L’Italia apre le porte al generale Khalifa Haftar. L’ex braccio destro di Gheddafi e attuale comandante generale dell’Esercito nazionale libico incontra oggi a Roma il Ministro della Difesa italiano Roberta Pinotti. Emergenza migranti, contrasto al terrorismo e stabilizzazione della Libia fra i temi al centro del colloquio. In agenda spazio anche per le questioni economiche, in particolare la protezione degli impianti petroliferi e di altre infrastrutture italiane in Libia.
Il generale Haftar e il Ministro Pinotti affrontano anche il ruolo decisivo rivestito dal nostro Paese nell’addestramento ed equipaggiamento della Guardia Costiera libica, i cui pattugliamenti hanno contribuito ad un significativo calo delle partenze dei migranti verso le coste italiane.
Il Governo italiano non sembra limitarsi ormai a sostenere unicamente il Presidente Fayez al-Sarraj, capo dell’Esecutivo di Coalizione appoggiato dall’ONU, ma mette in campo una strategia di dialogo con tutte le parti in causa.
Ma a poche ore dall’incontro, sono emersi ulteriori elementi che hanno contribuito a complicare la partita. Un video rilanciato di recente dal blog di sicurezza americana Just Security e che parrebbe risalire al 18 settembre 2015, mostra Khalifa Haftar in riunione con i suoi uomini dell’Esercito nazionale libico a cui ordina di «non fare prigionieri». Una direttiva che costituisce un evidente crimine di guerra. Nelle stesse ore, l’inviato delle nazioni Unite in Libia Ghassan Salame si è dichiarato favorevole ad una possibile candidatura alle prossime elezioni di Saif Al-Islam, il figlio di Muammar Gheddafi. «Non voglio che l’accordo politico sia la proprietà privata di un lato o dell’altro», sostiene l’inviato, «può includere il figlio di Muammar Gheddafi e sostenitori dell’ex regime che accolgo apertamente nel mio ufficio».
La diplomazia italiana è determinata a puntare sulla carta della realpolitik per stabilizzare la situazione in Libia. Anche a costo di dover accogliere personaggi con scheletri nell’armadio piuttosto vistosi e a chiedere loro, ovvero al Governo concorrente dell’Esecutivo di Tripoli riconosciuto dalla comunità internazionale e da sempre sostenuto da Roma come unico Governo legittimo, il supporto per la difesa degli interessi nazionali energetici nel Paese africano. Sull’opportunità o meno di tale scelta ne parliamo con l’Ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, docente di Strategia presso l’Università di Trieste e già Rappresentante Militare per l’Italia presso i Comitati Militari NATO e UE.
Intanto, Ammiraglio, quali sono i temi al centro dell’incontro, al di là dell’agenda ufficiale?
L’Italia sta cercando di stabilire un dialogo con tutti i vari attori principali della situazione libica. Non solo, ma da alcuni anni l’Italia addestra soldati e guardia costiera della Libia. Ora, la situazione di Haftar è una situazione particolare perché fino ad esso l’Italia si era rivolta solo al Governo di coalizione, adesso finalmente comincia a parlare con i vari attori principali e questo è un aspetto finalmente positivo. Il fatto che Haftar formalmente sia ricevuto dal Ministro Pinotti e non dal Presidente del Consiglio mostra come noi facciamo bene attenzione a rispettare le gerarchie, almeno quelle teoriche, nel Paese libico.
Nella giornata di questo incontro fra Haftar e il Ministro Pinotti emergono nuovi elementi che dimostrerebbero la responsabilità penale del generale Haftar in alcune esecuzioni a sangue freddo commesse dai suoi uomini. Il blog di sicurezza americana Just Security mostra un video del 2015 in cui addirittura il generale ordina ai suoi sottoposti di non fare prigionieri. Queste accuse così gravi come potrebbero ripercuotersi sull’incontro di oggi e sulla politica dell’Italia nei confronti della Libia?
Le accuse molto pesanti contro una sola parte della guerra civile sono delle accuse che coprono solo una parte della verità. Quello che è successo in Libia fra il 2011 e oggi è una guerra civile vera e propria di cui tutti si sono macchiati di colpe gravissime e bisognerebbe capire perché emergono delle accuse contro l’uno ma non contro l’altro. Non c’è dubbio che quando di qui a qualche anno sarà finita la guerra civile in Libia, sarebbe opportuno un intervento del Tribunale Internazionale. Per il momento i colloqui che noi facciamo con le varie parti libiche servono soprattutto per creare una situazione post-conflittuale.
Quindi è inevitabile, alla luce della guerra civile, che l’Italia si adegui a trattare con soggetti su cui pendono pesanti accuse? Non può essere questo controproducente nei confronti di uno Stato civile e democratico come l’Italia? Si sta andando a parlare con soggetti che hanno delle ombre piuttosto forti.
Noi dobbiamo parlare con tutti, le ombre in Libia ce le hanno tutti. In Libia i ‘buoni’ non ci sono, se si seguisse un approccio ideologico noi non parleremmo con nessuno dei leader libici.
Sarebbe comunque importante che, quando sarà terminato il conflitto o vi sarà una politica di stabilizzazione della Libia, vi sia un intervento delle Nazioni Unite nei confronti di chi potrebbe essersi macchiato di gravi crimini. Crede che questo intervento dell’ONU e della Corte Penale Internazionale sia credibile? Potrà esserci giustizia internazionale nei confronti di chi sarà riconosciuto colpevole?
Come dimostra la storia recente, i Tribunali Internazionali vengono convenuti, vengono chiamati a lavorare, mediamente cinque anni dopo la fine di un conflitto. Quindi quando finirà il conflitto in Libia, diciamo fra cinque anni se va bene, si aprirà la finestra per il Tribunale Internazionale. Quindi non prima di dieci anni.
Ma riuscirà a funzionare a distanza di tutti questi anni? I protagonisti del conflitto allora potrebbero già aver fatto perdere le loro tracce.
I leader non fanno mai perdere del tutto le loro tracce. Ed i Tribunali Internazionali funzionano quando la popolazione locale è satura, è stufa di vendetta nei confronti dei leader del periodo della guerra civile.
E crede che questo possa avvenire anche per il popolo libico?
E’ successo per tanti popoli. Quando arriva la stanchezza della guerra mediamente il popolo vuole fare piazza pulita rispetto al passato. Quando invece il popolo non vuole fare piazza pulita si mantiene i propri leader sapendo benissimo di cosa si sono macchiati.
Nel futuro della nazione libica si presenta con forza anche la figura di Saif al-Islam, il figlio dell’ex dittatore Gheddafi. L’inviato dell’ONU in Libia Ghassan Salame ha dichiarato che le elezioni, presidenziali e parlamentari, saranno aperte a tutti e che quindi qualunque accordo politico potrà comprendere anche il figlio di Gheddafi e i sostenitori dell’ex regime. Come si comporterà l’Italia di fronte allo sdoganamento di Gheddafi operato addirittura dalla massima istituzione internazionale quale l’Organizzazione delle Nazioni Unite?
Bisogna vedere quanti voti e quanti consensi raccoglie. Non c’è dubbio che Gheddafi rappresentava una grossa fetta della popolazione libica e questo purtroppo l’abbiamo dimenticato. I leader sono sostanzialmente degli interpreti della volontà popolare.
Il figlio di Gheddafi è molto rispettato, anche in virtù del suo nome, dalle tribù libiche, ha l’appoggio anche del generale Haftar. Alla luce di questo potrebbe avere veramente un ruolo in futuro?
Io non amo guardare nella sfera di cristallo. Penso però che ogni tanto le nazioni possano evitare la loro scissione rivolgendosi a un personaggio che raccolga il consenso sia di una parte che dell’altra. L’attuale situazione libica è a un passo dalla scissione fra la Tripolitania e la Cirenaica e non c’è dubbio che personaggi quali i membri della famiglia Gheddafi, almeno quelli che non si sono compromessi nel passato commettendo delitti, vengano tirati fuori. Questo è tipico di una famiglia che appartiene alla zona di congiunzione fra Tripolitania e Cirenaica, i Gheddafi infatti sono originari di Sirte.
Alla luce di quanto detto sembra che la situazione libica stia cambiando. Sia il figlio di Gheddafi che Khalifa Haftar in qualche modo potranno avere un ruolo nel futuro della Libia. In questo mutato scenario in cui non si conta più soltanto sul governo di Fayez al-Sarraj, ma anche su altri attori, quale ruolo sarà permesso all’Italia di condurre? Sarà protagonista o potrebbe essere tagliata fuori?
Il ruolo dell’Italia dipende dalla volontà libica. Se la volontà libica è quella di mantenere un rapporto privilegiato con l’Italia allora l’Italia, checché pensino e checché facciano gli altri Paesi occidentali o comunque del Nord, sarà grande. Quindi dipende da noi.
A questo proposito si ricorda che l’incontro di oggi avviene a poca distanza dal summit in Libia fra il Ministro dell’Interno Marco Minniti e il generale Haftar che segnò un evidente cambio di strategia dell’Italia nei confronti della Libia. Questo cambio di strategia porta solo la firma di Minniti oppure è supportato anche da figure di livello più alto all’interno del Governo italiano?
Io non sottovaluterei il fatto che abbiamo un Presidente del Consiglio che è esperto di politica estera e si avvale delle persone più eminenti, sia come qualità che come posizione, del suo Governo per creare un dialogo rispettando i ruoli. Noi non abbiamo cambiato la strategia, noi stiamo parlando con tutti, stiamo parlando anche con le tribù del Fezzan perché vogliamo cercare di portare tutti alla convinzione che l’assetto più o meno stabile del Paese sia preferibile rispetto alla situazione attuale.
Ma rispetto ad alcuni mesi fa sembrava che l’Italia spendesse gran parte dei suoi sforzi a sostenere il presidente al-Sarraj. Il sostenitore del suo Governo sembrava essere quasi solo l’Italia perché la Francia è sempre stata ambigua e gli Stati Uniti non sono mai stati pienamente in partita. Invece adesso che sembra il baricentro si sia spostato.
Noi parliamo con tutti, non è che adesso non parliamo più con al-Sarraj. Non abbiamo buttato a mare al-Sarraj, noi stiamo parlando con tutte le parti in causa in modo che venga fuori un assetto stabile.
Bisogna tuttavia ricordare che al-Sarraj controlla comunque una piccola parte della Libia occidentale.
Noi non sostentiamo solo una delle parti in causa. Il punto di forza dell’Italia è che noi non ci siamo legati mani e piedi con una fazione, noi stiamo cercando di portare tutte le fazioni insieme. Al-Sarraj ha una veste ufficiale che gli deriva dal fatto di essere il capo di un Governo di unità nazionale, noi rispettiamo il ruolo, rispettiamo la funzione, però parliamo anche con gli altri. Parlare con Haftar è esattamente come aver parlato con le tribù del Fezzan.
Quella libica è una partita non solo politica ma anche economica e energetica. L’Italia, attraverso ENI, ha interessi energetici molto importante all’interno della Libia. Questi interessi potrebbero essere messi a rischio, potrebbero essere messi in pericolo dai suoi concorrenti , parliamo in particolare dalla Russia e dalla Francia che da tempo mira sugli asset energetici dell’Italia in Libia?
Se Lei mi avesse posto la domanda nel 2012 io forse avrei risposto di sì. Ma oggi come oggi quello che sta venendo fuori è che i libici considerano l’Italia come il partner o la controparte meno pericolosa rispetto alle altre. Ed è pertanto inferiore il rischio che l’Italia sia esclusa dai giochi petroliferi nella regione.
Poche settimane fa era uscita la notizia su presunti finanziamenti dati all’Italia ad alcune milizie della Libia per fermare i migranti ed una di queste milizie si occupava della sicurezza di un importante impianto petrolifero libico. Tutto questo è collegato alla partita energetica che si sta giocando?
Il gioco che stiamo facendo si potrebbe riassumersi con la frase di San Filippo Neri ‘ragazzi state buoni se potete’. Frase che simboleggia la strategia della pazienza e di solito le buoni strategie sono sempre condite con la pazienza. E l’Italia, nel caso della Libia, si sta conquistando il rispetto dei Paesi del terzo Mondo proprio grazie alla sua pazienza e alla sua moderazione. Se noi invece cominciassimo ad alzare una bandiera ideologica dicendo che tutti quelli che non rispondono a determinati criteri sono brutti e cattivi e vanno uccisi, ovviamente con noi dialogherebbe solo una piccola frazione anziché tutto l’insieme.
Una pazienza, quindi, ispirata al pragmatismo, che Lei la considera positiva?
Per forza, se si guarda a tutte le guerre civili, quale leader non si macchia di crimini terribili? Si pensi alla storia della guerra civile spagnola per capire che una guerra civile è la cosa più terribile che ci sia. Noi abbiamo ancora, dopo 70 anni, degli scheletri nell’armadio dei due anni di guerra civile che abbiamo avuto nel centro-nord. Qualcuno è stato rivelato, piano piano col tempo emergono sempre di più, però ci vuole tempo.
Alla luce di questo considera positivo che l’incontro di oggi non sia stato troppo pubblicizzato dalla grande stampa mainstream? Lo considera un elemento positivo o ritiene al contrario che possa giocare a sfavore della trasparenza diplomatica?
Quando si arriva a delle conclusioni, in genere non si dà pubblicità all’incontro. Quando invece si tratta di un incontro preliminare, dell’inizio di un dialogo, allora si dà grande pubblicità all’evento.
Quindi il fatto che non sia stato pubblicizzato rivela la sua natura di incontro chiarificatore, decisivo?
Sì, decisivo o comunque molto vicino alla conclusione di qualche risultato positivo.
Nel grande gioco libico, nonostante l’Italia parli con tutti, è chiaro che si stanno posizionando verso il centro questi due soggetti di cui abbiamo parlato: il generale Haftar che ha importanti sostenitori internazionali, dalla Francia alla Russia, e il figlio di Gheddafi che ha soprattutto il sostegno delle tribù. Ricordiamo che Haftar, all’epoca di Gheddafi, era stato salvato durante la guerra in Ciad dai servizi segreti americani, Può quindi essere considerato un uomo tanto degli americani quanto dei russi e quindi mettere d’accordo entrambi per stabilizzare la Libia? Ricordiamo che Haftar ha anche la doppia cittadinanza, libica e americana.
Una delle peggiori illusioni che ci facciamo a proposito dei leader del Sud del mondo è che quando vanno al potere facciano gli interessi dei loro ‘sponsor‘ stranieri anziché quelli del loro Paese. Questi signori si appoggiano a qualcuno o a qualcun altro per difendere gli interessi di quelli che sono loro vicini o di quelli che gli interessano. Poi, una volta che arrivano al potere, si regolano come si devono regolare. Ricordiamo che la geografia e la storia sono purtroppo le due condizioni principali che influiscono sul comportamento dei governi.
Quindi non bisogna fare troppo affidamento sul fatto che un soggetto sia considerato un uomo dell’uno oppure dell’altro?
Il potere di ogni governante, tanto in un regime dittatoriale quanto in un regime democratico, dipende dal consenso. Se perde il consenso della sua popolazione o, peggio, se incorre nella disapprovazione della sua popolazione, prima o poi scompare.
In conclusione, ritiene che possa formarsi un consenso della popolazione libica nei confronti di una figura di governo? E queste figure potrebbero davvero essere Gheddafi o Haftar come uomini forti?
Io non sottovaluterei Serraj, il quale ha un grosso consenso soprattutto nella parte più tradizionalista della Tripolitania. Io vedo che il futuro della Libia non può che avvenire da un accordo di tipo libanese in cui le varie componenti etniche e religiose si bilanciavano avendo ciascuno la propria sfera di competenza. Non si dimentichi che sono i circa duecento capitribù ad essere la vera forza della Libia. Se i duecento capitribù si mettono d’accordo nei confronti di uno, dell’altro o di tutti e tre dando ad ognuno una fetta di potere, questo è tutto da vedere. Ma non c’è dubbio che il vero potere in Libia ce l’hanno i duecento capitribù.
Pertanto saranno loro a decidere quale sarà il futuro, quale sarà il loro comandante?
Sì. Quando sento parlare di Haftar o Serraj penso che questi sono soltanto i personaggi in prima fila, quelli seduti nei congressi dei partiti e nei vertici, ma quando si arriva alla votazione si vede davvero chi tira le fila.
Anche se è difficile da prevedere adesso, verso chi potrebbe pendere l’ago della bilancia delle tribù? Potrebbe pendere verso Gheddafi o verso Haftar, in quanto questi fonderebbe un governo laico?
Io francamente non credo che i duecento capitribù vogliano puntare tutti i loro soldi su un solo cavallo. E comunque è presto perché ciò avvenga. Vaglieranno la rosa dei possibili uomini forti e poi o divideranno il potere o cercheranno di superare questa situazione proponendo altri nomi o tirando fuori altri candidati.