scarica il file in pdf – decolonizzazione sahara occidentale- dicembre 2020 – colamedici
LA LUNGA DECOLONIZZAZIONE
DEL SAHARA OCCIDENTALE
Julian Colamedici[1]
Introduzione
Si parlerà di un deserto, ma inizieremo dal mare. Dal Mar Mediterraneo. L’elemento marittimo, infatti, svela spesso una innata validità euristica quando si parla di cose umane[2]. Quantomeno in una preliminare analisi di contesto. Con ciò rifuggendo, sia ben chiaro, facili deterministiche ingenuità. E allora ci voltiamo, lanciando un rapido sguardo alle nostre spalle, verso il Mare nostrum: dalle città-stato fenicie all’Atene di Temistocle, dalla Roma dei Cesari alla Bisanzio imperiale, dallo scramble for Africa alla decolonizzazione, le maggiori forze storiche del pianeta ne hanno solcato le onde. Una centralità millenaria, periodicamente messa in discussione. Validi pretendenti ne hanno reclamato il primato: dapprima l’Atlantico, oggigiorno il Pacifico. Eppure il Mediterraneo, con il suo crogiolo di civiltà, con la sua ricchezza culturale, con la sua vitalità economica sembra restare ancora saldo sul trono. Una simile affermazione può apparire discutibile, è evidente. Soprattutto all’epoca della spettacolare ascesa della Cina ai vertici del potere mondiale, all’epoca del “secolo asiatico”. Ma, a ben vedere, l’Africa nasconde il potenziale per far pendere l’asse del globo più a ovest. Attorno alle sue coste si giocano alcune delle partite più decisive della contemporaneità. Così come nel suo entroterra: crisi locali più o meno internazionalizzate, demografia, sanità, lotta alla povertà, energia, ambiente, sviluppo sostenibile, risorse e, non da ultimo, migrazioni[3]. Chiamiamole col nome dei luoghi, in ordine sparso: Mar Rosso, Somalia, Libia, Mali, Nigeria, Tigray, Sahara occidentale. Per citarne alcune. Russia e Cina hanno già raccolto la sfida[4]. E l’Europa?
Nuove iniziative sembrano avviare il Vecchio continente su percorsi inesplorati, con inedita consapevolezza di sé[5]. Ma non sarà questo l’oggetto del nostro argomentare. Parleremo, altresì, di una delle numerose tendenze storiche che hanno segnato la presente configurazione della relativamente vasta regione mediterranea – da una sponda e dall’altra, sebbene con ruoli ribaltati. Parleremo della decolonizzazione. E ci occuperemo, tra i molti, del caso del Sahara occidentale. Una questione che trova radici nel secolo XIX, un secolo plasmato da liberalismo e principio di nazionalità, ma anche dall’imperialismo coloniale[6]. Forze contrarie ma complementari. Forze che agiscono tutt’ora, declinate secondo il linguaggio corrente. Lo spirito nazionale, in particolare, da fucina di Stati europei si è fatto autodeterminazione. Ovvero: giustificazione legale – e politica – alla lotta contro quegli stessi Stati, diritto in capo ai popoli ad essi soggiogati al tempo delle colonie. Un’idea la cui onda lunga passa per Wilson, si ferma a Versailles e riprende a San Francisco. Dalla Grande Guerra alla Guerra Fredda, popoli, culture e nazioni presero atto della propria unicità, accoppiando identità e politica. Un processo ancora in corso, dagli esiti non sempre ottimali. Un processo lento, discontinuo, contraddittorio. Contraddittorio? Ci spieghiamo meglio: un processo capace di suscitare reazioni contraddittorie. Reazioni più spesso connesse a delicati equilibri internazionali che a coerenti visioni del mondo. Così è stato, e verosimilmente continuerà ad essere, anche per il Sahara occidentale. Ma entriamo nel vivo.
- Una lunga decolonizzazione: le origini della controversia.
Teatro turbolento, la regione del Sahara occidentale è da lungo tempo oggetto di una articolata controversia internazionale. Originariamente dominio spagnolo, la cui influenza risale al Congresso di Berlino del 1884, il Territorio ha visto il proprio processo di decolonizzazione interrompersi bruscamente nel 1975 quando, dopo gli Accordi di Madrid[7], la Spagna di fatto rinunciò alla propria responsabilità su di esso, lasciandone il destino nelle mani di Marocco e Mauritania. Il che, com’era prevedibile, comportò presto l’acuirsi della resistenza del popolo saharawi – già dagli anni ’60 in lotta con le truppe franchiste. Di qui, nel 1973, la fondazione del Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro, più comunemente noto come Fronte Polisario.
Reclamando l’autorità esclusiva a rappresentare il cd. “popolo del deserto”, il Fronte – con il sostegno dell’Algeria – fin da subito si oppose fermamente agli Accordi, negandone tout court la legittimità. Parallelamente al disimpegno spagnolo, inoltre, il movimento diede vita alla Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD), la quale – sebbene sia ad oggi riconosciuta da 82 Stati, detentrice di un seggio da osservatore all’ONU e membro dell’Unione Africana – ha tutt’ora il proprio governo in esilio presso la città algerina di Tindouf, in un campo profughi. Ciononostante, alla partenza delle forze iberiche, Marocco e Mauritania occuparono l’ex colonia. L’escalation militare fu rapida, sfociando in duri scontri con la resistenza[8].
La protratta guerriglia e l’asprezza della regione, tuttavia, portarono la Mauritania a ritirarsi relativamente presto dal conflitto. Già nel 1979, infatti, Rabat rimase l’unico attore esterno ad avere ancora pretese territoriali sull’area contesa – della quale riuscì comunque ad occupare quasi l’80 per cento. Ne nacque una lunga stagione di combattimenti e ostilità con il Fronte Polisario, che continuava a reclamare la propria indivisa sovranità sul Territorio. Una tensione più o meno latente che si protrasse fino al 1991 quando, grazie alla mediazione delle Nazioni Unite e con la garanzia del Consiglio di Sicurezza, venne finalmente accordato un cessate-il-fuoco.
Non solo. Al fine di proteggere il delicato equilibrio raggiunto e, al tempo stesso, garantire il rispetto del diritto internazionale, in tale sede si stabilì che il futuro del Sahara occidentale sarebbe stato rimesso ad una consultazione referendaria, affidando così al suo popolo la libera facoltà di autodeterminarsi. Malgrado ciò, fu presto chiaro che la Comunità internazionale si sarebbe dovuta far carico ancora a lungo del mantenimento della pace tra i contendenti. Almeno finché non si fosse svolto il tanto atteso referendum. Compito senza dubbio non agevole, che con la risoluzione 690 del 29 aprile 1991[9] venne assegnato alla Mission for the Referendum in Western Sahara (MINURSO) – ancor’oggi in attività[10].
- L’autodeterminazione del popolo saharawi. Uno sguardo al diritto internazionale.
Ma su che basi giuridiche si fonda il reclamato referendum? Si rende allora necessario, per rispondere con completezza, fare una breve premessa. Già dal 13 dicembre del 1974 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite richiese una advisory opinion[11] alla Corte Internazionale di Giustizia, ponendo a quest’ultima due quesiti: innanzitutto, se il territorio in questione fosse considerabile res nullius all’epoca della colonizzazione spagnola e poi, in caso di risposta negativa, se il Regno del Marocco e la Mauritania potessero vantare pretese giuridicamente rilevanti su di esso. Inoltre, nel sottoporre la questione alla Corte, l’Assemblea volle richiamare da un lato la risoluzione 1514 (XV) del 14 dicembre 1960[12], contenente la Dichiarazione per la garanzia dell’indipendenza dei Paesi e dei popoli coloniali, e dall’altro riaffermare senza mezzi termini “the right of the population of the Spanish Sahara to self-determination” in accordo con la stessa.
Alla prima questione, la Corte rispose negativamente. Decisione fondata principalmente su due linee argomentative: primo, che il territorio oggetto di controversia, sebbene abitato da popolazioni nomadi in qualche modo soggette al Sultano del Marocco, fosse altresì già organizzato in tribù sufficientemente articolate e rappresentative dei propri appartenenti; secondo, che la Spagna stessa, nel colonizzare il Rio de Oro, procedette non come se stesse occupando terra di nessuno ma attraverso intese con i leader delle tribù locali, al fine di porle sotto la propria “protezione”[13]. Ciò stabilito, i giudici dell’Aia optarono per un esito negativo anche alla seconda richiesta. Pur riconoscendo dei “legami giuridici” con il Territorio sia da parte del Regno del Marocco che dell’entità mauritana, infatti, la Corte affermò che in nessun caso questi sarebbero stati sufficienti a configurare alcun diritto di sovranità territoriale sul Sahara occidentale. Così confermando, in definitiva, la piena applicabilità all’area contesa del principio di autodeterminazione. Un diritto, quest’ultimo, che si sarebbe quindi dovuto manifestare attraverso “la libera e genuina espressione della volontà” del popolo saharawi[14], ovvero (anche) attraverso un referendum.
Un principio dagli effetti dirompenti, quello all’autodeterminazione. Così che, al fine di meglio definire la portata giuridica della vicenda in esame, potrebbe rivelarsi premiante richiamarne brevemente alcuni attributi[15]: da tempo affermatosi nel diritto internazionale generale, almeno dal secondo dopoguerra, oramai prassi e dottrina sembrano convergere pacificamente anche sulla sua cogenza[16]. In altre parole, sulla sua non derogabilità. Una norma dunque tanto rilevante da essere annoverata, da alcuni interpreti, tra i “principi essenziali del diritto internazionale contemporaneo”[17]. Principio poi, a sua volta, progressivamente declinato in due distinte ma complementari accezioni: la facoltà di decidere del proprio destino senza subire interferenze esterne, da un lato, e quella di poter sfruttare liberamente le risorse naturali presenti sul suolo patrio, dall’altro.
Quest’ultimo aspetto, in particolare, ha suscitato non poche difficoltà applicative – particolarmente evidenti nel caso di specie. Il territorio, pur desertico, del Sahara occidentale è infatti ricco di fosfati (in particolare nel nord-ovest) e le sue coste si affacciano su una distesa marittima particolarmente pescosa. Di qui, l’interesse del Marocco al controllo dello spazio conteso. Tanto da cingerlo con più di 2.700 km di muro, lasciando soltanto la parte più a est – meno ricca e sviluppata – all’amministrazione saharawi.
Eppure, le complessità sono ulteriori. La disponibilità materiale di queste risorse, infatti, non ne legittima automaticamente la fruibilità economica alla luce del diritto internazionale. Basti citare la sentenza C-266/16 del 27 febbraio 2018[18], con cui la Corte di giustizia dell’Unione Europea ritenne l’inclusione del Sahara occidentale e delle acque adiacenti nell’Accordo di pesca UE-Marocco contraria al principio di autodeterminazione e, dunque, illegittima. Ciò in quanto avrebbe violato “uno dei più importanti corollari del diritto di autodeterminazione, ossia il diritto dei popoli alla sovranità permanente sulle proprie risorse”[19]. Una pronuncia invero dagli apprezzabili risvolti pratici, tra i quali quello di obbligare l’Unione Europea e il Marocco a rinegoziare l’accordo – dalla cui applicazione territoriale è in ogni caso esclusa l’area contesa.
Nello stesso senso, inoltre, si potrebbe leggere la recente azione legale avanzata dal Fronte Polisario contro la Nuova Zelanda per fermare l’importazione di fosfato dalle zone contese[20]. Il commercio di fosfati, in questo caso quelli estratti dalla miniera di Bou Craa, costituisce infatti uno dei principali interessi economici marocchini nel Territorio. Malgrado ciò molti Paesi, non riconoscendo la sovranità di Rabat sul Sahara occidentale, hanno nel tempo interrotto l’acquisto del fosfato da società ad essa riconducibili. Condotta che non avrebbe però condiviso la Nuova Zelanda, continuando al contrario ad importare roccia fosfatica dal Sahara occidentale, principalmente attraverso investimenti in loco del New Zealand Superannuation Fund, e attirandosi così l’opposizione in sede giudiziaria dei rappresentanti del popolo saharawi[21].
- Quale futuro per “l’ultima colonia”?
Autodeterminazione sembrerebbe, dunque, la parola chiave. Ma cosa significa, de jure, autodeterminarsi? Non necessariamente indipendenza. Il suo contenuto più pregnante è, invero, un contenuto squisitamente procedurale: ossia garantire che, qualunque sia lo stato giuridico che un popolo scelga di darsi, questo provenga da una libera manifestazione di volontà. Libera da cosa? Essenzialmente, da interferenze esterne. E difatti l’autodeterminazione non si rivolge che a popoli sottoposti a occupazione, dominio straniero o regime razziale[22]. Questo proprio per delimitarne l’ambito di applicazione e salvaguardare l’altrettanto rilevante principio di integrità territoriale, in un complesso bilanciamento di interessi internazionali. E non solo.
In questo senso le varie cautele alla stessa possibilità per gli Stati terzi di sostenere un movimento in lotta per la propria liberazione nazionale. Un obbligo “erga omnes” dunque, ma con alcune precisazioni: non sostenere l’occupante, ma neanche intervenire militarmente contro di esso[23]. Ciò che è legittimo, allora, sembrerebbe limitarsi ad un generico supporto economico-politico (che può spingersi finanche alla fornitura di mezzi e armi), mai però l’uso diretto della forza – che resta tout court contrario alla Carta delle Nazioni Unite[24].
Appare a questo punto evidente quanto, fin dalla sua cristallizzazione nel diritto internazionale generale, l’autodeterminazione dei popoli abbia svolto un ruolo essenziale nel processo di decolonizzazione: legittimando la resistenza a regimi coloniali, oppressioni razziali e occupazioni militari; fornendo agli Stati del mondo l’ancora giuridica per intervenire a sostegno della libera espressione della volontà dei popoli; riconducendo, in ultima analisi, possibili tensioni e conflittualità nell’alveo del diritto internazionale – almeno nelle intenzioni.
La decolonizzazione infatti, per sua intima natura, produce instabilità. È un processo raramente consensuale e pacifico, più spesso frutto di lotte e rivendicazioni tra posizioni irriducibili. Un processo al quale la Comunità internazionale ha ciononostante saputo garantire una risposta equilibrata, facendo ricorso a regole comuni e principi condivisi. Anche in tempi che non favorivano certamente il dialogo, quando il mondo era diviso in due. Quello stesso mondo che oggi appare frammentato e fluido, ma altrettanto teso. Con ciò volendo dire che, seppur l’istantanea del presente sembri prospettare un futuro non meno incerto del passato, il diritto internazionale può ancora una volta rappresentare la giusta sintesi tra legittimità e potere[25].
Anzi. Proprio laddove posizioni di forza e soluzioni bilaterali falliscono, la globalità delle sfide dell’oggi ha reso evidente come soltanto una prospettiva negoziale e multilaterale possa fornire risposte adeguate. Privilegiando così, in fondo, la stessa dimensione giuridica che, nei rapporti tra Stati, è pur sempre una proiezione formale delle realtà fattuali ad essa sottese[26]. Realtà alle quali, a rigore, è dunque riconducibile l’intricata condizione del Territorio: sospeso tra la colonizzazione spagnola e l’annessione marocchina, ormai da lungo tempo in attesa che un già riconosciuto diritto all’autodeterminazione possa essere esercitato senza impedimenti. In attesa che si possa addivenire ad una soluzione veramente negoziata e internazionalmente riconosciuta, in linea con le numerose risoluzioni dell’ONU. In attesa, con altre parole, di una piena e compiuta decolonizzazione.
Ma gli scontri continuano, le proteste pure. La recente interruzione della tregua da parte del Presidente della RASD Brahim Ghali – in seguito all’intervento militare marocchino nel passaggio strategico di El-Guerguerat, che era stato occupato in ottobre da manifestanti saharawi – lascia presagire nuovi picchi di tensione[27]. Così l’incognita dell’inaspettato riconoscimento statunitense della sovranità marocchina sulla regione[28], offerto da Trump in cambio del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Marocco e Israele, in linea con la politica inaugurata con gli accordi di Abramo[29]. L’accresciuta preoccupazione della Comunità internazionale, autorevolmente espressa dal Segretario Generale dell’ONU attraverso il suo portavoce Dujarric, ne è l’indice più evidente[30]. La stabilità della regione è così ancora una volta minacciata, il negoziato sul destino del popolo saharawi resta congelato.
Cosa attendersi dunque nel prossimo futuro? Domanda che rischia di restare senza risposta, almeno nel breve termine. Forse soltanto un rinnovato, deciso impegno nell’opera di mediazione da parte delle Nazioni Unite, in un simile scenario, si potrebbe rivelare veramente risolutivo. Laddove il gioco sembra tornare a somma zero, la cooperazione in seno all’ONU diviene infatti ancor più necessaria. Su questa posizione, d’altronde, sembra convergere gran parte della Comunità internazionale. Non così però gli Stati Uniti, come si è detto. Il che rischia di ricondurre la vicenda nelle mani di pericolose dinamiche bilaterali, nell’alveo di imprevedibili logiche transazionali. Logiche il cui esito spesso trascura esternalità. Una soluzione pienamente pacifica e condivisa, in ultima analisi, non appare pertanto ancora in vista per il “territorio non autonomo” del Sahara occidentale: la cd. “ultima colonia”.
[1] Le opinioni espresse dall’autore non sono in alcun modo riconducibili all’amministrazione di appartenenza e non ne rappresentano necessariamente il pensiero.
[2] J. Colamedici, “Le montagne più alte. Una riflessione di geopolitica”, Mediterranean Insecurity, 22/12/2020 (https://www.mediterraneaninsecurity.it/2020/12/22/le-montagne-piu-alte-una-riflessione-di-geopolitica-julian-colamedici/), per alcune riflessioni sull’importanza dell’elemento spaziale nell’analisi politica.
[3] Sfide prioritarie per l’ONU, ved. A/Res 70/1, “Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development”, 25/09/2015 (https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/RES/70/1&Lang=E) e, con riferimento alla posizione italiana il recente “Partenariato con l’Africa”, 12/12/2020 (https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2020/12/2020_12_10_partenariato_con_lafrica_-_versione_italiana.pdf), consultati il 29/12/2020.
[4] Ved. recente rapporto del Gruppo di Riflessione nominato dal Segretario Generale, “NATO 2030. United for a New Era”, 25/11/2020 (https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2020/12/pdf/201201-Reflection-Group-Final-Report-Uni.pdf), consultato il 29/12/2020.
[5] J. Borrell, “Por qué es importante la autonomía estratégica europea”, Real Instituto Elcano, 23/12/2020 (http://www.realinstitutoelcano.org/wps/portal/rielcano_es/contenido?WCM_GLOBAL_CONTEXT=/elcano/elcano_es/zonas_es/borrell-por-que-es-importante-la-autonomia-estrategica-europea), consultato il 29/12/2020.
[6] Cfr. R. Albrecht-Carrié, Storia diplomatica d’Europa. 1815-1968, Laterza, Roma-Bari, 1978.
[7] “Declaration of Principles on Western Sahara by Spain, Morocco and Mauritania”, Accordi di Madrid del 14/11/1975, Western Sahara Online, (https://web.archive.org/web/20080416100241/http:/www.wsahara.net/maccords.html), consultato il 17/12/2020.
[8] J. Colamedici, “Brahim Ghali rompe la tregua. Torna la guerra nel Sahara occidentale?”, Il Caffè Geopolitico, 16/12/2020 (https://ilcaffegeopolitico.net/168484/brahim-ghali-rompe-la-tregua-torna-la-guerra-nel-sahara-occidentale).
[9] SC Res. 690 (1991), “Western Sahara”, 29/04/1991 (http://unscr.com/en/resolutions/doc/690), consultato il 17/12/2020.
[10] SC Res 2548 (2020) , “The Security Council decides to extend by one year, until 31 October 2021, MINURSO mandate”, 30/10/2020 (https://www.usc.gal/export9/sites/webinstitucional/gl/institutos/ceso/descargas/S_RES_2548_2020_EN.pdf), consultato il 26/12/2020.
[11] ICJ, AO, “Western Sahara”, 16/10/1975 (https://www.icj-cij.org/public/files/case-related/61/061-19751016-ADV-01-00-EN.pdf), consultato il 17/12/2020.
[12] UNGA Res. 1514 (1960), “Declaration on the granting of independence to colonial countries and peoples” (https://undocs.org/A/Res/1514(XV)), consultato il 17/12/2020.
[13] ICJ, AO, “Western Sahara”, 16 ottobre 1975, par. 81.
[14] Id., par. 162.
[15] Cfr. A. Sinagra, P. Bargiacchi, Lezioni di diritto internazionale pubblico, Giuffrè, Milano, 2019, pp. 89-101 e U. Leanza, I. Caracciolo, Il diritto internazionale: diritto per gli Stati e diritto per gli individui. Parti speciali, Giappichelli, Torino, 2020, pp. 112-123.
[16] UNGA Res. “Isole Chagos”, 22/05/2019, nella quale si ribadisce come fosse già consolidato come norma consuetudinaria all’epoca della Dichiarazione sull’indipendenza dei popoli coloniali del 1960, cit. in A. Sinagra, P. Bargiacchi, op. cit., pp. 90 e 91.
[17] ICJ, sent. “Timor Est”, 30/06/1995, cit. in A. Sinagra, P. Bargiacchi, op. cit., p. 91.
[18] Sent. C-266/16, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 27/02/2016, “Western Sahara Campaign UK contro Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs e Secretary of State for Environment, Food and Rural Affairs” (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A62016CJ0266), consultato il 17/12/2020.
[19] A. Sinagra, P. Bargiacchi, op. cit., p. 99.
[20] M. Dihani, “Sahara occidentale, azione legale in Nuova Zelanda contro importazioni fosfati”, Focus on Africa, 6/03/2020 (http://www.focusonafrica.info/azione-legale-in-nuova-zelanda-contro-le-importazioni-di-fosfato-dal-sahara-occidentale-occupato/), consultato il 17/12/2020.
[21] Id.
[22] A. Sinagra, P. Bargiacchi, op. cit., p. 89.
[23] U. Leanza, I. Caracciolo, op. cit., p. 122.
[24] A. Sinagra, P. Bargiacchi, op. cit., p. 94.
[25] Cfr. H. Kissinger, Ordine mondiale, Mondadori, Milano, 2018.
[26] Cfr. G. Arangio-Ruiz, La persona internazionale dello Stato, Wolters Kluwer, Milano, 2014 (http://www.gaetanoarangioruiz.it/wp-content/uploads/2017/04/La_persona_internazionale_dello_stato_Of.pdf).
[27] J. Colamedici, “Brahim Ghali rompe la tregua. Torna la guerra nel Sahara occidentale?”, cit.
[28] D.J. Trump, “Proclamation on Recognizing The Sovereignty Of The Kingdom Of Morocco Over The Western Sahara”, The White House, 10/12/2020 (https://www.whitehouse.gov/presidential-actions/proclamation-recognizing-sovereignty-kingdom-morocco-western-sahara/), consultato il 26/12/2020.
[29] I. Fernández Molina, “EEUU-Sáhara Occidental-Marruecos-Israel: el diablo está en los cabos sueltos”, Política Exterior, 22/12/2020 (https://www.politicaexterior.com/eeuu-sahara-occidental-marruecos-israel-el-diablo-esta-en-los-cabos-sueltos/), consultato il 26/12/2020.
[30] S. Dujarric, “Statement Attributable to the Spokesperson for the Secretary-General – on Western Sahara”, 13/11/2020 (https://minurso.unmissions.org/statement-attributable-spokesperson-secretary-general-western-sahara), consultato il 26/12/2020.