scarica il pdf impaginato da COMEN – Quadarella Sanfelice-COMEN
L’evoluzione del terrorismo jihadista e i suoi riflessi nell’area mediterranea[1]
Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte[2]
ABSTRACT
Twenty years after the attacks of 11 September, international jihadist terrorism remains a threat for the entire international community, which it wants to subvert in order to reconstitute the Caliphate. The terrorist groups have shown great resilience, resisting the numerous blows they have suffered, the death of their leaders and territorial losses.
Both Al Qaeda and the Islamic State, which are competing against each other, are still alive and active in numerous areas of the African and Asian continent. The Mediterranean is in the middle of these clashes.
We must combat the phenomenon of terrorism and all forms of radicalism and violent extremism with a holistic approach, always respecting international law and human rights, as well as the cultures and identities of local populations.
Sono trascorsi ormai venti anni dagli attacchi dell’11 settembre, con cui un nuovo tipo di terrorismo internazionale, universale e di matrice jihadista, ha colpito la Comunità internazionale. Quel drammatico giorno non furono colpiti solo gli Stati Uniti, ma l’intera Comunità internazionale, con la sua struttura e i suoi valori.
Se guardiamo oltre le esplosioni provocate dagli schianti di quei voli dirottati, è possibile comprendere come gli attacchi non volevano esclusivamente procurare un elevato numero di morti sul suolo statunitense, dimostrandone tra l’altro la non inviolabilità: essi erano rivolti verso quella Comunità internazionale che era nata dopo la Seconda Guerra Mondiale e si basava (e si basa) sulla concezione di Stato westfaliano e sul rispetto dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale che noi conosciamo e rispettiamo. Quei valori che affermiamo essere universalmente riconosciuti vennero contestati nel modo più brutale e sbagliato che possa esistere: con il terrorismo.
Il terrorismo, del quale ancora oggi manca, per una serie di ragioni giuridiche e politiche che sarebbe troppo lungo spiegare, una definizione giuridica universalmente riconosciuta, è “giuridicamente una fattispecie criminosa a forma libera, per spargere il terrore in una determinata comunità, con uno scopo ulteriore (cambiamento politico, sociale o religioso)”[3].
Lo scopo ulteriore che si cercava di raggiungere con quegli attacchi era triplice: il crollo dei valori su cui si basa la Comunità internazionale, la fine di quella che è considerata “ingerenza occidentale” in Medio Oriente, e la ricostituzione di quel Califfato che di fatto manca dalla fine della Prima Guerra Mondiale, con l’abbattimento dei confini disegnati dagli occidentali e il ritorno del potere politico e religioso del Califfo su tutta la Ummah (la comunità di fedeli musulmani).
Al Qaeda, un potente non-state actor che da anni già agiva sulla scena internazionale ma del quale pochi avevano veramente capito la forza e le finalità, passò quel giorno all’azione nel più eclatante dei modi, con attacchi che hanno cambiato le vite di tutti noi. Esiste un prima e un dopo l’11 settembre, e questo è forse ancor più vero per la nostra Area del Mediterraneo, che da allora ha assistito sia alle risposte della Comunità internazionale che alla resilienza dei gruppi jihadisti. Ad Al Qaeda e ai suoi affiliati se ne sono affiancati infatti altri, ad iniziare dal c.d. Islamic State, che nato dalla costola qaedita irachena è finito per diventare il suo principale competitor nella lotta intestina per la supremazia della “galassia jihadista”.
IS è stato ed è per Al Qaeda il principale concorrente anche su due piani ben distinti: quello dei gruppi jihadisti, che a decine da tutti i continenti hanno ad esso giurato fedeltà; quello delle migliaia di giovani radicalizzati che hanno risposto alla sua “chiamata” andando a combattere in un teatro di crisi, ad iniziare da quelli siro-iracheno e libico, o sono passati all’azione anche nelle nostre città con attacchi di quel “terrorismo fai da te”[4] che promosso da anni da Al Qaeda è diventato il cavallo di battaglia di IS, che ha iniziato a rivendicare qualsivoglia attacco, comunque e ovunque realizzato, senza guardare al rispetto delle regole che il gruppo fondato da bin Laden ha da sempre previsto per la scelta degli obiettivi e soprattutto al lungo indottrinamento religioso richiesto a chi decide di agire in suo nome.
Ma IS, soprattutto, ha provato a realizzare il fine ultimo di Al Qaeda: la ricostituzione del Califfato. Lo ha fatto con modalità e tempi sbagliati, muovendosi in modo violento e avventato, ma ha comunque dimostrato al mondo che non si tratta solo di un sogno o di un’utopia, ma di qualcosa di molto più reale e realizzabile di quanto noi Occidentali possiamo immaginare, riuscendo tra efficienza e brutalità ad amministrare per anni un territorio enorme[5].
Nei venti anni che sono seguiti all’11 settembre il Mediterraneo è stato nel bene e nel male il centro della lotta al terrorismo, assistendo tra l’altro a risposte militari che hanno comportato guerre e crisi umanitarie. Questi anni hanno visto anche, con le c.d. Primavere arabe, la caduta di numerosi regimi che resistevano da decenni, spesso privando le popolazioni di ricchezze e diritti: si è sperato che la loro caduta portasse una ventata di democrazia, ma in molti casi ha solo lasciato un vuoto di potere che i gruppi jihadisti hanno provato a colmare, anche fornendo servizi e assistenza alle popolazioni locali.
Dobbiamo infatti ricordare che i gruppi jihadisti non si limitano a metter bombe o decapitare, questa è la visione che spesso fa capolinea nei nostri telegiornali, che non è falsa, ma molto parziale. I gruppi jihadisti non sono solo questo, ed è per queste ragioni che riescono ad affascinare decine di migliaia di giovani, trovando talvolta anche il consenso di una parte delle popolazioni locali. In alcuni contesti, esse credono di trovare nei gruppi jihadisti quell’assistenza che l’inefficienza e la corruzione statale non rende possibile, come si è visto da ultimo con le azioni con cui molte organizzazioni terroriste durante la pandemia di COVID-19[6] hanno assistito in vari modi quanti ne avevano bisogno e sfruttato in proprio favore il malcontento provocato dalla malattia e dalle misure statali tese al contenimento della diffusione del virus.
Per capire veramente la situazione si devono conoscere storia e cultura dei popoli coinvolti, nonché le loro esigenze e necessità. Inoltre, la lotta al terrorismo non deve essere condotta esclusivamente sul piano militare, ma con un approccio olistico, e sempre nel rispetto del diritto internazionale e dei diritti dell’uomo, perché solo così si può veramente contrastare anche la distorta interpretazione della Sharia su cui si basano i gruppi jihadisti.
Essi hanno dimostrato in questi due decenni una grande resilienza, resistendo alla morte dei loro leader ed a numerose “sconfitte sul terreno”, che hanno determinato anche la perdita del controllo territoriale ove acquisito.
A dispetto di quanto molti hanno detto e scritto in questi anni, Al Qaeda non è mai stata veramente colpita a morte, né dalle coalizioni internazionali, né dall’ascesa dell’Islamic State. Ha operato per anni con pazienza e lungimiranza, senza discostarsi dai suoi ideali e dalla sua strategia a lungo termine, pensando più al nemico vicino che a quello lontano.
Il gruppo fondato da bin Laden è ancor oggi una minaccia per la Comunità internazionale, e in particolar modo per l’Area mediterranea: possiamo dire che attende, applicando il famoso detto talebano “gli occidentali hanno gli orologi, mentre noi abbiamo il tempo”. In molti per anni non hanno più considerato Al Qaeda un pericolo imminente pensando solo all’Islamic State, ma non va dimenticato che l’obiettivo di AQ è a lungo termine e non è cambiato. Al Zawahiri non ha alcuna fretta ed è convinto che un giorno la causa jihadista acquisirà la vittoria finale raggiungendo, quando sarà giunto il momento, il suo obiettivo ultimo: la ricostituzione del Califfato.
Da parte sua anche l’Islamic State non è per niente sconfitto, ha solo perso il controllo territoriale del c.d. Califfato autoproclamato da Al Baghdadi dalla città di Mosul nel 2014. IS è tonato ad agire nell’area siro-irachena come gruppo insorgente, resta operativo in diverse aree del continente africano e di quello asiatico, e mantiene una attività online che, seppur ridimensionata rispetto ad alcuni anni fa, non si deve assolutamente sottovalutare.
Il teatro di scontro, tanto nei confronti dell’Occidente quanto all’interno della galassia jihadista, si è spostato soprattutto in Africa e, dopo il ritorno al potere dei talebani, anche in Afghanistan.
In entrambi i continenti la competizione tra gli uomini dei due grandi network jihadisti sta divenendo sempre più aspra e il Mediterraneo è anche geograficamente il centro di questi scontri!
In Asia, non si può ancora parlare di stabilità in numerosi Paesi, a partire dalla Siria e dall’Iraq, per arrivare allo Yemen, mentre il Libano sembra sull’orlo del precipizio.
Quanto all’Afghanistan, il rinato Emirato Islamico dell’Afghanistan è stato salutato dagli organi ufficiali di Al Qaeda e di tutti i suoi gruppi affiliati come una vittoria non solo dei talebani, ma del jihad globale. Il network rivale, adducendo la scusa che essi sono colpevoli di essersi seduti al tavolo negoziale con gli Stati Uniti, sta invece compiendo numerosi attacchi sul suolo afghano attraverso la sua branca locale, l’Islamic State-Khorasan, che fortemente criticata da AQ sembra tra l’altro concentrarsi molto contro le locali moschee sciite.
Ma è all’Africa che dobbiamo guardare con grande attenzione. I due gruppi, non potendo resistere direttamente alla controffensiva occidentale, hanno adottato una strategia di accerchiamento del Mediterraneo da sud verso nord, stabilendosi nei Paesi subsahariani, che cercano di controllare anche prendendo le parti di alcune etnie contro altre, e cercando di eliminare ogni influenza occidentale.
Già Mackinder, oltre un secolo fa, aveva osservato che “il confine meridionale dell’Europa era ed è il Sahara, anziché il Mediterraneo”[7] e i due network dimostrano di averlo capito. Se si consolideranno nella regione sahariana, creeranno le premesse per attacchi sanguinosi contro i nostri Paesi.
Il nostro compito, al di là delle azioni di contrasto più o meno diretto al terrorismo, deve essere pertanto quello di aiutare le popolazioni locali nel rispetto del diritto internazionale e dei diritti dell’uomo, nonché delle loro differenti identità, lavorando sul contrasto alla radicalizzazione e ad ogni forma di estremismo violento, anche attraverso una narrativa alternativa che smascheri le false promesse dei gruppi jihadisti.
[1] Articolo preparato per i lavori dei “Colloqui Interculturali Mediterranei 2020-2021” (https://comen-fondazionemediterranea.org/home/) indetti dall’Associazione e Gruppo Internazionale di Lavoro “COMEN-Conferenza Mediterranea” con gli auspici del Presidente del Senato della Repubblica, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Già pubblicato in https://comen-fondazionemediterranea.org/interventi-relatori/ e ripubblicato per gentile concessione del COMEN.
[2] Direttore di Mediterranean Insecurity, saggista, analista intelligence, docente universitario presso l’Università di Roma La Sapienza, l’Università degli Studi Niccolò Cusano, l’Università degli Studi di Udine e la Società italiana per l’organizzazione internazionale (SIOI).
Le opinioni espresse sono personali e non rappresentano necessariamente le Amministrazioni di appartenenza.
[3] Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Il nuovo terrorismo internazionale come crimine contro l’umanità, 2006, Editoriale Scientifica, Napoli, Cap. 1, § 1.
[4] Per approfondimenti si veda Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Perché ci attaccano. Al Qaeda, l’Islamic State e il terrorismo “fai da te”, Aracne Editrice, Roma, seconda edizione, 2017, e ampia bibliografia ivi citata.
[5] Per analizzare come IS aveva organizzato il Califfato nel teatro siro-iracheno tra il 2014 e il 2017, si veda Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Vivere a Mosul con l’Islamic State. Efficienza e brutalità del Califfato, Mursia, Milano, 2019.
[6] Si veda Sanfelice di Monteforte F., Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Il mondo dopo il COVID-19. Conseguenze geopolitiche e strategiche. Posture dei gruppi jihadisti e dell’estremismo violento, Mursia, Milano, 2020, e ampia bibliografia ivi citata.
[7] Mackinder H.J., The Geographical Pivot of History, in The Geographical Journal, Vol. 32 n° 4, Apr. 1904, pag. 428.