scarica il file in pdf – lo yemen e la guerra al commercio marittimo – febbraio 2025 – sanfelice
LO YEMEN E LA GUERRA
AL COMMERCIO MARITTIMO
Il quadro generale della crisi
Amm. Sq. Ferdinando SANFELICE di MONTEFORTE
Introduzione
Dopo oltre un anno di attacchi ai mercantili di passaggio nel Golfo di Aden e nello Stretto di Bab-el-Mandeb, il 20 gennaio 2025 il portavoce degli Houthi ha dichiarato che, finché il cessate il fuoco tra Israele e Hamas rimarrà in vigore, le navi mercantili internazionali potranno transitare in sicurezza fra l’Oceano Indiano e il canale di Suez, fatta eccezione per quelle di proprietà israeliana o battenti bandiera israeliana che rimarranno invece un obiettivo nel mirino.
Lo stesso portavoce ha poi precisato che, eventuali ulteriori attacchi allo Yemen da parte delle forze militari britanniche e americane potrebbero avere conseguenza la presa di mira anche di navi mercantili di quei Paesi.
La dichiarazione, però, non ha sollevato l’entusiasmo dei principali armatori, in particolare coloro che gestiscono le compagnie di trasporto container, che rimangono cauti a proposito di un ritorno alla navigazione in Mar Rosso. “I rappresentanti degli Houthi hanno segnalato un piano per sospendere gli attacchi alle navi, ma non hanno annunciato una vera e propria interruzione. Pertanto, è necessario prima un cessate il fuoco confermato a lungo”.
Malgrado la giustificabile prudenza degli armatori, sembrerebbe, comunque, che qualche spiraglio di tregua sia visibile, in una lotta, inizialmente localizzata nella regione medio-orientale, ma che ha finito per interessare tutto il mondo, rendendo lo Yemen uno dei centri di questo conflitto, durato fin troppo a lungo.
Vale la pena ricapitolare gli eventi, partendo da quelli più lontani nel tempo, per capire come si sia arrivati a questa situazione e quali rischi ancora vi siano di un riaccendersi delle ostilità: infatti, quanto accade nella Penisola Arabica ha radici lontane che, se vengono trascurate, rendono difficile comprendere il perché di queste lotte particolarmente accanite, e quindi rischiano di vanificare gli sforzi per farle cessare, almeno temporaneamente.
Lo Yemen
Posto nell’angolo sud-ovest della Penisola Arabica, lo Yemen ha una superficie di ben 528.000 km ² (oltre una volta e mezza l’Italia), ospita 30 milioni di abitanti (con una densità pari a 56 per km ²). La sua geografia è caratterizzata da una parte occidentale, occupata da una catena montagnosa che va da nord a sud, vicino alla costa del mar Rosso, mentre il resto del Paese è prevalentemente pianeggiante, con rilievi di minore entità che si snodano parallelamente alla costa che si affaccia sul Golfo di Aden.
Il Paese è povero: il suo PIL nominale ammonta a 16 miliardi di dollari, con un tasso di crescita, pari al 2,6% (poco più di 500 dollari pro-capite). Le città principali sono Sana’a, la capitale storica, posta nel cosiddetto Nord Yemen, popolato da Sciiti Zaiditi, e Aden, nel sud del Paese, popolato in prevalenza da Sunniti.
Oltre alla sua parte continentale, lo Yemen possiede le seguenti isole/arcipelaghi:
-° nel golfo di Aden: Socotra;
-° nel mar Rosso: Perim, Kamaran e Zuqur-Hanish.
La sua posizione è resa ancor più importante dal fatto che è possibile controllare dalle sue coste, oltre che dalle isole, il passaggio obbligato tra il mar Rosso e l’Oceano Indiano, noto come lo Stretto di Bab-el-Mandeb (in arabo “La Porta del Pianto”), nonché buona parte del Golfo di Aden. In definitiva, la vera porta orientale del Mediterraneo è questo Stretto, che, insieme al Canale di Suez consente alle navi di entrare o uscire dal Mediterraneo.
Non è quindi un caso che la storia del Paese sia estremamente tormentata, a causa della volontà – da parte delle Potenze delle varie epoche – di dominarlo, per acquisire il controllo dei traffici nel mar Rosso. Vale la pena di ricordare, infatti, che per secoli è stato in atto un sistema di trasbordo delle merci e dei passeggeri via terra da Porto Said a Suez. Le navi, quindi, arrivavano a uno dei due terminali, depositavano le merci o facevano sbarcare i passeggeri. Queste e quelli venivano portate all’altro terminale, dove delle navi appositamente noleggiate, compivano la seconda parte del tragitto, collegando così i mercati asiatici con il Mediterraneo.
Questo sistema, alquanto scomodo, venne meno con l’apertura del Canale di Suez, nel 1869; a questo punto, però, il vantaggio di posizione dello Yemen per il controllo dei traffici marittimi è diventato ancor più importante, e i tentativi delle Grandi Potenze di controllarlo furono sempre più frequenti.
La Storia
Duemila anni fa lo Yemen era un Paese ricco, per la presenza di acqua e la posizione centrale per il commercio internazionale: i Romani lo chiamavano Arabia Felix e avevano instaurato durevoli relazioni commerciali.
Dopo l’avvento dell’Islam, seguito dallo scisma sciita, nella parte occidentale si costituì un Califfato autonomo che adottò la variante zaydita della Shia, quella politicamente più estrema nei confronti del potere sunnita. Quando una parte del Paese cadde sotto il controllo dell’Impero Ottomano alcune regioni rurali nell’entroterra restarono di fatto autonome. I Sultani lasciarono libertà di culto alle popolazioni delle due province (Vilayet) assicurandosi in tal modo una relativa pace sociale.
Nello Yemen, il punto che attrasse ben presto l’attenzione delle potenze marittime fu il suo principale porto naturale, Aden. L’approdo era noto fin dall’antichità, tanto da essere stato descritto anche da Marco Polo nel suo libro, “Il Milione”, e fu oggetto di vari tentativi di conquista. In particolare, nel XVI secolo ci provarono i Portoghesi, senza successo, poi, nel 1839, i Britannici ottennero dalla declinante potenza ottomana una concessione che mantennero fino al 1967.
Nell’imminenza dell’apertura del Canale di Suez, la Francia, da sempre concorrente della Gran Bretagna, preoccupata per il rischio di veder vietato ai suoi mercantili il passaggio, in caso di contenzioso con il governo di Londra, si preoccupò di ottenere dall’Egitto il porto di Gibuti e la regione circostante, in modo da controllare il litorale sud della Stretto.
Con il passare degli anni, la spaccatura plurisecolare tra la popolazione nel nord del Paese, di fede sciita zaidita, e quella del sud, di fede sunnita, portò – dopo l’indipendenza dall’Impero Ottomano, nel 1919, e dall’Impero britannico, nel 1967 – alla formazione di due Stati:
- Yemen del Nord (monarchia, poi repubblica, per alcuni anni parte degli Stati Arabi Uniti, poi indipendente), a nord-ovest;
- Repubblica Democratica Popolare dello Yemen, a sud-est (di stampo marxista).
Ma ognuno dei due Stati, invece di accontentarsi di governare la propria popolazione, tentò ben presto di annettersi la controparte. La prima guerra civile iniziò nel 1962, con un colpo di Stato che depose la monarchia del Nord. Mentre l’Arabia Saudita cercò di rimettere sul trono l’Imam, il Sud, repubblicano, fu appoggiato dall’Egitto (65-67), che però dovette ritirare il suo contingente e rinunciare a incorporare lo Yemen negli Stati Arabi Uniti, a causa delle pesanti perdite subite.
Ne seguì un pur fragile armistizio, finché, nel 1990, il Presidente dello Yemen del Nord, Saleh, riuscì a negoziare la riunificazione del Paese, malgrado l’insoddisfazione della componente zaydita più intransigente. L’unione delle due parti del Paese durò poco: già nel 1994 scoppiò la seconda guerra civile. Saleh si trovò a fronteggiare l’intransigenza degli Houthi del Nord e le rivolte delle primavera arabe, mentre crescevano nello Yemen del sud i sostenitori di Osama bin Laden.
Visti vani i tentativi di pacificazione, Saleh passò il potere al Presidente Hadi nel 2012. Neanche queste dimissioni portarono alla pace, tanto che i ribelli Houthi zayditi del nord operarono un colpo di Stato nel 2015. Da allora c’è stata una sorta di Guerra per procura con l’Arabia Saudita in favore del sud e l’Iran in appoggio agli Houthi, interrotta nel 2022 da un armistizio.
Le conseguenze di questa serie di guerre civili sono state devastanti: secondo le UN nello Yemen vi è la peggior catastrofe umanitaria in corso al mondo (377.000 morti e 3 milioni di sfollati).
La comparsa di al Qaeda
Anche sul piano interno, la violenza non è nuova nello Yemen: a cavallo tra il vecchio e nuovo millennio, erano frequenti i rapimenti di turisti occidentali, ad opera di tribù rurali, che usavano il riscatto solo per costruire infrastrutture (pozzi, canali d’irrigazione).
Il grosso cambiamento fu dovuto alla crescita della organizzazione terroristica creata dai sostenitori di al Qaeda, che in breve acquisirono un’importanza determinante, non solo perché conquistarono gradualmente il controllo di una parte del Paese, ma anche per la loro capacità di sferrare attacchi in varie direzioni.
Il primo fu l’attacco allo USS The Sullivans (3 febbraio 2000) che fallì, a causa dell’affondamento dell’imbarcazione, caricata eccessivamente di esplosivo. Invece, l’analogo attacco allo USS Cole nell’ottobre 2000, sempre ad Aden, riuscì, danneggiando l’unità e causando 17 vittime.
Nel 2009 nacque AQAP (Al Qaeda nella Penisola Arabica), per fusione delle branche yemenita e saudita di Al Qaeda. Il primo capo fu Nasir-al-Wuhayshi: in pochi anni, grazie ad Anwar al-Awlaki, AQAP diventò la più potente tra le organizzazioni ufficialmente affiliate ad al Qaeda, tanto che, dopo la caduta di Saleh, riuscì a controllare ampie zone nello Yemen centrale.
Sul piano ideologico, AQAP si è concentrata sull’ Occidente come nemico principale; in particolare, si deve ad Al Awlaki, cittadino americano naturalizzato yemenita, l’invenzione del c.d. Terrorismo “fai da te”, che tante vittime ha causato in Occidente.
Tra i numerosi attacchi, uno dei più cruenti è stato quello contro la redazione del settimanale Charlie Hebdo a Parigi (2015); in parallelo, AQAP ha anche progettato e condotto attacchi sugli aerei di linea, il che ha dato luogo alle note limitazioni ai liquidi nei bagagli a mano (2006) e dei controlli con body scanner per mini-bombe nascoste sugli aerei (2009).
Gli Houthi
Nel 1992 viene fondata la “Gioventù credente” nel governatorato di Sa’ada, nel nord dello Yemen, per far rinascere lo zaydismo (branca dell’islam sciita) nel paese (la cui popolazione è a maggioranza sunnita), farne cessare l’emarginazione politico-religiosa e arrivare all’autonomia delle terre del nord. Si tratta del nucleo iniziale da cui nascerà il movimento Houthi vero e proprio.
Gli Houthi, o movimento Ansar Allah, “partigiani di Dio”, (nome assunto nel 2011), sono un gruppo armato del nord montagnoso dello Yemen, legato a una famiglia – gli Houthi – che ha avuto un ruolo di leadership nella sua storia
A partire dal 2011, gli Houthi adottarono la lotta armata, prendendo il controllo di pezzi del paese, a partire dal natio governatorato di Sa’da; grazie alla loro combattività, nel 2015, gli Houthi sbaragliarono i filogovernativi e presero con la forza i palazzi del potere grazie alla decisiva alleanza con il blocco dell’ex presidente Saleh, ritenuto uno zaydita troppo “ecumenico”.
Iniziò così la seconda guerra civile: da una parte gli Houthi sostenuti dall’Iran, Paese guida dei movimenti sciiti, dall’altra il governo, spalleggiato, a partire dal 2015, da una Coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita. Da notare il cambiamento di approccio da parte del governo di Riad, che nella precedente guerra civile aveva appoggiato proprio la monarchia Houthi contro l’Egitto e lo Yemen del Sud, laici e filorussi.
Nel corso di questa seconda guerra civile, grazie all’appoggio di Teheran, gli Houthi accrebbero la propria preparazione ed esperienza militare, mettendo a segno attacchi contro navi in transito sul Mar Rosso e contro diverse infrastrutture petrolifere e unità navali saudite. In quegli anni, infatti, comparvero i primi motoscafi radiocomandati che crearono tanti problemi alle unità da guerra della coalizione. Queste capacità sono emerse quando gli Houthi hanno iniziato ad attaccare il traffico mercantile in transito a Bab-el-Mandeb, come vedremo tra breve.
Le pressioni internazionali per la distensione fra le parti – anche tramite scambi di prigionieri e incontri tra Houthi e sauditi – permisero, alla fine, la firma di una tregua nel 2022, seguita un anno dopo dalla distensione tra l’Arabia Saudita e l’Iran, mediata dalla Cina. Purtroppo, un vero accordo per una pace stabile e duratura non è stato mai firmato.
L’Iran e la “guerra per procura”
Si è visto che, nel corso di questo conflitto contro la coalizione guidata dall’Arabia Saudita, gli Houthi sono stati appoggiati dall’Iran, che ha fornito soldi, armamenti e soprattutto le capacità critiche, non si sa se direttamente o indirettamente (supporto intelligence, gestione e guida di mezzi aerei e navali senza pilota).
Cosa si nasconde dietro questo appoggio ai gruppi di fede sciita? Uno sguardo complessivo alle iniziative intraprese dal governo di Teheran, negli ultimi decenni, porta alla conclusione che, di fatto, l’Iran sembri perseguire una strategia espansionistica, anti-Occidentale, antisionista e antisunnita.
Lo strumento utilizzato a questo fine è il c.d “Asse della Resistenza”, un’alleanza informale che comprende in Libano gli Hezbollah, in Siria, il regime alawita (sciita) di Asad, in Iraq varie milizie armate, per non parlare del fatto che anche a Baghdad il governo è a direzione sciita, in Afghanistan gli Hezbollah e, per l’appunto, in Yemen, gli Houthi.
A questi gruppi, tutti di fede sciita, si aggiunge, nella Striscia di Gaza l’adesione di Hamas e della Jihad Islamica, palestinesi di fede sunnita, a questo “Asse della Resistenza”. La ragione di questa adesione va ricercata nei legami instaurati a suo tempo tra Yasser Arafat e l’Ayatollah Khomeini, l’unico che si dimostrò aperto alle istanze palestinesi, mentre il resto del mondo islamico aveva ampiamente dimostrato di non voler appoggiare queste rivendicazioni.
In effetti, il governo iraniano da anni aveva indicato la volontà di distruggere Israele, e per questo gli era utile appoggiare Hamas, l’unico gruppo palestinese che persegue ancora il fine di cacciare tutti gli Ebrei dalla Palestina.
Quindi, il governo di Teheran ha deciso di sfruttare i gruppi collegati per condurre un’offensiva su più fronti, nominalmente contro Israele, ma anche in grado di danneggiare i Paesi occidentali e quelli sunniti, colpendo i loro interessi vitali. È iniziata, quindi, una “Guerra per Procura” in cui il governo di Teheran, senza comparire direttamente, poteva scatenare una serie di attacchi che, nei suoi piani, avrebbero fatto precipitare la situazione e sollevare l’intera regione contro Israele.
La strategia seguita consistette in una finta minaccia di invasione da parte degli Hezbollah, che aveva portato Israele a concentrare le proprie forze a Nord del Paese, in modo da favorire l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, mentre gli Hezbollah si limitavano a intensificare i lanci di missili contro Israele.
La reazione di Israele, non si è limitata a invadere la Striscia di Gaza e il sud del Libano, ma ha anche incluso una serie di attacchi mirati a uccidere leader dei Pasdaran e di Hamas, rivelatisi molto efficaci.
La rappresaglia del governo iraniano, non si è fatta attendere: il 13 aprile 2024, l’Iran ha attaccato massicciamente Israele con droni e missili; per la grande sorpresa del governo di Teheran, caccia intercettori giordani, egiziani e sauditi hanno integrato la difesa aerea israeliana, ufficialmente per difendere il terzo luogo sacro dell’Islam, la Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, contribuendo a far fallire questo massiccio attacco.
Gli attacchi al traffico marittimo
Il contributo degli Houthi alla causa è iniziato il 18 novembre 2023, quando si è avuto l’abbordaggio del “Galaxy Leader” da parte di un commando di Houthi, cui si erano aggiunti alcuni Somali. Da notare che la nave batte bandiera delle Bahamas, ha un armatore giapponese ed è in parte di proprietà israeliana.
Al momento, un mercantile iraniano stazionava nelle vicinanze. Pochi giorni dopo, un cacciatorpediniere iraniano lo ha sostituito. Questo ha in parte spiegato come mai gli Houthi, fieri montanari e valorosi combattenti su terra, avessero sviluppato una capacità di intelligence tale da consentir loro di penetrare il complesso mondo dell’armatoria privata.
Questa partecipazione sempre meno occulta di mezzi iraniani non è passata inosservato, anche se fin dall’inizio i governi occidentali hanno evitato azioni dirette contro questi mezzi, per non aggravare la crisi.
Comunque, questa prima iniziativa, che sembrava diretta contro il solo Stato di Israele, ha destato la seria preoccupazione da parte dell’Occidente e dei Paesi arabi. I Paesi occidentali, con maggiori interessi nella sicurezza del traffico marittimo, hanno immediatamente inviato loro unità per proteggere i mercantili nazionali che transitavano nell’area di Bab-el-Mandeb.
Dopo il sequestro della “Galaxy Leader”, il 27 novembre gli Houthi hanno tentato di abbordare il “Central Park”, con bandiera liberiana, armatore inglese e di proprietà israeliana, ma il tentativo è stato sventato dal cacciatorpediniere USS Mason. Da allora, non ci sono stati più tentativi di abbordaggio, ma solo attacchi mediante droni e missili.
L’offensiva degli Houthi si è sviluppata in 5 fasi diverse, come vari analisti hanno evidenziato:
- All’inizio, vi sono stati attacchi al territorio di Israele e ai mercantili con armatori legati a Israele;
- Quindi, è stato dichiarato che gli attacchi avrebbero incluso, tra i bersagli, anche i mercantili diretti a porti israeliani;
- Successivamente, dopo la decisione dei governi di Washington e di Londra di contrastare questa offensiva, gli Houthi hanno incluso tra i bersagli i mercantili legati, appunto, agli USA o alla Gran Bretagna;
- Pochi mesi dopo, gli Houthi hanno dichiarato di voler attaccare anche i mercantili di compagnie che commerciano con Israele;
- Infine, gli Houthi hanno condotto attacchi diretti a Israele con nuovi tipi di missili e droni.
Finora, sono stati contati oltre 200 attacchi (150 contro mercantili), di cui 90 coronati da successo (in prevalenza danni, 1 affondamento). Si stima che gli Houthi abbiano lanciato 230 UAV (droni aerei), 43 USV (droni navali) e 30 missili – Houthi non posseggono capacità industriali adeguate a produrli.
I mercantili colpiti appartengono alla Grecia (53), a Cipro (12), a Bandiere Ombra (41), agli USA (10), alla Gran Bretagna (12), alla Germania (9), alla Norvegia (4), a Israele e Arabia Saudita (2 cadauno), a Canada, Francia, Giappone, Emirati Arabi Uniti e Polonia (1 ognuno). Da notare che nessun mercantile italiano è stato finora attaccato.
Gli effetti degli attacchi Houthi
Come accaduto nel 2008, al primo profilarsi della minaccia ai mercantili in transito nel golfo di Aden e a Bab-el-Mandeb, gli armatori hanno dirottato i loro mercantili di dimensioni maggiori, facendo loro percorrere la cosiddetta “Rotta del Capo” che circumnaviga l’Africa. Questa decisione ha danneggiato, in primo luogo, l’Egitto, dato che il numero delle navi in transito attraverso il Canale di Suez è calato del 49%, rispetto al 2022, quando oltre 23.000 mercantili lo attraversarono nei due sensi.
Va detto che i proventi per i diritti di transito del Canale di Suez sono una delle principali voci di entrata nelle casse dell’Egitto. Il fatto che questi siano calati di circa 8 miliardi di dollari ha messo in crisi le finanze egiziane.
Si sa che, nel 2011, la decisione del governo del Cairo di aumentare il prezzo politico di alcuni beni di prima necessità fu la scintilla delle “Primavere Arabe”; ma questo rischio è reso maggiore da un’altra conseguenza degli attacchi Houthi.
Infatti, con un numero sempre maggiore di mercantili che compiono la circumnavigazione dell’Africa, i costi e i tempi di trasporto sono visibilmente aumentati, e questo fenomeno dannoso include i costi dei beni essenziali, e non solo per i Paesi del Nord Africa, come i generi alimentari – specie i cereali – e, in genere, le materie prime.
Anche l’Italia, a parte l’aumento dei costi, è stata danneggiata dalla riduzione del traffico attraverso il Canale di Suez: infatti, i mercantili che trasportano merci verso l’Europa Centrale, quando circumnavigano l’Africa, trovano più conveniente scaricare e caricare le merci nei porti dell’Europa affacciati sull’oceano Atlantico. L’Italia quindi ha subito la perdita dei proventi del traffico di transito verso questa zona, che viene normalmente servita dai porti della Liguria e dell’Alto Adriatico.
Un altro effetto degli attacchi Houthi è stata la frattura tra i vari Paesi dell’Occidente, che si è diviso tra i Paesi dell’Unione Europea, che hanno deciso di limitarsi ad azioni puramente difensive, e quindi al solo antiterrorismo e quelli – gli Stati Uniti e la Gran Bretagna – che hanno deciso di stroncare alla radice questi attacchi, praticando quindi azioni di contro-terrorismo, per colpire le basi degli Houthi.
Le Operazioni Navali dell’Occidente
All’inizio, come si è visto, USA, Gran Bretagna, Francia e Italia hanno inviato in zona loro unità per proteggere i rispettivi mercantili nazionali, coordinandosi informalmente, in attesa di definire un quadro di intervento collettivo.
Il 18 dicembre 2023 gli USA hanno avviato l’Operazione “Prosperity Guardian”, sotto il proprio comando operativo; come ha affermato il Segretario alla Difesa americana, il generale Austin, lo scopo è quello di “gestire la sfida posta da attori non statuali, che lanciano missili balistici e velivoli senza pilota ai mercantili”, in modo da far cessare il blocco al traffico e contrastare le minacce da parte delle forze degli Houthi contro il commercio marittimo. Venti Paesi hanno accettato di far parte della coalizione, ma solo dieci di questi hanno voluto essere citati pubblicamente. La coalizione ha respinto 380 attacchi, lanciando 220 missili superficie-aria. Se si pensa che è stato necessario lanciare missili antiaerei dal costo di milioni di dollari per abbattere bersagli che costano alcune decine di migliaia di dollari, si può notare quanto sia oneroso lo sforzo per proteggere il traffico mercantile, e quanto costi poco l’azione di chi lo minaccia
In parallelo, il 12 gennaio 2024 USA e UK hanno avviato l’Operazione “Poseidon Archer” per colpire le basi degli Houthi da cui vengono lanciati gli attacchi. Finora, sono stati condotti più di 200 attacchi con aerei e missili da crociera.
I Paesi europei, e in particolare la Francia, l’Italia, la Spagna e la Grecia, hanno però declinato l’invito americano a partecipare a una delle due operazioni, preferendo avviare, il 19 febbraio 2024, l’Operazione europea “Aspides”, il cui scopo è di proteggere i mercantili in transito, scortarli e mantenere un quadro di situazione aggiornato nell’area.
Visto che la maggioranza delle navi attaccate era di proprietà ellenica, l’UE ha assegnato il comando operativo alla Grecia (e il comando tattico prima italiano e poi greco), pur coordinandosi con le Nazioni che partecipano all’Operazione “Prosperity Guardian”.
Va osservato che la decisione dei Paesi europei di non unirsi alle operazioni decise dai governi americano e britannico è stato il primo segnale di una divergenza di finalità strategiche, e quindi una crepa nell’edificio della solidarietà transatlantica. Negli ultimi mesi, in effetti, dopo alcune prese di posizione ed iniziative della nuova Amministrazione Trump, stiamo notando che questa crepa si sta allargando, tanto da rischiare di diventare una voragine.
La posizione dell’Italia
L’interesse nazionale a far cessare la crisi è notevole: ad esempio, la nostra Blue Economy ammonta a 52,4 miliardi di €, pari a una volta e mezza il settore agroalimentare e all’80% del settore edilizio. L’aumento dei tempi di transito e dei costi per il trasporto inciderebbero sull’import-export dell’Italia, pari a 377 miliardi di € nel 2022, che si svolge soprattutto via mare, con navi che attraversano Bab-el-Mandeb.
Inoltre, si è già visto che i porti del Nord Italia, usati normalmente dai Paesi dell’Europa Centrale, si sono visti preferire quelli dell’Europa atlantica, più convenienti per le navi che compiono il periplo dell’Africa. Questo spiega la sollecitudine con la quale il governo e il Parlamento hanno autorizzato, fin dall’inizio della crisi, il dispiegamento di nostre unità nell’area di crisi.
In questo contesto particolarmente sfavorevole, va notato che, fortunatamente, l’Italia si trova in una posizione particolare, grazie ai rapporti amichevoli verso ambedue le parti yemenite, che la nostra diplomazia ha allacciato da tempo. Infatti, le nostre unità inviate nell’area all’inizio della crisi (Martinengo e Fasan) hanno scortato i nostri mercantili senza subire attacchi, a differenza delle unità da guerra US Navy, Britanniche e Francesi.
Anche per questo, l’Italia ha declinato la partecipazione all’Operazione “Prosperity Guardian” unendosi all’Operazione UE “Aspides”. In quest’ambito, prima il “Duilio” e poi il “Fasan” hanno abbattuto dei droni che minacciavano i mercantili che stavano scortando. Come detto in precedenza, nessun mercantile italiano è stato attaccato finora.
Ancora più interessante è stata la dichiarazione di un portavoce degli Houthi, Abdennaser Mahamed, che ha affermato, dopo le azioni difensive attuate dal “Duilio” e dal “Fasan”: “L’abbattimento di nostri droni da parte della Marina Militare italiana costituisce una nuova conferma che l’Italia si è voluta schierare a fianco dei nostri nemici e a difesa di Israele”. Lo stesso funzionario ha precisato tuttavia che “l’Italia per il momento non è un nostro obiettivo diretto”, un segno di apertura verso possibili accordi che la nostra diplomazia potrà negoziare.
Come è stato ricordato all’inizio, dopo oltre 15 mesi di attacchi, gli Houthi hanno deciso di interrompere le loro azioni tese a bloccare i transiti attraverso lo stretto di Bab-el-Mandeb. Si spera che questa tregua si dimostri durevole, e che, attraverso opportuni negoziati si arrivi velocemente a una stabilizzazione dell’intera area del Medio Oriente, specie per quanto riguarda i rapporti tra i Paesi arabi e l’Iran.
Conclusioni
Gli attacchi condotti dagli Houthi contro il traffico mercantile sono un’azione intrapresa in accordo con – o sotto la spinta del – governo di Teheran, nell’ambito di un’offensiva molto articolata, mirante a sovvertire l’ordine e la stabilità dell’intero Medio Oriente. Il fatto però che, uno alla volta, i partner dell’Iran abbiano deciso di negoziare un cessate il fuoco è indicativo della stanchezza che questi gruppi avvertono, dopo aver sopportato per oltre un anno il peso delle ostilità.
Se a questo si aggiunge il crollo del regime alawita che ha governato la Siria per decenni, si può notare come la reazione dell’Occidente e dei Paesi arabi all’espansionismo del governo di Teheran si stia rivelando efficace.
Tornando agli Houthi, sono secoli che coloro che vogliono danneggiare un avversario ne attaccano il commercio marittimo. Questa strategia è stata rispolverata negli ultimi venti anni, da quando viene attaccato il commercio marittimo internazionale, la principale fonte di benessere dell’Occidente.
Per i Paesi che non posseggono una forza navale adeguata, i punti nei quali l’attacco è più facile sono le strettoie (Choke Points). Tra l’Asia e il Mediterraneo ce ne sono ben quattro: lo Stretto di Malacca, il Golfo di Aden, lo Stretto di Bab-el-Mandeb, il Canale di Suez. Tutte sono state utilizzate per colpirci, sia pure in tempi diversi.
L’Occidente si è preoccupato di stabilizzarle, in tempi di crisi, in modo selettivo. Oltre alle Operazioni a Bab-el-Mandeb, di cui abbiamo parlato, da oltre un decennio l’UE dirige l’Operazione “Atalanta” nel Golfo di Aden, cui si è aggiunta, da oltre tre anni, l’Operazione EMASOH (European Maritime Awareness Straits of Hormuz), ambedue con partecipazione italiana; lo Stretto di Malacca, infine, è controllato dai Paesi litoranei (Organizzazione ReCAAP). Tra le Nazioni che hanno inviato un osservatore vi è, logicamente, anche l’Italia.
Il nostro interesse, infatti, è che la rotta diretta tra l’Asia e l’Europa non venga meno, specie perché le navi che usano la “Rotta del Capo” trovano più conveniente sbarcare le merci nei porti dell’Europa atlantica, a danno dei porti del Nord Italia, che finora erano preferiti per il traffico di merci provenienti o con destinazione nell’Europa Centrale.
Il fatto che il nostro Paese sia oggetto di maggior riguardo rispetto agli altri Paesi occidentali fa capire quanto importante sia il potenziale che noi abbiamo di negoziare una stabilizzazione nell’area del mar Rosso e del Golfo di Aden. Bisogna sfruttarlo, perché, altrimenti, se la crisi si approfondisse e diventasse endemica, la qualità di vita del nostro popolo che i governi del dopoguerra hanno faticosamente garantito potrebbe venir meno per sempre.