Scarica PDF – terrorismo marittimo-febbraio 2018
IL RITORNO DEL TERRORISMO MARITTIMO:
una minaccia per il commercio nel Mediterraneo
Amm. Sq. Ferdinando SANFELICE di MONTEFORTE
FEBBRAIO 2018
Mentre l’attenzione mondiale è concentrata sulla guerra in Siria, dove i vari attori sembrano intenti a condurre una guerra di “tutti contro tutti”, poche notizie si leggono su quanto avviene più a sud. Nel Sinai, anzitutto, dove operano gruppi armati autonomi capaci di condurre anche attacchi contro unità navali, come avvenuto il 16 luglio 2015 contro una fregata e un pattugliatore egiziani.
Ma ancora più scarse sono le informazioni dei media sui gravissimi pericoli per la sicurezza dei traffici marittimi che si stanno manifestando all’imbocco del Mar Rosso, nel Golfo di Aden e nello Stretto di Bab-el-Mandeb.
Nello scorso gennaio, infatti, il BIMCO (Baltic and International Maritime Council), l’associazione internazionale degli armatori che si occupa anche di contrasto alla pirateria, ha emanato un documento, nel quale si attira l’attenzione dei comandanti di mercantili in transito attraverso il Golfo di Aden e il Mar Rosso su una nuova e gravissima minaccia contro la sicurezza della navigazione.
Questo documento, intitolato “Interim Guidance on Maritime Security in the Southern Red Sea and Bab-el-Mandeb”, si prefigge di integrare i manuali pubblicati dal Maritime Security Center Horn of Africa (MSCHOA), e in particolare l’ultima versione delle “Best Management Practices for the Protection against Somalia Based Piracy-BMP” – la BMP 4 – nel quale vengono indicate le misure difensive ritenute più idonee per proteggere i mercantili dagli attacchi dei pirati.
Il BIMCO, in realtà, segnala una serie di incidenti diversi da quelli legati alla pirateria: in effetti, gli attacchi ai mercantili avvenuti di recente, al largo delle coste dello Yemen, destano notevole preoccupazione e, soprattutto, mette in evidenza il profilarsi di una minaccia che da tempo non si vedeva più: il terrorismo marittimo.
Era ora che questa minaccia fosse finalmente pubblicizzata. Il primo attacco contro mercantili si era avuto oltre un anno e mezzo fa, il 25 ottobre 2016, al largo dello Yemen, nei pressi dello Stretto di Bab-el-Mandeb, dove il “Galicia Spirit”, carico di gas naturale liquefatto (LNG),era stato attaccato da un’imbarcazione che portava una quantità significativa di esplosivo, scoppiato a 20 metri circa dalla nave, danneggiandola lievemente. Secondo altre fonti, invece, la nave era stata “colpita da un razzo (Rocket Propelled Grenade – RPG) sparato da un piccolo motoscafo.
Due giorni dopo, una petroliera LNG, la “Melati Satu”, fu attaccata nella stessa area. L’equipaggio di “Melati Satu”, battente bandiera di Tuvalu, inviò una chiamata di soccorso, raccolta da una nave della marina saudita, e fu scortata in salvo”[1].
Più recentemente, il 31 maggio 2017, tre imbarcazioni di pirati, armati con mitra e granate-razzo (RPG) avevano attaccato il mercantile “Muskie”, battente bandiera delle Isole Marshall, 5 miglia a sud-est dall’isola di Perim, sempre nello stesso Stretto. Tre granate avevano colpito la plancia del mercantile, ma il team di sicurezza presente a bordo, sparando colpi in aria, era riuscito a far battere in ritirata gli assalitori. Infine, il 6 gennaio scorso, più a nord dello Stretto, nei pressi del porto di Hodeida, un’imbarcazione telecomandata, carica di esplosivo, ha attaccato una petroliera saudita.
Ciò che ha destato impressione, però, è stata la minaccia, formulata due giorni dopo da un leader del gruppo Ansar Allah, vicino ai ribelli yemeniti Houthi. Questi ha infatti minacciato di attaccare il traffico mercantile nel Mar Rosso, se la coalizione diretta dall’Arabia Saudita minaccerà il porto di Hodeida, l’unico in mano ai ribelli.
Questa dichiarazione, di per sé preoccupante, è stata anche avvalorata dal capo del governo ribelle, Saleh-al-SAMAD, in occasione della visita di una delegazione ONU al suo Quartier Generale. In tale occasione, SAMAD ha affermato, tra l’altro, che “il suo gruppo potrebbe ricorrere a opzioni strategiche, compresa la chiusura del Mar Rosso alla navigazione internazionale”[2].
Questa minaccia, nonché l’incidente del 6 gennaio, indicano che è stata messa in atto una vera e propria offensiva, che comprende l’uso di missili costieri, imbarcazioni equipaggiate da uomini armati pesantemente, e, più di recente, barchini esplosivi telecomandati (UMVBIED)[3], fino ad allora impiegati contro navi da guerra. Infatti, alcuni attacchi erano stati portati, già nel recente passato, contro navi militari con questi mezzi, che secondo alcune fonti risulterebbero utilizzare tecnologia iraniana.
Il primo attacco aveva avuto luogo contro un catamarano già appartenente alla US Navy, lo “HSV-2 Swift”, il 1 ottobre 2016, al largo dello Yemen, da parte di un missile; il mezzo, ceduto anni prima agli Emirati Arabi Uniti, stava attraversando lo Stretto di Bab-el-Mandeb quando fu colpito, e dovette essere rimorchiato in Eritrea per essere salvato.
Successivamente, un altro attacco, ben pubblicizzato sui media, era stato compiuto contro una nave da guerra saudita, la fregata “Al Madinah”[4], il 30 gennaio 2017, provocando danni alla linea di galleggiamento e il ferimento di due marinai; un altro era stato sventato in tempo nelle immediate vicinanze del porto saudita di Jizan, prospiciente le isole Farasan, nel Mar Rosso, in una zona di mare poco a nord del confine con lo Yemen, frequentata da pirati nel XIX secolo.
Non possiamo altresì dimenticare che vi erano già stati in passato due attacchi suicidi, all’epoca rivendicati da “al Qaeda nella Penisola Arabica” (AQAP), nel porto di Aden, contro navi americane: il primo contro la “USS The Sullivans” del gennaio 2000, fallito per il prematuro affondamento in mezzo al porto del barchino, caricato con una quantità eccessiva di esplosivo, e il secondo contro la gemella “USS Cole”, che dieci mesi dopo, il 12 ottobre 2000, causò 17 morti e 39 feriti, mettendo in serio pericolo la galleggiabilità della nave, che dovette essere trasportata in patria mediante una nave mercantile specializzata.
Infine, il 6 ottobre 2002, una petroliera francese, la M/V “Limburg”, fu attaccata da un’altra imbarcazione suicida, sempre ad opera di militanti di AQAP, mentre era all’ancora davanti al porto yemenita di Mukalla; un marinaio morì e altri 12 rimasero feriti, ma la nave, pur danneggiata e con un compartimento in fiamme, non affondò e venne recuperata.
Appare quindi che le fazioni yemenite stiano applicando le tecniche di AQAP, sia per combattere gli avversari della coalizione a guida dell’Arabia Saudita, sia per interferire nel commercio marittimo.
Il terrorismo marittimo, però, non è un fenomeno nuovo. Già molto prima degli attacchi di Aden questa forma di offensiva era stata praticata in più di un’occasione. Risalendo indietro nel tempo, va ricordato il sequestro della nave da crociera “Santa Maria”, battente bandiera portoghese, il 22 gennaio 1961 ad opera di oppositori alla dittatura di SALAZAR.
Ben più noti sono gli episodi di terrorismo marittimo che hanno riguardato la nave-crociera Achille Lauro, sequestrata il 7 ottobre 1985 da un commando palestinese, salito a bordo nel porto di Genova[5], nonché l’analogo attacco contro il vecchio traghetto “Avrasya” (ex M/N “Lazio”) il 16 gennaio 1996, nel porto di Trebisonda, nel Mar Nero, conclusosi questa volta senza vittime.
Il sequestro dell’Achille Lauro, in particolare, allarmò la Comunità internazionale al punto che vennero adottati due nuovi strumenti internazionali, elaborati nel corso di una Conferenza Diplomatica promossa dall’IMO sotto l’egida dell’ONU, ambedue firmati a Roma il 10 marzo 1988. Si tratta della “Convention for the suppression of Unlawful Acts against the Safety of Maritime Navigation”, e del “Protocol for the Suppression of Unlawful Acts against the Safety of Fixed Platforms located on the Continental Shelf”[6]. Entrambi hanno subito “delle modifiche con l’entrata in vigore dei due protocolli di emendamento approvati a Londra il 14 ottobre 2005 in un’apposita Conferenza Diplomatica[7]: tali modifiche consentiranno di poter estendere il campo di applicazione della Convenzione e del Protocollo del 1988, finora limitato alla tutela della safety dei traffici marittimi, anche ai nuovi aspetti relativi alla security della navigazione ed al trasporto di Weapons of Mass Destruction”[8].
Ma, nel frattempo, il terrorismo era passato a mezzi e sistemi ben più letali. Il salto di qualità si ebbe durante la guerra civile nello Sri Lanka, nel periodo tra il 1983 e il 2009. Le “Tigri Tamil”, anche note con la sigla LTTE (Tigri di Liberazione del Tamil Eelam) introdussero “una radicale innovazione, consistente negli attacchi suicidi da parte di un corpo speciale, organizzato da poco e battezzato Black Sea Tigers (le Tigri Nere del mare). Questo nuovo corpo danneggiò gravemente il pattugliatore “Edithara”, il 10 luglio 1990, e affondò un anno dopo, il 4 maggio 1991, il suo gemello “Abitha”, mentre era all’ancora a 6 miglia dalla costa”[9].
Le LTTE, oltre a impiegare imbarcazioni per attacchi suicidi, erano arrivate persino a costruire mini-sommergibili. Infatti, “quando fu conquistata la base principale del LTTE, Mullaitivu, fu scoperto un sito di costruzioni navali che ospitava 4 sommergibili. Il primo, lungo 10,5 metri, è risultato essere blindato, mentre gli altri erano dei mezzi suicidi mossi mediante una pedaliera”[10]. Alla fine, la reazione internazionale convinse i Paesi che sostenevano la ribellione a ritirare il loro appoggio, e il governo dello Sri Lanka, nel 2009, riuscì finalmente a sconfiggere le LTTE.
In tempi più recenti, vi sono stati, in aree lontane dal Mar Rosso, altri “episodi significativi, il primo avvenuto il 14 luglio 2006, nelle acque prospicienti il Libano, quando un missile, lanciato presumibilmente dagli Hezbollah, colpì un’unità israeliana classe Saar 5,danneggiandola gravemente, e il secondo, più recente, più a sud, lungo le coste mediterranee del Sinai, il 16 luglio 2015, in cui un altro missile (asseritamente dell’ISIS) colpì una fregata egiziana, con analoghi effetti”[11], come si è già visto.
A questi attacchi si è aggiunto quello del 27 febbraio 2004, contro un traghetto filippino, il “Super Ferry 14”, con 899 passeggeri, che affondò per l’esplosione di una bomba di 3,6 chilogrammi, posta in un televisore, causando la morte accertata di 63 persone, e quella presunta di altre 53, scomparse e mai ritrovate.
Quanto avviene oggi nei pressi di Bab-el-Mandeb non è, quindi, un fenomeno nuovo. Preoccupa, soprattutto, la minaccia, da parte di Ansar Allah, di attaccare il traffico mercantile del Mar Rosso, che in massima parte trasporta beni tra i porti del Mediterraneo e quelli asiatici. Non dimentichiamo gli effetti perversi di un’eventuale deviazione dei flussi di traffico lontano dal nostro mare, com’era avvenuto già tra il 2005 e il 2008!
In attesa che la Comunità internazionale decida di agire, sia mediante un nuovo aggiornamento del corpus legislativo internazionale (la cui ultima modifica risale, come abbiamo visto, al 2005, dopo il citato episodio del traghetto filippino)[12], sia organizzando missioni ad hoc atte a garantire la sicurezza dei traffici marittimi diretti verso il (o provenienti dal) Mediterraneo, è necessario costruire le capacità essenziali per svolgere tali missioni anti-terrorismo.
Infatti, il problema del contrasto a tali attacchi, portato con mezzi sofisticati e veloci, si pone con particolare urgenza, vista la scomparsa dalle flotte delle motocannoniere, piccole unità sottili, veloci e ben armate, impiegate durante la Guerra Fredda da ambedue i Blocchi. Cinque di queste unità, fornite dalla Germania, nel 2002 furono impiegate per pattugliare lo Stretto di Bab-el-Mandeb durante l’Operazione antiterrorismo “Enduring Freedom”.
Ora, in tutte le Marine, queste unità sono state sostituite da corvette, meno flessibili, quindi poco efficaci e più vulnerabili a questo genere di attacchi, con la conseguente perdita della capacità di pattugliare i passaggi ristretti (Choke Points) in funzione anti-terrorismo.
Naturalmente, i mezzi sono la punta dell’iceberg in ogni operazione, e vanno sostenuti da sistemi di Sorveglianza Marittima, quali quelli che l’UE sta sviluppando e che vedremo tra breve, nonché da organizzazioni in grado di esercitare il loro comando e controllo, sia sul piano operativo, sia su quello tattico.
Ma la minaccia del terrorismo marittimo non riguarda solo i passaggi obbligati lungo le “autostrade del commercio”, perché può essere diretta a tutti i punti vulnerabili del sistema commerciale marittimo. Non bisogna infatti dimenticare che ogni strategia tende a colpire i punti deboli del sistema avversario, e nel nostro caso le vulnerabilità sfruttabili da chi ci vuol male non mancano.
Infatti, il sistema del commercio marittimo internazionale è una filiera (cluster) piuttosto complessa, che comprende le rotte commerciali in alto mare, i passaggi obbligati, inclusi gli Stretti Internazionali e i canali artificiali (come quelli di Suez e di Panama) e i porti maggiori, detti nodi, del traffico containers, dove questi vengono scaricati per il loro successivo invio ai porti minori, cioè ai terminali, mediante navi più piccole.
Il traffico di combustibili, oltre a seguire, in generale, le stesse rotte impiegate dal traffico di merci, utilizza terminali ad hoc, di vari tipi, a seconda si tratti di greggio, di prodotti raffinati o di gas naturale liquefatto (LNG), dove le petroliere si ormeggiano alle banchine o alle boe, per caricare e scaricare. Naturalmente, a monte di tutto vi è il traffico tra le piattaforme petrolifere e i terminali.
Il traffico passeggeri si concentra ormai su due tipi di attività: in primis vi sono le crociere. Le navi adibite a tale attività si ormeggiano all’interno dei porti, di solito utilizzando le vecchie “Stazioni Marittime” usate in passato per i transatlantici, in bella vista davanti alle grandi città portuali. C’è poi, ed è molto intensa, l’attività dei traghetti, caratterizzata da un elevato e spesso caotico imbarco di passeggeri, auto e camion in gran numero, all’interno dei porti adibiti allo svolgimento di tale traffico.
Vitale, infine, il tradizionale traffico di materie prime (cereali, carbone, cemento, minerali), svolto da navi, note come “Bulk Carriers” che trasportano i cosiddetti “Carichi alla rinfusa”. L’ultimo elemento della filiera del commercio marittimo è costituito dai cantieri, che si dividono in cantieri di costruzione, di raddobbo o di demolizione. Sembrerebbe la parte meno esposta, ma non bisogna dimenticare che, il 29 ottobre 1980 la fregata libica “Dat Assawari”,mentre era in corso di ammodernamento presso le Officine Riparazioni Navali di Genova, (dipendente dai Cantieri Navali Riuniti, impresa oggi nota come FINCANTIERI), subì un’esplosione subacquea che la danneggiò gravemente. L’attentato fu rivendicato da un gruppo eversivo sconosciuto, detto “Fronte Nazionalista Maltese”, del quale non si seppe mai nulla.
Va da sé che, nel suo insieme, il commercio marittimo è strategico “per l’economia mondiale, con un trend che seppur in una contingente situazione di crisi mondiale è tuttavia in continua espansione, e quindi la dimensione marittima della sicurezza di un Paese è l’ambito (nel quale si materializzano) i potenziali rischi e le minacce al dominio marittimo dirette alla stabilità economica, politica e sociale di uno Stato moderno e democratico”[13].
In parole povere, la filiera del traffico marittimo, di per sé estremamente vulnerabile proprio perché estremamente sfaccettata, è l’elemento essenziale del nostro benessere e, quindi, un obiettivo oltremodo pagante per chiunque voglia mettere in crisi l’economia di un Paese.
Fino a pochi anni fa, i controlli del traffico marittimo, in nome della “Libertà dei Mari” erano stati pressoché nulli, a differenza di quanto avviene da tempo per il traffico aereo. Dopo l’attentato dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti, fino ad allora restii ad accettare sistemi di controllo al traffico marittimo, istituirono una zona controllata, profonda 1.000 miglia nautiche, intorno al continente nord-americano. Parallelamente, venne iniziato il monitoraggio del traffico mondiale, mediante un sistema, noto come “Maritime Safety and Security Information System (MSSIS)” , che traccia i percorsi seguiti dalle navi mercantili, grazie a un risponditore radio, imposto dalla International Maritime Organization (IMO), noto come “Automatic Identification System (AIS)”.
Anche varie Nazioni, o gruppi di Paesi, hanno impiantato sistemi analoghi, basati alcune volte sullo stesso risponditore, altre su comunicazioni volontarie da parte delle Marine interessate; l’Unione Europea, poi, ha lanciato vari progetti settoriali, tramite le proprie Agenzie Marittime (EMSA, FRONTEX, CFCA) per poi avviare un progetto omnicomprensivo, il “Common Information Sharing Environment” (CISE), il cui sviluppo è in corso.
La sicurezza dei porti, inoltre, è oggetto di particolare attenzione, da parte del Parlamento Europeo e della Commissione, fin dal 2005. Si tratta di un problema di difficile soluzione, dato che la maggioranza dei porti europei si trova a stretto contatto con i centri urbani, e che le molteplici attività che vi si svolgono pongono difficoltà notevoli per ogni controllo accurato. Per questo, numerosi studi sono in corso, per migliorare la sicurezza dei porti contro possibili attacchi terroristici.
Quello che manca ancora è la consapevolezza da parte dell’opinione pubblica internazionale della gravità della minaccia posta dal terrorismo marittimo, nonché la conseguente decisione, da parte degli organismi internazionali (ONU, IMO) di intraprendere le azioni legislative e operative per sventarla.
Infatti, la possibile estensione della minaccia terroristica contro la filiera del commercio marittimo, in mare o nei porti, è un pericolo gravissimo, almeno finché non si riuscirà a disporre di mezzi navali idonei a sventare attacchi in mare, nonché una sorveglianza nei porti atta a parare attacchi contro di essi.
Non bisogna dimenticare che le minacce sono come il fuoco: facile da domare agli inizi, ma ingestibile e foriero di tragedie quando si sviluppa. Il terrorismo marittimo di questi tempi è un prodotto del sanguinoso conflitto yemenita, e questo, come ogni guerra, tende a estendersi, diventando sempre più grave, con la parte più debole che, per sopravvivere, tende a utilizzare ogni mezzo, ricorrendo anche all’attacco contro terzi, colpendo in particolare le loro vulnerabilità, tra le quali primeggia, appunto, il commercio marittimo.
E’ ora, dunque, che la Comunità internazionale prenda atto della pericolosità di questa situazione, dedicando energie e risorse a prevenire, contenere e, se possibile, eliminare ogni minaccia alla sicurezza marittima, che rischia di compromettere il pur limitato benessere di cui godiamo.
[1]A. MUCEDOLA. Nuovi Agguati a Bab-el-Mandeb, una minaccia alla Maritime Security?. 17/02/2018. www.Ocean4future.org
[2] JANE’S DEFENCE WEEKLY, 12 January 2018.
[3]La sigla UMVBIED significa “Unmanned Maritime Vehicle-BorneImprovisedExplosive Device” (Ordigno Esplosivo Improvvisato, portato da un Veicolo Marittimo senza pilota).
[4] USNI News, 20 February 2017.
[5]Per un resoconto completo sul sequestro vds. L. QUADARELLA SANFELICE, Il Nuovo Terrorismo internazionale come Crimine contro l’Umanità. Editoriale Scientifica, 2006, pagg. 37-38.
[6] Convention for the Suppression of Unlawful Acts against the Safety of Maritime Navigation, Rome, 10 March 1988, IMO Doc. Sua/Con/15; International Legal Materials, vol. 27, 668 ss.
Protocol for the Suppression of Unlawful Acts against the Safety of Fixed Platforms located on the Continental Shelf, Rome, 10 March 1988, IMO Doc. Sua/Con/16/Rev.1; International Legal Materials, vol. 27, 685 ss.
[7] Protocol of 2005 to the Convention for the Suppression of Unlawful Acts against the safety of the marittime navigation, London, 14 October 2005, IMO Doc. Leg/Conf./15/21 e Protocol of 2005 to the Protocol for the Suppression of Unlawful Acts against the safety of fixed platforms located on the continental shelf, London, 14 October 2005, IMO Doc. Leg/Conf./15/22.
[8] L. QUADARELLA SANFELICE, Il Nuovo Terrorismo internazionale come Crimine contro l’Umanità. Editoriale Scientifica, 2006, pagg. 64-65.
[9]F. SANFELICE di MONTEFORTE. Guerra e Mare. Ed. Mursia, 2015, pag. 198.
[10] Ibid. pag. 201.
[11] Ibid. pag. 204.
[12] Per un quadro complessivo aggiornato http://www.imo.org/en/About/Conventions/ListOfConventions/Pages/SUA-Treaties.aspx
[13]M. CALIGIURI e A. SBERZE. Il Pericolo viene dal Mare. Ed. Rubbettino, 2017, pag. 20.