scarica il file in pdf – la rinascita di al qaeda- agosto 2021- LQSdM
Il ritorno dei talebani al potere in Afghanistan farà rinascere Al Qaeda? In realtà il gruppo non è mai stato sconfitto
AQ e i suoi venti anni di resilienza
Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte[1]
Davanti alle immagini dei talebani che entrano (indisturbati) a Kabul, portando a termine la loro rapidissima riconquista dell’Afghanistan, da più parti si sente parlare di un rischio di ritorno di Al Qaeda, loro storico alleato. Ma una cosa va detta, e va detta subito in modo chiaro, senza giri di parole: Al Qaeda non era morta! Al Qaeda non è mai scomparsa né dall’Afghanistan (ove anche recentissimi report delle Nazioni Unite ne attestano la presenza in quasi tutti i distretti), né altrove! Al Qaeda non è mai stata veramente colpita a morte, né dalle coalizioni internazionali, né dall’ascesa di gruppi jihadisti rivali!
Al Qaeda è sempre stata lì, senza mai discostarsi dai suoi ideali e dalla sua strategia a lungo termine, ha semplicemente operato con pazienza e lungimiranza, spesso pensando più al nemico vicino che a quello lontano. Al Qaeda ha per anni agito senza dimenarsi eccessivamente mentre l’Islamic State acquisiva forza, uomini e gruppi a lui fedeli in tutto il mondo, e senza eclatanti attacchi in Occidente, né per rispondere alle vittorie militari delle coalizioni Occidentali né allo stillicidio di attacchi promossi dalla campagna mediatica del gruppo rivale.
Dopo una iniziale reazione dinanzi alle risposte militari seguite agli attacchi dell’11 settembre, il gruppo fondato da bin Laden ha atteso, applicando il famoso detto talebano “gli occidentali hanno gli orologi, mentre noi abbiamo il tempo”, senza essere apparentemente più tanto pericoloso per l’Occidente.
Ma Al Qaeda non si è dimenticata di noi, la sua strategia e i suoi obiettivi non sono mai cambiati e sono chiari, ma sono a lungo, lunghissimo termine: non ha alcuna fretta ed è convinta di poter acquisire la vittoria finale e raggiungere, quando sarà giunto il momento, il suo obiettivo ultimo, la ricostituzione di quel Califfato che di fatto manca dalla fine della Prima Guerra Mondiale.
Al Qaeda si rafforzerà dopo la proclamazione di un Emirato Islamico in Afghanistan? Sicuramente sì! Ma si stava già rafforzando da tempo.
Merito dei talebani? Assolutamente no! Merito della sua leadership e della sua resilienza!
Prendiamo in considerazione gli ultimi venti anni, perché non possiamo esaminare la situazione senza pensare alla c.d. “guerra al terrore”, alla risposta militare statunitense (e non solo) agli attacchi dell’11 settembre.
Al Qaeda negli ultimi venti anni ha resistito a tanti colpi, superandoli tutti: dalla caduta dei talebani alla morte del suo fondatore, dalla nascita dell’Islamic State alla competizione con esso, dalla perdita in favore del Califfato di Al Baghdadi di numerosi gruppi che ruotavano nel suo ambito all’uccisione di quasi tutti i leader dei suoi gruppi affiliati.
Al Qaeda ha resistito e superato ogni prova, da tempo si sta rafforzando in varie aree di continenti diversi, e il ritorno al potere dei talebani non è che l’ultimo tassello di un processo che viene da lontano: si tratta di un processo in cui la pazienza del gruppo guidato dal vecchio e saggio dottor Al Zawahiri ha dimostrato come la strategia del suo gruppo sia vincente su quanti in Occidente o nella stessa galassia jihadista hanno cercato di raggiungere risultati militari con troppa fretta, portando a casa vittorie veloci quanto effimere e temporanee.
Ripercorriamo questi ultimi venti anni.
Il primo colpo che il gruppo fondato da bin Laden ha dovuto assorbire è stato la perdita del controllo territoriale del suo alleato in Afghanistan, che non dava solo un rifugio sicuro alla sua leadership ma costituiva quasi una patria per i jihadisti. Questi però, come sappiamo, non hanno bisogno di una patria nel senso che noi intendiamo poiché il loro concetto di Califfato è proprio il contrario dello Stato westfaliano in cui noi occidentali crediamo e su cui l’attuale Comunità internazionale si basa: amministrare il potere statale entro confini delimitati è qualcosa proprio della cultura occidentale non di quella islamica, che crede in un potere civile e religioso (indivisibile) su tutta la Comunità di fedeli (Ummah) senza limiti territoriali.
Un altro duro colpo, quasi contemporaneo al primo, è stato quello derivante in tutto il mondo dalla lotta senza quartiere nei confronti dei suoi seguaci. Ad una lotta militare se ne è affiancata una, da parte dell’intera Comunità internazionale, verso ogni persona fisica e ogni ente che avesse anche il più flebile legame con Al Qaeda e il jihadismo in generale.
Poi, come non ricordare, dieci anni fa, l’uccisione di Osama bin Laden ad Abbottabad, nel maggio 2011, con una successione al vertice del gruppo da parte di Al Zawahiri che per quanto scontata non avvenne in tempi rapidissimi. Avrebbe potuto significare la fine, la disgregazione di Al Qaeda. Così non è stato, anzi. Spostando sempre più l’attenzione verso il nemico vicino e concentrandosi sui problemi locali, il dottore egiziano è riuscito a mantenere il gruppo più unito che mai, trasformandolo in un network. La struttura monolitica di un tempo è mutata: Al Qaeda ha assunto una forma a cerchi concentrici, ove il nucleo centrale resta l’organizzazione con sede tra Afghanistan e Pakistan (Al Qaeda Core), ma accanto al quale si trovano l’anello dei gruppi ufficialmente affiliati, come “Al Qaeda nella Penisola Arabica” (AQAP) e “Al Qaeda nel Maghreb Islamico” (AQMI), e più esternamente l’anello dei gruppi jihadisti che si rifanno semplicemente alla sua ideologia ed ai suoi metodi. La leadership è saldamente nelle mani dei vertici centrali, con al comando ancora il vecchio e malato Al Zawahiri (coadiuvato da una Shura della quale fanno parte anche alcuni dei leader delle sue organizzazioni affiliate).
Non tutti i gruppi sono però rimasti fedeli ad Al Zawahiri. Ecco che nell’aprile 2013 Al Baghdadi, il leader di quella violenta branca irachena che già da anni non seguiva alcune sue indicazioni, si svincola definitivamente dal gruppo dichiarando, in aperto contrasto con Al Zawahiri, l’annessione dell’allora branca siriana Al Nusra. A ciò sono seguite una imponente avanzata territoriale, che ha visto l’esercito iracheno sciogliersi al sole quasi con la stessa velocità di quello afghano in queste ultime settimane dinanzi ai talebani, e quindi, nel giugno 2014, la proclamazione del Califfato dalla Moschea di Mosul, con Al Baghdadi che si è autoproclamato Califfo.
Ma Al Qaeda ha superato brillantemente anche questa prova, così come gli anni seguenti, in cui l’Islamic State sembrava prevalere su di essa su tutti i fronti, compresa la “campagna acquisti” da esso iniziata e volta all’acquisizione di nuovi gruppi fedeli al Califfato e nuovi giovani seguaci disposti a decine di migliaia a partire da tutto il mondo per andare a costruire il Califfato o pronti ad attaccare nel Paese in cui vivono con attacchi del “terrorismo fai da te”. Mentre il gruppo siro-iracheno per divenire globale è diventato il campione dell’accettazione immediata accogliendo il giuramento di fedeltà da parte di qualsivoglia gruppo, nominalmente trasformato in nuova Provincia (Wilayah), e rivendicando le azioni di ogni attentatore “rispondesse” alla sua “chiamata” all’azione, il gruppo di Al Zawahiri è rimasto ancora una volta fedele a se stesso: pochi grandi gruppi ufficialmente affiliati che accettano in pieno la strategia globale, affiancando quella locale sempre nel rispetto della leadership centrale; pochi e mirati attacchi di terrorismo “fai da te” condotti da attentatori che si uniscono al termine di un lungo processo in cui l’indottrinamento religioso gioca una parte fondamentale.
Tornando alle prove che Al Qaeda ha dovuto affrontare, come non parlare, infine, delle tantissime perdite che la sua leadership ha subito negli ultimi anni. Quasi tutti i leader dei gruppi affiliati sono stati uccisi e lo stesso vale per il figlio prediletto di bin Laden, che rappresentava da anni il suo erede naturale e su cui tanto la propaganda aveva puntato. Sono stati uccisi gli storici leader di Al Qaeda nella Penisola Arabica e di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, ma i due gruppi hanno continuato ad operare come prima e l’organizzazione centrale è ancora lì, come se la cosa non l’avesse minimamente colpita, malgrado in molti parlino della morte (poco probabile perché sarebbe stata annunciata) o di una grave malattia (molto più verosimile) addirittura dello stesso Al Zawahiri, che da tempo non si vede in filmati nuovi.
Parlando di video jihadisti, alcuni giorni fa, e precisamente il 10 agosto, è stato diffuso un nuovo filmato ufficiale della leadership di AQMI, in cui Iyad Ag Ghali (capo di Jamaat Nusrat al Islam wa al Muslimin – JNIM) ha esultato per l’annuncio francese di fine giugno di porre fine all’operazione Barkhane e di ridurre le truppe nel Sahel, elogiando i successi jihadisti in Mali e invitando tutti i gruppi e movimenti jihadisti e nazionalisti a mettere da parte le differenze etnico-tribali per unirsi sotto la Sharia. Egli, inoltre, allontanandosi dall’area Sahelo-sahaliana di sua competenza, dove ormai da anni il gruppo acquisisce sì importanza ma deve fronteggiare la possente avanzata degli uomini dell’Islamic State (sempre più forte con l’Islamic State West Province), si è congratulato con i talebani per il ritiro statunitense e ha invitato in ogni parte del mondo “soldati invisibili” a difendere con le loro azioni il Profeta (tra i Paesi citati come nemici, oltre alla Francia, anche Russia e Israele). Con riguardo al ritiro delle truppe americane e ai Talebani, il cui successo è stato salutato il 18 agosto anche da un comunicato di due pagine di AQAP, Ag Ghali ha parlato di “coronamento di due decenni di pazienza”.
E infatti, dopo esattamente due decenni dall’11 settembre, oggi i talebani riprendono il potere in Afghanistan. L’Emirato Islamico è stato nuovamente proclamato: è una vittoria per estremisti islamici e jihadisti di tutti il mondo, ma soprattutto per Al Qaeda. La storica alleanza con i talebani non è stata messa in discussione dagli accordi di Doha con gli Stati Uniti, ancorché essi contengano espresse prese di distanza: essa è ancora solida e il controllo talebano in Afghanistan gioverà molto al gruppo di Al Zawahiri. Va notato che Al Qaeda sul web già si sta congratulando, anche se non ancora Al Qaeda Core in via ufficiale (probabilmente per non mettere a repentaglio gli accordi di pace firmati dai talebani), mentre gli uomini dell’Islamic State continuano al contrario a stare profondamente in silenzio, dopo averli per lungo tempo contrastati militarmente e screditati nei comunicati (proprio per via dei loro accordi con gli americani, che li renderebbero solo un gruppo nazionalista e per di più apostata). “Al Qaeda nella Penisola Arabica” il 18 agosto nel congratularsi per la “storica vittoria” ha auspicato che i talebani instaurino la Sharia e preannunciato più ampi trionfi per il jihad e una nuova era di dominio dell’Islam, mentre il “gioco della democrazia” si sarebbe rivelato un “miraggio”. Al di là di quello che si sta già registrando sul piano della propaganda jihadista, torneranno probabilmente in Afghanistan alcuni dei componenti della Shura di Al Qaeda Core, nascosti ora a quanto sembra in Pakistan e Iran, e sicuramente un territorio in cui muoversi liberamente rappresenterà una boccata d’ossigeno per l’intera organizzazione, oltre che uno splendido biglietto da visita per visibilità e pubblicità.
Quanto alle immediate conseguenze per la popolazione locale, ricordiamo che i talebani, che in questi anni sono solo in parte cambiati, dimostrandosi nell’ultimo anno anche attivi nell’aiutare le popolazioni dinanzi alla crisi sanitaria e economica che ha profondamente colpito il Paese a causa della Pandemia di COVID-19, credono forse nella più rigida e brutale interpretazione della Sharia che si ricordi da secoli a questa parte. Essi però stanno in questi primissimi giorni cercando di operare in modo da farsi accettare anche da quella parte di popolazione che li teme e li odia, innanzitutto spazzando via ogni forma di quella corruzione che aveva caratterizzato l’amministrazione di ogni settore della cosa pubblica in questi ultimi due decenni, ma anche facendosi vedere efficienti nella fornitura dei servizi. Si sta verificando, potremmo dire, una situazione analoga a quella che è stata registrata in numerose città dopo l’arrivo nel 2014 degli uomini di Al Baghdadi, ove una parte della popolazione inizialmente fuggita tornò sentendo parlare di come dopo anni (anche in quel caso dal cambio di regime seguito all’arrivo delle truppe statunitensi) non fossero più la corruzione e leggi ad personam a governare tutto, ma la Sharia, che in quanto divina è giusta per definizione. Rovescio della medaglia, e se ne accorsero nel giro di qualche mese, la rigidità estrema dell’interpretazione della Legge Islamica e la brutalità con la quale venivano applicate le punizioni per ogni minima violazione. E se ciò è avvenuto per l’Islamic State non possiamo immaginare cosa si verificherà se i talebani dovessero comportarsi come fecero negli anni a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio, allorquando ad esempio la condizione femminile venne riportata al periodo più buio che la storia dell’umanità possa ricordare (mentre gli uomini di Al Baghdadi pur mortificando in ogni modo il corpo della donna in pubblico, permisero alle ragazze di studiare, seppur in classi separate, e alle signore di lavorare quasi come prima del loro arrivo).
A livello globale, crescerà nuovamente il pericolo rappresentato da Al Qaeda, che farà di tutto per far sì che un giorno i tempi diventino finalmente maturi per la proclamazione del Califfato, senza fretta e senza commettere gli errori di Al Baghdadi. Attaccherà nuovamente l’Occidente? Sì, se dovesse ritenerlo necessario e non controproducente.
[1] Le opinioni espresse si riferiscono all’Autrice, e non corrispondono necessariamente alla posizione dell’Amministrazione di appartenenza.