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LA RUSSIA, L’UCRAINA E NOI
riflessioni su un secolare rapporto conflittuale
Amm. Sq. Ferdinando SANFELICE di MONTEFORTE
Introduzione
L’aggressione dell’Ucraina, da parte della Russia, ha spinto molti governi a prendere posizione, condannando a gran voce questo atto. La classe politica, quasi all’unanimità, ha usato un diluvio di aggettivi per esprimere il proprio disgusto per l’aggressione e ha appoggiato la decisione degli USA e dell’UE di predisporre “sanzioni devastanti” contro il governo di Mosca. Man mano che si capiva quale direzione stessero prendendo le sanzioni, però, sono spuntati qua e là alcuni distinguo, da parte di forze politiche e ambienti economici, che ricordano il manzoniano “Pedro, adelante con juicio, si puedes”[1].
Il timore di questi ultimi, da non sottovalutare, è che la fitta rete di interdipendenza economica, creata negli ultimi decenni, in parte per interessi economici, in parte come garanzia di rapporti amichevoli tra noi e l’Orso russo, sia destinata a crollare sotto il peso delle sanzioni, con danno non solo per la Russia, ma anche per molti settori della nostra economia. L’interdipendenza, si sa, è una garanzia di rapporti pacifici tra le Nazioni, e la sua riduzione, per effetto delle sanzioni, è il preludio a tensioni, inimicizie e conflittualità.
Premesso che, a questo punto, l’Italia non potrà discostarsi molto dalla linea di condotta che la NATO e l’UE decideranno, prima di azzardare previsioni è necessario gettare lo sguardo sulla situazione geostrategica e ai precedenti storici, per capire i motivi della feroce determinazione russa di mettere in ginocchio l’Ucraina, e soprattutto per scoprire se le azioni del governo di Mosca siano un atto isolato oppure una tappa di una strategia di aggressione armata, che il Cremlino intende perseguire nel futuro.
In questo secondo caso, infatti, si renderebbe necessario intraprendere ogni possibile misura atta a fermare questa strategia, possibilmente evitando di arrivare al punto in cui si trovarono la Francia e la Gran Bretagna nel 1939, nei confronti della Germania.
La situazione geografica
Fin dall’antichità, come osservava un geografo, Sir Halford Mackinder, nel 1904, a proposito della Russia “due gruppi di Stati usualmente dividevano il Paese in un sistema politico settentrionale e in uno meridionale”[2]. Questo, secondo lo studioso, era dovuto alla differenza di clima tra la parte settentrionale, fredda e boscosa, e quella meridionale, dove inverni freddi si alternano a estati roventi e, di conseguenza, la steppa prevaleva.
La linea divisoria tra le due zone, sempre secondo Mackinder, “si sviluppava diagonalmente in direzione nord-est dal limite settentrionale dei Carpazi fino a un punto nella catena degli Urali più vicino al suo limite meridionale, rispetto a quello settentrionale, con Mosca che si trova poco a nord della linea o, in altre parole, dal suo lato delle foreste”[3].
Lo studioso, in effetti, ammetteva che “il disboscamento, il drenaggio delle paludi e la coltivazione delle steppe avevano livellato questi caratteri del panorama, e in gran parte obliterato questa differenza che prima era coercitiva”[4], imponendo limitazioni alle popolazioni delle due aree. Ma non sempre l’opera dell’uomo cancella differenze che, nei secoli, continuano a incidere sulle percezioni collettive dei popoli, anche quando sono venute meno.
Mackinder, ancora, notava un’altra differenza tra il nord e il sud della Russia, evidenziando che, per la sfortuna del suo meridione, “attraverso le steppe arrivò, da recessi sconosciuti dell’Asia, per il passaggio tra le montagne degli Urali e il mar Caspio, una rimarchevole successione di popoli nomadi Turanici”[5] che invasero l’Europa, cambiandone la composizione etnica e distruggendo i sistemi politici preesistenti.
Anni dopo, lo stesso Mackinder notava, a proposito del desiderio russo di raggiungere i mari caldi, che “lo sbocco naturale, per gli Europei, dello Heartland (il cuore del continente), era via mare attraverso lo Stretto di Costantinopoli. La Russia, sotto lo zar Nicola, mediante il dominio del mar Nero e del suo sbocco meridionale, cercò di estendere il suo potere terrestre fino ai Dardanelli”[6], causando la reazione delle Potenze marittime. La guerra di Crimea ne fu la logica conseguenza.
La corsa della Russia verso sud, in effetti, era iniziata secoli prima, ed aveva coinvolto, prima di tutti, la stessa Ucraina, senza il cui dominio l’accesso ai mari caldi sarebbe stato quanto meno precario. Per questo, Mosca ne prese il controllo, nell’ambito delle guerre che nei secoli XV, XVI e XVII piagarono l’Europa Orientale, e l’usò come trampolino per gli ulteriori balzi verso sud, a spese dell’Impero Ottomano.
Notava di recente, a tal proposito, uno studioso francese che “lo smembramento dell’URSS e la separazione dall’Ucraina mettono in luce l’indebolimento della posizione russa sulla via delle acque calde da Suez all’Estremo Oriente”[7]. Quanto avviene in questi giorni, con il governo di Mosca determinato a usare la violenza più estrema per dominare l’Ucraina, non è quindi frutto di iniziative estemporanee, ma rientra nei fini che la Russia si è posta da tempo.
Un ultimo aspetto, riguardante la situazione geostrategica della Russia, è stato messo di recente in evidenza dagli studiosi. Come osserva uno di essi, “le potenze terrestri sono perennemente insicure. Senza il mare che le protegga, esse sono sempre insoddisfatte e (si sentono in dovere) di espandersi per non essere conquistate. Questo è specialmente vero per la Russia, la cui distesa di pianure è quasi priva di frontiere naturali e consente poca protezione. La Russia teme nemici che provengono da terra”[8].
Da questa serie di considerazioni emergono alcuni fatti importanti:
- I Russi del Nord, influenzati per millenni dal loro ambiente di vita, sono diversi dagli abitanti dell’attuale Ucraina, vissuti in un ambiente meno proibitivo;
- Nella sua corsa verso Sud, la Russia ha sempre visto l’Ucraina come il suo trampolino di lancio verso i mari caldi;
- La dirigenza russa soffre da sempre di un senso di insicurezza, a causa dell’assenza di confini naturali. Questo ha costituito per essa un fattore condizionante, a partire dall’epoca degli zar, fino ai tempi nostri.
Intendiamoci bene! Qui si parla di sensazioni di insicurezza, non di realtà oggettive, comprovate dalla Storia. Pertanto, prima di vedere se la Storia giustifichi o meno i drammatici avvenimenti di questi giorni, è necessaria un breve excursus teorico sul concetto di sicurezza.
Ciò è avvalorato dal fatto che il governo russo, ai massimi livelli, ha giustificato la propria decisione di aggredire l’Ucraina proprio adducendo motivi di sicurezza, oltre che confermare quanto si è visto, e precisamente che sia nel proprio interesse soggiogare questa sventurata Nazione.
Un concetto molto ambiguo
Per definizione, la sicurezza è “la condizione che rende e fa sentire di essere esente da pericoli, o che dà la possibilità di prevenire, eliminare o rendere meno gravi danni, rischi, difficoltà, evenienze spiacevoli, e simili”[9].
Questa definizione mostra, anzitutto, che la sicurezza è una sensazione, e come tale può essere, a volte, decisamente lontana dalla realtà. L’esempio di un bambino che ha paura del buio è oltremodo calzante: spesso, i leader, di fronte a una situazione che non possono controllare adeguatamente, avvertono paura e sono portati ad agire in modo irrazionale, reagendo d’istinto, indipendentemente dal fatto che il quadro di situazione presentato alla loro attenzione sia vero o falso.
Un esempio storico si questo ci è dato dalla reazione dell’opinione pubblica americana, durante la guerra con la Spagna, nel 1898. Racconta uno studioso di Strategia, a tal proposito, dei “timori del popolo americano, che sollecitò il governo a tenere la cosiddetta Squadra Volante a Hampton Roads, invece di inviarla nel probabile teatro di operazioni”[10]. Tutta questa agitazione era dovuta alla notizia che una Squadra spagnola, composta da quattro vecchi incrociatori corazzati, era salpata dalla sua base. Il timore generale, frutto di tale informazione, era dovuto al rischio di un suo possibile uso per bombardare il suolo americano, un’azione che non era mai passata per la mente dell’Ammiraglio spagnolo.
Il secondo aspetto del concetto di sicurezza è la sua caratteristica “spiralizzante”. Quando si è poveri, si accetta un concetto di sicurezza meno ambizioso di quello che viene considerato normale quando si gode di un elevato livello di benessere collettivo. Questo avviene perché, più uno sta bene, più si trova con qualcosa da difendere, e quindi si preoccupa della propria sicurezza.
La stessa NATO, ancora negli anni ’80, vedeva il concetto di “sicurezza” sotto una luce ben diversa (sopravvivenza a un’invasione da Est), rispetto a quanto viene considerato indispensabile oggi. Infatti, noi parliamo di “sicurezza energetica”, “sicurezza cibernetica”, “sicurezza alimentare”, e così via, un segno del fatto che abbiamo molto più da perdere, rispetto a quando – come nel 1945 – eravamo un Paese povero, uscito dalla sconfitta in una guerra disastrosa.
Il terzo e ultimo aspetto del concetto di sicurezza è dovuto al fatto che, più si consegue un livello elevato di sicurezza, più si semina inavvertitamente instabilità intorno, come accade al ricco proprietario di una villa, che decida di proteggersi con dei cani, e spesso si ritrova con questi ultimi che azzannano i passanti. Questo “paradosso (o dilemma) della sicurezza” spiega perché, quando un leader parla di sicurezza, la cautela nel prendere per buone le sue affermazioni è d’obbligo.
La triste Storia dell’Ucraina
A titolo di premessa, va detto che, secondo gli storici, il primo nucleo della Russia, o meglio “lo Stato di Kiev, è sorto nella zona del Dnepr alla fine del IX secolo”[11], con il nome di Russia. Per tutti gli abitanti del Paese, quindi, specie per coloro che discendono dagli abitanti del quasi coevo Ducato di Novgorod, sorto nell’862 d.C. come primo centro di potere della Russia del Nord, il legame tra Russia e Ucraina è qualcosa di intangibile.
Purtroppo, questo sentimento si scontra con la realtà storica: fino al XVII secolo, l’Ucraina fu indipendente, anche se visse una vita grama, tra invasioni dall’Est, guerre con la Polonia e gli Stati Baltici, e la necessità di contenere la spinta espansionistica dell’Impero Ottomano.
Nel frattempo, nel nord del Paese era sorto il Ducato di Mosca (o di Moscova), intorno alla città, fondata nel 1156, poi distrutta dai Mongoli nel 1237, e risorta a nuova vita, una volta esauritasi la minaccia dall’Est, tanto che, a partire dal 1303, la città diventò sempre più un centro di aggregazione dei territori circostanti, fino a diventare una potenza locale, con la dignità ducale.
La potenza crescente del Ducato di Moscova ebbe come effetto l’avvicinamento ad esso dell’Ucraina. Sulle caratteristiche di questo avvicinamento, però, esistono versioni contrastanti.
Stando agli storici russi, per le difficoltà che incontrava il Paese, nel 1654, “a Perejaslav, una rada (assemblea) dell’esercito e dei proprietari terrieri prese in considerazione le opzioni aperte all’Ucraina – quella della sudditanza alla Polonia, quella del trasferimento della lealtà alla Turchia (sic) e quella dell’obbedienza alla Moscova – decidendo a favore dello zar ortodosso, al quale gli Ucraini giurarono fedeltà”[12]. Quindi, stando alle cronache di parte russa, da quel momento gli Ucraini si sottomisero per sempre al potere moscovita.
Secondo gli storici ucraini, invece, questo giuramento di fedeltà avrebbe dovuto essere bilaterale, con i Moscoviti che avrebbero dovuto “promettere di proteggere (gli Ucraini) dai Polacchi e di rispettare i loro diritti e privilegi”[13] ma si rifiutarono di farlo. Costretti dalla mancanza di alternative, i rappresentanti ucraini accettarono questo stato di fatto. In poche parole, secondo gli storici ucraini, l’accordo di Perejaslav sarebbe stato nulla più che un’alleanza militare, sia pure di tipo asimmetrico, tra un debole e un forte, non di una sottomissione. Ne è prova il malumore dei leader ucraini quando lo zar di Mosca negoziò la pace con la Polonia, a Vilnius, nel 1656, “senza consultarli, anzi persino impedendo a una delegazione ucraina, inviata a tale scopo, di avvicinarsi ai negoziati”[14].
Ci volle, però, un esercito di 150.000 uomini, inviati dal Ducato di Moscova, per sottomettere gli Ucraini, nel 1659, malgrado la loro resistenza fosse stata intensa, e l’esercito moscovita avesse dovuto subire una cocente sconfitta a Konotop, pochi mesi prima.
Di fatto, da allora, non si parlò più di indipendenza ucraina fino al XX secolo, quando la Prima Guerra Mondiale causò il collasso del sistema zarista. All’inizio, però, dopo la prima rivoluzione, che aveva portato al regime di Kerenski, fu costituito nel marzo 1917 solo un Comitato Esecutivo, poi sostituito da un “Consiglio (Rada in Ucraino) Centrale” il cui scopo era, semplicemente, quello di “mantenere l’ordine e agire come un’estensione del Governo Provvisorio”[15] di Pietrogrado.
Infatti, la Rada, il 23 giugno, emanò il suo primo manifesto, nel quale si dichiarava: “Rendiamo libera l’Ucraina. Senza separarci interamente dalla Russia, senza interrompere i legami con lo Stato russo, facciamo in modo che il popolo ucraino abbia il diritto di decidere sulla propria vita nella propria terra”[16].
Questa aspirazione a una maggiore autonomia fu fieramente avversata dal governo di Pietrogrado, tanto che la Rada arrivò alla conclusione di dichiarare l’indipendenza dell’Ucraina il 22 novembre.
Nell’anno e mezzo che seguì, l’Ucraina non riuscì a trovare né pace né tantomeno stabilità. In quel periodo, infatti, il Paese subì una serie di rivolte interne, due invasioni da parte dei Bolscevichi, l’occupazione tedesca con la consegna forzata di enormi quantità di granaglie, lo sbarco di 60.000 soldati francesi a Odessa, l’arrivo di reparti di Russi Bianchi finché, alla fine del 1921, i Bolscevichi non riuscirono ad abbattere tutte le forze di opposizione e controllare l’Ucraina, che divenne così una delle Repubbliche Socialista Sovietiche.
In questa situazione il Paese, pur avendo conseguito la stabilità, sia pure sotto il pugno di ferro sovietico, dovette subire feroci repressioni, legate alla forzata collettivizzazione delle terre e all’eradicazione dei piccoli proprietari terrieri, i kulaki. Nel 1931-32, poi, il governo sovietico decise di aumentare del 44 % il prelievo di grano a fini nazionali, malgrado il raccolto, per effetto delle misure di collettivizzazione, fosse risultato piuttosto inferiore alla media degli anni precedenti.
Uno dei luogotenenti di Stalin, Mendel Khataevic, per spiegare le ragioni di questa decisione, che si sapeva avrebbe provocato una disastrosa carestia, dichiarò: “una guerra feroce si sta svolgendo tra i contadini e il nostro regime. È una lotta senza limiti. Quest’anno è stata una prova della nostra forza e della loro resistenza. È stata necessaria una carestia per mostrare loro chi comanda qui. È costata milioni di vite umane, ma il sistema di fattorie collettive è qui per rimanere. Abbiamo vinto la guerra”[17].
I calcoli degli storici, data l’assenza di dati resi pubblici dal governo di Mosca, valutano le morti per fame tra i 3 e i 6 milioni di persone. In effetti, a riprova della loro validità sta il fatto che la popolazione ucraina ne uscì decimata a un punto tale che, quando “il censimento del 1937 mostrò un tasso di mortalità spaventosamente alto, Stalin fece fucilare i principali responsabili delle rilevazioni”[18].
Questa tensione latente tra governo centrale e la popolazione ucraina emerse di nuovo quando i Tedeschi, il 22 giugno 1941 attaccarono l’Unione Sovietica che, ufficialmente, era loro alleata. Questa invasione che, secondo alcuni, aveva lo scopo di prevenire un attacco sovietico alla Germania[19], colse l’Armata Rossa con tutto il proprio armamento pesante in posizione avanzata. La cattura da parte tedesca di questi armamenti creò una crisi tale che i Russi non poterono fare altro che ritirarsi precipitosamente.
L’Ucraina fu quindi occupata e, all’inizio, una parte non trascurabile della popolazione accolse i nuovi occupanti con favore. Ma i Tedeschi ben presto delusero le aspettative, fin troppo ingenue, degli Ucraini. Le loro misure repressive, la confisca dei raccolti e la deportazione degli Ebrei convinsero ben presto la popolazione a scatenare una guerriglia che si rivelò letale, mettendo in gravi difficoltà l’esercito tedesco.
La fine della guerra vide, comunque, altre repressioni, inclusa la deportazione in massa dei Tatari di Crimea e dei Cosacchi, colpevoli di aver appoggiato gli occupanti tedeschi.
Quanto riportato finora, sia pure in estrema sintesi, rende l’idea di quanto l’Ucraina abbia subito le angherie e la ferocia degli invasori, con il governo di Mosca (e prima quello di San Pietroburgo) in prima linea tra gli oppressori. Questa lunghissima serie di disgrazie ha però forgiato il sentimento di identità nazionale, tanto che non ci si deve meravigliare, quindi, che il crollo dell’Unione Sovietica abbia spinto il popolo ucraino a dichiarare l’indipendenza, il 24 agosto 1991.
I comportamenti della Russia verso l’Europa
Dopo aver ottenuto, come ricompensa degli sforzi compiuti durante la Seconda Guerra Mondiale, il controllo dell’intera Europa Centro-Orientale, i Sovietici si sono trovati a dover fronteggiare più volte il dissenso dei loro nuovi sudditi e degli alleati che si erano uniti nel Patto di Varsavia. A similitudine di quanto fatto nel 1848, quando le truppe dello zar invasero l’Ungheria, l’Armata Rossa è stata più volte impiegata per restaurare il cosiddetto “ordine socialista” laddove lo si riteneva in pericolo.
I casi più clamorosi furono la rivolta in Germania Est del maggio 1953, quella dell’Ungheria dell’ottobre-novembre 1956, e l’invasione della Cecoslovacchia, la cui dirigenza era accusata di deviare dall’ortodossia socialista. La paura di un’analoga invasione spinse la popolazione polacca ad accettare un governo militare, presieduto dal generale Jaruzelski, nel dicembre 1981.
Non mancarono, poi, casi di repressione delle popolazioni soggette a Mosca, riluttanti ad accettare il dominio del Partito. Furono impiegate, per piegare queste resistenze, le forme più varie, dalla prigione alla deportazione, fino alla fucilazione degli individui ritenuti particolarmente pericolosi. Anche quando non veniva attuata alcuna repressione, la prassi prevedeva azioni preventive.
I militari sovietici provenienti dai Paesi Baltici, ad esempio, venivano costretti a servire il Paese in Siberia o, quanto meno, nelle Repubbliche dell’Asia Centrale. Le spiagge del Baltico, poi, venivano minate e recintate con filo spinato. Nei pochi tratti liberi da mine, destinati alla balneazione, la sabbia era rastrellata ogni sera, in modo da scoprire eventuali tentativi di fuga.
La mano pesante sui popoli soggetti, adottata dai Sovietici, non era peraltro una novità, e ripeteva analoghe pratiche, ancorché meno crudeli del regime zarista. La Russia, quindi, ha causato l’accumulo, nei secoli, di un odio profondo nei popoli a lei soggetti, odio che, in ambito NATO, ad esempio, si materializzava in ogni riunione del Consiglio NATO-Russia. Non si può dire, quindi, che la Russia sia circondata da amici.
La strategia di Putin
Salito al potere con un’agenda revanscista, tesa a riconquistare il prestigio perso all’atto dell’implosione dell’URSS, come se fosse stata colpa altrui, Putin ha preso una serie di iniziative militari, a difesa delle popolazioni russofone rimaste al di fuori della Russia. La differenza rispetto alle analoghe imprese di Hitler, che agiva per lo stesso fine, è che il governo russo ha cercato di scalare nel tempo queste imprese, in modo che l’opinione pubblica mondiale avesse il tempo di dimenticare le sue imprese precedenti.
Abbiamo avuto, così, la guerra con la Georgia, nel 2008, l’invasione della Crimea nel 2014, con il contemporaneo appoggio alla rivolta nel Donbass, e ora l’attacco all’Ucraina.
Inoltre, recentemente, il governo russo ha dichiarato che, se non verrà creata una fascia smilitarizzata lungo i confini del Paese, questo reagirà per salvaguardare la propria sicurezza.
Sorgono spontanee, a questo punto, due domande:
- Putin si riterrà soddisfatto, dopo aver piegato l’Ucraina, oppure intende continuare a “liberare” le comunità russofone rimaste al di fuori della Federazione Russa;
- Come è possibile mantenere rapporti “normali” con un Paese il cui governo è convinto che la propria sicurezza dipenda dall’oppressione e la coercizione dei Paesi confinanti?
La reazione dell’Occidente
Va detto che, fino a pochi mesi fa, i Paesi occidentali avevano sempre trovato giustificazioni, ancorché parziali, per evitare di prendere atto della minaccia russa. Tutti avevano quindi continuato a fare affari con il governo di Mosca, anche nella speranza di creare una situazione di pace, incrementando il livello di interdipendenza con quest’ultimo.
In effetti, si trattava di una strategia di pace che, nei secoli, si era sempre rivelata efficace, creando motivi ostativi sempre maggiori alla ripresa della conflittualità con la controparte. Quindi, prodotti e tecnologie occidentali sono stati inviati in Russia, la fabbricazione di beni su licenza è stata favorita, l’importazione di gas siberiano è stata incrementata, e gli scambi culturali si sono moltiplicati, a beneficio delle due parti.
Questo idillio, però, ha avuto una brusca fine, quando la crisi tra la Russia e la Georgia, ancora prima che l’invasione avesse luogo, spinse nel 2008 la Presidenza francese dell’UE a emanare un documento strategico, nel quale si ribadiva la Strategia di Sicurezza allora in vigore dal 2003, aggiungendovi però alcune proposte nuove.
Tra queste, una merita la nostra attenzione, laddove si affermava: “È essenziale una maggiore diversificazione di combustibili, fonti di approvvigionamento e rotte di transito, come lo sono il buon governo, il rispetto dello stato di diritto e gli investimenti nei paesi d’origine. La politica dell’UE sostiene tali obiettivi attraverso l’impegno con Asia Centrale, Caucaso e Africa nonché attraverso il partenariato orientale e l’Unione per il Mediterraneo. L’energia è un elemento molto importante nelle relazioni UE-Russia”[20].
Diversificare significa fare in modo da poter abbandonare una fonte di approvvigionamento energetico, quando la situazione lo imponga, senza che l’economia del Paese subisca scossoni devastanti. Questa proposta, a dire il vero, è diventata una politica dell’Unione, anche se è stata portata avanti con una certa flemma.
Ora, gli USA, la Gran Bretagna e l’UE stanno concependo una serie di sanzioni, nei confronti della Russia, tese a smontare la complessa rete di interdipendenza che si è creata negli anni. Tra queste, le più significative sono quelle che rendono la distribuzione del gas russo, e i conseguenti pagamenti, sempre più difficili. La “de-russificazione” degli approvvigionamenti energetici è in atto, anche se non ancora dichiarata.
L’impressione è che non si tratti di misure temporanee, bensì di un progressivo, graduale, tentativo di distaccare l’Occidente dalla Russia, nella consapevolezza che questi non sia un partner con il quale valga la pena di avere a che fare, e che sia meglio lasciare alle sue paranoie.
Non è preoccupante, secondo l’Occidente, il fatto che, per reazione, il Cremlino finisca nelle braccia del suo “nemico naturale”, la Cina. Infatti, il fine non tanto nascosto, e più volte riaffermato dal governo di Pechino, è di rimediare alle iniquità dei “Trattati Ineguali” che le causarono, nel XIX secolo, tra l’altro, la perdita della Siberia Orientale.
A tal proposito, uno studioso recente ha citato Mackinder, il quale “aveva evocato lo spettro della conquista, da parte cinese, di territorio russo, cosa che avrebbe reso la Cina una potenza geograficamente dominante, (aggiungendo che), se si osserva come gli emigranti cinesi stanno ora rivendicando demograficamente parte della Siberia (per staccarla) dalla Russia, e come il controllo politico russo dei propri confini orientali mostra difficoltà, si capisce quanto valida fosse questa profezia”[21]
Noi, in Italia, al di là delle meritorie iniziative di solidarietà nei confronti dei profughi ucraini, tutto sommato preferiremmo che si mantenesse un dialogo tra i due mondi, quello russo e quello occidentale, che si stanno visibilmente allontanando l’uno dall’altro.
Come tutti i Paesi vincolati da impegni internazionali, però, dovremo seguire le decisioni che verranno prese in sede NATO ed UE, anche se manterremo la nostra storica propensione di mediatori tra opposte entità. Dobbiamo, però, farci un esame di coscienza, e decidere se possiamo accettare che la Russia continui a voler modificare con la forza la carta geopolitica dell’Europa, ripristinando la posizione di vantaggio che le era stata concessa nel 1945 dagli Alleati anglo-americani, opprimendo o coartando i popoli a lei vicini.
Il motivo che rende urgente questa presa di coscienza è che la dirigenza russa continua a parlare di minacce inesistenti, dipingendo la NATO come un leone pronto a divorarla. La sicurezza della Russia è data dalla sua estensione – e sia Napoleone, sia Hitler ne hanno avuto prova, a loro spese – e, anche mettendo insieme tutte le forze della NATO, non si raggiungerebbe una capacità di invasione, o quantomeno in grado di esercitare una qualsiasi forma di coercizione nei suoi confronti. Per converso, la Storia mostra che truppe russe hanno calcato più e più volte, nel corso dei secoli, il territorio europeo.
Quanto resisterà l’Ucraina non è dato sapere. È certo, però, che queste ulteriori sofferenze inflitte alla popolazione non possono far altro che radicare ancor più l’odio degli Ucraini verso l’orso russo. Putin, quindi, potrà anche eventualmente vantare un successo militare, ma non ha fatto altro che aumentare il numero dei nemici giurati intorno al proprio Paese. Oltretutto, le sue minacce di un possibile ricorso all’arma nucleare fanno supporre che la situazione, sul terreno, delle forze russe sia meno favorevole di quanto la propaganda tenti di dipingere.
Ogni tanto, anche le formiche, quando si coalizzano, riescono a uccidere e mangiare un elefante, e questa è la prospettiva a lungo termine che la Russia, la cui popolazione diminuisce costantemente e l’economia si deve preparare per tempi difficili, ha davanti a sé.
[1] A. MANZONI. I Promessi Sposi. Ed. Fabbri, 2001, pag. 299.
[2] H. J. MACKINDER. The Geographical Pivot of History. The Geographical Journal, Vol. 23, n° 4, April 1904, pag. 423.
[3] Ibid. pag. 424.
[4] Ibid. pag. 425.
[5][5]Ibid. pagg. 425-426.
[6] H.J. MACKINDER. Democratic Ideals and Reality: A Study in the Politics of Reconstruction. Bibliolife, 1919, pag. 174.
[7] A. VIGARIÉ. La Mer et la Géostratégie des Nations. Ed. Economica, 1995, pag. 95.
[8] R. KAPLAN. The Revenge of Geography. Ed. Random House, 2012, pag. 155.
[9] ENCICLOPEDIA TRECCANI. https://www.treccani.it › enciclopedia › sicurezza.
[10] A. T. MAHAN. Strategia Navale. Ed. Forum di Relazioni Internazionali, 1997. Vol. I, pag. 90.
[11] N. RIASANOVSKY. Storia della Russia, dalle origini ai giorni nostri. Ed. Bompiani, 1984, pag. 38.
[12] Ibid. pag. 186.
[13] O. SUBTELNY. Ukraine. A History. Ed. University of Toronto, 1988, pag. 134.
[14] Ibid. pag. 137.
[15] Ibid. pag. 345.
[16] Ibid. pag. 346-347.
[17] Ibid. pag. 415.
[18] Ibid.
[19] Vds, A. LAANEOTS. Two Histories of World War Two. Estonian News, Postimees, 4 settembre 2013.
[20] UE. Relazione sull’attuazione della strategia europea in materia di sicurezza – Garantire sicurezza in un mondo in piena evoluzione. 11 dicembre 2008, pag. 5.
[21] R. KAPLAN. Op. cit. pag. 68.