Scarica il file in PDF – Mar Rosso – luglio 2022 – sanfelice
IL MAR ROSSO E LE SUE DINAMICHE
Amm. Sq. Ferdinando SANFELICE di MONTEFORTE
- Introduzione
Tra le numerose caratteristiche dell’Africa, una di esse, come notava uno studioso, è che “le più importanti linee di comunicazione sono le rotte marittime lungo le coste occidentali e orientali del continente”[1]. In effetti, le comunicazioni via terra sono da sempre rese difficili dalle asperità del terreno e dall’ostilità del clima, e di conseguenza le differenti culture hanno in comune il fatto che esse si sono sviluppate, nei secoli, “in isolamento tra loro e rispetto al mondo esterno”[2].
Culture che si sviluppano in questo modo – va detto – non sono naturalmente portate al dialogo, e questa è una delle tante ragioni della conflittualità che piaga da millenni il continente, e lo ha reso permeabile allo sfruttamento da parte di potenze esterne.
Le rotte marittime che sfiorano il continente, oltre a essere percorse da un gran numero di navi mercantili, che alimentano un intenso traffico regionale e interregionale, sono anche due tra le autostrade del mare più frequentate dal commercio internazionale, in parte per trasportare in Europa le materie prime di cui l’Africa è ricchissima, in parte per collegare il “Vecchio Continente” con l’Asia.
La rotta orientale, quella più usata per il commercio con il Mediterraneo, passa per il Golfo di Aden, lo Stretto di Bab-el-Mandeb, termine arabo, molto indicativo, che vuol dire “La Porta del Pianto”, per proseguire poi attraverso il mar Rosso, e raggiungere, in alternativa, i porti all’interno del Golfo di Aqaba o il Canale di Suez. Va ricordato che l’uso di questa rotta consente ai mercantili di risparmiare in media 12 giorni, rispetto alla circumnavigazione dell’Africa, per le navi provenienti dai porti asiatici.
Mentre la navigazione regionale e quella intercontinentale, lungo la costa ovest dell’Africa, bagnata dall’oceano Atlantico, si svolgono, all’incirca, lungo direttrici parallele, il mar Rosso fa eccezione, poiché il traffico a corto raggio è, in buona percentuale, perpendicolare a quello intercontinentale. Gli scambi commerciali di piccolo cabotaggio, tra penisola arabica e la costa africana sono, infatti, intensi, anche se a questi si aggiunge una notevole percentuale di traffici illegali.
Il mar Rosso è lungo e stretto. Il suo asse maggiore, in direzione Nord-Ovest/Sud-Est, è di 1930 km., mentre la larghezza massima del bacino è di 360 km. Non è mai stato, nel passato, un ambiente “accogliente per i navigatori: le rive (sono) ostili, montagnose e praticamente senza fiumi e quindi senza acqua dolce facilmente accessibile, senza legno per le costruzioni navali, praticamente privo di porti (naturali). Solo Aden, Gibuti e Massaua possono accogliere navi d’altura”[3].
A questo elenco di porti, a dire il vero, vanno aggiunti Port Sudan, costruito dagli Inglesi nel 1905 e divenuto, per tutto il periodo coloniale, la base navale della Royal Navy nel mar Rosso, Aqaba ed Eilat, oltre ai porti sauditi e yemeniti sul litorale orientale; questi porti, peraltro, sono in tutto o in parte frutto dell’opera dell’uomo.
La navigazione, lungo l’asse maggiore del bacino, poi, è piuttosto complicata: vi sono, infatti, 379 isolette che lo costellano, dando luogo a vere e proprie strozzature (choke points), passaggi obbligati molto stretti, da percorrere a velocità ridotta, seguendo i percorsi fissati, in sede internazionale, per la canalizzazione del traffico.
Le opportunità per chiunque voglia creare difficoltà al commercio internazionale marittimo sono, quindi, numerose, essendovi ampie possibilità di attaccare le navi militari e mercantili, agendo nei punti meno sorvegliati, oppure all’uscita dalle zone di traffico canalizzato. Questo è specialmente valido per la pirateria, che agisce preferibilmente in zone dove vi è un “vuoto di potenza”, ma non solo!
I covi ideali per i pirati sono proprio alcune delle numerose isole del mar Rosso, e precisamente quelle appartenenti agli arcipelaghi di Hanish, Zubair e Mohabbakah. Questi arcipelaghi sono una sorta di “terra di nessuno”, in quanto oggetto di dispute pluridecennali tra gli Stati litoranei, per cui nessun Paese dell’area li controlla.
Infatti, “il loro status internazionale è quanto meno incerto, in quanto i negoziatori del Trattato di Losanna, nel 1923, non furono in grado di accordarsi sulla loro devoluzione: esse, infatti, erano reclamate, simultaneamente, dallo Yemen (del Nord), dalla Gran Bretagna (in quanto in possesso di Aden) e dall’Italia (in possesso dell’Eritrea). Le isole sono quindi rimaste senza nazionalità”[4].
Da qui a diventare un ricettacolo di predoni del mare, il passo è breve, e questo spiega perché la pirateria fiorisca da decenni, in una condizione di quasi impunità: solo al momento di un attacco a mercantili, infatti, intervengono le navi da guerra, inviate da UE, USA, Russia, India e Cina.
Se sul piano della navigazione il mar Rosso, quindi, presenta difficoltà non secondarie, le cose non vanno molto meglio sul piano geopolitico.
- Le dinamiche regionali
Come avviene per i mari semi-chiusi, le dinamiche geo-politiche più intense sono quelle che riguardano le loro estremità, anche perché il loro dominio viene disputato, in quanto consente, al vincitore, di controllare gli eventi regionali nel modo più agevole. In aggiunta a queste, però, nel mar Rosso le dinamiche che si svolgono tra gli Stati rivieraschi sono molteplici e riguardano tutta la sua lunghezza, non solo le estremità.
Al momento, il solo tratto tranquillo è la sua estremità settentrionale, pacificata dopo ben tre guerre tra Israele e la coalizione araba guidata dall’Egitto. Queste guerre portarono al blocco del Canale, dal 1967 al 5 giugno 1975, con una quindicina di navi che vi rimasero intrappolate all’interno. La riapertura, resa possibile dal ritiro delle truppe israeliane che controllavano la penisola del Sinai, inclusa la sponda orientale del Canale, aveva richiesto mesi di lavoro, per liberare le acque dai residui e dagli esplosivi lasciati in esito alle guerre. Nell’estate del 1984, poi, una ventina di mercantili, che avevano attraversato il Canale, furono danneggiati dall’esplosione di mine, posate – stando alle rivendicazioni successive – da un’organizzazione nota genericamente come “Islamic Jihad”[5]. Stando alle rivendicazioni, erano state posate 190 mine, in parte nel Golfo di Suez e in parte nelle acque davanti al porto saudita di Jeddah. Lo sminamento fu effettuato da unità cacciamine appartenenti alle Marine USA, della Gran Bretagna, della Francia, dell’Italia, dei Paesi Bassi e dell’Egitto, e durò dal 22 agosto al 10 ottobre.
Oggi, il Canale di Suez è solo soggetto a intoppi dovuti alle eccessive dimensioni di alcune navi che lo attraversano. Dal 23 al 29 marzo 2021, in particolare, la portacontainer “Ever Given” si traversò, per effetto del forte vento, bloccando per sei giorni il transito.
Nel golfo di Aqaba la pace è garantita, fin dal 1981, dal controllo multinazionale, effettuato dalla MFO (Multinational Force Observers) cui contribuiscono pattugliatori della nostra Marina, che sorvegliano lo Stretto di Tiran.
All’estremità meridionale, invece, la guerra tra i “ribelli” sciiti dello Yemen e la coalizione guidata dall’Arabia Saudita continua, senza dare segni di rallentamento, dal 2015, ed è arrivata a coinvolgere, sia pure saltuariamente, il traffico marittimo in transito. Al momento, gli attacchi ai mercantili sono stati estremamente selettivi, e hanno colpito navi battenti bandiera di Nazioni che appoggiano la coalizione, ma una degenerazione del conflitto è sempre da tenere in conto, almeno come caso peggiore.
- Le potenze esterne
La notizia di questi ultimi anni è il tentativo di acquisizione, a titolo di affitto, di Port Sudan da parte della Russia[6]. L’accordo, siglato a fine 2020, non è però stato ancora ratificato, anche per le pressioni statunitensi. La ragione strategica di questo passo fatto dal governo di Mosca appare essere triplice: anzitutto, con questa acquisizione la Russia acquisirebbe una “posizione fiancheggiante” che insiste sul tratto finale della “Nuova Via della Seta” nella parte settentrionale del mar Rosso, e in prossimità del Canale di Suez, poi costituirebbe una base di rifornimento intermedio per le proprie forze navali e, infine, costituisce una minaccia latente nei confronti del commercio internazionale.
In tal modo, infine, la Russia bilancerebbe la pur saltuaria presenza statunitense nel bacino, che si appoggia normalmente ai porti di Elat e di Aqaba.
Ovviamente, disporre nuovamente di un punto di appoggio nella parte orientale dell’Africa, dopo la cacciata dall’Egitto nel 1972, è per la Russia una specie di rivincita, oltre che una possibilità di stabilire legami durevoli con i Paesi dell’area, soprattutto di tipo commerciale e di cooperazione militare. Purtroppo per Mosca, il riavvicinamento tra il governo di Khartoum e quello di Washington sta mettendo in pericolo questa possibilità. Bisognerà vedere, oltretutto, se il governo di Khartoum confermerà questo accordo con Mosca, dopo che la guerra in Ucraina sarà conclusa.
- Un’area tormentata
Se consideriamo l’area del mar Rosso, in senso più ampio, vediamo che l’ormai secolare rivalità tra Egitto e Arabia Saudita per il possesso del mar Rosso non si è attenuata, neanche dopo che il governo del Cairo fu costretto a ritirare il contingente di occupazione dello Yemen, inviato nel 1962 e fatto rientrare in Patria, dopo aver subito perdite notevoli, nel 1967.
Questa rivalità, oggi, è meno apparente, anche se rimangono i sospetti, tra le parti in causa. Ad esempio, l’Egitto, che dal 2015, è a fianco dell’Arabia Saudita, nell’operazione di stabilizzazione del Paese, con un contingente di 800 soldati, nell’aprile 2017, aveva offerto di portare il contingente a 40.000 uomini, ma il governo di Riad, timoroso di perdere la direzione dell’operazione, ha declinato l’offerta[7].
Se si consideri che lo Yemen si affaccia sullo Stretto di Bab-el-Mandeb, e costituisce il litorale nord del golfo di Aden, si comprende facilmente l’interesse dei due Paesi a dominare questa sventurata Nazione.
Vi sono, poi, le dispute che non coinvolgono direttamente il mare, ma creano tensione tra gli Stati dell’area, come la nuova fase della millenaria “Guerra dell’Acqua” tra Egitto ed Etiopia, specie dopo che quest’ultima, il 20 febbraio 2022, ha inaugurato, sul Nilo Azzurro, la diga denominata “Grand Ethiopian Renaissance Dam”[8] che rischia di togliere parte dell’acqua, che finora era stata a disposizione dell’Egitto.
L’instabilità interna agli Stati, poi, è un altro fenomeno frequente nell’area, anche per effetto di accorpamenti impropri, decisi dalle potenze europee: ad esempio, la secessione dell’Eritrea dall’Etiopia, nel 1991, dopo ben trent’anni di guerriglia, seguita poi da un conflitto accanito, terminato solo nel 1998, è indicativa delle tensioni che affliggono l’area.
La secessione del Sud Sudan, la rivolta del Darfur e l’insurrezione del Tigrai, tuttora in corso, hanno causato poi migliaia di morti, nella regione. Va ricordata, infine, l’implosione della Somalia, oggi divisa in più Stati, e teatro di una lotta senza esclusione di colpi tra moderati e integralisti religiosi. Questa lotta ha riversato sulla riva orientale del mar Rosso decine di migliaia di profughi somali, che solo in parte sono potuti tornare in Patria.
Sono proprio queste situazioni che attraggono le grandi potenze, il cui interesse è quello di stabilire legami con le Nazioni coinvolte nell’instabilità regionale, promettendo armi, finanziamenti e assistenza.
Dopo le Nazioni del Golfo Persico, che sono sospettate di sostenere da tempo, sia pure indirettamente, l’integralismo islamico nel Corno d’Africa, la Cina, in questi ultimi decenni, ha riconquistato una propria influenza nel continente africano, dopo quasi un millennio, finanziando progetti infrastrutturali e sfruttando risorse minerarie, anche se ha dovuto subire forti perdite umane, ad opera dei gruppi d’insorti, contrari a questo tipo di penetrazione. Il fatto che, a Gibuti, vi sia una pur piccola base di appoggio per la Marina cinese è indicativo dall’interesse del governo di Pechino per l’area del mar Rosso.
In sintesi, il mar Rosso può aggiungersi ai tratti pericolosi, già noti, della rotta commerciale tra l’Europa e l’Asia, come il golfo di Aden e lo Stretto di Malacca, ma essa sta diventando un’area di possibili conflitti tra le grandi potenze.
Il solo fatto che questi conflitti rendano sempre più precario il traffico marittimo intercontinentale, la fonte di benessere tra le più grandi dell’Occidente, è un motivo di preoccupazione, in quanto l’insicurezza incide sui costi assicurativi, e nel caso peggiore comporta un cambio di direzione dei traffici marittimi, con grave danno per le zone che vengono abbandonate.
Noi Occidentali, oltretutto, stiamo dimenticando che, come affermava uno studioso, “il mar Rosso, certamente più del Golfo Persico, ha svolto il ruolo di cerniera tra l’Occidente e l’Asia più volte nel corso della Storia. Curiosamente, la sua importanza è stata raramente percepita”[9]. L’Italia del XIX secolo lo aveva capito, anche se poi sbagliò, rivolgendo lo sguardo verso l’interno del continente, aggredendo l’Etiopia e finendo per perdere tutto. Dobbiamo riprendere in mano la nostra antica consapevolezza e riallacciare rapporti di amicizia o, quantomeno, di fiducia reciproca, nella speranza di esercitare, anche nell’area del mar Rosso, quel ruolo moderatore che ha contraddistinto il nostro Paese nel secondo dopoguerra.
[1] N.J. SPYKMAN. America’s Strategy in World Politics. Ed. Transaction Publishers, 2007, pag. 92.
[2] T. MARSHALL. Prisoners of Geography. Ed. Elliott and Thomson, 2015, pag. 118.
[3] H. COUTAU-BÉGARIE. Géostratégie de l’Océan Indien. Ed. Economica, 1993, pag. 35.
[4] Ibid. pag. 44.
[5] Vds il sito delle Difesa Olandese nella pagina dedicata alla Missione “Minehunting in the Red Sea and the Gulf of Suez”, relativa allo sminamento del Mar Rosso e del Golfo di Suez, operativa dall’agosto al dicembre 1984: https://english.defensie.nl/topics/historical-missions/mission-overview/1984/minehunting-in-the-red-sea-and-the-gulf-of-suez
[6] Vds, WARSAW INSTITUTE. Russian Monitor “Russia’s problem in Sudan: no chance for Port Putin?” 11 giugno 2021.
[7] LUISS. Sicurezza Internazionale. 13 novembre 2020.
[8] Vds. il POST, 20 febbraio 2020.
[9] H. COUTAU-BÉGARIE. Op. cit. pag. 33.