scarica il file in pdf – Pane e Guerra – luglio 2022 – Bruno Stella
PANEM ET BELLUM
Bruno Stella
- Introduzione
Stanno partendo, finalmente, le prime navi cariche di cereali dirette in Medio Oriente, la cui dipendenza dal grano ucraino è assoluta. Si aspetta la partenza di altre navi, questa volta cariche di semi di girasole, di cui il nostro Paese ha bisogno.
Nei primi giorni delle operazioni militari russe nell’Ucraina, ex-granaio d’Europa, qualche giornale italiano dedicò preoccupate note alle possibili conseguenze sulle nostre importazioni di grano dai due paesi in conflitto. In particolare, si temeva, sarebbe mancata la farina di grano tenero per pane e dolci, mentre altri sollevavano dubbi sulla nostra dipendenza dal grano duro necessario, soprattutto, per fare la pasta.
I dati ufficiali, forniti dalle organizzazioni agricole, dai molitori e dall’industria alimentare avevano ridimensionato tempestivamente il problema: dall’Ucraina le nostre importazioni di grano tenero sono state, nel 2021, inferiori al 3 per cento del fabbisogno. Per quanto riguarda il grano duro, di cui l’Italia è tra i principali produttori mondiali, importiamo soprattutto dal Canada (46 per cento), dalla Grecia, dagli USA e dalla Francia. Russia e Ucraina, dunque, sembrano avere un ruolo del tutto marginale sia nella nostra produzione di pasta sia in quella di pane e dolci, anche se alcuni proprietari di aziende produttrici di pasta si sono pubblicamente lamentati per il mancato arrivo di grano dal Mar Nero.
Gli allarmismi del momento, in casa nostra, sembrerebbero perciò in parte ingiustificati, e soprattutto mal diretti, ma hanno avuto il merito di stimolare più attente riflessioni sul ruolo geopolitico del grano e del pane.
I successivi sviluppi della guerra e la conseguente generale fibrillazione dei mercati cerealicoli, ci hanno poi indotti a riflettere su quante volte, nella storia dell’umanità, la scarsità di grano e di pane abbia influito sull’ordine mondiale, diventando fattore di destabilizzazione e di conflitto.
Di questo tipo e di un analogo livello è la dinamica negativa che la guerra tra Russia e Ucraina ha subito avviato nei paesi dell’area MENA, con successive e preoccupanti ricadute in altre zone del mondo. Il rischio per noi, in altre parole, sarebbe un’immigrazione di massa di popoli dell’area, costretti dalla fame a lasciare le proprie case.
- MENA: un’area problematica
L’acronimo MENA, ossia Middle East North Africa identifica un’area geopolitica tra le più sensibili del pianeta. Ne fanno parte: Algeria, Egitto, Libia, Marocco, Tunisia, Giordania, Iraq, Israele, Libano, Siria, Arabia Saudita, Bahrein, Emirati arabi uniti, Iran, Kuwait, Oman, Qatar, Yemen.
Questi paesi importano mediamente da Russia e Ucraina il 50 per cento del proprio fabbisogno di cereali, anche per fare fronte al forte incremento demografico degli ultimi 20 anni, che ha aggravato la già diffusa condizione di povertà.
Ma, secondo la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) e la WFP (agenzia ONU che si occupa di assistenza alimentare), il conflitto in corso ha prodotto conseguenze che vanno ben oltre l’area dei paesi MENA. Nel rapporto pubblicato all’inizio di giugno, i due enti lanciano infatti una ‘allerta preventiva’, chiedendo un’azione umanitaria urgente in venti ‘punti caldi’ dove si prevede un peggioramento della fame acuta da giugno a settembre 2022. La guerra in Ucraina, sottolineano i rapporti, ha esacerbato il già costante aumento dei prezzi del cibo e dell’energia in tutto il mondo, impattando sulla stabilità economica e sociale di tante regioni. Si prevede che gli effetti saranno maggiori laddove l’instabilità economica e l’impennata dei prezzi si combinano con il calo della produzione alimentare dovuto a shock climatici come siccità ricorrenti o inondazioni.
Nell’area MENA, il lungo blocco imposto dalla Russia alle navi cariche di grano e di semi per olio vegetale nei porti del Mar Nero, ha limitato drasticamente il flusso dei rifornimenti creando situazioni assai pericolose: per le popolazioni, per i rispettivi governi e per l’equilibrio dell’intera area nella quale il pane è alimento primario.
- Grano e demografia nei paesi arabi
Secondo Arab Reform Initiative, il consumo pro-capite di grano nei paesi arabi è di 128 chili all’anno, il doppio rispetto alla media mondiale di 65 chili. Il pane, dunque, è componente essenziale dell’alimentazione quotidiana anche per le popolazioni dell’area MENA, che riceve dalla Russia il 34,4 per cento e dall’Ucraina il 16 per cento del proprio fabbisogno di grano. Questa dipendenza potrebbe dar luogo a una emergenza alimentare, sottolinea Arab Reform Initiative, visto che con il blocco dei porti di Odessa e Mariupol i prezzi del mercato del grano nel mondo arabo sono già aumentati quasi del 40 per cento.
Passando poi a considerare le aree in cui è in corso la guerra, l’Osservatorio Globalizzazione (giugno 2022) ribadisce la gravità della situazione sulla quale pesa il forte incremento demografico che ha contribuito a portare “in condizioni di insicurezza alimentare” 12,4 milioni di siriani e 17,4 milioni di yemeniti.
I grafici relativi alle dinamiche demografiche nell’area confermano dati preoccupanti. Ecco alcuni esempi, ricordando che spesso, in assenza di censimenti, i valori indicati sono frutto di stime.
Egitto: 58 milioni di abitanti nel 1995, 102 milioni nel 2021; Libia: 5.4 milioni nel 2001, 6,8 nel 2020. Algeria: 34 milioni al censimento del 2008, 43,85 nel 2020; Tunisia: 8,8 milioni al censimento del 1994, 11,8 (stima) nel 2020; Marocco: 24,7 (stima) nel 94, 36,91 nel 2020; Siria, 14 milioni (stima) nel 1995, 21,7 (stima) nel 2017; Yemen: 14,5 milioni al censimento del 1994, 28 (stima) nel 2017.
Osservato speciale è l’Egitto, primo importatore al mondo di grano (il 50% del suo fabbisogno proviene dalla Russia, il 30% dall’Ucraina). Le autorità del Cairo investono circa 3 miliardi di dollari per calmierare il prezzo del pane (la metà del totale dei sussidi alimentari), ma l’aumento del costo del grano rende insostenibile ulteriori sforzi di spesa pubblica. Per correre ai ripari si è già provveduto a ridurre il peso del pane sussidiato, per diminuire la quantità di grano utilizzata. Intanto – Informa l’Agenzia Nova – si lavora per aumentare la produzione nazionale. E’ in corso di realizzazione, infatti, un “enorme complesso” per la produzione di fertilizzanti fosfatici e azotati.
Non se la passa bene nemmeno la Libia, che importa circa il 90% del suo fabbisogno in cereali (metà dall’Ucraina fino allo scorso anno): fra Tripoli e Bengasi il tasso di insicurezza alimentare ha raggiunto livelli allarmanti, colpendo oltre un terzo della popolazione, da oltre dieci anni costretta a convivere con una forte instabilità.
In Tunisia l’aumento di prezzo del grano si innesta su una transizione politica e una congiuntura economica estremamente delicate. Anche qui il pane è calmierato, ma il deficit pubblico sta raggiungendo una soglia critica e l’FMI potrebbe imporre a Tunisi dolorosi sacrifici per rientrare dai prestiti internazionali.
L’insicurezza alimentare, dunque, è tra i principali fattori del flusso di “migranti” verso le sponde europee del Mediterraneo che, negli ultimi mesi, ha registrato un rinnovato incremento, sottoponendo a forte stress anche le strutture ricettive italiane.
- Pane e grano: un po’ di storia
La storia del pane comincia in tempi lontanissimi, con la lavorazione di farine ricavate da cereali selvatici, ed evolve nei millenni per arrivare, infine, alla panificazione dal frumento. Alimento indispensabile per la sopravvivenza umana, è stato motivo di aspri conflitti ma anche prodotto di scambio e vera “moneta”. Per esempio, nell’antico Egitto, dove seimila anni fa nacque il pane lievitato, la “busta paga” degli operai impegnati nella costruzione delle piramidi era composta da corpose pagnotte e buoni quantitativi di birra.
Considerato simbolo della cultura e della storia dell’umanità, della fame e della ricchezza, della guerra e della pace, il pane è presente nella tradizione e nell’attualità alimentare di tutti i paesi. Per questo, anche oggi può essere all’origine di conflitti o fattore importante nella loro gestione. Insomma, come dimostrano anche gli eventi successivi all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la funzione geopolitica del pane (cioè le sue relazioni con geografia fisica, geografia umana e azione politica) può essere determinante nei rapporti tra stati e nella loro evoluzione.
- La produzione mondiale di frumento tenero
Il frumento tenero è, dopo il mais, il cereale più diffuso nel mondo, presente in tutti i continenti e in tutti i continenti utilizzato soprattutto per fare pane e dolci. (Il frumento duro, così chiamato per la maggior durezza del seme, è invece utilizzato soprattutto per produrre pasta).
Negli ultimi anni (dati Infofarine) la produzione mondiale di frumento, si è collocata tra i 700 e i 750 milioni di tonnellate), pari al 35% circa della produzione cerealicola totale.
La Cina, con circa 137 Mt/anno (dati raccolto 2021) è il principale produttore di frumento, seguita dall’India, con 110 Mt. Sul mercato mondiale, tuttavia, queste produzioni non hanno un peso proporzionale alla loro entità perché sono destinate soprattutto ai consumi interni. All’atto pratico, perciò, a ‘governare’ i mercati internazionali del grano tenero sono Russia (75 Mt prodotti), Stati Uniti (46 Mt) Canada (30 Mt), Francia (29 Mt), Ucraina e Pakistan (ambedue con 26 Mt).
I principali esportatori (dati 2021) sono Russia (34 Mt), Stati Uniti (24 Mt), Ucraina (23 Mt) e Canada (17 Mt). L’Unione Europea esporta complessivamente circa 33 Mt di grano tenero.
- Grano e mare
Il traffico delle granaglie avviene soprattutto via mare; se qualche evento (naturale o provocato) interferisce con il flusso diretto verso specifici mercati, è inevitabile la reazione delle popolazioni alle quali cominciasse a fare difetto il grano.
Il problema si è già presentato in quei paesi del Nord Africa, in particolare Libia, Egitto, Tunisia e Algeria, dove il pane quotidiano dipende in buona parte dal frumento proveniente da Ucraina e Russia (che fornisce anche ingenti quantitativi di fertilizzanti). Per molte settimane Mosca ha bloccato nei porti del Mar Nero tante navi nelle cui stive rischiavano di marcire milioni di tonnellate di grano. E nei paesi destinatari di questi carichi si sono manifestati malumori che hanno fatto ricordare le ‘primavere arabe’ del 2011. Allora il culmine delle proteste si ebbe in Egitto (il principale importatore di grano al mondo) dove il generale Hosni Mubarak, quarto presidente di quella repubblica, venne costretto alle dimissioni dopo trent’anni di potere.
- Le ‘porte’ sensibili del Mediterraneo
Gli esperti di strategia individuano, sulle rotte marittime mondiali, otto principali ‘choke points’, cioè ‘colli di bottiglia’, la cui chiusura anche solo parziale potrebbe provocare l’interruzione di qualche supply chain o catena di rifornimento, con conseguenze non facilmente calcolabili sul piano economico e su quello politico.
Non è necessario, infatti, bloccare questi “colli di bottiglia” con l’impiego di una forza navale: basta, invece, posare alcune mine, come avvenne a Suez nel 1984, per causare l’interruzione del flusso di navi che li attraversa.
Tre di questi ‘colli di bottiglia’ riguardano direttamente il Mediterraneo: Stretto di Gibilterra, Canale di Suez, Stretti Turchi (Dardanelli e Bosforo). Ci sarebbe da mettere nel conto anche Bab el-Mandeb che, in quanto accesso al Mar Rosso dal Golfo di Aden, sopporta larga parte dei traffici diretti al Canale e da esso provenienti. All’interno del Mare Nostrum, un altro choke point si individua nel Canale d’Otranto, la “porta” del Mare Adriatico.
È difficilmente immaginabile, ai nostri giorni, il blocco volontario di uno dei citati choke points, almeno da parte di Stati, al di fuori delle Convenzioni internazionali.
Anche nelle circostanze drammatiche del conflitto tra Russia e Ucraina, gli Stretti Turchi sono rimasti aperti al traffico mercantile, perché Mosca, per fermare le navi che non voleva far uscire dal Mar Nero, si è limitata a impedirne la partenza dai porti in cui avevano ‘caricato’. Misure dirette su Dardanelli e Bosforo avrebbero portato a uno scontro con la Turchia e il coinvolgimento di altre Potenze, analogamente a quanto accadde nel 1956 a Suez, dopo la nazionalizzazione del Canale da parte dell’Egitto e il successivo intervento armato di Gran Bretagna, Francia e Israele.
Un evento di blocco, tuttavia, può realizzarsi anche da parte di potentati non statuali e, in maniera del tutto accidentale. L’esempio più recente di un simile evento riguarda proprio il choke point di Suez.
Canale di Suez
Il 23 marzo dello scorso anno, la portacontainer Ever Given (400 metri di lunghezza, 59 di larghezza e 14,5 di pescaggio) percorreva il Canale in direzione del Mediterraneo. La nave, caricata con 18.300 containers, venne investita da una tempesta di sabbia, con punte di vento di 40 nodi (74 kmh), che ne compromise la capacità di governo, causando la deviazione dello scafo. La Ever Given si mise quindi di traverso e si arenò ostruendo totalmente il canale.
L’incidente, come hanno stabilito le autorità del Canale, bloccò la circolazione di più di 400 navi, tra cui alcune portacontainer di dimensioni simili alla Ever Given (tra queste le gemelle Ever Globe ed Ever Excel), circa 25 petroliere, diverse portarinfuse e anche navi per il trasporto di bestiame.
L’agenzia Bloomberg ha stimato che l’ostruzione temporanea del Canale, attraverso il quale transita il 12% delle merci mondiali e il 30% del traffico dei container spediti via mare, abbia creato una perdita economica di almeno 9,6 miliardi di dollari al giorno, per la mancata consegna delle merci trasportate e per il ritardo nell’imbarco di quelle in attesa agli imbocchi del canale. Le sole merci stivate nelle navi bloccate, secondo la Lloyd’s List, valevano circa 8,1 miliardi di dollari.
Le compagnie marittime sono state costrette a far circumnavigare l’Africa alle proprie navi, allungando i tempi di consegna di 7-10 giorni (e più), aumentando contestualmente i costi di consegna delle merci ed escludendo, di fatto, i porti del Mediterraneo. Vale la pena di ricordare che il solo costo del carburante necessario a una moderna petroliera per fare il giro dell’Africa è stimato in circa 300.000 dollari
In anni precedenti, altre navi si erano arenate nel Canale. Ecco alcuni tra gli episodi più importanti.
Il 28 aprile 2016, la nave portacontainer MSC Fabiola si è arenata nel Grande Lago Amaro dopo aver riscontrato problemi al motore, costringendo i funzionari del canale a sospendere temporaneamente tutti i convogli diretti a nord e a fermare tutti i convogli diretti a sud. La MSC Fabiola è stata rimessa a galla in due giorni. Infine, il 17 luglio 2018, la nave portacontainer Aeneas si è arenata nel canale, provocando una collisione che ha coinvolto le tre portarinfuse dietro di essa (Sakizaya Kalon, Panamax Alexander e Osios David).
Stretti Turchi
I Dardanelli, che uniscono il Mare Egeo al Mar di Marmara, e il Bosforo, che unisce questo stesso mare al Mar Nero, sono ‘sorvegliati speciali’, da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Il presidente di quest’ultimo Paese, Volodymyr Zelenski, aveva chiesto al premier turco, Erdogan, di non permettere alle navi russe il passaggio nei Dardanelli e nel Bosforo. Ma, aveva risposto il ministero degli esteri turco Cavusoglu, in base alla convenzione di Montreux del 1936, Ankara non può negare il rientro delle navi russe nel mar Nero.
Si calcola che annualmente transitino per il Bosforo circa 48 mila navi: un via vai di cargo, petroliere, navi da crociera, pescherecci e unità militari, che lo rendono quattro volte più trafficato sia del canale di Suez sia del canale di Panama.
In un servizio dedicato, l’Agenzia Giornalistica Italia ha sottolineato che il 65% dell’export verso l’estero e il 38% del petrolio esportato da Mosca passano attraverso il Bosforo. Ma, oltre al petrolio, è importante anche il passaggio del frumento che dai mercati di Russia, Ucraina e Kazakistan arriva poi in tutto il mondo, coprendone più del 25% del fabbisogno complessivo. Ed è importante anche il passaggio di granoturco e olio di girasole, pari a oltre un quinto della richiesta mondiale. Si calcola, aggiunge l’AGI, che più del 60% del grano ucraino esca attraverso il Mar Nero.
Già nei mesi scorsi, riferendo sul tema al Parlamento europeo, la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, aveva chiesto a Putin di permettere a queste navi di salpare verso le proprie destinazioni.
Altrimenti — aveva sottolineato — le conseguenze si sarebbero fatte sentire in un’ampia fascia geografica, dall’Africa all’Estremo Oriente e, in particolare, nei paesi nord-africani che si affacciano sul Mediterraneo, provocando carestia e fame.
Con il blocco delle navi granarie, insomma, Il premier russo ha dato una pratica dimostrazione di come grano e pane, possano diventare strumenti di una geopolitica spregiudicata e aggressiva. Insomma: ‘armi’ da guerra.
Stretto di Gibilterra
Con una lunghezza di circa 59 chilometri e una larghezza minima di circa 14, è la principale “porta” del Mediterraneo e collo di bottiglia fondamentale del sistema mondiale dei traffici via mare. Durate la II Guerra mondiale venne interdetto al transito delle unità dell’Asse e i sommergibili italiani diretti in Atlantico dovettero forzare il blocco navigando in immersione.
Gibilterra, (6,8 kmq, 34 mila abitanti) è ‘territorio d‘oltremare del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord’. Giace sulla punta sud della penisola iberica confrontandosi, quasi specularmente, con la città e il territorio di Ceuta (circa 70 mila abitanti) enclave spagnola in terra marocchina.
La secolare disputa tra Gran Bretagna e Spagna sull’appartenenza di Gibilterra, entità minuscola ma di vitale importanza strategica e commerciale, venne formalmente risolta con il Trattato di Utrecht del 1713. A distanza di oltre tre secoli, tuttavia, le aspirazioni spagnole a un assetto diverso del territorio riemergono periodicamente. Tra l’altro, ancora nel 2002, con la proposta di una specie di condominio anglo-ispanico di
Gibilterra, respinta dai gibilterrini con una votazione che vide prevalere il “No” con il 98 per cento dei voti.
Lo status particolare di Gibilterra, ‘territorio d’oltremare’, ha creato qualche problema con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Gibilterra, infatti, non è stata inclusa nell’ambito di applicazione dell’accodo sugli scambi commerciali e la cooperazione, concluso tra UE e Regno Unito alla fine del 2020. Negoziati sono da tempo in corso.
- Conclusioni
In conclusione, in questa situazione di “guerra del grano”, tra Ucraina e Russia, nessuno dei due contendenti ha fatto ricorso, almeno per ora, alla chiusura delle porte del Mediterraneo, anche se basterebbero poche mine per provocarne la paralisi. Quindi, esse sono per ora tutte aperte percorribili. Ma è da escludere il rischio che anche i transiti attraverso Suez, Stretti Turchi e Gibilterra possano un giorno diventare precari?
La storia suggerisce di valutare la risposta con tanta, saggia prudenza.