scarica il file in pdf – reazioni di terroristi e estremisti dopo l’attacco di hamas e la risposta israeliana – ottobre 2023- LQSdM
La reazione di gruppi terroristici e movimenti estremisti dinanzi all’attacco di Hamas ed alla risposta israeliana
Un’altra lettura della Guerra di Gaza
Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte[1]
Introduzione
Nulla è come sembra, si dice nel mondo Intelligence, la verità è nel mezzo, ricorda invece un noto detto popolare, eppure l’atroce attacco sferrato da Hamas sembra non dare spazio ad alcuna interpretazione.
All’alba di sabato 7 ottobre, a cinquant’anni dall’attacco dello Yom Kippur, non eserciti di Paesi arabi ma miliziani palestinesi hanno incredibilmente sorpreso Forze Armate e Servizi intelligence della Stella di Davide con migliaia di razzi lanciati dalla Striscia di Gaza e con una incursione di terra che aveva il sapore di invasione e l’obiettivo di terrorizzare un intero popolo, colpendo direttamente milioni di civili e facendo migliaia di vittime. Nel giro di poche ore l’attacco ha prodotto un bilancio drammatico, con circa mille e cinquecento israeliani morti, migliaia di feriti, centinaia di dispersi e più di cento rapiti, prontamente portati nei tunnel sotto Gaza.
Evidente come questa volta sia chiaro chi “ha ragione”, “chi è l’aggressore”, “chi ha violato il diritto internazionale”, “chi è la vittima”! Non di miliziani si parla, ma di terroristi, che hanno compiuto uno dei maggiori attacchi terroristici della Storia, secondo per numero di vittime solo a quelli dell’11 settembre, ma primo per numero di terroristi, di rapiti, di feriti, di dispersi e, se calcolato in proporzione agli abitanti del Paese colpito, anche (e di gran lunga) per numero di morti.
Ma dobbiamo riflettere sul fatto che ciò non sia “evidente” per tutti!
In una larga parte del mondo le opinioni pubbliche ascoltano una narrativa diversa da quella presente nei media occidentali, mentre grazie al web ed ai social network idee radicali entrano anche nelle case di giovani che vivono in Occidente e potrebbero facilmente convincersi che le vittime siano gli aggressori, e gli aggressori le vittime. Tutto ciò potrebbe, tra l’altro, portare nelle nostre città nuove ondate di attacchi antisemiti ed anti-occidentali. Il rischio è che alcuni di loro possano “rispondere” all’invito ad attaccare ebrei ed occidentali, presente in quasi tutti comunicati che i gruppi terroristi hanno iniziato a diffondere dal giorno stesso dell’attacco di Hamas. Ricordiamo che in gran numero nello scorso decennio, soprattutto tra il 2015 ed il 2018, risposero alla “chiamata” di Adnani, allora portavoce dell’Islamic State (IS), di attaccare con ogni mezzo i “crociati” nelle città occidentali, mettendo in pratica quel terrorismo “fai da te” teorizzato alcuni anni prima da quell’ala di “Al Qaeda nella penisola Arabica” che faceva capo ad Awlaki, l’imam con doppio passaporto yemenita e statunitense che con il suo magazine Inspire diede vita ad una nuova forma di terrorismo, che permetteva a tutti di addestrarsi da casa e di passare poi all’azioni in modo più o meno autonomo, secondo le proprie capacità, colpendo nelle città occidentali ove vivevano e spesso erano anche nati[2].
Speriamo che tutto ciò non si ripeta, ma i segnali non sono buoni ed in alcuni Paesi si sono già alzati i livelli di allerta sicurezza, a partire dalla Francia[3], in cui sembra essersi verificato venerdì 13 il primo attacco e che vede nella città di Parigi un susseguirsi di allarmi e di conseguenti evacuazioni di numerosi monumenti e attrazioni turistiche. Al pericolo che giovani musulmani, soprattutto di seconda o terza generazione, rispondano all’invito ad attaccare obiettivi ebraici si somma la simpatia dimostrata ai palestinesi da parte di numerosi movimenti dell’estremismo bianco, che non fa che aumentare il rischio di tali attacchi.
Ancor prima che Israele riuscisse a organizzare la risposta militare, già circolavano in rete proclami di sostegno all’attacco di Hamas, e di odio nei confronti di Israele e degli ebrei, da parte di una variegata platea di estremisti e terroristi, tanto jihadisti quanto di estrema destra.
Le reazioni dei gruppi terroristi
Come noto, la causa palestinese e la liberazione dei luoghi Santi di Gerusalemme, a partire dalla Moschea di Al Aqsa, sono cavalli di battaglia di tutti i gruppi terroristi islamici, e conseguentemente gli ebrei sono da sempre tra i principali nemici indicati dalla gran parte dei gruppi jihadisti, anche se in modo molto più aperto da Al Qaeda (AQ) che dall’Islamic State (IS).
AQ ha da sempre inserito nella sua retorica gli attacchi agli ebrei in relazione alla liberazione dei Luoghi Santi di Gerusalemme ed al trattamento dei palestinesi, non realizzando tuttavia significativi attacchi contro Israele o israeliani (tra i pochi attacchi riconducibili ad AQ o suoi affiliati ci sono quello alla sinagoga di Djerba[4], in Tunisia, dell’aprile 2002 e (forse) quelli del novembre dello stesso anno all’albergo Paradise di Mombasa[5], in Kenya, frequentato da israeliani.
Da parte sua IS quando governava nelle terre del c.d. Califfato autoproclamato da Al Baghdadi nel 2014 non ha perseguitato gli ebrei in modo particolare (accanendosi invece su Yazidi, considerati adoratori del diavolo, e Sciiti, ritenuti i traditori per antonomasia), consentendo ai cittadini di religione ebraica di accedere alla categoria dei Dhimmi. In virtù di uno storico “patto di protezione”, da sempre la Legge islamica prevede che i non-musulmani che sono credenti monoteisti di religioni che si basano sulla Torah e discendono da Abramo, ovvero cristiani ed ebrei, la cosiddetta “Gente del Libro”, possono diventare dhimmi. La Sharia prevede che diventando dhimmi essi possano godere di protezione e del beneficio di numerosi diritti, tra cui quello di professare liberamente il proprio culto, in cambio del pagamento dell’imposta personale della Jizya, oltre che dell’essere leali nei confronti dello Stato islamico e della Ummah, la comunità di fedeli islamici[6]. Anche sotto l’Islamic State pagando la Jizya cristiani ed ebrei ebbero la possibilità di divenire dhimmi, beneficiando così di “protezione” ed “esenzione dalla Zakat”[7], e naturalmente godendo dell’esonero dall’obbligo di prestare servizio militare, anche se nelle terre del c.d. Califfato i dhimmi non erano totalmente integrati della società, e le loro case avevano un segno esteriore di riconoscimento[8] che faceva sì che vicini e passanti, pur potendoli frequentare, conoscessero il loro status, e per viverci dovevano pagare a IS una sorta di “affitto”, non essendone più di fatto proprietari.
Quanto ai numerosi comunicati seguiti all’attacco di Hamas ed alla risposta di Israele diffusi in questa settimana da gruppi jihadisti, o di terroristi/miliziani islamici, proviamo ad analizzarli raggruppandoli per categorie e schieramenti.
Guardando ad Al Qaeda ed ai suoi principali affiliati, che hanno tutti pubblicamente manifestato in modo ufficiale il loro sostegno alla causa palestinese, possiamo innanzitutto affermare che in generale non traspare una grande simpatia verso Hamas (colpevole di essere troppo vicina agli sciiti), e tutti invitano alla jihad globale. Elemento comune dei comunicati è inoltre l’esortazione ad attaccare Israele ed i suoi interessi in tutto il mondo, arrivando in alcuni casi a dire in modo espresso alle popolazioni dei Paesi confinanti di sollevarsi contro i propri governi se “sottomessi all’Occidente o all’Oriente”.
A partire dall’8 ottobre sono stati diffusi, seguendo l’ordine cronologico, i comunicati di:
- “Al Qaeda nella Penisola Arabica” (AQAP), che pur senza nominate espressamente Hamas ha elogiato l’attacco contro Israele, specificando che “questa vittoria è una vittoria per l’intera Ummah”, ed insistito soprattutto sulla fine del mito dell’imbattibilità e della superiorità israeliana, invitando tutti i musulmani ad unirsi nella lotta, soprattutto quelli dei Paesi confinanti con Israele[9];
- “Al Qaeda nel Sub-continente indiano” (AQIS), che sempre non nominando Hamas, ma citando le Brigate Al Qassam, sua ala militare, ha celebrato il più mortale attacco contro Israele, che ha mostrato la “codardia dei suoi soldati”;
- la somala “Al Shabaab”, che ha celebrato l’attacco sul suolo israeliano, parlando di “invasione”, ma citando sempre solo le Brigate Al Qassam, ed ha chiamato la Ummah alla Jihad ed a colpire gli ebrei in tutto il mondo, specificando come la lotta dei palestinesi sia una lotta anche contro i “crociati”[10];
- “Al Qaeda nel Maghreb Islamico” (AQIM) e “Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin” (JNIM – in francese Groupe de soutien à l’islam et aux musulmans, GSIM), con un comunicato congiunto (elemento molto significativo) hanno di fatto espresso forte di sostegno e “fedeltà” ai gruppi palestinesi (citando anche in questo caso le Brigate Al Qassam) che hanno partecipato all’ “Operation al-Aqsa Flood”[11], incoraggiando alla partecipazione alla lotta nella “fossa dei leoni con sede in Cisgiordania”;
- “Al Qaeda Core” (AQC) con un comunicato rilasciato online a sei giorni dall’attacco, il 13 ottobre, uno Statement di tre pagine con l’impaginazione e la grafica dei comunicati importanti, diffusi solo per avvenimenti e comunicazioni che l’organizzazione fondata da bin Laden ritiene meritevoli di un intervento da parte della leadership. Nelle tre pagine di comunicato AQC, con un notevole sforzo di arte oratoria, senza mai citare Hamas (probabilmente sempre a causa della sua collaborazione con l’Iran) elogia gli attacchi, mentre condanna in modo fermo la risposta militare di Israele contro i civili di Gaza, chiama tutti i jihadisti all’unità per difendere i palestinesi, liberare la Palestina e colpire Israele, invitando ad aprire nuovi fronti da Giordania, Siria e Libano, e criticando apertamente il riavvicinamento verso Israele di alcuni Paesi islamici (riferendosi chiaramente all’Arabia Saudita).
Quanto all’Islamic State ed alle sue “Province” si è registrato un silenzio pressoché totale alla luce della risalente ostilità con Hamas, gruppo ritenuto uno strumento delle mani degli sciiti. In particolare:
- il numero del settimanale Al Naba pubblicato venerdì 13 non ha neppure citato l’attacco sferrato ad Israele la settimana precedente, anche se il lungo editoriale in favore dell’unità della Ummah nella lotta può essere interpretato come un velato sostegno ai palestinesi, pur senza citare Hamas. Quest’ultimo è infatti da anni, secondo IS, “colpevole” di applicare a Gaza una errata interpretazione della Sharia, tanto da essere quasi classificato come apostata[12], e, come detto, di essere vicino agli sciiti, che per il gruppo fondato da Al Baghdadi sono sicuramente il nemico principale. Al contrario, la “questione di Gerusalemme”, è stato più volte affermato da IS in passato, è per loro solo “una delle tante cause importanti per i musulmani”, mentre il nazionalismo palestinese è addirittura una “questione secondaria”.
Guardando al mondo sciita, si sono rapidamente avuti i comunicati di numerosi movimenti sciiti, manifestanti tutti un forte sostegno ad Hamas (sempre nominato) ed al popolo palestinese, ed un altrettanto chiaro odio nei confronti del popolo israeliano e dei sionisti nel mondo. Tra i tanti comunicati ricordiamo:
- dallo Yemen il video del leader degli Houthi, che ha nuovamente auspicato un conflitto di ampia portata contro Israele, richiamando un “asse di resistenza”[13];
- il comunicato degli Hezbollah libanesi, che è ovviamente pienamente in linea con Hamas nella lotta contro Israele per la liberazione del popola palestinese, afferma che non ci sono “civili” tra i cittadini israeliani, e ipotizza la situazione di un attacco ad Israele anche dal Libano;
- quelli di diversi gruppi sciiti dell’Iraq, che alla luce delle “invasioni” statunitensi sul suolo iracheno si sono tutti[14] soffermati sul sostegno americano agli israeliani ed hanno auspicato una lotta fino alla caduta degli Stati Uniti e di tutti i nemici sionisti.
Tra gli altri gruppi e movimenti sunniti, dalla palestinese Al Fatah[15] ai Talebani Afghani, ai gruppi pakistani, è stato espresso un sostegno pressoché unanime alla lotta per la liberazione della Palestina, con inviti a colpire gli israeliani ovunque nel mondo.
Le reazioni del c.d. estremismo bianco
Come avvenuto in altre occasioni in cui il “nemico comune” ha spinto ad un avvicinamento estremisti bianchi e jihadisti, gli attacchi del 7 ottobre sono stati esaltati anche da numerosi movimenti della variegata platea del c.d. estremismo di destra, suprematista bianco, anti-semita e xenofobo, che sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ha in più occasioni sostenuto le cause del terrorismo islamico. Ciò che unisce due mondi che dovrebbero apparentemente essere agli antipodi sono soprattutto i nemici, che hanno in comune, e l’odio verso la società, che vorrebbero sovvertire in modo violento.
Non si tratta, come detto, di un fenomeno totalmente nuovo, laddove già dopo la Seconda Guerra Mondiale si registrarono delle “alleanze” tra ex nazisti e islamisti[16], che in comune avevano quelli che consideravano come i propri nemici: all’epoca Stati Uniti ed ebrei in primis! È stato infatti analizzato come dopo il secondo conflitto mondiale entrambe le categorie cercarono vendetta, e ciò spinse alcuni estremisti bianchi sostenitori della supremazia ariana a supportare apertamente il terrorismo islamico, soprattutto quando prendeva di mira Stati Uniti, Israele o gli ebrei. Se per alcuni decenni ciò ha significato simpatia verso il terrorismo palestinese o quello algerino, dopo gli attacchi dell’11 settembre ci sono state note prese di posizione da parte di alcuni personaggi che in alcuni casi hanno promosso qualche forma di alleanza tra “nazionalsocialisti” e “jihadisti”, in altri sono arrivati a convertirsi all’Islam[17].
Oggi entrambe le tipologie di estremismo, bianco e jihadista, condividono in particolare l’odio verso gli ebrei, la comunità LGBTQ+, gli Stati Uniti ed i principi liberali occidentali. Molti autori usano un neologismo per individuare il fenomeno nelle sue più recenti manifestazioni: “Jihad bianca”[18]. Essa si manifesterebbe quando i suprematisti bianchi[19] traggono ispirazione dai jihadisti, incorporano la terminologia jihadista nella loro propaganda, sostengono il terrorismo jihadista e legittimano la collaborazione tra i due fenomeni ed i rispettivi movimenti/organizzazioni[20].
Questo è proprio quello che si è verificato in questi giorni: se escludiamo i movimenti più apertamente anti-islamici, gli altri si sono infatti tutti schierati con Hamas. Solo a titolo di esempio, citiamo i comunicati del gruppo hacker russo Killnet, che hanno ricordato come (a loro dire) Israele abbia dal 2022 tradito la Russia e sostenuto il “regime terrorista ucraino”, quello degli accelerazionisti neonazisti di Terrorgram, nella cui narrativa l’antisemitismo gioca un ruolo prioritario.
La reazione dei media e delle popolazioni del Medio Oriente
Ma una diversa visione ed interpretazione di quello che è successo e sta succedendo non è propria solo di jihadisti e terroristi islamici e di estremisti di destra e suprematisti bianchi, e basta guardare le principali reti televisive arabe ed i giornali mediorientali e nord africani per capire come ci sia una grande parte di mondo che sta apprendendo le notizie di ciò che è succede secondo una diversa “propaganda”[21] e, forse anche per questo, oltre che per ragioni storico-religiose, interpreta la situazione in modo diverso. E se lo fa ora che sono ancora fresche nella memoria di tutti le immagini degli orrori compiuti nel corso dell’aggressione di Hamas, cosa succederà quando la risposta (per noi legittima) di Israele si abbatterà in modo ancor più massiccio sulla Striscia di Gaza provocando inevitabilmente un elevatissimo numero di vittime civili?
Parlando con diversi arabi sunniti ho personalmente approfondito la loro visione della vicenda: ritengono che i palestinesi siano da decenni le vittime e abbiano quindi il diritto ad attaccare Israele, Paese coloniale che li opprime e li uccide. E, con questa premessa, le atrocità commesse il 7 ottobre sono giustificabili.
Centrale anche per loro il ruolo dell’Iran, ma leggermente diversa la loro interpretazione rispetto a quella che noi qui in Occidente risulta come prevalente. In particolare, da più parti si legge in Occidente come l’Iran starebbe armando i palestinesi per fermare la stabilizzazione delle relazioni diplomatiche tra Israele ed i Paesi sunniti; ciò discenderebbe da un duplice ordine di motivi, da un lato il fatto che per l’Iran Israele è il nemico principale, e dall’altro dal ragionamento secondo il quale al regime di Teheran farebbe comodo che i sunniti siano in guerra.
Secondo l’opinione che sembra prevalere tra gli arabi sunniti con cui ho parlato, invece, l’Iran non darebbe mai armi ai sunniti palestinesi, e si limiterebbe quindi a fomentare l’odio, essendo il suo obiettivo la grande Persia ed il suo nemico principale proprio gli arabi (sunniti) e non gli israeliani, che pure odiano, ma non quanto odiano gli arabi. Secondo tale ragionamento, quindi, mai i persiani (come loro chiamano ancor oggi gli iraniani) darebbero armi agli arabi, neanche avendo un secondo fine. Ad onore del vero, malgrado il 7 ottobre si siano avute manifestazioni di giubilo in numerose città iraniane, il pubblico iraniano presente domenica 8 ottobre sugli spalti di uno stadio per assistere ad una partita di calcio ha sonoramente fischiato alcune persone che avevano esposto una bandiera palestinese e intonato pesanti cori nei confronti di Hamas, dimostrando anche la lontananza che c’è tra la società civile iraniana e il governo, che invece lo sostiene apertamente.
Significativo infine notare come per la gran parte dei sunniti il fatto che Israele abbia torto discende anche dal seguente ragionamento: gli USA sono con Israele, quindi Israele è dalla parte sbagliata! Sì, l’esplicito sostegno statunitense, e quindi da parte di un Paese per loro simbolo di ripetute invasioni nei confronti di Paesi arabi, è di per sé segno che Israele è dalla parte del torto ed i palestinesi da quella della ragione! E questo concetto, ripetutomi a voce da più persone, si ricava come visto dagli stessi proclami di numerosi gruppi terroristici che chiedendo di fatto di “allargare il conflitto” invitano a colpire in tutto il mondo ebrei e sionisti, nominando in alcuni casi in modo esplicito gli Stati Uniti.
Conclusioni
Difficile essere ottimisti dopo questa seppur rapida carrellata di prese di posizione contro Israele.
Al di là del sostegno ad Hamas, a dir la verità molto limitato, ed alla causa palestinese, decisamente evidente anche se non sempre così forte come ci si potrebbe immaginare, una cosa sembra unire estremisti e terroristi di ogni provenienza ed estrazione: l’odio verso lo Stato di Israele e, più in generale, verso gli ebrei di tutto il mondo.
Si deve tristemente rilevare come, ad ottanta anni della Seconda Guerra Mondiale, il già crescente anti-semitismo non aveva bisogno di un nuovo impulso per riaccendersi!
[1] Le opinioni espresse si riferiscono all’Autrice, e non corrispondono necessariamente alla posizione dell’Amministrazione di appartenenza.
[2] Si veda Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Terrorismo “fai da te” – Inspire e la propaganda online di AQAP per i giovani musulmani in Occidente, Aracne Editrice, 2013 e Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Perché ci attaccano. Al Qaeda, l’Islamic State e il terrorismo “fai da te”, Aracne Editrice, 2017 (seconda edizione).
[3] Il Paese ha proclamato l’ “emergenza attentato”, il più alto livello del piano antiterrorismo Vigipirate.
[4] L’attentato, condotto con un camion che esplose all’esterno della sinagoga, provocò una ventina di morti, tra cui 14 turisti tedeschi e 2 francesi, e risulta essere, tra l’altro, l’unico attentato ufficialmente rivendicato da AQ che abbia un luogo di culto come obiettivo (come noto AQ ha da sempre fortemente criticato IS per i suoi attacchi contro luoghi di culto). Non è invece certo il coinvolgimento di AQ agli attacchi contro alcune sinagoghe in Turchia nel novembre 2003 nel corso di una serie di attacchi che colpirono anche altri obiettivi, tra cui il Consolato britannico.
[5] Vi fu anche un attacco con dei razzi verso un volo con cittadini israeliani in decollo da Mombasa, ma fortunatamente il volo non venne colpito e proseguì verso Tel Aviv.
[6] In realtà tutti gli ebrei scapparono nel corso della seconda parte dello scorso secolo in seguito alle persecuzioni che subite in Siria e Iraq in concomitanza con le guerre arabo-israeliane e si può dire che non vi fossero più ebrei al momento dell’arrivo degli uomini in nero di Al Baghdadi, me le leggi continuarono a prevedere uno speciale trattamento per loro e per i cristiani e, in effetti, le antiche sinagoghe non vennero distrutte (forse anche perché non riconosciute).
Per approfondire la condizione degli ebrei nelle terre del Califfato si veda Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Vivere a Mosul con l’Islamic State. Efficienza e brutalità del Califfato, Mursia, Milano, 2019, 94ss. per il trattamento dei Dhimmi e 114ss. per il trattamento specifico riservato agli ebrei.
[7] La “beneficenza” obbligatoria cui erano tenuti i sunniti.
[8] Ricordiamo che man mano che si concretizzò l’occupazione degli uomini di IS le case vennero man mano segnate con le seguenti lettere: «N» ( ن in arabo) di Nazareno, per i cristiani; «R» (ر in arabo) di Rafidi, che significa «chi rinnega», per gli sciiti; mentre non si ha notizia di case segnate come abitate da ebrei. Si veda Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Vivere a Mosul con l’Islamic State, op. ult. cit.
[9] AQAP si rivolge ai musulmani in Egitto, Siria, Libano e Giordania dicendo “Voi siete i paesi più vicini alla Palestina ferita. Il fardello per voi è più pesante e l’obbligo per voi è maggiore: alzatevi per difendere i vostri fratelli e preparatevi a sostenerli come potete”, inoltre “non permettete che governi sottomessi all’Occidente e all’Oriente […] vi impediscano di sostenere la jihad palestinese, poiché è vietato obbedire loro quando chiamano a disobbedire ad Allah”. AQAP esorta quindi questi musulmani: “Alzatevi e difendeteli, assisteteli con tutto ciò di cui hanno bisogno: uomini, denaro, cibo e sostegno morale, tangibile e pratico”.
[10] Secondo Al Shabaab, l’assalto palestinese è una vittoria contro tutti i cosiddetti “crociati”. Come nota il gruppo, “mentre osserviamo le risposte globali agli attacchi dell’ Al-Aqsa Flood [nome dato dai palestinesi all’operazione], vediamo come i crociati si sono uniti in America e in Europa, e in ogni terra dove si innalza la croce e si adorano gli idoli, sostenere gli aggressori ebrei, criminalizzare l’eroismo e bollarlo come terrorismo ed estremismo”.
[11] Nel comunicato si legge: “Inviamo questo messaggio d’amore ai nostri fratelli in Palestina in generale, e a Gaza in particolare, in particolare da Jund al-Aqsa [riferendosi ai militanti palestinesi in modo più ampio] e dalla Brigata dei martiri Izz al-Din Qassam [Hamas]”. Da notare che però AQIM e JNIM non hanno conferito elogi specifici alla Jihad islamica palestinese (PIJ), nonostante lo specifico appello in tal senso da parte di Hamas. Il PIJ sarebbe infatti ancora più legato al regime iraniano ed è strettamente alleato sia di Hezbollah che del regime di Assad in Siria
[12] Anche in questi giorni alcuni religiosi vicini a IS pur esultando per la morte degli israeliani hanno condannato l’azione di Hamas, definendola nuovamente apostata e invitando i suoi uomini ad unirsi a IS.
[13] Abdul Malik al-Houthi, che ha già dichiarato in più occasioni che avrebbe coinvolto i suoi uomini in un futuro grande conflitto tra Israele, Hezbollah e “il popolo palestinese”, ha affermato che “il popolo yemenita è quindi pronto a fare tutto il possibile per compiere il sacro dovere di stare dalla parte del popolo palestinese”. A questo proposito, al-Houthi osserva che “il nostro popolo è pronto a muoversi in centinaia di migliaia per unirsi al popolo palestinese e affrontare il nemico”.
[14] A partire da Muqtada Al-Sadr, leader del Movimento Sadrista sciita iracheno.
[15] Dalla Cisgiordania Fatah ha fatto sentire la sua voce chiedendo di “stare con Gaza” e portare ovunque il conflitto contro Israele.
[16] Si veda Koch Ariel, White Jihad: The Jihadification of White Supremacy, in GNET, 23 August 2023, https://gnet-research.org/2023/08/23/white-jihad-the-jihadification-of-white-supremacy/
[17] Ibidem.
[18] Per l’utilizzo di tale espressione si veda, in particolare: Katz Rita, Saints and Soldiers – Inside Internet-Age Terrorism, From Syria to the Capitol Siege, Columbia University Press, 2022; Ariel Koch,Karine Nahon &Assaf Moghadam, White Jihad: How White Supremacists Adopt Jihadi Narratives, Aesthetics, and Tactics, in Terrorism and Political Violence, vol. 35, 5 July 2023, https://www.tandfonline.com/doi/epdf/10.1080/09546553.2023.2223694?needAccess=true&role=button ; Koch Ariel, White Jihad: The Jihadification of White Supremacy, in GNET, 23 August 2023, https://gnet-research.org/2023/08/23/white-jihad-the-jihadification-of-white-supremacy/
[19] Non essendo vero il contrario, potremmo definire questo fenomeno come una sorta di “amicizia unilaterale”, o meglio di “amore non corrisposto”, in quanto non emerge da parte jihadista la stessa voglia di imitare i suprematisti bianche né tantomeno di simpatizzare con loro.
[20] “We defined white jihad as “the appropriation, utilization, or glorification by white supremacist actors of content, aesthetics, nomenclature, or action repertoires that are generally associated with Jihadi actors, or vice versa.””, Koch Ariel, White Jihad: The Jihadification of White Supremacy, op.cit.
[21] Va detto, inoltre, che una diversa ricostruzione di ciò che sta avvenendo non è propria solo delle reti arabe, ma anche, solo per fare un esempio, delle reti russe. Basti pensare che mentre i canali occidentali dedicano spazio agli orrori compiuti dai terroristi di Hamas in quelle drammatiche ore della mattina del 7 ottobre, Ali Baraka, responsabile delle relazioni internazionali di Hamas, in un’intervista a Russia Today spiegava le lunghe fasi che negli ultimi due anni avrebbero portato alla preparazione dell’attacco. Ma che i rapporti tra Mosca e Israele siano tesi lo si sapeva già da tempo, a causa del “sostegno” all’Ucraina che i russi non perdoneranno facilmente.