il Dialogo Mediterraneo e la Istanbul Cooperation Initiative, potrà svolgere un’azione benefica, di stabilizzazione, cooptando gli attori dell’area e coinvolgendoli nel mantenimento della pace e nella riduzione dell’instabilità che piaga quella parte del mondo
Questi ruoli di mediazione tra i Grandi e di dialogo con il Sud, che negli ultimi decenni ha procurato all’Italia una ben meritata stima a livello internazionale, avrebbero potuto essere svolti dalla NATO, se avesse avuto cura di ospitare – e tenersi stretta – dei nuclei permanenti delle Potenze concorrenti, alias Russia e Cina. Questo non è più possibile, almeno al momento, per cui alla NATO non rimane altro che l’alternativa tra il predicare ai convertiti o ridiventare lo strumento militare dell’Occidente.
Oltretutto, la NATO è priva dello strumento economico, fondamentale per incrementare l’interdipendenza tra gli schieramenti contrapposti, ma estremamente efficace, come è stato dimostrato dalle azioni in tal senso, svolte durante la Guerra Fredda.
Rimane alla NATO, oltre a un ruolo politico verso il Sud, solo quello di avere maggior cura della propria struttura militare. Questa è da sempre la vera garanzia di longevità per l’Alleanza: l’importanza della struttura militare, che si è ben comportata anche nella difficile situazione dell’Afghanistan, viene infatti riconosciuta anche in ambito UE, dove non è stata dimenticata la necessità di evitare le “Tre D” a suo tempo indicate dal Segretario di Stato Albright.
Bisogna ammettere, infatti, che sarebbe difficile creare un’altra struttura militare di pari livello, stante sia la difficoltà di finanziare due strutture parallele, da parte degli Stati che sono membri di ambedue le Organizzazioni, sia l’enormità dei costi connessi alla creazione di un sistema di comando e controllo ad ampio raggio, sia per le risorse umane disponibili.
Passando all’UE, è ancora presto per dire quale direzione stia prendendo l’elaborazione concettuale dello “Strategic Compass”. La prudenza, peraltro, appare già nei primi documenti strategici che ne orientano la compilazione. Bisogna vedere se gli studiosi sapranno rimanere con i piedi per terra, o piuttosto non si lancino nel definire obiettivi irrealistici, che rimarranno, per forza di cose, in un cassetto.
Un aspetto che già compare in molte dichiarazioni è quello della collaborazione con la NATO, proprio per evitare insostenibili duplicazioni. Rimane, però, un problema serio, quello dell’ampliamento dell’accordo “Berlin Plus”, che definisce gli ambiti di cooperazione tra le due Organizzazioni. Un tale ampliamento fu a suo tempo bloccato dalla Turchia, che si oppose a un “ampliamento strisciante”, senza il sostegno di un trattato ad hoc, e sostenne appunto la necessità di negoziare un altro accordo, con il consenso di tutti i membri delle due Organizzazioni.
Una parola, infine, va spesa sul termine “prudenza”, l’atteggiamento cardine da mantenere in questo momento di generale debolezza degli Stati in tutto il mondo, per effetto della pandemia. Da un lato, questo termine invita a moderare i fini e a scegliere attentamente gli obiettivi, su una base di “fattibilità sostenibile”, dall’altro, però, permette di sfruttare la debolezza altrui, ogni qualvolta un avversario, o un concorrente, compiano il passo più lungo della gamba.
Diceva un vecchio saggio, il mai dimenticato Machiavelli, infatti, che “sapere nella guerra conoscere l’occasione, e pigliarla, giova più che niun’altra cosa”[19].
In conclusione, ambedue le Organizzazioni assicureranno la propria sopravvivenza, in questo mondo sempre più turbolento, fornendo il servizio essenziale per il quale sono state create, che è quello di garantire la prosperità, la sicurezza e la difesa collettiva ai loro membri, e per fare questo, devono aver cura di non indebolirli con richieste o ambizioni eccessive, inevitabilmente destinate al fallimento.
Ambedue, infatti, per ripartire (la NATO) o per rafforzarsi (la UE), dovranno per forza di cose iniziare dal vicinato, e – man mano che i Paesi membri si risolleveranno dalle attuali difficoltà interne ed esterne causate dalla pandemia – ampliare gradualmente il loro raggio di azione, sempre rispettando il criterio della prudenza.
Solo così si dimostreranno un valore aggiunto per i Paesi che vi hanno aderito, anziché gravarli di pesi eccessivi.
[1] Vedasi, ad esempio, l’articolo di S. PIOPPI, La NATO è ancora più forte, su Formiche.net del 22 ottobre 2021.
[2] H. J. MACKINDER. The Geographical Pivot of History. The Geographical Journal, Vol. 23 n° 4, April 1904, pgg. 428-429.
[3] https://www.nato.int › cps › natohq › news_187158
[4] NATO 2030. United for a new era. 25 novembre 2020, pag. 23.
[5] Ibid. pag. 3.
[6] Ibid. pag. 7.
[7] Ibid. Pag. 6.
[8] Ibid.
[9] Ibid. pag. 27.
[10] Ibid. pag. 33.
[11] Sun Bin. Le Traité Militaire. Ed. Economica, 1996, pag. 57.
[12] EU GLOBAL STRATEGY. Shared Vision, Common Action: a Stronger Europe. Ed. Giugno 2016, pag. 12, para 3.1.
[13] Ibid. pag. 9, para1.
[14] EU Defence. Toward a Strategic Compass. May 2021.
[15] I Petersberg Tasks comprendono: le missioni umanitarie e di soccorso, le prevenzione dei conflitti e peacekeeping, i compiti delle forze di combattimento nella gestione delle crisi, incluso il peacemaking, le operazioni di disarmo interforze, i compiti di assistenza militare, e quelli di stabilizzazione post-conflittuale.
[16] Ibid.
[17] A. RUGOLO. EU Strategic Compass. Difesa Online, 10 dicembre 2020.
[18] A. T. MAHAN Strategia Navale. Ed. Forum Relazioni Internazionali, 1997, Vol. I pag. 2.
[19] N. MACHIAVELLI. I sette libri dell’arte della guerra. Ed. Le Monnier, 1929, Libro VII, p. 152