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IL MEDITERRANEO ALLARGATO: LE SFIDE SECURITARIE NELL’ATTUALE CONTESTO GEOPOLITICO ED IL RUOLO DELL’ITALIA
Salvatore Ronzo
- Il Mediterraneo Allargato: nascita del concetto e sua definizione
Il mare, in generale, rappresenta nella storia dell’uomo un’area geografica di particolare attrazione e molto complessa. Infatti, le vie marittime consentono tuttora il trasporto di un elevato numero di persone e, soprattutto, di merci; basti pensare che, nel 2019, circa il 90% in termini di volume ed oltre il 70% in termini di valore dei traffici commerciali avveniva con le navi.[1]
Sul piano militare, poi, il mare è un elemento essenziale della geopolitica: lo Stato che ne ha il controllo acquisisce un vantaggio sugli altri, sia sul piano offensivo sia difensivo, poiché può disporre di vie di comunicazione che non richiedono la costruzione o la manutenzione, può sfuggire alle pressioni provenienti dall’entroterra, privare gli avversari dei rifornimenti, fino a gestire secondo le proprie necessità il transito delle merci.
Infine, la competizione per estendere il “proprio controllo e le proprie leggi” sulle acque marine e sulle loro risorse riveste un aspetto fondamentale per le politiche degli Stati.
Partendo da questa considerazione generale, si può osservare che tra tutti i mari, il Mar Mediterraneo ha rappresentato, per molti secoli, il centro degli interessi specialmente dei Paesi occidentali e la sua storia continua tuttora a determinare gli assetti geopolitici influenzando, le possibilità di collaborazione ed alleanze nonché di antagonismi.
In particolare, il Mar Mediterraneo, in passato, veniva definito un bacino geograficamente delimitato, una vera e propria regione geopolitica articolata però in bacini separati ovvero, il Tirreno, l’Adriatico, il Mar Egeo, ecc., ognuno con caratterizzazioni ed identità specifiche tanto che nella geopolitica classica si erano affermate le due seguenti teorie:
–“mare nostrum”, che considera il Mediterraneo una regione geopolitica unitaria, a dispetto delle sue diversità etniche, linguistiche, religiose, storiche, economiche e politiche. Secondo tale visione, la sponda Sud e quella orientale sono suscettibili di integrarsi non solo con i paesi meridionali dell’Europa, ma anche con quelli centro-settentrionali. Essa è stata all’origine delle ambiziose iniziative d’integrazione promosse dall’Europa, dal Processo di Barcellona fino all’Unione per il Mediterraneo, che comprendono obiettivi economici, politici, di sicurezza e anche convergenze etico-politiche e culturali. Il loro fine è creare le premesse per l’integrazione della regione nell’UE”;[2]
– “mare clausum”, non solo frammentato in bacini che poco hanno in comune tra loro, ma anche separato fra il Nord e il Sud. Essa considera il mare non come un ponte tra il Nord e il Sud e tra l’Est e l’Ovest, ma come una frontiera, se non addirittura una barriera, tra sistemi geopolitici, identità e interessi differenti, quando non contrapposti”. Tale concezione ha prevalso per alcuni secoli della nostra era, con la netta separazione tra l’Islam e la Cristianità e tra l’Impero ottomano e l’Europa non solo meridionale, ma anche centro-settentrionale”.[3]
Tali concezioni sono state profondamente riviste dopo la caduta del muro di Berlino, dal successivo collasso dell’Unione Sovietica e ancor di più dall’inizio della globalizzazione economica. I predetti eventi hanno reso necessaria un’analisi di questo spazio che tenga conto degli avvenimenti che coinvolgono anche il Mar Nero, il Golfo Persico, il Golfo di Guinea e il Mar Rosso (cosiddetti retroterra marittimi) che permettono di collegare quei Paesi in cui si trovano oltre la metà delle riserve di petrolio e gas, il cui ruolo è ancora fondamentale per l’andamento dell’economia mondiale.
In altre parole, come lucidamente descritto da Carlo Jean, “a seconda dei periodi storici, il Mar Mediterraneo è stato un ponte o una barriera fra Nord e Sud, fra Est e Ovest, fra potenze marittime e continentali. È stato via di traffico e di transito o regione geopolitica, considerata spazio vitale da potenze costiere e amiche esterne. È stato luogo di cooperazione o di conflitto fra l’Europa, l’Africa e l’Asia”.[4]
L’allargamento della sfera di interesse e le ripercussioni delle continue turbolenze causa di instabilità degli Stati presenti in questa area, hanno indotto gli studiosi di geopolitica ad utilizzare il concetto di Mediterraneo allargato la cui definizione, che con il tempo ha acquistato sempre maggiore rilevanza e che si è definitivamente affermata con l’inizio della “guerra al terrorismo”[5], fu così tratteggiata nel Libro bianco della Difesa del 2002:
“La fine della guerra fredda e la disgregazione dell’URSS hanno fatto esplodere tensioni etniche, nazionaliste, religiose, economiche, lungo l’”arco delle crisi”, come gli esperti di strategia chiamano la vasta area del pianeta che parte, a Ovest, dal Nordafrica, attraversa il Medioriente e il Caucaso, si estende verso Est al Golfo, all’Asia centrale, al Kashmir fino a toccare il Sud-Est asiatico ove si manifestano conflitti di natura etnico-religiosa (basti pensare al caso di Timor Est). A Nord questo “arco delle crisi” ha l’appendice balcanica, contigua ai nostri confini terrestri e marittimi, attraverso la quale una complessa conflittualità̀, dalle antiche radici storiche, si è incuneata nel cuore stesso dell’Europa.” [6]
Pertanto, quello che una volta era il “Mare nostrum”, da un punto di vista geografico:
– a Ovest non ha più il suo confine naturale a Gibilterra, bensì si estende fino al meridiano delle Isole Canarie ed alla costa occidentale dell’Africa settentrionale;
– a Nord-est il confine arriva fino alla Crimea ed anche il Mar Nero ne è parte integrante;
– a Sud è delimitato dall’area del Sahel le cui vicende hanno evidenti ricadute sui Paesi che si affacciano sul bacino;
– a Est e Sud-est penetra in Medio Oriente, includendo il Mar Rosso, il Canale di Suez il Corno d’Africa, fino al Golfo Persico ed al Golfo di Aden.
Il Mediterraneo allargato è dunque uno spazio geopolitico nevralgico caratterizzato da una complessa intersezione di culture, interessi e sfide. Questo vasto bacino d’acqua, circondato da tre continenti, ha una storia ricca di commercio, scambi culturali e, purtroppo, conflitti. [7]
Infatti, rappresenta ancora la principale via di transito di importanti fonti energetiche, quali il petrolio e il gas naturale liquefatto (GNL), provenienti dal Medio Oriente, nonché dei traffici fra l’Indo-Pacifico, l’Europa e gli Stati Uniti, atteso che il passaggio attraverso il Canale di Suez riduce di un terzo i tempi di percorrenza della circumnavigazione dell’Africa. Primato questo che potrà essere insidiato allorquando la c.d. Rotta Artica, attualmente percorribile soltanto per poco più di tre mesi l’anno, a seguito del – si spera reversibile – progressivo scioglimento dei ghiacci, potrà essere navigabile per più mesi. In tal caso si potrà porre, a tutti gli effetti, quale rotta concorrente a Suez per conseguire il primato dei traffici commerciali attesa la minore distanza da percorrere e la conseguente riduzione dei costi, malgrado le difficoltà causate dall’ambiente ostile.
- Lo scenario geopolitico nel Mediterraneo allargato
Negli ultimi decenni, la sicurezza nel Mediterraneo allargato è diventata una questione di crescente preoccupazione, a causa di una serie di crisi che si sono susseguite minandone la stabilità.
Il succedersi di tali crisi, quali, ad esempio, quella tra Israele e Palestina, la rivalità tra Turchia e Grecia per le risorse energetiche nel Mar Egeo, tra Algeria e Marocco a seguito dall’annessione da parte di quest’ultimo, nel 1975, di parti del Sahara occidentale, e poi i conflitti in Ucraina e – quello tuttora irrisolto -in Libia hanno il potenziale per sfociare in una più ampia che potrebbe coinvolgere una serie di attori regionali e globali.
In particolare, proprio nell’area libica, già prima della Pandemia e dello scoppio del conflitto in Ucraina, si era assistito ad un importante riposizionamento di alcune potenze, tra le quali la Turchia e la Federazione Russa.
La presenza sempre più assidua di unità della flotta turca e russa nelle acque antistanti le coste libiche aveva l’obiettivo di consentire l’attracco in nuovi porti, per estendere le rispettive aree di influenza e garantirsi il controllo ravvicinato delle rotte commerciali che transitano per Suez.
In questo contesto è di gran lunga più significativo il progetto della Belt and Road Initiative (BRI), meglio conosciuto come “Nuova via della Seta”, lanciato nel 2013, finalizzato a disegnare una nuova e ben più ampia area di influenza cinese.
La BRI è un programma infrastrutturale con l’obiettivo di creare un grande spazio economico eurasiatico ampliando i legami con l’Unione europea, attraverso la realizzazione di sei corridoi di trasporto, via terra e via mare, per diversificare le rotte commerciali e per indirizzare il surplus produttivo cinese verso nuovi mercati ed accedere a nuove fonti di approvvigionamento energetico. Il Piano d’azione elaborato dal Governo di Pechino prevedeva due direttrici principali: quella terrestre – Silk Road Economic Belt – e quella marittima – Maritime Silk Road – che doveva consentire alle merci cinesi di raggiungere il Mediterraneo attraverso il Canale di Suez, raggiungendo le coste dell’Africa Orientale (Gibuti, Kenya e Tanzania) e il Maghreb -e il resto dell’Asia tramite il Mar Cinese meridionale.[8]
La sottoscrizione da parte dell’Italia di un memorandum della durata di 5 anni, nel marzo 2019, unico paese del G7 e soprattutto strategicamente al centro del fu Mare nostrum, è stato il più grande successo politico della Cina per il raggiungimento del citato obiettivo.
La firma del memorandum – il cui rinnovo previsto per la fine del corrente anno è in corso di negoziazione – secondo diverse analisi si è rilevata una scommessa non vinta. Infatti, l’accordo non ha portato a rilevanti vantaggi commerciali per le imprese italiane rispetto ad altre nazioni europee, per esempio Germania e Francia, che non hanno siglato alcun memorandum[9], così come affermato anche dal Ministro egli Esteri, Tajani, nell’incontro con il suo omologo cinese del 4 settembre scorso.[10]
Infine, importante risulta anche accennare al ruolo dei Paesi del Golfo ed in particolare dell’Arabia Saudita, ove il principe Mohammed Bin Salman sta perseguendo una politica finalizzata a far assurgere il proprio ricco Paese ad un ruolo di superpotenza regionale, con una serie di iniziative politiche, diplomatiche ed economiche (tra cui il recente vertice di Gedda o la candidatura per ospitare il Campionato del mondo di calcio del 2030 [11]).
A favore dell’intraprendenza del principe saudita gioca anche l’età media della popolazione (26 anni), la disponibilità di enormi risorse quali petrolio e GNL, che di fatto lo rendono un protagonista dei futuri rapporti internazionali, così come evidenziato da Federico Rampini “L’aspetto generazionale conta, la giovane età di MbS (Mohammed Bin Salman ndr) è un distacco dalle gerontocrazie che comandavano in passato in quell’area. L’Arabia è una delle «potenze regionali» che contendono ad altri attori – America, Cina, Russia – l’influenza su un’area strategica del mondo che spazia dal Medio Oriente al Maghreb fino all’Africa subsahariana.” [12]
In sintesi, sebbene l’Europa, di cui si approfondiranno in seguito pregi e difetti della politica, abbia l’obiettivo di stabilizzare l’area, altre potenze, soprattutto quelle globali, influenzano maggiormente gli eventi del bacino: il Mediterraneo allargato è il luogo ove perseguono i loro fini, la propria prosperità e, in definitiva, affermano il proprio prestigio, rendendo così questo spazio marittimo inevitabilmente più affollato, conteso e dunque a rischio di sempre maggiore instabilità.
- Le minacce securitarie nel Mediterraneo allargato
Il Mediterraneo allargato, come accennato, è una regione di grande importanza geopolitica, caratterizzata da una complessa intersezione di culture, interessi e sfide e, purtroppo, conflitti.
Pertanto, in questo momento storico non si può non rivolgere uno sguardo ai conflitti che hanno determinato le più forti instabilità nel Mediterraneo allargato. Tralasciando la guerra in Ucraina, la cui parola fine è ancora lontana dall’essere scritta, l’evento più significativo, dopo la deflagrazione dei Balcani alla fine degli anni ‘90, è stato la caduta, il 31 ottobre 2011, del regime di Gheddafi che ha provocato una ultradecennale instabilità politica e militare in un Pase chiave dell’Africa settentrionale.
A questo proposito è necessario soffermarsi sull’amaro prezzo che l’Unione europea, una potenza regionale che avrebbe dovuto essere la principale protagonista dell’area – non fosse altro per i numerosi Stati membri (SM) che vi si affacciano sul Mediterraneo – ha pagato e continua a pagare per la mancanza di una politica estera comune conseguente ad un vuoto normativo derivante dagli accordi istitutivi. Vuoto che non è stato sanato neanche con il “Trattato di Lisbona” del 2010 che ha creato il Servizio Europeo per l’Azione esterna (SEAE) “per rendere più coerente ed efficace la politica estera dell’UE e rafforzare così l’influenza dell’Europa sulla scena mondiale. ”[13]
E proprio la mancanza di una comune visione politica e soprattutto geostrategica non ha consentito di gestire con una prospettiva unitaria le cosiddette “primavere arabe”,[14] e tra queste e quella libica.
Deflagrata il 15 febbraio del 2011, l’insurrezione libica raggiunse il suo culmine nella “giornata della collera” (17 febbraio)[15], trasformando una protesta che sembrava potesse essere circoscritta alle sole zone orientali del Paese, e di essere controllata dalle Forze di Sicurezza libiche, in un vero e proprio conflitto, favorito dall’ “attivismo francese ed inglese”.
Infatti, l’intervento francese si può ricondurre in un quadro più ampio e a scelte essenzialmente di politica interna: “di fronte a sommovimenti capaci di sovvertire gli equilibri di un’area strategica come quella nordafricana, la Francia apparve non soltanto confusa ma anche profondamente collusa con quei regimi autocratici che i rivoltosi volevano rovesciare. Il presidente Sarkozy ed i suoi collaboratori trassero a quel punto la conclusione che lo status quo sarebbe stato più destabilizzante del cambiamento e che era ormai cruciale garantire il successo economico e politico della transizione. […]. Nondimeno, ad un anno dalle elezioni presidenziali e con un tasso di approvazione in discesa, Nicolas Sarkozy aveva bisogno di un successo internazionale che ne rinsaldasse la credibilità presso l’elettorato.” [16]
Anche il Regno Unito fu sostanzialmente colto di sorpresa dalla rivolta libica e “Di fronte all’evolversi della situazione, ed in seguito ad una serie di passi falsi molto simili a quelli francesi che dimostravano in modo imbarazzante quanto profonda fosse la collusione con le autocrazie mediorientali, Cameron convenne con i francesi che lo status quo fosse insostenibile e che bisognasse intervenire per evitare che i dittatori riprendessero il controllo a spese dei civili o che le rivolte fossero infiltrate dai jihadisti e la transizione dirottata dagli islamisti.”[17]
Pertanto, gli anglo-francesi, basando le loro analisi su questi presupposti e per far fronte ad una crescente diminuzione della popolarità dei due leaders, dopo l’approvazione della Risoluzione n. 973 del 17 marzo 2011 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, senza alcun preventivo coordinamento in ambito europeo, lanciarono, il successivo 19 marzo, raid aerei nella zona di Bengasi.
Solo una successiva intesa sul piano politico – diplomatico indusse il presidente Sarkozy ad accettare un compromesso che facesse rientrare il comando e controllo operativo della missione in ambito della NATO, che approvò così l’operazione “Unified Protector”[18] conclusasi con la caduta del Regime libico.
Oltre alle guerre combattute con metodi convenzionali, altra fonte di instabilità ed incertezza è la così definita “guerra ibrida” che affligge l’area. Come osservato da Sanfelice di Monteforte “Nel parlare di misure di guerra ibrida bisogna anzitutto tener presente che la fantasia umana, unita alla capacità di individuare il punto debole dell’avversario, è tale che ogni tentativo di elencazione sarà per forza di cose incompleto”.[19]
Tra quelle più generali, come annotato dallo stesso autore, si può citare la “cosiddetta arma economica”, nelle sue varie forme, tra cui si possono citare “l’embargo, l’imposizione di dazi o di standard, le restrizioni finanziarie, la negazione di beni e tecnologie, o il finanziamento e il rifornimento di armi a una parte in lotta, a sfavore dell’altra.”[20].
Tali strumenti, sulla cui reale efficacia non ci si dilunga per linearità di trattazione, sono stati già utilizzati alla fine degli anni ’90 nei confronti di Paesi balcanici ed ora sono nuovamente attivi, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, sotto forma di sanzioni economiche contro la Federazione Russa.
Il Mediterraneo allargato non è però soltanto un teatro di “scontro tra Stati”, ma vi operano soprattutto organizzazioni criminali efficienti e senza scrupoli che si contendono il predominio dei traffici illeciti, tra i quali quello degli stupefacenti e delle armi[21] e, dopo la destabilizzazione della Libia, di esseri umani.
Uno dei problemi più urgenti, come rilevato anche dall’Agenzia per i Rifugiati dell’ONU (UNHCR), è proprio l’attività del traffico di esseri umani – con persone che sono costrette ad affrontare pericolosi viaggi via mare che spesso sfociano in tragedie – gestito dai gruppi criminali transazionali senza scrupoli e del conseguente afflusso di centinaia di migliaia di persone in cerca di sicurezza e opportunità in Europa.
E i disperati da sfruttare non sono pochi: proprio il rapporto “Global Trends in Forced Displacement 2022”, presentato nel decorso giugno dall’UNHCR, fotografa una situazione allarmante: infatti, secondo l’Agenzia le guerre in corso e gli sconvolgimenti provocati dal clima, le persecuzioni, le violenze e le violazioni dei diritti umani hanno costretto il numero record di 108,4 milioni di persone a fuggire dalle proprie case, con un aumento senza precedenti di 19,1 milioni rispetto all’anno precedente. “Nell’anno in corso, il trend in crescita del numero di persone costrette alla fuga a livello globale non mostra segni di rallentamento anche a causa dello scoppio del conflitto in Sudan che ha causato nuovi esodi, spingendo il numero totale delle persone in fuga a un valore stimato di 110 milioni fino al maggio scorso.”[22]
Sul punto non si può sottacere che alcuni governi che si affacciano sulla sponda africana del Mediterraneo chiudano un occhio sull’immigrazione irregolare verso l’Europa, per costringere quelli più vicini ai confini, in particolare Italia, Grecia e Spagna a cedere alle loro richieste, soprattutto di natura economica. Questa situazione mette in crisi i Paesi della costa mediterranea e crea tensioni tra gli Stati membri sulla questione della distribuzione dei rifugiati, evidenziando, come si legge dalle cronache, ancora una volta una carenza di una visione politica e strategica comune a livello dell’Unione.
Per ultimo, non certo per importanza e pericolosità, va citato il terrorismo internazionale, in una regione che è stata terreno fertile per la nascita e la crescita di diversi gruppi che costituiscono una minaccia imminente sia per la sicurezza interna dei paesi della regione sia per le sue implicazioni globali.
Basti ricordare che, a partire dall’inizio del nuovo millennio, dapprima gli Stati Uniti e poi l’Europa sono stati colpiti da ripetuti attentati terroristici di matrice jihadista. Il numero degli attacchi, solo apparentemente diminuiti con la pandemia da SARS-COV-2, si è mantenuto invece sostanzialmente costante nel ventennio 2000 – 2020, come si evince da uno studio appena pubblicato dal “Centro Italiano di Strategia e Intelligence (CISINT)” sulla rivista “Osservatorio per la Sicurezza del Sistema Industriale Strategico Nazionale (O.S.S.I.NA”).[23] Difatti sono stati registrati nel ventennio in esame ben 644 attacchi contro obiettivi c.d. “MacroTarget ESIF (Essential Services, Infrastructures and Facilities)”, appositamente individuati, ubicati nei Paesi del G7.
Il terrorismo è diventato dunque ancora più subdolo poiché ricollegabile principalmente a soggetti radicalizzati che per commettere atti di violenza ricorrono a modi operandi più semplici, come attacchi all’arma bianca o con vetture. Tra i potenziali attentatori figurano persone radicalizzate, soggetti di rientro da zone di conflitto o tornati in libertà anche in considerazione che, come lucidamente osservato da Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte “Seppur strutturalmente modificata, Al Qaeda è ancora attiva e pericolosa, ma opera in modo diverso. Ad essa poi, anche solo guardando alla galassia jihadista, si sono affiancati altri non state-actor, suoi affiliati come Al Qaeda nel Maghreb Islamico o nella Penisola Arabica, e suoi competitor, come l’Islamic State e i numerosi gruppi che a lui hanno giurato fedeltà in un po’ tutti i continenti consentendogli di poter nominalmente avere “province” ovunque”.[24]
Orbene questo aumento non ben definito dei gruppi, rende ancor più difficile per gli apparati di sicurezza individuare con una certa precisione da quale direzione possa provenire un attacco, tanto che i Paesi occidentali sono stati colpiti “talvolta anche in modo strumentale solo per guadagnare visibilità all’interno della galassia jihadista”.[25]
Così come non si può non ricordare la minaccia costituita dai “gruppi dell’estremismo violento”, anche di “origine endogena” con ideologie ricollegabili all’estrema destra ovvero a quelle suprematiste bianche, difficili da identificare poiché non strutturati gerarchicamente ed operanti prevalentemente sui social, privi di forme di fonti di finanziamento facilmente tracciabili, i quali si possono trasformare rapidamente in finalizzatori di atti terroristici. Al riguardo, sempre Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte ha sottolineato che “È soprattutto negli Stati Uniti, dopo i noti fatti del 6 gennaio 2021, che si è iniziato a guardare con occhi diversi all’ “estremismo bianco”, identificandolo come “terrorismo interno” e conseguentemente “nemico interno”, accostando la sua potenziale pericolosità a quella del terrorismo jihadista, da sempre considerato in America come un terrorismo che viene dall’estero. Ma il pericolo che viene dall’estremismo bianco razzista, xenofobo, antisemita e islamofobico è ormai avvertito chiaramente un po’ ovunque, e si è già drammaticamente concretizzato in attacchi sanguinosi in diversi continenti, seppur condotti in modo apparentemente autonomo e da persone con motivazioni non totalmente assimilabili.[26]
4. La politica italiana per il contrasto alle sfide securitarie nel Mediterraneo allargato
L’Italia si trova al centro di molte sfide securitarie poiché riveste un’importanza cruciale, data la sua posizione e la sua conformazione geografica che ne fa un ponte, una portaerei naturale nel bacino del fu Mare nostrum del quale è stata sempre protagonista sino alla fine della guerra fredda.
Per tale ragione molti esperti ritengono che sia essenziale il costante controllo dello Stretto di Sicilia che rappresenta un punto nevralgico del Mediterraneo centrale e meridionale, da cui passano le principali rotte che, attraversando il canale di Suez, collegano l’Oceano Atlantico all’Indo-Pacifico, ma sono anche quelle privilegiate dagli “scafisti” per l’inumano traffico di migranti.
Sul tema Carlo Jean ha scritto “Con la fine della guerra fredda, la geopolitica del Mediterraneo e il ruolo strategico dell’Italia e della Sicilia sono profondamente mutati. Il cambiamento è tuttora in corso, per fattori sia interni alla regione mediterranea sia esterni a essa. Questi ultimi assumono importanza crescente per l’aumento dei traffici marittimi e della sensibilità delle opinioni pubbliche a fenomeni come l’immigrazione, il terrorismo e l’uso delle enormi risorse naturali dell’Africa, divenuta teatro d’espansione e di approvvigionamento di materie prime da parte della Cina. Con l’America Latina, il continente nero sta divenendo centrale negli equilibri mondiali e terreno di competizione e di scontro fra le grandi potenze, in particolare fra la Cina, potenza emergente, e gli Usa, che vedono posta in pericolo la loro egemonia. Ci sono poi l’India, che sostenuta dal Giappone compete in Africa con Pechino, e la Turchia, attiva non solo nei Balcani e nel Caucaso ma anche in Africa, da quella settentrionale, incluso il Sahel, al Corno d’Africa. […] Con la fine della guerra fredda e il parziale disimpegno Usa dal Medio Oriente e dal Mediterraneo (iniziato con la leadership from behind del presidente Obama nel 2011, durante l’attacco alla Libia), la situazione dell’Italia è notevolmente mutata.”[27]
Il punto focale di questa osservazione è quindi il ruolo che l’Italia avrebbe dovuto assumere una volta che gli Stati Uniti hanno rivolto il loro interesse geopolitico all’Indo- Pacifico per contrastare la progressiva espansione della Cina in quel quadrante. Riposizionamento che aveva altresì incoraggiato la nascita delle “Primavere arabe” che, come visto, non essendo state adeguatamente gestite dai Paesi dell’Unione europea, hanno provocato, di fatto, una forte destabilizzazione del Nord Africa con la conseguente riduzione dello spazio di influenza che l’Italia era riuscita a creare su quelle coste.
La guerra di aggressione della Russia in Ucraina, e la conseguente rottura di gran parte dei rapporti diplomatici e commerciali con i Paesi occidentali, ha causato ulteriori problemi per il posizionamento strategico dell’Italia che è stata privata di un altro importante partener commerciale come era stata considerata – a torto o a ragione – sino a quel momento la grande potenza europea anche per gli sforzi diplomatici italiani. Basta ricordare che proprio nella base dell’aeronautica militare di Pratica di Mare, il 28 maggio del 2002, furono siglati gli accordi di collaborazione che portarono alla creazione del “Consiglio NATO- RUSSIA”,[28] che da molti osservatori sono considerati il punto più alto dei rapporti fra la Federazione Russia ed i Paesi occidentali.
Un’altra decisione con ripercussioni negative per la stabilità e che di fatto ha ridimensionato la presenza europea nell’area, è stata la chiusura, il 1° luglio del 2022, della Task Force Takuba a guida francese in Mali (della quale faceva parte anche l’Italia). Lasciare il Mali nel momento in cui il Sahel sta assumendo una sempre maggiore importanza strategica per il contrasto al terrorismo e del traffico di esseri umani ed anche di armi e stupefacenti, appare decisamente in controtendenza rispetto all’accresciuto interesse della Russia (in particolare in Siria, Libia, Mali, Repubblica Centrafricana, Burkina Faso, Mozambico, Sudan e Madagascar), della Cina ed anche delle monarchie del Golfo che hanno aumentato la loro influenza e presenza negli ultimi anni.[29]
Per tale ragione il Ministro della Difesa pro-tempore, Lorenzo Guerini, il 26 luglio del 2022, aveva dichiarato alle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato che “Pur nell’eccezionalità di questo contesto e dello sforzo che stiamo conducendo, ho comunque voluto definire un’area di prevalente interesse strategico, ovvero quel Mediterraneo Allargato nel quale operare necessariamente e imprescindibilmente con dispositivi multi dominio e con un approccio inter – dicastero, al fine di acquisire, mantenere e consolidare quel ruolo di potenza regionale che spetta di diritto all’Italia”.[30]
Il Ministro aveva colto l’occasione per riconfermare anche l’impegno nazionale che “vede nella guerra all’Ucraina e nelle conseguenti crisi alimentari ed energetiche, nella recrudescenza della instabilità in Libia, nei colpi di Stato in Mali e in Burkina Faso, solo alcuni dei più recenti fenomeni destabilizzanti che rischiano di compromettere gli equilibri regionali e mondiale.”[31]
Il Mediterraneo allargato è diventato dunque il fulcro della politica estera e di sicurezza nazionale, tanto che il 16 luglio u.s., a conclusione di un’intensa attività diplomatica con la Tunisia, è stato siglato di Memorandum d’Intesa tra quel Paese e l’Unione europea. L’accordo ha l’obiettivo di ridurre la migrazione irregolare verso l’Italia e gli altri Stati membri, nonché di favorire lo sviluppo e la stabilizzazione macro-economica della Tunisia offrendo varie opportunità che vanno dalla transizione verde a quella digitale.[32]
Con analoghe finalità, il 23 luglio scorso, è stata organizzata la “Conferenza su Sviluppo e Migrazioni” che potrebbe rappresentare un punto di svolta nelle relazioni internazionali per affrontare con politiche integrate degli esteri, della difesa, dell’intelligence, la cooperazione con i paesi di provenienza dei migranti. La conferenza, al di là di ogni giudizio politico sul reale successo, ha comunque consentito di portare nuovamente, anche per il grande numero di leaders partecipanti,[33] l’attenzione della comunità internazionale sul Mediterraneo allargato e, più in particolare sull’Africa, mentre dall’inizio dalla guerra in Ucraina, è prevalentemente concentrata più sulle emergenze sull’area ad Est che su quella a Sud dell’Europa. Inoltre, rappresenta una “rinnovata” presa di coscienza internazionale nell’approccio alla complessa problematica dell’immigrazione. Restano tuttavia sul tavolo i quesiti concernenti il modo in cui dovranno essere reperite, gestite e poi spese le ingentissime risorse finanziarie necessarie per il condiviso ed ambizioso “Processo di Roma” che “si fonda sull’idea comune che sia necessaria una risposta decisa, coerente e globale per sostenere la stabilità politica e promuovere lo sviluppo sociale ed economico, affrontando le cause profonde degli sfollamenti forzati, contribuendo in modo significativo a promuovere la migrazione legale, a prevenire e affrontare la migrazione irregolare e la tratta di esseri umani in tutta la regione mediterranea, il Medio Oriente e l’Africa”, guidati dai seguenti principi: rispetto della sovranità nazionale, compreso il rispetto del diritto interno; responsabilità condivisa; solidarietà; partenariato tra pari; sicurezza e dignità dei migranti e pieno rispetto del diritto internazionale, compresi i diritti umani, il diritto umanitario e quello dei rifugiati”.[34]
Infine, non si può non citare la preannunciata presentazione del “Piano Mattei per l’Africa” al prossimo “Forum Italia-Africa”, un summit intergovernativo che avrà luogo il prossimo ottobre.
Secondo alcune indicazioni, il piano che è ancora in fase di definizione, dovrebbe essere incentrato su due pilastri: “fare dell’Italia l’hub europeo per l’importazione di energia attraverso il Mediterraneo, e lanciare una strategia di sostegno alla crescita e allo sviluppo sostenibile di alcune regioni del continente africano, anche con l’obiettivo dichiarato di ridurre l’arrivo di migranti in Italia.”[35]
Pertanto, si parla di un nuovo strumento sia per la cooperazione allo sviluppo che per la politica estera e di sicurezza dell’Italia in Africa che devono necessariamente procedere nella stessa direzione, nonostante abbiano obiettivi che richiedono strumenti distinti. Il punto di caduta comune sarà la capacità di intercettare e mettere al centro del progetto le concrete richieste per favorire lo sviluppo dei paesi partner africani. Quindi, sarà necessario, dopo vari fallimenti, riuscire a costruire rapporti di vera fiducia con le società e le leadership di quei Paesi, coinvolgendo anche i maggiori partner Europei dell’Italia
5. Conclusioni
Il Bacino del Mediterraneo allargato, come visto, è una regione di grande importanza strategica ed economica, motivo per cui le potenze mondiali vi sono profondamente coinvolte. Le loro motivazioni includono il controllo delle rotte marittime, l’accesso alle risorse energetiche, la sicurezza, l’influenza regionale e la soluzione dei conflitti. Le potenze globali e regionali cercano di svolgere un ruolo di mediatore e/o di facilitatore nella risoluzione di questi conflitti, poiché la stabilità dell’area è fondamentale per la stabilità globale e continuerà ad essere un elemento chiave nella geopolitica globale nei prossimi anni.
Il conflitto ucraino ha ancor più accentuato questa importanza perché, se da un lato il Mar Nero ne è il teatro marittimo principale, questo, in quanto bacino chiuso, ha rilievo, nella sua dimensione marittima, solo in virtù degli stretti turchi che lo connettono al Mediterraneo; dall’altro il Mediterraneo è divenuto – come già durante la guerra fredda – il luogo delle schermaglie tra la Russia, che ha rinforzato sensibilmente il suo dispositivo navale, e la NATO.
Inoltre, il fu mare nostrum ha purtroppo il persistente ruolo di luttuosa frontiera tra l’Europa mediterranea, propaggine meridionale del mondo ricco e gli incerti territori nordafricani e di interconnettere il Pacifico con l’Atlantico, l’Asia con l’Occidente.
Per l’Italia questa sfida è ancora più importante, poiché gli interessi commerciali transitano dapprima per il Canale di Sicilia, poi per quello Suez in direzione Golfo di Aden, Bab el Mandeb e il Mar Rosso fino a raggiungere le coste della Penisola arabica; inoltre, lo Stretto di Sicilia, da anni, è il luogo più utilizzato per il passaggio delle rotte per il traffico di essere umani.
Per questo motivo, l’Italia ha messo in atto un’iniziativa molto forte, oltre che nei Balcani, per proporsi come il fulcro di un nuovo sistema mediterraneo e quale nazione cardine per la connessione tra Mediterraneo e l’Indo pacifico, conservando i suoi tradizionali legami con l’Alleanza atlantica. In questo quadro “Il Piano Mattei” potrà portare un valore aggiunto se l’Italia, oltre alle iniziative bilaterali, riuscirà a guidare un processo multilaterale offrendo competenze tecniche, risorse finanziarie e politiche.
In questa ottica occorre mettere in campo altre iniziative per il controllo dei flussi migratori che oramai non possono essere più considerate un’“emergenza”, bensì una realtà consolidata con cui i Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo, e poi tutta l’Unione, si devono necessariamente confrontare superando definitivamente il “Regolamento di Dublino III” del 2013 che prendeva in considerazione un mondo che oramai non esiste più. Sfida accolta ma non ancora risolta nè con il rafforzamento dell’”Agenzia FRONTEX”, né così come sembra, con l’istituzione dell’”Agenzia dell’Unione europea per l’Asilo (EUAA)”.[36]
La lotta al terrorismo rappresenta un’altra sfida cruciale per la politica nazionale nel Mediterraneo allargato. L’Italia è ben consapevole delle minacce terroristiche presenti nella regione e deve continuare a lavorare in stretta collaborazione con i suoi alleati per contrastarla. Questo coinvolge la condivisione di informazioni di intelligence, la cooperazione in materia di sicurezza e il monitoraggio delle attività sospette.
Infine, la sicurezza energetica è una ulteriore preoccupazione di grande attualità per una nazione per la quale molte delle risorse necessarie per il suo fabbisogno transitano nel Mediterraneo allargato. Motivo per cui l’Italia sta cercando di diversificare le sue fonti, investendo anche in progetti infrastrutturali per garantire un acquisire un più stabile e sicuro approvvigionamento non più prevalentemente dipendente dalla Federazione Russa.
In conclusione, la posizione geografica dell’Italia la rende un attore chiave per la promozione della stabilità e della sicurezza nel Mediterraneo allargato della quale deve essere sempre più protagonista mediante la cooperazione internazionale, la diplomazia multilaterale e al, contempo, al rafforzamento delle capacità nazionali avendo la piena consapevolezza della complessità della regione e della necessità di affrontare le sfide di sicurezza in modo coordinato e con soluzioni di lungo periodo.
[1] Si veda, B20: ‘Shipping e commercio sfida per ripresa post-Covid’, in ANSA, 16 giugno 2021, https://www.ansa.it/mare/notizie/portielogistica/news/2021/06/15/b20-shipping-e-commercio-sfida-per-ripresa-post-covid_9f4b27f9-3e9c-42c3-97d6-de72aff84894.html
[2] Si veda Jean C., Geopolitica del mondo contemporaneo, Laterza, 2012, Cap. IX “Mediterraneo e Medio Oriente”, § 2 “Dal Mare nostrum al Mare Clausum”.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] La data d’inizio è il 2001, conseguente agli attacchi alle Torri gemelle di New York del 11 settembre.
[6] Si veda il “Libro Bianco 2002” edito dal Ministero della Difesa, pag. 11, in https://files.studiperlapace.it/spp_zfiles/docs/20060816165432.pdf “Oggi coincide con l’area in cui le Forze Armate italiane nel loro complesso sono chiamate ad operare”.
[7] Si veda anche Caffio F., Glossario di diritto del mare diritto e geopolitica degli spazi marittimi, edito da Rivista Marittima, Roma, 2016, pag. 107.
[8] Si veda, La Belt And Road Initiative avvicina Pechino all’Europa, in https://www.esteri.it/mae/resource/pubblicazioni/2018/06/newsletter_n3_aprile_2018_new.pdf
[9] Si veda, ad esempio, BRI: per l’Italia, una matassa cinese da sbrogliare, in ISPI, 11 maggio 2023, in https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/bri-per-litalia-una-matassa-cinese-da-sbrogliare-128506
[10] Si veda anche Tajani in Cina: “Positivo il bilancio della missione, nuove opportunità per le nostre imprese”, in AGI, 4 settembre 2023, in https://www.agi.it/estero/news/2023-09-04/cina-missione-tajani-via-seta-imprese-missione-22890320/
[11] A sostegno di tale candidatura, il Principe ha lanciato la diffusione a livello internazionale del calcio della Saudi Professional League, a suon di acquisti – con stipendi faraonici – di numerosi calciatori tra i migliori al mondo e, quale allenatore della nazionale saudita, dell’ex CT dell’Italia Roberto Mancini.
[12] Si veda Rampini F., Perché sta rinascendo un «impero arabo» (con cui dovremo fare i conti), in Corriere della Sera, 23 agosto 2023, in https://www.corriere.it/oriente-occidente-federico-rampini/23_agosto_20/impero-arabo-25d2b992-3f5a-11ee-96ba9892496e1c04.shtml?utm_source=piano&utm_medium=email&utm_campaign=16338&pnespid=t_lpFX4baLlK0_bfojm_HYKdtgyiDoF7Ivmyz_xv9EFmN85hGoVYq082yXzvgy5qOgcZC8K_
[13] Si veda https://european-union.europa.eu/institutions-law-budget/institutions-and-bodies/search-all-eu-institutions-and-bodies/european-external-action-service-eeas_it
[14] Le “Primavere arabe del 2011” avevano suscitato le speranze di possibili mutamenti nelle società arabe che si affacciano sul Mediterraneo con conseguenti riforme della giustizia e concessioni di maggiori diritti ed equità sociali. ma che si sono poi rilevate foriere di forti instabilità dell’area.
[15] Il 17 febbraio furono inscenate manifestazioni nelle piazze di numerose città del Paese favorendo rivolte ed evasioni dalle carceri dai penitenziari di Tripoli e Bengasi.
[16] Si veda, Palma L., La caduta di Gheddafi e la frantumazione della Libia, in ISPI, 18 giugno 2021, in https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-caduta-di-gheddafi-e-la-frantumazione-della-libia-30903
[17] Ibidem.
[18] Si veda https://www.nato.int/cps/en/natolive/71679.htm . L’operazione aveva tre principali ambiti d’azione: il controllo dell’embargo militare, la no-fly zone e le azioni per proteggere i civili da attacchi o da minacce di attacchi.
[19] Si veda Sanfelice di Monteforte F., Scenari di guerra ibrida nel Mediterraneo allargato, in Quadarella Sanfelice di Monteforte L. (a cura), Mediterranean Insecurity – vol. 2 – raccolta articoli 2019-2020, Roma, 2022, e in https://www.mediterraneaninsecurity.it/scenari-di-guerra-ibrida-nel-mediterraneo-allargato-amm-sq-ferdinando-sanfelice-di-monteforte/
[20] Ibidem
[21] Si veda anche Ronzo S., Un altro aspetto della guerra in Ucraina: quale sarà la destinazione finale delle armi occidentali? Cadranno nelle mani di gruppi terroristici e/o criminali?, in Mediterranean Insecurity, Aprile 2023, in https://www.mediterraneaninsecurity.it/un-altro-aspetto-della-guerra-in-ucraina-quale-sara-la-destinazione-finale-delle-armi-occidentali-cadranno-nelle-mani-di-gruppi-terroristici-e-o-criminali-salvatore-ronzo/
[22] Si veda https://www.unhcr.org/it/notizie-storie/notizie/le-persone-nel-mondo-costrette-a-fuggire-da-guerre-e-persecuzioni-raggiungono-la-cifra-record-di-110-milioni/
[23] Si veda Carbonelli M., Todaro C. e Iavarone V., La protezione antiterrorismo degli asset industriali strategici: analisi degli eventi storici e mitigazione dei rischi, 2023, in https://www.cisint.org/cms/wp-content/uploads/ossisna_17_la_protezione_antiterrorismo_degli_asset_industriali_strategici_2023.pdf
[24] Si veda Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Da dove viene la minaccia? La nuova dimensione del counter terrorism, in Quadarella Sanfelice di Monteforte L. (a cura), Mediterranean Insecurity Vol.4 – Raccolta articoli 2022, Roma, 2023, pag. 157, o in https://www.mediterraneaninsecurity.it/da-dove-viene-la-minaccia-la-nuova-dimensione-del-counter-terrorism-laura-quadarella-sanfelice-di-monteforte/
[25] Ibidem
[26] Ibidem
[27] Si veda Jean C., A chi serve la Sicilia, in “L’Italia al fronte del caos”, in LIMES n. 2/2021, in https://www.limesonline.com/cartaceo/a-chi-serve-la-sicilia
[28] Si veda https://www.nato.int/cps/ic/natohq/topics_50091.htm . Consiglio permanente incentrato sui temi della sicurezza politico – militare e della cooperazione tra NATO e Federazione Russa.”
[29] Si veda Del Monte F., Appunti di geopolitica italiana: dal Neoatlantismo al Mediterraneo allargato. Il “Fronte Sud” della guerra in Ucraina, in Geopolitica.info, 07/09/2022, in https://www.geopolitica.info/neoatlantismo-mediterraneo-allargato-fronte-sud-guerra
[30] Si veda https://www.difesa.it/Primo_Piano/Pagine/Missioni-internazionali-comunicazioni-del-Ministro-Guerini.aspx
[31] Ibidem
[32] Si vedahttps://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_23_3887 https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_23_3887
[33]Si veda https://www.governo.it/it/articolo/al-la-conferenza-internazionale-su-sviluppo-e-migrazioni-impegni-e-soluzioni-condivise-il “Presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, i leader di quasi tutti gli Stati della sponda Sud del Mediterraneo allargato, del Medio Oriente e del Golfo, gli Stati Ue di primo approdo e alcuni partner del Sahel e del Corno d’Africa, i vertici delle Istituzioni europee e delle Istituzioni finanziarie internazionali, per affrontare le emergenze e lanciare una strategia di sviluppo condivisa.”
[34] Si veda https://www.governo.it/sites/governo.it/files/Conclusioni_20230723_IT.pdf
[35] Si veda anche Marengo U., Il Piano Mattei e la sfida per l’Africa tra sviluppo economico ed energetico, in Aspenia Online, 31/08/2023, in https://aspeniaonline.it/il-piano-mattei-e-la-sfida-per-lafrica-tra-sviluppo-economico-ed-energetico/
[36] Si veda https://european-union.europa.eu/institutions-law-budget/institutions-and-bodies/search-all-eu-institutions-and-bodies/european-union-agency-asylum-euaa_it: “EUAA è un’agenzia decentrata dell’UE che fornisce sostegno operativo e tecnico e formazione alle autorità nazionali dei paesi dell’UE, aiutandoli ad attuare il diritto dell’UE in materia di asilo e a favorire una maggiore convergenza nelle procedure di asilo e nelle condizioni di accoglienza.” Con sede in La Valletta è stata istituita con “Regolamento (UE) 2021/2303 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 dicembre 2021 relativo all’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo e che abroga il regolamento (UE) n. 439/2010.”